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Elezioni locali: nessuna delega

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Elezioni locali: nessuna delega

La tesi che accompagna la sinistra alla prossima tornata elettorale amministrativa è che gli enti locali si trovino di fronte ad un attacco sistemico, che abbia come ultimo obiettivo la scomparsa della funzione pubblica e sociale dell’ente locale, come sin qui lo abbiamo conosciuto, trasformandone il ruolo da erogatore di servizi per la collettività a facilitatore dell’espansione della sfera di influenza dei capitali finanziari e da garante dell’interesse collettivo a sentinella del controllo sociale delle comunità.

Viene da domandarsi quando mai gli enti locali, i comuni, le province, le regioni, hanno svolto questa funzione a vantaggio della collettività, ma lasciamo perdere. La questione, naturalmente, è nel ruolo degli eletti, i sindaci, gli amministratori, che dovrebbero opporsi ad un processo deciso dal governo centrale e dall’Unione Europea e trasformarsi in rappresentanti degli abitanti del territorio. Si tratta a questo punto di scegliere i migliori, i più capaci, i più onesti, senza interrogarsi sui profondi movimenti sociali che hanno provocato questo processo, e su cui la volontà dei singoli sindaci ha poco effetto.

Ad essa si accompagna la battaglia contro la speculazione finanziaria, per una finanza pubblica e sociale: distinguere la finanza buona da quella cattiva è molto difficile, solo chi ha ancora fiducia nelle virtù taumaturgiche dello Stato può riuscirvi. In realtà anche “i sinistri” sanno benissimo che non possono fare a meno della finanza, anche loro parlano di investimenti, sia pure destinati al soddisfacimento dei bisogni sociali e ambientali delle comunità locali, ma sempre di investimenti si tratta, e quindi chi amministra, al di là delle dichiarazioni demagogiche, deve trovare i soldi e farli arrivare rapidamente dove ce n’è bisogno. Solo chi non si intende di finanza pubblica può credere che questi soldi possano arrivare dalle tasse: i soldi arrivano dal sistema finanziario, che è garantito dalle tasse future, dalle proprietà pubbliche, ecc., ma che per questo servizio di anticipare i soldi chiede lauti compensi; qualsiasi politica di rilancio dell’economia stringe ancora di più il laccio dello strozzino al collo dei contribuenti.

La vicenda dei derivati sottoscritti da numerosi enti locali aiuta a gettare luce su questo rapporto. Il Comune di Milano ha fatto causa a quattro banche con le quali aveva stipulato contratti in derivati per proteggersi dal rischio interessi, appellandosi al fatto che queste banche non lo avrebbero informato dei rischi dell’operazione. In altre parole, amministratori, dirigenti, consulenti pagati profumatamente dal denaro pubblico non sono stati capaci di proteggere questo stesso pubblico, la cittadinanza, i contribuenti dalla truffa promossa dalle banche, e qui non si tratta di un piccolo comune isolato, ma di una metropoli dove è possibile trovare quelle risorse professionali che potrebbero non essere alle dipendenze dell’ente locale. E’ credibile tutto ciò, è credibile che basti un cambio di amministrazione perché queste cose non si verifichino più?

Del resto è tutta la macchina degli enti locali che è orientata nel senso del risultato economico. Una parte consistente della retribuzione dei dirigenti degli enti locali, cioè dei vertici della macchina burocratica dei comuni, delle province, delle regioni, è legata non all’efficienza dei servizi resi, ma al risultato economico, cioè al risparmio sugli stanziamenti ricevuti, al peggioramento della qualità dei servizi, alla valorizzazione (cioè alla messa sul mercato) del patrimonio pubblico.

In realtà è il Comune istituzione dello Stato che non può svolgere altro che una funzione di classe, è il mito della crescita economica che sprofonda nella miseria la massa della popolazione.

Al Comune statalista gli anarchici contrappongono la Comune libera, sull’esempio della Comune di Parigi, con delegati eletti con mandato imperativo e revocabili in qualsiasi momento, come tutti gli altri funzionari pubblici eletti, responsabili e revocabili in qualsiasi momento, e compensati per le loro prestazioni, con il salario medio di un operaio; al centralismo gli anarchici contrappongono la libera federazione. Ma a questa riorganizzazione sociale non si arriva per la strada delle elezioni, del parlamentarismo, del governo, locale o nazionale che sia.

Gli anarchici sono convinti che il governo, sia esso locale, nazionale o sovranazionale “si piglia la briga di proteggere, più o meno, la vita dei cittadini contro gli attacchi diretti e brutali; riconosce e legalizza un certo numero di diritti e doveri primordiali e di usi e costumi senza di cui è impossibile vivere in società; organizza e dirige certi esercizii pubblici, come posta, strade, igiene pubblica, regime delle acque, bonifiche, protezioni delle foreste, ecc., apre orfanotrofi ed ospedali, e si compiace spesso di atteggiarsi, solo in apparenza s’intende, a protettore e benefattore dei poveri e dei deboli. Ma basta osservare come e perché esso compie queste funzioni, per riscontrarvi la prova sperimentale, pratica, che tutto quello che il governo fa è sempre ispirato dallo spirito di dominazione, ed ordinato a difendere, allargare e perpetuare i privilegi propri, e quelli della classe di cui egli è il rappresentante ed il difensore” (Errico Malatesta L’Anarchia).

La libera Comune, la libera associazione delle esperienze di solidarietà e di autogestione, può nascere solo sulle rovine fumanti del Governo e della proprietà privata! E’ questo il nostro programma, il nostro ideale, troppo vasto per trovare posto in un’urna elettorale.

 

Tiziano Antonelli

Da “Umanità Nova” n. 12 del 13 aprile 2014.

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