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Opuscolo: Disoccupati, sottoccupati, precari, l’unione è la nostra forza!

Pubblichiamo il testo dell’opuscolo sulla disoccupazione in distribuzione in queste sere di Effetto Refugio al banchetto anarchico sugli Scali del Refugio.

DISOCCUPATI, SOTTOCCUPATI, PRECARI,

L’UNIONE E’ LA NOSTRA FORZA

 

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A cura della Federazione Anarchica Livornese

e del Collettivo Anarchico Libertario

In questo opuscolo sono raccolti gli interventi dei realtori all’iniziativa “Disoccupati, sottoccupati e precari, l’unione è la nostra forza!” organizzata da CIB-Unicobas, Federazione Anarchica Livornese e Collettivo Anarchico Libertario, che si è tenuta il 2 luglio 2014 presso la sede della FAL.

1. LIVORNO: DISOCCUPAZIONE E DISASTRO SOCIALE

La crisi economica scoppiata nel 2008 e di cui non si vede ancora la fine sta colpendo duramente Livorno e il suo territorio. Per la verità Livorno era già in crisi pesante: il declino delle attività produttive “storiche” (es. il Cantiere) e di quelle nate negli anni 60 e 70 (es. Spica e CMF) assieme alla lenta ma sembrerebbe inesorabile decadenza delle attività portuali avevano già portato ad un pesante degrado della città. La crisi economica nata nel 2007 negli Stati Uniti e arrivata un anno dopo in Europa ha portato un ulteriore durissimo colpo.

Come mostra la scheda allegata al presente contributo a Livorno tutti gli indicatori statistici sul disagio sociale, dal fronte della disoccupazione a quello delle spese sanitarie e del sostegno agli anziani, passando per la crisi abitativa, sono peggiori della media regionale e nazionale.

La disoccupazione a Livorno e nella sua provincia è quasi il doppio di quella media toscana e molto superiore alla media nazionale. La disoccupazione giovanile è a livelli da profondo sud. La cassa integrazione è aumentata vertiginosamen-te: poiché la CIG è l’anticamera del licenziamento è certo che, in mancanza di politiche realmente “attive” nei prossimi anni il tasso di disoccupazione crescerà ancora.

Si perde il lavoro e si perde anche la casa” non è uno slogan ma una amara realtà come dimostrano gli sfratti in continuo aumento, specie per morosità.

La popolazione diventa sempre più anziana, quindi non autosufficiente ma nell’area livornese i servizi sono minori che nel resto della Toscana e perfino che nel resto del terri-torio servito dall’AUSL6. In una situazione talmente degradata il Comune di Livorno spende per servizi e interventi socio-sanitari meno di quanto non facciano, in media, gli altri comuni dell’AUSL6 e della Toscana. Il risultato è che tanti livornesi fuggono all’estero: Livorno sta diventando terra di emigranti!

La risposta alla devastazione delle passate amministrazioni locali di centro sinistra a guida PD si è centrata su alcune scelte di fondo:

– favorire la chiusura delle fabbriche, cambiando la destinazione delle aree (come è accaduto con il Cantiere Navale), illudendo i lavoratori sponsorizzando avventurieri (come il caso clamoroso della ex Delphi);

– immettere nel territorio denaro pubblico e privato (nuovo ospedale) senza riguardo al peggioramento dei servizi (leggi: privatizzazioni) e al danno ambientale;

– sostenere progetti inutili e dannosi come il rigassificatore e il megainceneritore; incentivare l’arrivo di nuove imprese impegnate nel settore delle produzioni tossiche e nocive (progetto del Puntone del vallino), sostenere, ma forse sarebbe più giusto dire pianificare la rovina ambientale con nuove discariche (progetto Atlante di cui la scandalosa vicenda del Limoncino è solo la punta dell’iceberg), perseguendo la fallimentare scelta di fare di Livorno il “polo delle nocività” che tanto piace al presidente della Regione Rossi; autorizzare cementificazioni nuove a fini commerciali (Porta a Terra e poi Porta a Mare, Nuovo Centro e chissà cos’altro).

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Queste le scelte di fondo delle amministrazioni che si sono succedute negli anni. Scelte condivise, di fatto, non solo dalla insulsa destra cittadina, sempre attenta a ritagliarsi una fetta di potere che il sistema gli concede ben volentieri in cambio di una finta opposizione, ma anche dai cosiddetti “alternativi” che si sono limitati ad una opposizione “parolaia”, lontana anni luce dalle vere esigenze dei cittadini e incapace di denunciare il vero ruolo dell’istituzione comunale come cerniera fra i gruppi che vorrebbero fare il bello e il cattivo tempo in città, gruppi che non hanno mai trovato vera resistenza fra i mummificati consiglieri comunali ma si sono scontrati con i comitati, le associazioni, i singoli cittadini autorganizzati per difendere salute e territorio.

Oggi, ci viene detto che le cose cambieranno, che si vuole una politica “partecipata”. Sarà. Noi sappiamo che le cose miglioreranno, a Livorno come altrove, se i cittadini sapranno auto-organizzarsi per la difesa dei loro interessi, per un lavoro decente, per un ambiente pulito, per la salvaguardia delle tutele sanitarie. E costringeranno le amministrazioni locali a prendere decisioni in tal senso.

Così si cambieranno i rapporti di forza. Rapporti di forza che – sia detto per inciso – a Livorno non sono poi così sfavorevoli alle forze del cambiamento: perché se a Livorno le cose vanno male anzi malissimo, esse andrebbero anche peggio senza l’impegno, il sacrificio, la costanza di tanti che si sono battuti giorno dopo giorno, contro l’arroganza del potere economico e politico. Non abbassiamo la guardia, non facciamoci lusingare dai “nuovi”, manteniamo l’impegno in prima persona sul fronte del lavoro, dell’ambiente, della salute.

Abbiamo molto da fare, c’è un mondo da cambiare!

LE CIFRE DEL DISASTRO

Riferimento: la provincia di Livorno ha una popolazione complessiva di 335mila persone di cui 174mila vivono nei comuni di Livorno e Collesalvetti (area livornese). Pertanto, con una certa approssimazione si può dire che il peso di questa area è determinante nella valutazione dei dati anche quando non sono riferiti specificatamente alla zona Livorno-Collesalvetti ma più genericamente a tutta la provincia.

Disoccupazione

Secondo i dati ISTAT la disoccupazione nella provincia di Livorno era nel 2013 pari all’8,6%, con una progressione di quasi il 100% rispetto al 2007, quando era del 4,5%. Nel 2013 la media toscana era del 7,8%.

In realtà secondo quanto riportato dall’Osservatorio della Provincia di Livorno, alla fine del 2012 il tasso di disoccupazione provinciale era pari al 14,2% (21754 disoccupati censiti), molto superiore alla media nazionale ISTAT: 11,7%. A Livorno città il tasso di disoccupazione era pari al 15,1%. Secondo gli ultimi rilevamenti dell’Osservatorio la disoccupazione avrebbe raggiunto nel 2013 il 16,1% rispetto ad una media toscana del 7,9%: più del doppio!

Drammatica la situazione giovanile: alla fine del 2012, nella fascia 15/24 anni (al netto di chi studia) la disoccupazione toccava il 59% (la media regionale era del 28,9%) mentre nella fascia 25/34 era del 22,9%. La disoccupazione giovanile è al livello delle peggiori realtà del sud Italia. Pesante anche la situazione degli “scoraggiati”, cioè di coloro che non studiano non lavorano ma non cercano neppure più un lavoro: nella provincia di Livorno sono 9.700 i giovani fra i 15 e i 29 anni in questa condizione, pari al 22% del totale, contro una media regionale del 16%.

Cassa integrazione

Si tratta di dati pesantissimi: le ore di cassa integrazione ordinarie erano 319 nel 2006, 993mila nel 2007, 1.191mila nel 2008 ma sono schizzate a 6.235mila nel 2009, 7.757mila nel 2010, 4.230mila nel 2011, 7.100mila nel 2012 e 6.629mila nel 2013.

Liste di mobilità

In cinque anni gli iscritti sono aumentati del 59%: dai 1413 del 2008 ai 2389 del 2012.

Indennità di disoccupazione

In quattro anni coloro che “godono” di questa indennità sono aumentati del 65%, passando da 6525 a 10822.

Emergenza abitativa: gli sfratti

Gli sfratti erano 245 nel 2007 ma sono diventati 909 nel 2011 e 645 nel 2012. Impressionante, in tale contesto disastrato, l’aumento dei provvedimenti di sfratto per morosità: erano 183 nel 2007 sono diventati 809 nel 2011 . Nel resto della regione sono aumentati ma in misura molto minore: da 3637 a 4879.

Salute: aumentano gli anziani

Nella provincia di Livorno ci sono due anziani (over 65 anni) per ogni giovane (sotto i 14 anni).

Salute: i non autosufficienti

Nell’area livornese ci sono 3381 non autosufficienti e 3685 fragili, cioè a rischio di divenire non autosufficienti. I posti letto per non autosufficienti ogni 100 autosufficienti erano 30,4 nell’area livornese, contro i 39,9 della media toscana. Gli anziani assistiti con assistenza domiciliare integrata erano 1,59 (ogni 100 anziani) nell’AUSL 6, contro 2,31 della media toscana e i 4,12 della media italiana. (dati al 2010).

Spesa sociale

Cioè quello che i Comuni spendono per l’erogazione di servizi e degli intervento socio-sanitari. Nell’area livornese era di 123 € per residente, contro i 133 dell’AUSL6 e i 137 della media toscana. Da segnalare che la spesa nell’area livornese è in costante declino dal 2006.

Emigrati

Secondo il rapporto della Fondazione Migrantes (riconducibile alla Caritas) il Comune di Livorno con 11.033 residenti all’estero (il 7% della popolazione residente) si trova in 11^ posizione fra i comuni italiani. Livorno è preceduta solo da Palma di Montechiaro, Favara, Corigliano Calabro, Aragona, Lamezia Terme, Licata, Adrano, Roma, Lucca e Trieste. Secondo uno studio di Adriana Dadà sull’emigrazione italiana fra l’unità d’Italia e la prima guerra mondiale, la provincia di Livorno (che a quel tempo comprendeva solo Livorno e l’isola d’Elba) aveva un tasso di emigrazione pari al 13% della popolazione residente.

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2. NEOLIBERISMO SPINTO

Le politiche economiche di questi ultimi anni hanno portato ad un grande aumento di disoccupazione, sottoccupazione, precarietà. Per una accumulazione del capitale senza freni inibitori niente di meglio che supersfruttare alcuni e sottoccupare e precarizzare gli altri, quindi aumento dell’età pensionabile, aumento dell’orario di lavoro, abuso degli straordinari e del lavoro festivo. Tutto ciò fa risparmiare e divide i lavoratori.

Tutti i giorni nel lavoro sindacale che svolgiamo ci troviamo di fronte a questi problemi, vedi ad esempio la situazione del porto di Livorno, delle cooperative sociali e non, della scuola con le ultime uscite del governo, etc.

Quello che stupisce è che di fronte a questo feroce attacco non c’è una reazione adeguata dei lavoratori. E’ vero che non si intravedono alternative a breve termine e nella maggior parte dei lavoratori c’è la sfiducia a costruirne a medio ed a lungo termine, manca o meglio si rifugge da un progetto, da un ideale, ma tutto ciò non è sufficiente per comprendere come il capitale riesca a mantenere in modo artificiale lo status quo, a congelare questa situazione di stallo nella guerra tra le classi.

In realtà la chiave di volta di questa strana situazione è il ruolo che hanno assunto i sindacati di regime, cioè CGIL, CISL, UIL ed a seguire, con un ruolo subordinato, UGL, CONFSAL, CISAL etc.. Infatti stiamo assistendo al passaggio da una fase chiamata della “concertazione” ad una fase in cui, con l’accordo del 10/1/2014 (il famigerato testo unico sulla rappresentanza), si rispolverano le corporazioni tipiche del regime fascista, che potremmo definire fase della “corporazione”.

In pratica si è passati da una fasulla pantomima della cogestione, che tra l’altro ha portato come frutto quello dei famigerati fondi pensione di categoria, cogestiti al 50% dai sindacati di regime e dai padroni e quasi tutti in perdita, ad una fase in cui viene riconosciuta da parte dei padroni (Confindustria, etc.) a CGIL, CISL e UIL l’esclusività della rappresentanza dei lavoratori a patto ovviamente che questi facciano il cane da guardia al capitale accumulato. Qualcosa di molto simile a quello che avvenne il 2 ottobre 1925 quando, con gli accordi di Palazzo Vidoni, venne riconosciuto dalla Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e dalla Confindustria la reciproca esclusività della rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro.

In questa nuova fase il compito dei sindacati di regime, soprattutto nel settore privato, non è tanto quello di cogestire quanto quello di terrorizzare i lavoratori per far passare le manovre dei padroni.

Infatti tutti i giorni nel nostro lavoro sindacale, in tutti i settori in cui siamo presenti, assistiamo sempre alla stessa sceneggiata: quando il padrone o la direzione della cooperativa devono far passare qualche manovra peggiorativa per i lavoratori ( azzeramento del contratto di secondo livello, abuso degli straordinari, passaggio forzato da full time a part time, etc.) entrano in scena CGIL, CISL e UIL minacciando i lavoratori che, se non si accetta tutto il pacchetto confezionato dal padrone o chi per lui ci saranno licenziamenti, catastrofi, diluvio universale come castigo divino.

In sostanza si punta a disgregare il fronte dei lavoratori tramite il “si salvi chi può” dando ad intendere che solo gli iscritti ai sindacati di regime avranno più probabilità di essere tra i salvati, tra gli eletti, quindi un nuovo ruolo di bottegai in monopolio, totalmente subordinato al volere dei padroni.

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Quindi d’ora in avanti le lotte che metteremo in piedi dovranno tener conto di questa nuova fase che ha come unico punto positivo su cui far leva, di fronte al tentativo di disgregare completamente il fronte dei lavoratori, quello dello smascheramento definitivo dei sindacati di regime: il re è nudo.

Dovremo con pazienza ricompattare il fronte dei lavoratori usando come leva la solidarietà, alzarne il morale fatto a pezzi

dagli ascari del regime e dei padroni, costruire dal basso l’autogestione delle lotte per arrivare poi all’autogestione della società.

3. STUDENTI-APPRENDISTI, STAGISTI, TIROCINANTI: FORMARE ALLA PRECARIETA’

Il 2014 è l’anno di avvio del programma europeo Youth Guarantee, finalizzato a favorire l’occupabilità e l’avvicinamento dei giovani al mercato del lavoro, secondo quando recitano gli obiettivi del programma stesso. Nell’ambito delle misure attuative della direttiva europea, l’Italia ha attivato il “Piano Garanzia per i Giovani”: nel primo trimestre del 2014 è stata realizzata una piattaforma tecnologica e il contest on line a cui i giovani possono registrarsi per ricevere informazioni e successivamente usufruire di un percorso di orientamento personalizzato per l’accesso al mercato del lavoro, un supporto per la costruzione del curriculum e per l’accesso a specifici tirocini. Attraverso il finanziamento europeo Youth Employment e il Fondo Sociale europeo 2014-2020, sono previsti (D.L. 73/2013) incentivi per imprese che attuino tirocini formativi e forme di apprendistato. Insomma, ancora una volta una speculazione imbastita con i fondi europei, allo scopo di costruire un megaufficio di collocamento virtuale e di foraggiare aziende che pratichino forme di sfruttamento spacciate per formazione.

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 Tra le altre misure attuative delle direttive europee, il 7 maggio 2014 il Ministro dell’Istruzione Giannini ha avviato il programma “Cantiere Scuola”, che prevede specificamente azioni formative rivolte agli studenti degli istituti tecnici e professionali, per un raccordo con il mondo del lavoro che abbia particolari agganci al made in Italy. Il riferimento a ciò che ruota attorno all’operazione Expo è più che esplicito e, non a caso, ancora una volta si utilizza il miraggio della formazione finalizzata all’occupazione per estorcere a vario titolo(stage, tirocini etc.) prestazioni lavorative non retribuite.

Ma l’iniziativa più significativa adottata dal governo sul fronte della disoccupazione giovanile è rappresentata dal recentissimo Decreto interministeriale siglato lo scorso 5 giugno dal Ministero dell’Istruzione, del Lavoro e dell’Economia. Il Decreto è denominato “Formazione in azienda- Apprendistato nella scuola di secondo grado” e riesce a compendiare diabolicamente gli obiettivi delle direttive europee in materia di disoccupazione giovanile con l’ennesima manovra di tagli e di abbattimento di qualità della scuola pubblica. Da diversi anni nelle scuole superiori, generalmente nelle classi quarte, sono previsti percorsi di alternanza scuola- lavoro della durata di una settimana, percorsi che gli studenti possono esercitare secondo i loro interessi, in strutture lavorative scelte dalla scuola in base al proprio progetto educativo; più intensiva la formula negli istituti tecnici, che prevedono anche possibili stage estivi su base volontaria. Questa modalità ha ricevuto spesso critiche e contestazioni da parte di chi ritiene che la scuola dovrebbe insegnare a proteggersi dalla precarietà, a conoscere i propri diritti, a sottrarsi allo sfruttamento, a non cedere all’addestramento. Ebbene, la formula fin qui conosciuta diventa niente paragonata a quello che il nuovo decreto prevede.

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Quella che parte con l’anno scolastico 2014-15 è una sperimentazione di vero e proprio apprendistato destinato agli studenti di quarta e quinta superiore, pensato all’interno delle politiche europee sulla disoccupazione giovanile, con l’obiettivo di inserire i ragazzi in un contesto aziendale (on job), sottraendo alla frequenza scolastica fino al 35% dell’orario annuale delle lezioni. Le aziende firmano un protocollo di intesa con il Ministero dell’Istruzione o con gli Uffici scolastici provinciali (ex Provveditorati) e le Regioni dettando le regole del gioco: individuano le scuole di loro interesse, definiscono i criteri di selezione degli studenti- apprendisti, il numero di ore di apprendistato, addirittura i criteri di monitoraggio della sperimentazione. Lo studente apprendista, che firma un vero e proprio contratto,avrà un piano formativo personalizzato e sarà seguito da un tutor in azienda e da un tutor a scuola; quest’ultimo sarà un docente, debitamente formato però dall’azienda per monitorare la ricaduta in ambiente scolastico di ciò che all’azienda stessa interessa.

I tutor aziendali avranno un peso nella valutazione scolastica; l’esperienza di apprendistato sarà valutata e certificata e costituirà credito per l’ammissione all’esame di stato. In sede di esame, la terza prova scritta dovrà tener conto del percorso di apprendistato e in Commissione d’esame potrà essere presente, in qualità di esperto, il tutor aziendale.

Lo scenario, anche se preparato da un processo di aziendalizzazione della scuiola che parte da lontano, è assai inquietante: la sperimentazione della precarietà già da studente; una scuola finalizzata all’addestramento lavorativo e all’acquisizione di competenze strettamente settoriali; un completo asservimento all’azienda, pubblica o privata che sia, che attinge alla scuola in base alle proprie ed esclusive esigenze in una maniera che somiglia molto al caporalato; un terzo del monte ore sottratto allo studio dopo che la recente riforma aveva già consistenetmente ridotto le ore di insegnamento; l’ulteriore spaccatura tra percorsi liceali e percorsi tecnico professionali, che saranno i più investiti dai protocolli di apprendistato; e inoltre l’ingresso delle aziende nel sistema della valutazione e persino nel sancta sanctorum dell’esame di stato.

A tutto questo va aggiunto l’ennesimo taglio che si ricava sulla scuola abbattendo le ore di insegnamento e i posti di lavoro docenti ed A.T.A. Non va dimenticato infatti che oltre al Decreto sull’apprendistato, che eroderà il 35% delle ore di insegnamento, sta partendo sperimentalmente anche la formula di scuola superiore su quattro anni, già prospettata dai ministri Profumo e Carrozza. La perdita di un anno di scuola taglierà possibilità di lavoro a molti precari e precarizzerà molti stabilizzati. Ma anche in questo caso l’operazione è presentata come una possibilità di far accedere i giovani al mondo del lavoro un anno prima, in linea con molti paesi europei. Infatti, il quinto anno fantasma, manco a dirlo, sarà destinato ad esperienze professionalizzanti. Scuola pilota (paritaria, cioè privata finanziata) della sperimentazione è il Liceo internazionale per l’impresa “Guido Carli” di Brescia: nomen omen, ovvero, un nome un programma.

Anche queste operazioni, ritagliate sul terreno della scuola, son presentate come iniziative per promuovere occupazione giovanile. Come se la causa della disoccupazione fosse il sistema di istruzione e non le politiche dei governi, succedutesi e radicalizzatesi negli anni , fino al recente job act, all’insegna della frantumazione del ricatto occupazionale, della parcellizzazione, della precarietà più selvaggia, dell’imposizione di nuove forme del consueto sfruttamento.

4.GLI ANARCHICI E LA DISOCCUPAZIONE

Il presidente del consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha deciso di “rinviare” il vertice europeo sull’occupazione giovanile: ma è mai stato effettivamente convocato? L’unica dichiarazione in tal senso era stata del sindaco di Torino, Pietro Fassino. La vicenda sa tanto di bufala preelettorale, e rientra nello stile da imbonitore dell’attuale primo ministro. Essa comunque testimonia che il dramma della disoccupazione, e in particolare di quella giovanile, è sfruttato dalle istituzioni propagandisticamente; poi queste stesse istituzioni sono incapaci di prendere una qualsiasi misura che attenui le sofferenze dei senza lavoro. Anche la vetrina rappresentata dal vertice può trasformarsi in un boomerang per i governanti, perché crea un evento pubblico che può attrarre la protesta di movimenti e sindacati.

Per chi non è addentro ai segreti dell’economia capitalistica, la disoccupazione è un mistero: noi vediamo ovunque braccia inoperose e, accanto ad esse, mezzi di produzione inutilizzati, terreni incolti, a fronte di bisogni insoddisfatti, dalla casa, alla salute, all’istruzione. Quindi sarebbe possibile, se non necessario, impiegare quei mezzi di produzione e quelle braccia al soddisfacimento dei bisogni sociali; perché questo non avviene? Perché la produzione, in sistema capitalistico, è organizzata da ciascun capitalista per il suo profitto individuale e non già per soddisfare come sarebbe naturale, nel miglior modo possibile, i bisogni delle popolazioni. Quindi il disordine, lo sciupio di forze umane, la scarsezza voluta dei prodotti, i lavori inutili e dannosi, la disoccupazione, le terre incolte, il poco uso delle macchine ecc. – tutti mali che non si possono evitare se non levando ai capitalisti il possesso dei mezzi di lavoro e quindi la direzione della produzione. Il governo opera sia per difendere la proprietà capitalista, sia per favorire l’accumulazione dei capitali, la concentrazione della ricchezza a quel polo della società costituito dalle classi privilegiate, che vivono del lavoro dei proletari. Non esiste alcun interesse comune fra i lavoratori, i produttori reali, e i padroni che si appropriano della ricchezza prodotta dai lavoratori: gli speculatori, gli agrari, i dirigenti d’industria hanno sempre e solo sfruttato il lavoro altrui, non han mai fatto altro lavoro! Sono questi poi che decidono se licenziare o meno un operaio, trasferire un’azienda all’estero, mettere alla fame intere famiglie. E’ ora di dire basta, è ora che paghino i ricchi, che paghino a lacrime di sangue i morti sul lavoro, i morti di malattie e di stenti, i morti per l’avvelenamento dell’ambiente!

Le misure che i governi prendono con la scusa della disoccupazione sono in realtà volte a smantellare le conquiste ottenute dal movimento operaio dalla fine della seconda guerra mondiale: le pensioni, il sistema sanitario, la previdenza sociale, un salario dignitoso, perfino la libertà di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero sono nel mirino delle politiche economiche e sociali dei governi. La coalizione dei capitalisti e la politica dei governi smantella le conquiste dei lavoratori, perché esse ostacolano la brama di profitto che anima questo modo di produzione. L’introduzione di nuove tecnologie, i movimenti migratori, la delocalizzazione dei processi produttivi, assieme al prolungamento del tempo e dell’orario di lavoro sono le cause della disoccupazione; le politiche dei governi finiscono quindi per favorire la disoccupazione, perché essa è strettamente legata a questo modo di produzione.

La sconfitta del movimento operaio porta con se il ritorno dei peggiori aspetti delle ideologie autoritarie: il razzismo e la propaganda di guerra sono le prime conseguenze sul piano politico e culturale della disoccupazione. I gruppi politici di destra istigano chi è vittima della disoccupazione o della precarietà ad individuare negli immigrati la causa delle loro condizioni: sono gli immigrati che tolgono loro il lavoro, le case, i posti letto all’ospedale, e così via. L’azione di questi gruppi è favorita, protetta dai governi e dalle polizie, è finanziata dai capitalisti per dividere gli sfruttati e metterli gli uni contro gli altri. L’idea che la crescita economica possa risolvere il problema della disoccupazione porta diritto alla guerra: la crescita economica ha bisogno di materie prime e di mercati, che si trovano all’estero, ecco allora che si scatena la contesa con gli altri paesi capitalistici per le stesse materie prime per gli stessi mercati. Contesa che passa dal confronto economico, a quello diplomatico e infine allo scontro armato. La lotta contro la disoccupazione non può limitarsi alla sola lotta economica, ma deve comprendere anche la lotta contro l’uso ideologico che ne viene fatto, contro i frutti avvelenati della disoccupazione: il razzismo e la guerra.

Spetta alle masse, agli sfruttati, ai disoccupati, ai sottoccupati, ai precari organizzarsi per conquistare il reddito di cui hanno bisogno, imporre la divisione del lavoro esistente fra tutti.

Non si parte da zero: i movimenti per la casa, per il recupero del reddito sono già una realtà, così come sono già in piedi le lotte contro lo straordinario, contro il sabato lavorativo, contro il lavoro festivo nella grande distribuzione. Un altro segnale di mobilitazione viene dall’impegno di alcune RSU contro la riforma delle pensioni; riguardo a questa iniziativa c’è da dire subito che il metodo delle petizioni ai potenti non ci convince, in particolare una petizione rivolta a quei soggetti, il Governo, i sindacati di Stato, che hanno avuto un ruolo da protagonista nel prolungamento del tempo di lavoro, provocato dalla ultima riforma delle pensioni. La riduzione dell’orario di lavoro, attraverso la lotta allo straordinario, la lotta al sabato lavorativo e al lavoro festivo, e del tempo di lavoro, attraverso l’abbassamento dell’età della pensione, è lo strumento concreto con cui combattere la disoccupazione.

L’organizzazione sindacale è il momento centrale della lotta economica, della lotta per garantire migliori condizioni di lavoro e di vita per gli sfruttati, e come strumento di formazione delle potenzialità autogestionarie dei lavoratori; un sindacato che non sia solo la copia bonsai di CGIL-CISL e UIL. La proclamazione di uno sciopero generale sui temi della riduzione dell’orario e del tempo di lavoro assume un ruolo molto importante, sia perché mette in evidenza quei temi che sono più capaci di porre un argine al dilagare della disoccupazione e della precarietà, sia perché rimette al centro lo scontro sul luogo di lavoro. In questa prospettiva si possono collegare organismi di disoccupati e precari con spezzoni del movimento di lavoratori in lotta, costruendo un fronte libertario che contrapponga alla delega e alla fiducia nelle istituzioni l’azione diretta e l’autorganizzazione. La discriminante astensionista è fondamentale per la ricostruzione di un movimento di classe: l’astensionismo è saldamente radicato fra i lavoratori; il sindacalismo subordinato ai partiti, che cerca di trovare un padrino in parlamento non riesce a smuovere la sfiducia delle masse.

L’anarchismo nasce come la componente antiautoritaria del movimento dei lavoratori, e che mantiene la sua vitalità solo con il contatto con questo movimento, con l’impegno continuo ed organizzato al suo interno, al fine di sviluppare quegli organismi, quelle esperienze che saranno il germe della nuova società. I metodi anarchici, anche se applicati spesso da non anarchici, dimostrano ogni giorno la propria validità nel risolvere i problemi quotidiani degli individui; gli anarchici, anziché stare a misurare la purezza rivoluzionaria dei movimenti, possono rendere concrete le proprie idee, passare dalla critica ideologica all’attacco pratico, conquistando, come minoranza agente, il proprio posto nella guerra fra le classi.

La disoccupazione è appunto uno di quei campi dove è possibile far sì che le nostre idee, i nostri programmi, i nostri metodi contribuiscano alla vittoria degli sfruttati. Del resto, il nostro movimento nasce all’interno dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, la prima, che aveva fatto della lotta per le otto ore di lavoro uno dei punti qualificanti della propria azione, e i Martiri di Chicago, il sacrificio dei quali commemoriamo ogni Primo Maggio, si battevano per l’applicazione della legge sulle otto ore di lavoro.

Le lotte parziali avranno un risultato parziale, quello che oggi viene conquistato domani potrà essere perduto, l’importante è che attraverso la lotta economica gli sfruttati imparino ad occuparsi dei loro interessi di classe, imparino che il padrone ha interesse opposti al loro e che essi non possono migliorare le loro condizioni e tanto meno emanciparsi, se non unendosi e diventando più forti dei padroni.

La causa della rivoluzione, la causa dell’elevamento morale degli sfruttati e della loro emancipazione non può che guadagnare dal fatto che i lavoratori si uniscono e lottano per i loro interessi, per questo gli anarchici devono incoraggiarli alla lotta e lottare insieme a loro.

Per questo proponiamo a tutte le componenti libertarie, politiche, sindacali, sociali, di impegnarsi in una campagna comune sul tema della disoccupazione giovanile, e di organizzare sui temi della riduzione d’orario e dello sciopero generale una iniziativa nazionale di mobilitazione.

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