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Moby Prince. Mai più!

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Moby Prince. Mai più!

Un giovedì pomeriggio di sole a Livorno. È il 10 aprile, anniversario della strage del Moby Prince.

Ventitre anni fa, la sera del 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince entrava in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, carica di greggio. L’incendio che si scatenò in seguito allo scontro fece strage di passeggeri ed equipaggio, lasciando un solo superstite. La non gestione dei soccorsi da parte della Capitaneria di Porto di Livorno e le disastrose condizioni di sicurezza della nave traghetto, di proprietà della Nav.Ar.Ma dell’armatore Onorato, ebbero certo un ruolo determinante in quella che resta una delle più grandi tragedie del mare, una delle più gravi stragi sul lavoro.

In questi anni i familiari delle vittime hanno dovuto combattere contro insabbiamenti, manomissioni del relitto, minacce, depistaggi. In questi anni la giustizia dello Stato non solo non ha individuato alcun colpevole per la strage, ma ha palesemente coperto le responsabilità dell’armatore e quelle delle autorità che avrebbero dovuto gestire i soccorsi.

 

Moby Prince: 140 morti, nessun colpevole!” questo lo striscione che ha aperto il corteo che ha attraversato il centro cittadino; oltre alla presenza ogni anno sempre più ridotta delle delegazioni delle amministrazioni locali con i gonfaloni, la commemorazione ha visto purtroppo anche l’assenza di una parte delle realtà di movimento livornesi. Presenti anche quest’anno invece le delegazioni da Viareggio dell’Associazione il mondo che vorrei e dell’Assemblea 29 giugno, e l’Associazione Voci della memoria di Casale Monferrato. Queste presenze sono importati perché segnano la forza dei legami di solidarietà creati negli ultimi anni, da quando numerose associazioni che in tutta Italia lottano per la verità e la giustizia sulle stragi hanno iniziato ad incontrarsi ed a sostenersi nelle proprie battaglie.

 

Segno distintivo di questo 10 aprile 2014 è stato il visibile riavvicinamento delle due diverse associazioni che riuniscono i familiari delle vittime del Moby Prince: l’Associazione 140 e l’Associazione 10 Aprile, che da sempre seguono percorsi distinti. Lo scorso anno, nel giorno del ventiduesimo anniversario i presidenti delle due associazioni avevano firmato un appello congiunto per ottenere una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Moby Prince.

Proprio nelle ultime settimane pare che qualcosa abbia iniziato a muoversi in tale senso, con il deposito alla Camera come al Senato di un disegno di legge per l’istituzione di tale Commissione.

 

Ogni risultato raggiunto sarà sempre esclusivo risultato della tenace lotta dei familiari delle vittime e di chi li sostiene.

La verità, terribile, è da sempre evidente, sotto gli occhi di tutti. Daniela Rombi, che ha perso la figlia nella strage di Viareggio del 29 giugno 2009, era a Livorno anche quest’anno per l’anniversario del Moby Prince. Nel suo forte intervento nella Sala consiliare del Comune di Livorno ha giustamente affermato che queste stragi “sono tutte uguali”. Persone ignare ed innocenti uccise in nome del profitto. Mentre lo Stato e la sua giustizia coprono le responsabilità degli apparati statali e dei padroni.

La giustizia, semplice e concreta, non è una parola vuota. Se da una parte ci sono gli importanti risultati processuali, dall’altra ottenere giustizia significa lottare affinché non succeda mai più. Lottare quindi per migliori condizioni di vita e di lavoro, per liberarci dalla sopraffazione dell’uomo sull’uomo, dallo sfruttamento e dall’oppressione.

 

Riportiamo di seguito l’intervento pronunciato durante la commemorazione del 10 aprile 2014 nella Sala consiliare del Comune di Livorno da Giacomo Sini, compagno del Collettivo Anarchico Libertario, e figlio di una delle vittime della strage del Moby Prince.

 

Sono passati venti tre anni dall’immane tragedia della Moby Prince che vide l’assassinio di 140 persone davanti alle coste della città di Livorno.
Anni nei quali le uniche verità trapelate ufficialmente dalla vicenda sono da riscontrarsi nei processi farsa, nelle manomissioni impunite del relitto del traghetto (ordinate chiaramente dallo stesso armatore della compagnia),omissioni, depistaggi ed un progressivo insabbiamento della tragedia. Anni nei quali abbiamo dovuto subire continui schiaffi ed offese da chi ha permesso che tale vicenda finisse nel dimenticatoio delle ufficialità, relegata in un angolo buio dei “non misteri italiani” lasciando che le parole “il fatto non sussiste” ed il “destino cinico e baro” mettessero un lucchetto definitivo alla vicenda.
Anni nei quali lo stato italiano, attraverso i suoi organi giudiziari ed in particolare nel processo in primo grado, ha voluto difendere a spada tratta gli interessi imprenditoriali di un armatore, senza inserire la sua persona e le sue responsabilità tra i soggetti colpevoli diretti della vicenda. Anni nei quali lo stato non ha mai voluto permettersi il lusso di puntare il dito contro una propria istituzione di prim’ordine come la capitaneria di porto ed il proprio apparato istituzionale, difendendone anzi l’operato e lasciando che questa potesse aprire, mediante plausibili responsabili del disastro, una commissione d’inchiesta sommaria che avrebbe influito su successivi accertamenti.
Anni nei quali si è costantemente parlato di una salvaguardia degli interessi dell’imprenditoria italiana e nella fattispecie dei grandi padroni d’azienda, erogando incentivi e finanziamenti agevolati ad imprese produttive, nei quali difficilmente si fa riferimento alla parola sicurezza; parallelamente, mediante una sentenza vergognosa, si sono ridotte le condanne ai responsabili della vicenda della Thyssen krupp, colpevoli dell’assassinio di otto operai.
Anni nei quali la parola giustizia è stata affiancata troppo spesso a chi difende la violenza e la prepotenza nei confronti di comunità che si battono per la difesa della salute e di vari territori, attivandosi per una giustizia reale, nella quale mi riconosco a pieno.
Anni nei quali non si è mai smesso di morire tra i mari, sia lontani dalle coste italiane ed europee, sia davanti ai nostri occhi, a poche miglia dai nostri porti a causa di politiche d’ingresso nel paese difficili e discriminatorie e di scellerati giochi politici tra istituzioni locali e grandi compagnie croceristiche (mi riferisco alla tragedia al Giglio).
Anni nei quali non è mai stata data una risposta concreta alle esigenze di verità arrivate con forza prorompente dalle nostre istanze e da chi con il passare degli anni si è avvicinato con solidarietà al nostro dolore, unendosi in una battaglia comune a difesa di chi in quella tragica notte del dieci Aprile venne ucciso dalla negligenza di vari apparati che trovarono successivamente rifugio in quel malato concetto di giustizia nel quale certamente non mi riconosco e non mi riconoscerò mai.
Una risposta è arrivata lo scorso anno, quel 10 Aprile 2013, nel quale il Presidente del Senato Grasso, sollecitava la costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta e ci ricordava la sua vicinanza e quella delle istituzioni. Tali parole sono rimaste per svariati mesi solo fumo nell’aria, senza una possibilità di manifestazione concreta e reale d’interesse da parte del parlamento, nonostante lo stesso giorno Loris ed Angelo avessero firmato anch’essi una dichiarazione comune d’intenti per l’apertura d’una commissione d’inchiesta. Ecco che dopo le note vicende delle vergognose, quanto prevedibili risposte dell’ex ministro Cancellieri ad un’ulteriore richiesta di apertura di una commissione d’inchiesta presentata da alcuni familiari e dal deputato Piras (personalmente poco condivisibile per i contenuti), è cominciata un’azione di pressione potente e conflittuale verso gli organi statali da parte di familiari e solidali, accompagnata dalla redazione di un report dettagliato che delinea le motivazioni concrete e non sensazionalistiche sulle quali poter aprire un’altra commissione d’inchiesta. L’atteggiamento dello stato è, guarda caso, improvvisamente cambiato, accogliendo con parole distensive tale report nell’incontro a Sassari del 31 Gennaio, proponendosi disponibile e solidale con le famiglie delle vittime. Oggi quel report si è trasformato in due proposte di legge per l’apertura di un’inchiesta bicamerale, depositate alla camera ed al senato da Sel e cinque stelle. A mio avviso credo sia quindi importante sottolineare un fattore. Dopo anni d’indifferenza da parte del governo centrale e dei suoi organi parlamentari silenti e dopo continue dichiarazioni ufficiali di rammarico per la vicenda lanciate nel vuoto, qualcosa negli ambienti istituzionali si è dovuto muovere. E’ stata abbassata la testa, sentendo una continua stretta e gli “occhi puntati addosso”. Come ogni battaglia storica per la conquista di determinati diritti sociali, è proprio grazie a quella costante pressione e quella determinazione nel portare avanti determinate battaglie, accompagnate sempre dalla solidarietà fornitaci da tutti quei movimenti cittadini e non che possiamo dire d’essere arrivati a compiere un passo avanti rispetto alle vicende degli ultimi venti tre anni.
Ecco perché mi sento in dovere di dire che il merito di questa probabile svolta va principalmente a chi in anni d’ orrenda situazione di sopraffazione, non ha mai dato spazio alla rassegnazione; a chi senza dimenticarsi il nostro dolore, lo ha tramutato in lotta e solidarietà attiva, mobilitandosi ed unendosi a battaglie comuni a difesa di una differente idea di verità. Idea che non deve riconoscersi solamente nelle ragioni peculiari del raggiungimento di una giustizia legale, ma che deve scardinare ogni dinamica e logica di sopruso. Idea che giunge dal basso e non piega mai la testa di fronte ad ogni tipo di attacco, affinchè, come dissi in un intervento di qualche anno fa, le parole BASTA , GIUSTIZIA, MAI PIU’ non rimangano sempre e solo slogan isolati, ma diventino finalmente la battuta d’arresto per chi non ci ha mai permesso di arrivare alla verità.”

Dario Antonelli

 

Articolo tratto da Umanità Nova, del 20 aprile 2014,

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