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GUERRA, STRAGE, OPPRESSIONE DI STATO, 12-15 dicembre 1969: 56 anni di menzogne e repressione

12-15 dicembre 1969: 56 anni di menzogne e repressione

GUERRA, STRAGE, OPPRESSIONE DI STATO

Massimo Varengo

[pubblicato su Umanità Nova n.35 del 7 dicembre 2025]

Il 1969 è un anno particolare. Dopo il 1968 della ribellione giovanile e studentesca scendono in piazza anche gli operai, scavalcando le tradizionali organizzazioni di riferimento, partiti e sindacati. La saldatura che si verifica contiene in sé un potenziale di lotta assolutamente preoccupante per gli assetti di potere allora esistenti, sia interni che esterni, già in allarme dagli inizi degli anni ’60 per la rivolta antifascista e antigovernativa di Genova e i fatti di piazza Statuto a Torino, oltre che per l’entrata nell’area di governo del Partito socialista. È del 1964 il disegno golpista del generale dei carabinieri De Lorenzo in combutta con la presidenza Segni; sono del 1967 i convegni della destra estrema con esponenti militari. La lotta dilaga, assumendo frequentemente caratteristiche di rottura rivoluzionaria. La risposta dello Stato non si fa attendere; se in piazza polizia e carabinieri riorganizzano le proprie forze, nei meandri del potere i servizi segreti affilano le loro armi.

Sul piano internazionale la contrapposizione tra i due blocchi guidati rispettivamente da USA e URSS, dopo la crisi dei missili a Cuba del 1962 e l’incrudelirsi della guerra nel Vietnam, giunge a livelli di tensione tali da imporre, nelle proprie aree di riferimento, la liquidazione di ogni possibile avversario, dimostrando nei fatti un’unitarietà d’azione contro gli sfruttati e gli oppressi di tutti i paesi. Nel 1967 vi è stato il colpo di stato militare in Grecia; i dittatori Franco e Salazar sono sempre al potere in Spagna e Portogallo, fedeli alleati degli USA; in Sudamerica l’interventismo militare contro l’insorgenza popolare è all’ordine del giorno e sfocerà, via via, nelle dittature militari in Cile, Uruguay, Argentina, Bolivia e Paraguay, sotto la regia della CIA che cura la formazione delle gerarchie militari sudamericane (il famoso Piano Condor); nell’area del Patto di Varsavia, nel 1967 i carri armati soffocano la ribellione cecoslovacca, mentre in Polonia si susseguono le proteste e il regime spara sugli operai in sciopero.

Anche da noi progetti di ‘colpo di stato’ (dopo quello del 1964) sono sui tavoli di illustri esponenti dello Stato e del governo, in combutta con l’amministrazione americana: il timore è che l’insorgenza proletaria porti con sé l’aumento elettorale del Partito Comunista, il più forte nell’area di competenza dell’imperialismo USA in Europa, aprendogli le porte del governo.

L’obiettivo è quello di scatenare una reazione del ceto medio – la cosiddetta maggioranza silenziosa – in risposta al crescente protagonismo della classe operaia spalleggiata dalla conflittualità giovanile e studentesca. La violenza insita nel conflitto sociale crescente va esasperata e portata su un piano terroristico, per spingere i ‘moderati’ a invocare l’intervento dei militari o, almeno, un rafforzamento autoritario dello Stato. Spionaggio, infiltrazione, provocazione diventano pratiche quotidiane e ricorrenti.

Le prime bombe sono quelle del 25 aprile 1969 a Milano: una al padiglione della Fiat della Fiera campionaria e l’altra all’Ufficio cambi della Banca nazionale delle comunicazioni della Stazione ferroviaria centrale. I feriti, non gravi, sono alcune decine. Accusati ed arrestati un gruppo di cinque anarchici (Paolo Braschi, Angelo Della Savia, Paolo Faccioli, Giuseppe Norscia e Clara Mazzanti) su indicazione del commissario Luigi Calabresi – sostenitore della ‘pista anarchica’ – e che solo nella primavera 1971 vedranno riconosciuta la loro estraneità ai fatti e rimessi in libertà. Per inciso, la Corte d’Assise di Catanzaro riconobbe il 23 febbraio 1979 la responsabilità dei neofascisti Freda e Ventura per quegli attentati.

Altre bombe, dieci, vengono piazzate il 9 agosto su altrettanti treni in diverse stazioni del lombardo-veneto: otto scoppiano provocando 12 feriti. Cresce la campagna di stampa che accusa, senza alcuna prova, gli anarchici come i responsabili di tali azioni criminali. Anche per queste bombe verrà poi incriminato il gruppo di Ordine Nuovo del Veneto, capeggiato sempre da Freda e Ventura. Da notare che il nostro compagno Giuseppe Pinelli – a causa del suo essere ferroviere – sarà messo sotto accusa anche per questi attentati nella stanza del IV piano della Questura di Milano nella notte del 15 dicembre 1969.

Il 12 dicembre 1969 avviene poi l’attentato più grave: in piazza Fontana, nel centro di Milano, all’interno della Banca dell’Agricoltura, una bomba esplode dilaniando 14 persone e ferendone 91 (di questi tre poi moriranno in seguito alle ferite riportate e altri porteranno nel tempo lesioni permanenti). Un’altra bomba viene ritrovata alla Banca Commerciale di Milano ed altre ancora esplodono all’Altare della patria, a piazza Venezia, all’entrata del museo del Risorgimento e al passaggio sotterraneo che collegava la Banca Nazionale del Lavoro da via San Basilio a via Veneto, a Roma, provocando 16 feriti. Tutto accade nel giro di 53 minuti.

Immediatamente le indagini si dirigono contro gli anarchici. La grande stampa borghese scatena una campagna d’ordine, mentre gli organi di stampa della sinistra (l’Unità, L’Avanti!) mantengono un atteggiamento guardingo quando non accusatorio nei confronti di “schegge impazzite”. Pesa nel giudizio il ricordo dell’attentato del 23 marzo 1921, quando un attentato di matrice anarchica al teatro Diana di Milano – che aveva come obiettivo il questore Gasti, colpevole della detenzione di Malatesta, Borghi e Quaglino – provocò involontariamente la morte di 21 spettatori e il ferimento di 80.

Avvengono centinaia di fermi, di perquisizioni e di interrogatori soprattutto di militanti anarchici, della sinistra rivoluzionaria e alcuni dell’estrema destra giusto per dare l’impressione che le indagini vanno in tutte le direzioni.

Si tratta in realtà di una provocazione ordita ad arte sulla pelle dei componenti del circolo anarchico romano 22 marzo, costituitosi da poco, il cui esponente di spicco è l’anarchico milanese Pietro Valpreda, che in quel giorno si trovava nella sua città natale, ospite della zia, convocato per un processo per un volantino anticlericale. Insieme a lui vengono arrestati a Roma Emilio Borghese, Roberto Gargamelli, Ivo della Salvia, Roberto Mander mentre Enrico Di Cola riesce a sottrarsi; a Milano Giuseppe Pinelli viene invitato, sempre dal commissario Calabresi, a seguirlo in motorino per essere unito alle altre decine di fermati, già presenti in Questura.

La provocazione, che doveva innescare – nel giorno dei funerali delle vittime, il 15 dicembre – una reazione fascista di piazza comprendente l’assalto alla sede del PCI a Botteghe Oscure, era di proporzioni tali da giustificare il ricorso a misure eccezionali quali la sospensione delle libertà costituzionali e l’intervento dell’esercito. L’ostacolo principale viene però dal muro di popolo accorso da tutta Milano – dalle fabbriche dell’hinterland, dai metalmeccanici e dai siderurgici di Sesto – in piazza Duomo per presenziare alla cerimonia funebre, accompagnato dalla messa in allerta di tutte le strutture difensive delle organizzazioni e dei gruppi extraparlamentari. Il risultato di questa imponente mobilitazione – come emerso dalle risultanze della commissione d’inchiesta – fu il diniego dell’allora capo del governo Rumor di dare vita ad un esecutivo di salute pubblica che avrebbe sospeso le libertà costituzionali, nonostante le pressioni esercitate da settori industriali, apparati politici e militari.

Ma non tutte le carte sono giocate. In quei giorni, come ha rivelato un importante lavoro condotto dall’avvocato Gabriele Fuga e da Enrico Maltini (pubblicato prima da Zero in Condotta e poi da Colibrì in una edizione ampliata), le indagini e gli interrogatori dei fermati sono di competenza degli uomini dell’Ufficio Affari Riservati diretto da Federico Umberto D’Amato, giunti da Roma con lo scopo evidente di portare fino in fondo la pista anarchica e condurre a compimento la provocazione. Non è un caso che proprio quel 15 dicembre, dopo la mobilitazione operaia ai funerali, questi sgherri decidono di forzare la mano e di costringere i fermati a dichiarazioni tali da incastrare definitivamente Pietro Valpreda – il mostro designato – nel ruolo di esecutore materiale dell’attentato. Giuseppe Pinelli, compagno ben noto e da sempre attivo nel milanese, e non solo, nelle iniziative di propaganda, di lotta sindacale, di controinformazione e di assistenza alle vittime politiche (come quelle del 25 aprile) – figura ideale di collegamento tra i gruppi di Roma e Milano – è quello che deve dire ciò che l’Ufficio, e quindi il ministero degli Interni dal quale dipende, vuole.

Trattenuto illegalmente ben oltre i limiti prescritti dalla legge, dopo tre giorni di fermo nelle condizioni che possiamo immaginare, Pino viene torchiato secondo i sistemi ben conosciuti dai compagni che prima di lui avevano dovuto assaggiare i metodi del commissario Calabresi e della sua squadra, ora rinforzata da quelli venuti da Roma.

La conclusione la sappiamo. Nella notte tra il 15 e 16 dicembre Pino fu fatto precipitare dalla finestra del quarto piano della questura, alla presenza di numerosi funzionari e poliziotti. Morì in ospedale, poco dopo la caduta, di nascosto da occhi indiscreti, lontano dai suoi familiari, tenuti a distanza. Il questore disse che si era lanciato nel vuoto gridando “è la fine dell’anarchia!”, un poliziotto disse che aveva cercato di fermarlo per un piede e che gli era rimasta una scarpa in mano (peccato per lui che Pinelli le aveva entrambe le scarpe nel cortile dove era precipitato), Calabresi disse che lui nella stanza manco c’era (e le dichiarazioni di Pasquale Valitutti presente in questura quella notte, che affermò di non aver mai visto uscire il commissario da quella stanza non furono mai prese in considerazione, anzi il giudice D’Ambrosio ebbe il coraggio d’affermare – dandoValitutti per morto– che quest’ultimo aveva dichiarato il contrario).

Ma le contraddittorie versioni date dalla polizia e dal potere politico sulla morte di Pinelli, contribuirono a mettere in crisi il velo di menzogne che stava alla base dell’intera operazione, costringendo l’opinione pubblica a misurarsi con la realtà delle cose aldilà delle manipolazioni del potere. La versione del ‘suicidio’ di Pino non resse alla prova dei fatti ed il suo assassinio divenne successivamente un dato acquisito nella maggior parte dell’opinione pubblica.

Il 17 dicembre in una conferenza stampa gli anarchici milanesi che si ritrovavano nel ‘Circolo Ponte della Ghisolfa’ di piazzale Lugano 31 denunciarono la strage come ‘Strage di Stato’ – un’espressione che successivamente divenne patrimonio pubblico – rivendicarono la libertà per Valpreda e compagni e accusarono la polizia della morte di Pinelli, un vero e proprio assassinio.

Smascherare le menzogne di Stato divenne una necessità assoluta, non tanto e non solo riguardo il fatto specifico, ma per conquistarsi un’agibilità sociale che veniva ridotta e negata dall’ azione manipolatoria e repressiva. Presidi, manifestazioni, volantinaggi, comizi si susseguirono ovunque ci fosse un gruppo anarchico: la libertà dei compagni incarcerati e la verità sull’assassinio divennero gli elementi centrali dell’attività del movimento.

Gli anarchici, dapprima soli, trovarono al loro fianco intellettuali progressisti, esponenti onesti della società civile, giornalisti, e, progressivamente, le forze della sinistra rivoluzionaria e persino settori di quella riformista ed istituzionale.

La strage di piazza Fontana sarà oggetto di indagini varie, di inchieste giornalistiche, di speculazioni di vario tipo e di manovre politiche, originando processi interrotti, ripetuti, spostati da Milano a Roma, Catanzaro, Bari, caratterizzati dall’occultamento deliberato della verità attraverso protezioni, silenzi, menzogne, in un contesto di bombe e stragi, come quelle neofasciste del 22 luglio 1970 sul direttissimo Palermo-Torino nei pressi di Gioia Tauro e del 4 agosto 1974 sull’Italicus tra Firenze e Bologna (complessivamente 18 morti e 187 feriti), del 31 maggio 1972 (Peteano, autobomba contro i carabinieri, della quale si autoaccuserà il militante di Ordine Nuovo, Vincenzo Vinciguerra), del 7 maggio 1973 alla Questura di Milano (4 morti e 45 feriti) ad opera di Gianfranco Bertoli, del 28 maggio 1974 (Brescia, bomba contro una manifestazione sindacale, 8 morti ed un centinaio di feriti), del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna (85 morti e 200 feriti).

Un cumulo di morti innocenti, 135 vittime e 550 feriti, caduti in quella che viene definita ‘Strategia della tensione’, che troverà poi negli agguati e nelle morti nelle manifestazioni di piazza un’altra forma di tragica espressione. Dal 1970 al 1976 vengono uccisi per opera della polizia: Bruno Labate e Antonio Campanella a Reggio Calabria, l’internazionalista Saverio Saltarelli a Milano nel corso della manifestazione duramente repressa in occasione del primo anniversario della strage di piazza Fontana, Massimiliano Ferretti di sette mesi, soffocato dai lacrimogeni durante lo sgombero delle case occupate di viale Tibaldi a Milano, il pensionato Giuseppe Tavecchio colpito da un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo a Milano durante gli scontri dell’11 marzo 1972, il compagno anarchico Franco Serantini a Pisa lasciato a morire in carcere dopo essere stato massacrato di botte, lo studente del Movimento Studentesco Roberto Franceschi a Milano, Vincenzo Caporale del PcdI a Napoli nel corso dello sciopero nazionale della scuola, Fabrizio Ceruso del Comitato proletario di Tivoli, l’invalido Zunno Minotti di Roma, Giannino Zibecchi dei Comitati antifascisti di Milano durante l’assalto alla sede del MSI del 1975, Rodolfo Boschi a Firenze, il pensionato Gennaro Costantino a Napoli, Pietro Bruno di Lotta Continua a Roma, l’ingegnere Mario Marotta a Roma, Mario Salvi a Roma nel 1976 durante la manifestazione di protesta per la condanna di Giovanni Marini. Inoltre il 26 settembre del ’70 cinque anarchici: Angelo Casile, Gianni Aricò, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e Annalise Borth, muoiono in un misterioso incidente stradale mentre si recavano in auto dalla Calabria a Roma per portare alla redazione di ‘Umanità Nova’ elementi di controinformazione sulla strage del treno a Gioia Tauro.

Non mancano in questo contesto atti controversi come quello dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi (17 maggio 1972) per il quale verranno accusati strumentalmente nel 1988 tre militanti del gruppo dell’estrema sinistra Lotta Continua.

Valpreda e compagni verranno scarcerati il 30 dicembre 1972 dopo tre anni di carcere ed una legge approvata in Parlamento dietro l’impulso dell’indignazione popolare: verrà poi riconosciuta nel 1981 dalla Corte d’appello di Catanzaro la loro totale estraneità alla strage (vennero però condannati per associazione a delinquere, così, tanto per giustificare gli anni trascorsi nelle celle). I neofascisti Franco Freda e Giovanni Ventura, insieme ad agenti e dirigenti del servizio segreto, verranno prima condannati e poi definitivamente assolti fra il 1972 e il 1991.

Intanto una nuova inchiesta verrà aperta a Milano nel 1989 e si concluderà con il rinvio a giudizio di un gruppo di neofascisti facenti capo ad Ordine Nuovo del Veneto in combutta con servizi segreti americani e italiani. Condannati all’ergastolo in prima istanza, verranno successivamente e definitivamente prosciolti da una sentenza della Corte di Cassazione, che pur riconoscendo la matrice neofascista della strage e le responsabilità di Freda e Ventura (non più condannabili a causa della precedente assoluzione, confermata dalla Cassazione) non ne individuò gli esecutori materiali. Per concludere, i familiari delle vittime della strage avrebbero dovuto anche pagare le ingenti spese processuali! Lo Stato non condanna se stesso. È il 3 maggio 2005.

Per quanto riguarda la vicenda di Giuseppe Pinelli, registriamo fin da subito l’archiviazione della sua morte come ‘fatto accidentale’ da parte del giudice istruttore e la riapertura del caso grazie soprattutto alla martellante campagna di stampa del settimanale ‘Lotta Continua’, che indicando nel commissario Calabresi il principale responsabile dell’assassinio di Pinelli lo costringe di fatto a querelare il direttore responsabile del periodico, Pio Baldelli. Nel processo che seguirà, si evidenzieranno le palesi contraddizioni dei poliziotti presenti nella stanza, a tal punto da far sospendere il processo con scuse risibili. Sarà la vedova di Pinelli, Licia Rognini, a riportare in tribunale il commissario ed i suoi sottoposti nell’ottobre del 1971, accusandoli dell’assassinio del nostro compagno, ma il processo verrà interrotto con l’omicidio del commissario nel maggio del 1972, un’interruzione che giunge più che opportuna, in considerazione delle verità che stavano emergendo nel dibattimento e che getterà molti dubbi e favorirà molte letture sull’omicidio del commissario.

L’inchiesta giudiziaria proseguirà ed il 27 ottobre 1975 il giudice progressista Gerardo D’Ambrosio, diventato poi famoso per ‘Mani pulite’ e successivamente parlamentare per il Partito Democratico, la chiuderà con una sentenza paradossale: per non incolpare i poliziotti e non riconoscere la loro versione del suicidio si inventerà un ‘malore attivo’, un malore cioè che, causato dallo stato di stress in cui si trovava, avrebbe spinto Pinelli a saltare la balaustra della finestra e cadere nel vuoto. Una sentenza scandalosa che si può capire solo con il clima politico di allora, caratterizzato dal compromesso storico teorizzato dal Partito Comunista Italiano interessato ad un rapporto di collaborazione con il partito dominante, la Democrazia Cristiana, nel cui seno si trovavano gli ispiratori delle stragi. Il caso Pinelli avrebbe potuto disturbare i manovratori.

Ed è forse per il disagio che questa vicenda ha lasciato in molti protagonisti di allora che nel 2009 il presidente della Repubblica, Napolitano, già importante militante del PCI, ha voluto invitare la vedova Pinelli – insieme alla vedova Calabresi – ad una cerimonia pubblica in ricordo delle vittime del terrorismo, annoverando quindi il nostro compagno tra le vittime di quella strategia stragista antipopolare.

Noi continueremo comunque il nostro impegno nel ricordare che ‘la strage fu di Stato’ e per rivendicare la verità sull’assassinio di Pinelli, in sintonia con l’impegno totale del movimento anarchico di allora, teso a spezzare l’isolamento politico in cui la manovra stragista voleva metterlo e a spezzare il tentativo di mettere in riga il movimento operaio e di spegnere la conflittualità sociale.

È a partire dalla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 che si dipana con maggior forza l’operazione politica che, con stragi, minacce di colpi di stato, leggi eccezionali, provocazioni, manipolazioni mediatiche, riesce a garantire, almeno fino ad oggi, gli assetti di potere, ridisegnando il sistema dei partiti, cloroformizzando e recuperando le organizzazioni sindacali maggioritarie, emarginando e criminalizzando i ‘non sottomessi’.

Infatti, dalla stagione delle stragi e delle minacce golpiste, alla dura repressione dei movimenti di questi anni, alla ripresa dell’attività nazifascista, alla sindrome securitaria con la sua legislazione d’emergenza e la criminalizzazione dei migranti, un filo si snoda ininterrottamente: il filo di una politica che, al di là di alcuni aggiustamenti di facciata, mantiene inalterato il suo carattere autoritario e classista.

Due dati emergono chiaramente da questa stagione: da una parte la responsabilità – confermata dalla specificità dei condannati, degli inquisiti, dei sospettati – della manovalanza neofascista e neonazista nel compimento dell’atto stragista; dall’altra il ruolo di manovratore, di burattinaio, da parte di precisi organi dello Stato nel pianificare, organizzare, occultare, gestire questa strategia.

Gli armadi della Repubblica sono pieni di menzogne e di operazioni speciali, ma anche la nostra memoria è piena dei fatti ad essi collegati.

La necessità di riproporre il senso ed il significato di quella storia, almeno in alcuni dei suoi punti salienti, è quindi sempre importante, con l’obiettivo non solo di ricordare alcuni fatti e alcune figure che hanno segnato il nostro tempo, ma di delineare una cornice di riferimento dalla quale far ripartire una critica radicale sempre più condivisa in un contesto dominato dalla sindrome securitaria figlia della guerra infinita e della grande menzogna che le sta a monte, funzionale alla strumentalizzazione dei fatti e all’annichilimento delle coscienze. In sostanza al mantenimento dello sfruttamento capitalista e dell’oppressione statale.

La data del 12 dicembre può mantenere ancora oggi tutta la sua valenza solo se non la si fa affogare nel ‘come eravamo’ e nel ‘reducismo inoffensivo’.

Questa è la volontà delle iniziative che come movimento continuiamo a sviluppare nella denuncia e nella lotta allo Stato della strage e della guerra.

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Mostra “Manifesti della F.A.I.” + Dibattito “Strage di Stato” + Aperitivo Djset con DJ SKAPPE

14 dicembre
alla FAL in Via delgi Asili 33, Livorno

dalle 17:30

Inaugurazione della mostra
“I manifesti della F.A.I.”
1945-2025

Dibattito sulla Strage di Stato e l’assassinio di Giuseppe Pinelli

dalle 19:30
aperitivo e dj set
con

DJ SKAPPE
Rebel Sound

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A FIANCO DI CHI LOTTA!

La Federazione Anarchica Livornese sostiene le lavoratrici ed i lavoratori in sciopero il giorno 28 novembre ed invita a partecipare alle iniziative di lotta organizzate a livello locale.
Questo sciopero ha un’importanza particolare nello sviluppo del movimento di lotta contro la guerra e l’economia di guerra.
La finanziaria presentata dal governo italiano e attualmente in discussione in Parlamento prevede un aumento delle spese militari del 38,5% rispetto a 2024; gli investimenti in armi (quindi al netto della spesa per il personale) ammontano a 9 miliardi e 197 milioni di euro, in aumento rispetto al 2024, quando arrivarono a 7 miliardi e 503 milioni: il 23%.
Lo scopo principale che si pone il governo con questa misura è l’uscita dalla procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia per deficit eccessivo. Ad aprile è previsto l’appuntamento: il governo si presenterà a Bruxelles con il deficit al di sotto del 3% previsto dal trattato di Maastricht. A giugno si terrà il vertice NATO, in cui saranno decise nuove spese per armamenti.
Intanto il governo ha scritto una letterina alla Commissione Europea in cui prenota 15 dei 150 miliardi a disposizione del fondo SAFE, quello che provvede al piano di riarmo Readiness Europe, al di fuori della finanziaria oggi in discussione.
Allora verrà presentata la finanziaria vera, quello sarà il passaggio decisivo per fermare la politica di riarmo.
Il nuovo protagonismo della classe operaia, che si è manifestato nelle ultime mobilitazioni, segna il crescere della volontà di superare la condizione di semplice fattore della produzione.
Rifiutarsi di produrre e di trasportare armi è un passo nella direzione di imporre che cosa e come produrre e trasportare. Il caos e le crisi del processo produttivo capitalistico, con lo sperpero delle risorse, la miseria crescente, la crisi ambientale, possono essere superate con una produzione ed una distribuzione organizzate dalla classe operaia a vantaggio della collettività e non del profitto.
Invitiamo chi scende in piazza oggi a partecipare alla manifestazione di Torino del 29 novembre contro l’Aerospace & Defense Mettings, una fiera delle armi che mette in evidenza l’aspetto criminale dell’economia.

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Comunicato: Fermiamo i treni della guerra!

Comunicato stampa dei Ferrovieri contro la guerra e del Coordinamento Antimilitarista Livornese in merito ai lavori sulla linea ferroviaria Pisa-Livorno e in merito al potenziamento della base militare di Camp Darby per il trasporto di armi e munizioni.


Come Ferrovieri contro la guerra e Coordinamento Antimilitarista Livornese intendiamo fornire ulteriori precisazioni e integrazioni rispetto alla nostra campagna contro il trasporto di armi e munizioni sulle linee ferroviarie e contro il potenziamento della base USA di Camp Darby, e che ha portato all’interpellanza “Lavori sulla linea ferroviaria Pisa-Livorno e potenziamento della base militare di Camp Darby per il trasporto di armi e munizioni” promossa da Diritti in Comune e dibattuta nel Consiglio comunale di Pisa il 13 novembre scorso. I temi sollevati in Consiglio comunale, come peraltro evidenziato dal capogruppo Francesco Auletta (Diritti in Comune), sono stati oggetto di una nostra denuncia che ha fatto luce sulla mobilità militare ferroviaria tenuta colpevolmente sottotraccia. Ricordiamo infatti che nei giorni 10, 12, 13, 17, 18, 19, 20 giugno la circolazione ferroviaria fu sospesa, senza garantire lo spostamento dei pendolari con bus sostitutivi, per “lavori di completamento del rinnovo degli scambi e dei binari a Tombolo” che non riguardavano il trasporto civile di persone e merci su ferrovia bensì il completamento della nuova infrastruttura volta al potenziamento bellico tra la stazione ferroviaria di Tombolo, il Canale Navicelli e Camp Darby, il più grande arsenale USA fuori dal suolo statunitense. La conferma di RFI (appresa in sede di Consiglio comunale) che uno dei due nuovi binari della stazione di Tombolo avrà il compito di “allacciarsi al nuovo raccordo della base US Army di Camp Darby” e che “dal 01/01/2023 al 30/08/2025 il raccordo US Army-Camp Darby ha terminalizzato 44 treni” certifica che il Gruppo FS ha scientemente operato per scopi guerrafondai che niente hanno a che vedere con il benessere e la sicurezza di viaggiatori e lavoratori.


La “security assicurata da origine a destino dei treni tramite scorta militare” -questa la definizione sconcertante fornita da RFI alle interrogazioni comunali- non risponde certamente a ciò che effettivamente si intende per sicurezza. Riteniamo inaccettabile non sapere cosa viene trasportato verso (e da) Camp Darby in quanto è assolutamente plausibile che vengano effettuati treni classificati “RID” (International Carriage of Dangerous Goods by Rail) – come “Classe 1 Materie e oggetti esplosivi”. Altrettanto intollerabile da parte di RFI è non dichiarare dove vanno questi carichi, anche se la nostra esperienza e competenza ci porta a dire che la direzione è quella est verso il conflitto ucraino. Treni quindi che salvo eventuali smentite trasportano munizioni e esplosivi verso l’Ucraina e che attraversano binari e stazioni frequentate da inconsapevoli viaggiatori, la cui sicurezza viene messa a repentaglio in caso di incidente ferroviario. Come ferrovieri dobbiamo infatti evidenziare le criticità sulla sicurezza ferroviaria, come ad esempio quelle emerse dall’utilizzo dei freni antirumore impiegati nei treni merci. Freni che in molti casi sono rimasti bloccati sulle ruote provocando principi di incendio e deragliamenti come nel tunnel del San Gottardo. Rischi ferroviari che sono comunque molteplici se si pensa ai continui incidenti mortali ai passaggi a livello (Caluso, Thurio di Corigliano Rossano), ai deragliamenti (Viareggio, Pioltello, Livraga), agli scontri frontali tra treni (Andria e Corato).


Il Coordinamento Antimilitarista Livornese e i Ferrovieri contro la guerra si oppongono alle politiche e alle propagande belliche che rischiano di far sprofondare l’umanità in morte, devastazioni e miseria. Le nostre posizioni sono contrarie al genocidio di Gaza e a tutti i genocidi, a tutte le guerre, a tutti gli eserciti e tutte le politiche di riarmo. Sosteniamo le popolazioni oppresse da guerre e genocidio, chi si rifiuta di caricare armi nei porti, chi denuncia i trasporti di materiale bellico in ferrovia, chi rifiuta la presenza dei militari nelle scuole, chi fa campagne di boicottaggio, chi sciopera contro la guerra.


Lo sciopero generale del 28 novembre, indetto da tutte le sigle del sindacalismo di base, è un’ulteriore tappa del movimento per fermare la guerra.

Coordinamento Antimilitarista Livornese

Ferrovieri Contro la Guerra

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4 Novembre a Livorno: Disertiamo tutti gli eserciti!

Centinaia di persone sono scese in piazza ieri a Livorno per la manifestazione convocata dal Coordinamento Antimilitarista Livornese contro la propaganda di guerra e il militarismo nella simbolica giornata del 4 novembre, in cui lo stato celebra le forze armate e il massacro della Prima guerra mondiale.
Una giornata di lotta che ha riaggregato intorno all’antimilitarismo e all’opposizione al riarmo tutte le forze che si oppongono alla guerra e che hanno animato nelle scorse settimane il movimento di solidarietà a Gaza e alla Global Sumud Flotilla con blocchi, scioperi e manifestazioni.
Il corteo è partito da Piazza della Vittoria dove, sotto il monumento ai caduti, luogo dove si è tenuta la parata militarista istituzionale la mattina, è stato esposto lo striscione “Disertiamo tutti gli eserciti! contro guerra, riarmo, repressione e censura”. In piazza prima della partenza ci sono stati vari interventi al microfono. Il Coordinamento antimilitarista ha sottolineato l’importanza di scendere in piazza in questa giornata, mentre l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole ha denunciato la censura ricevuta dal Ministero dell Istruzione e del Merito, segnalando come il convegno antimilitarista rivolto agli insegnanti si sia tenuto comunque, anche senza il riconoscimento del ministero. Sono poi intervenuti lavoratori in lotta contro i trasporti di armi, i portuali del GAP, ribadendo l’opposizione al militarismo e per rilanciare su una prospettiva più ampia la lotta per i prossimi mesi, USB ha ricordato lo sciopero generale del 28 novembre contro il riarmo e contro la finanziaria, mentre la Rete Livorno Contro le Guerre è intervenuta per ribadire l’importanza della diserzione. Il corteo ha attraversato Corso Amedeo, Piazza Attias e Via Ricasoli scandendo slogan contro la guerra e il militarismo, in solidarietà a Gaza e alla Palestina, in sostegno alla lotta dei lavoratori portuali contro i trasporti di armi, per poi concludersi in Piazza Cavour
Sono intervenuti il collettivo studentesco Scuola di Carta che hanno ricordato la militarizzazione e la repressione nelle scuole, le Donne In Nero Livorno, presenti con un proprio striscione, Non Una Di Meno Livorno che ha riaffermato il legame stretto tra militarismo e dominio patriarcale, l’Associazione Livorno Palestina che ha sottolineato la connessione della propaganda di guerra con il genocidio in corso in Palestina, che prosegue nonostante la falsa tregua siglata su spinta degli USA. È intervenuta infine la Rete Docenti per Gaza, una rete nata nelle scorse settimane di intensa mobilitazione nelle scuole, che ha chiarito come la retorica patriottica e nazionalista nelle scuole intorno alla giornata del 4 novembre sia uno strumento per portare la propaganda guerrafondaia tra lenpiù giovano generazioni. Tra i numerosi striscioni e bandiere si segnalano le altre realtà presenti: ALA, Alternativa libertaria, Asia usb, Attac, Ciclofficina Scintilla, Collettivo anarchico libertario, Coordinamento sanità toscana, Cub, Ex Caserma Occupata, Fed. anarchica livornese, Fed. anarchica elbano maremmana, Movimento Nonviolento, Potere al popolo, Refugio, Rifondazione comunista, Unicobas, Usi.

Ricordiamo le prossime iniziative a cui parteciperemo come coordinamento:

  • Giovedi 6/11 ore 18 assemblea aperta al Refugio
  • Domenica 9/11 ore 9.30 Piazza 2 giugno, pedalata fino a Camp Darby (partenza sia da Livorno sia da Pisa)
  • Sabato 22/11 manifestazione nazionale.a Roma di NUDM contro la violenza di genere
  • Venerdì 28/11 sciopero generale
  • Sabato 29/11 manifestazione a Torino contro la fiera mercato delle armi Aerospace and defense meetings

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CORTEO: 4 NOVEMBRE NESSUNA FESTA PER UN MASSACRO

4 NOVEMBRE NESSUNA FESTA PER UN MASSACRO

17.30 presidio in Piazza della Vittoria (piazza Magenta) e corteo fino a p.zza Cavour

Scendiamo in piazza anche quest’anno il 4 novembe, “festa nazionale” in cui si celebrano le forze armate e la “vittoria” della prima guerra mondiale (1915-1918). Contro la celebrazione di una strage del passato che serve a giustificare le guerre di oggi.

• Rifiutiamo la celebrazione della prima guerra mondiale, un massacro che costò, solo da parte italiana, 650mila morti e 1 milione di feriti

• Rifiutiamo la propaganda militare nelle scuole e sui territori

• Rifiutiamo una propaganda che giustifica politiche belliche, spese militari, economia di guerra

• Rifiutiamo una propaganda che giustifica città militarizzate, zone rosse, controllo sociale

• Rifiutiamo la propaganda della brutalità armata che genera guerra e genocidio

Contro tutte le guerre, contro tutti gli eserciti, tutte le politiche di riarmo

Contro chi vuole mettere a tacere la denuncia delle politiche genocidarie dello stato di Israele e le complicità del governo italiano

• Sosteniamo le popolazioni oppresse da guerre e genocidio

• Sosteniamo la diserzione alla guerra, in qualunque forma si manifesti

• Sosteniamo chi si rifiuta di caricare armi nei porti, chi denuncia i trasporti di materiale bellico in ferrovia, chi rifiuta la presenza dei militari nelle scuole, chi fa campagne di boicottaggio, chi sciopera contro la guerra

4 NOVEMBRE IN PIAZZA

CONTRO IL MILITARISMO- CONTRO IL PATRIOTTISMO- CONTRO IL NAZIONALISMO

PER LA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALISTA

COORDINAMENTO ANTIMILITARISTA LIVORNESE

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7 ottobre a Livorno: TUTTI LIBERI!

7 ottobre a Livorno: TUTTI LIBERI!

La Federazione Anarchica Livornese esprime piena solidarietà ai due fermati durante le cariche di polizia nel corso delle contestazioni del 7 ottobre e ne chiede la piena libertà e il proscioglimento da ogni accusa.

Fin dalla tarda mattinata si è assistito alla militarizzazione del Viale Italia e di parte del quartiere San Jacopo con oltre 15 camionette, lo schieramento di poliziotti all’interno dei Bagni Pancaldi, la presenza di moto d’acqua e gommoni della polizia, e addirittura di un paio di motovedette. Una dimostrazione di forza da parte del governo, condotta con violenza e arroganza, a cui è stata data una risposta partecipata dalle molte persone che dalle 13 alle 19 hanno preso parte alle contestazioni.

Dai video di Sky tg 24 si sente una voce che sulla terrazza dei Pancaldi dice “l’importante è che ne abbiamo arrestato uno”. Negli ultimi decenni non era mai successo, neanche nei momenti di più alta tensione, che in questa città avvenissero dei fermi nel corso di manifestazioni di piazza. Sembra chiaro che tutto quello schieramento militare aveva l’unico scopo di garantire una via di uscita ai ministri, anche a costo di violenze sui contestatori.
I due arresti sono il prezzo pagato dal prefetto per la nomina a commissario straordinario per la Darsena Europa.

Salvini e il suo drappello di ministri hanno provato a fare una spedizione punitiva contro il sentimento ribelle e libertario di una città e della sua classe operaia che in queste settimane ha dimostrato un avanzato livello di lotta e consapevolezza.

Scioperi generali, manifestazioni, blocchi di carichi militari in porto hanno portato nelle strade una nuova fiducia nella forza dell’azione collettiva.

Continuiamo, rimanendo uniti e solidali, la lotta contro il genocidio, contro il riarmo, contro la guerra, contro il governo.

Federazione Anarchica Livornese

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SALVINI, TAJANI, VALDITARA A LIVORNO

SALVINI, TAJANI, VALDITARA A LIVORNO:

BASTA COMPLICITÀ CON LO STATO GENOCIDA DI ISRAELE

CONTRO IL GOVERNO CHE VIETA IL DISSENSO

CONTRO IL RIARMO CONTRO LA GUERRA

7 OTTOBRE DALLE ORE 13 DI FRONTE HOTEL PALAZZO

Oggi martedì 7 ottobre i ministri Tajani, Salvini, Valditara, Calderoli, Giorgetti e Locatelli sono a Livorno. Alle 15 nelle all’Hotel Palazzo si terrà una conferenza di Forza Italia a cui interverrà Tajani – online perché evidentemente temeva le proteste – mentre al Palazzo Pancaldi si terrà un incontro della Lega a cui interverrà Salvini con i ministri del suo partito.

Questa passerella elettorale di ministri arriva mentre Forza Italia presenta un nuovo ddl repressivo, con cui il governo vorrebbe vietare di criticare lo stato di Israele e Netanyahu nelle scuole e nelle università.

Verranno mentre ancora centinaia di membri della Global Sumud Flotilla sono detenuti nelle carceri israeliane. I membri italiani della Flotilla, appena rientrati, hanno denunciano trattamenti disumani e vessazioni da parte dell’esercito israeliano.

Tutto ciò mentre il nostro governo continua a intrattenere rapporti militari, diplomatici e commerciali con lo stato genocida di Israele, e sostiene una accelerazione della politica di riarmo a costo di tagliare tutti i servizi pubblici per i cittadini.

Il Ministro degli esteri Tajani è responsabile della collaborazione con lo stato di Israele, ed è complice degli attacchi alla Flotilla, degli arresti e delle torture che hanno dovuto subire i suoi membri.

Il Ministro delle Infrastrutture Salvini è tra i membri del governo che hanno attaccato più gravemente i lavoratori con la minaccia della precettazione e delle sanzioni in occasione dei recenti scioperi generali.

Il Ministro dell’istruzione Valditara sta imponendo nella scuola sempre più intense forme di sfruttamento e disciplinamento di studenti e lavoratori, e vuole rafforzare la propaganda religiosa, militarista, discriminatoria.

Dopo due grandi scioperi generali e una manifestazione nazionale che ha visto la presenza di due milioni di persone, prosegue la mobilitazione a fianco del popolo palestinese, contro la guerra e il riarmo.

Azione Livorno Antifascista

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Blocchiamo tutto! Uniamoci oggi al presidio permanente al porto di Livorno

Blocchiamo tutto!
Fermiamo il genocidio, fermiamo la guerra, fermiamo il riarmo!
Uniamoci oggi al presidio permanente al porto di Livorno
Partecipiamo alla manifestazione del 27 settembre a La Spezia

Lx anarchicx non possono che essere presenti e parte attiva ai blocchi e alle iniziative di sciopero perché l’anarchismo non è un’ideologia dogmatica ma una pratica concreta. Una pratica coerente con fondamenti e principi, a partire dalla solidarietà.

La giornata di sciopero di ieri è riuscita ad intrecciare la solidarietà al popolo di Gaza e della Palestina e la lotta contro il genocidio condotto dallo stato d’Israele alla lotta contro la guerra, il riarmo e l’economia di guerra. Una giornata che in continuità con gli scioperi contro la guerra degli scorsi anni, ha posto di nuovo al centro la classe lavoratrice e la pratica dello sciopero. Una giornata di scioperi e di blocchi che ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone, con manifestazioni in oltre 80 città. Siamo consapevoli che questo è solo l’inizio, in molte città infatti l’iniziativa non si è spenta. Per vicinanza è importante per noi rilanciare sul blocco della nave statunitense SLNC Severn in arrivo al porto di Livorno in questi giorni e sulla manifestazione antimilitarista che il 27 settembre si terrà a La Spezia (h 15 in p. Brin) contro la mostra navale-militare Seafuture.

In questo momento a Livorno è in corso un presidio permanente all’interno del porto, presso il molo italia, con tende e gazebo sulle banchine dove dovrebbe attraccare la nave SLNC Severn, che recentemente ha trasportato in Israele caterpillar che sono stati corazzati ed utilizzati contro la popolazione palestinese. Si tratta di una nave cargo statunitense che svolge primariamente trasporti di tipo militare e governativo facendo la spola tra i porti che servono le basi militari USA e alleate.

L’assemblea di ieri sera con centinaia di persone presenti al presidio ha affermato con chiarezza che la mobilitazione andrà avanti e che il presidio sarà tenuto all’interno del porto per impedire l’arrivo della nave. È stato annunciato da USB, e anche da alcune sigle confederali, che in caso la nave dovesse entrare in porto scatterà uno sciopero di 48 ore dei lavoratori portuali per impedire le operazioni di scarico.

Smettiamo di credere alle istituzioni, alle segreterie di partito e alle burocrazie sindacali. Chi ci dice che quella nave ha un carico commerciale e che bisogna lasciar fare a loro, che si perde il lavoro a protestare, è il primo a guadagnare dal commercio di armi, dalla stabilità di un sistema politico ed economico che per mantenere intatto il proprio dominio è disposto a radere al suolo il mondo con le bombe, come accade a Gaza.

Sappiamo tutte bene che le armi non sono solo quelle definite dalla legge 185 del 1990, che comunque i guerrafondai e i mercanti di armi cercano costantemente di smontare. Le armi non sono solo quelle che sparano, sono anche materiali di supporto e mezzi che possono essere utilizzati da corpi militari, sono strumenti o prodotti che possono essere usati per ridurre una popolazione alla fame, le merci che sono commerciate con uno stato che sta commettendo un genocidio sono un’arma.

Ma in questo caso è chiaro che la SLNC Severn viene a Livorno perché a pochi chilometri dal porto c’è la base militare statunitense di Camp Darby, il più grande arsenale USA fuori dal suolo americano.

Sosteniamo il Gruppo Autonomo Portuali che da anni porta avanti la lotta contro il trasporto di armi nel porto di Livorno. La loro azione ha posto al centro la militarizzazione del nostro porto che dal dopoguerra è sempre stato snodo centrale per il transito di armi e materiale bellico.

Facciamo appello ad unirsi al presidio a partire da oggi pomeriggio e ad allargare il più possibile la partecipazione. In due giorni con l’azione diretta, l’autorganizzazione e l’autogestione è stato raggiunto già un importante risultato: creare una base di movimento attorno ad un obiettivo concreto. Da questa lotta possiamo creare un precedente che sia d’esempio per tutti.

Federazione Anarchica Livornese

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Scendiamo in piazza sabato 20 settembre a Livorno

Scendiamo in piazza sabato 20 settembre a Livorno
In difesa degli spazi autogestiti, contro la militarizzazione della città, contro la guerra e il genocidio

La Federazione Anarchica Livornese esprime solidarietà ai soggetti colpiti dal crescente clima repressivo in città.
Nelle ultime settimane si è intensificato un attacco alle occupazioni e in particolare a quegli spazi autogestiti di movimento che a Livorno rappresentano una alternativa culturale e un riferimento per l’autorganizzazione delle lotte. Un attacco che ha visto in prima fila i consiglieri comunali di estrema destra Perini e Amadio, sempre pronti a fare propaganda elettorale sulla pelle dei più poveri. I due si sono prima scagliati contro una famiglia senza casa, per negare loro il diritto all’abitare. E poi se la sono presa con il Teatrofficina Refugio. Spazio occupato ormai da 20 anni in un edificio di proprietà del Comune di Livorno. Oltre ad aver recuperato un locale in abbandono, il Refugio rappresenta da anni un punto di riferimento per le sue iniziative politiche e culturali, dove tra le altre cose si tiene ogni anno Effetto Refugio con dibattiti, concerti ed esposizioni. Tra le tante iniziative, in particolare ricordiamo lo spettacolo su Pietro Gori, “Idea d’amor” del 2015. Questo spazio rappresenta un’anomalia in un quartiere preda della speculazione immobiliare e commerciale.
Oggi lo squadrismo usa le aggressioni verbali, spalleggiato dalle autorità governative, per condurre la solita guerra contro i poveri e contro chi si oppone alla repressione e alla guerra.
La campagna dell’estrema destra da una parte si inquadra neĺle iniziative contro gli spazi associativi non allineati, come sta avvenendo in molte città, dall’altra giustifica le crescenti misure repressive messe in atto anche a Livorno dall’autorità di governo.
La volontà di istituire le cosiddette “zone rosse” in Piazza Garibaldi e in Piazza della Repubblica annunciata da parte del prefetto ormai un mese fa, sarebbe un’ulteriore stretta autoritaria in una città già fortemente militarizzata. Il governo ha infatti dato ai prefetti il potere di istituire “zone rosse” in cui vigono forme speciali di controllo, che comprendono il “daspo urbano”, ossia l’allontanamento e il divieto di permanenza in certe zone della città per coloro che sono ritenuti pericolosi, su decisione arbitraria di polizia, anche solo per la cosiddetta percezione della sicurezza. Sono stati gli esponenti locali dei partiti che compongono il governo centrale, a chiedere che dalla prefettura giungesse l’applicazione delle norme previste dal governo. L’amministrazione comunale ha sostenuto l’annuncio della prefettura, limitandosi a criticare la destra. Dopotutto è stato proprio il PD a inventare il daspo urbano nel 2017 con il decreto sicurezza firmato dagli allora ministri Minniti e Orlando. Di fronte alla crescente repressione in città e nonostante quanto affermato in una conferenza stampa, la maggioranza consiliare si è allineata ai diktat del prefetto, senza nemmeno un gesto simbolico di protesta.

La Federazione Anarchica Livornese invita la cittadinanza a non farsi distrarre dalla propaganda su sicurezza e la legalità. La sicurezza la fanno la casa e il reddito sicuri, garantiti dalla libertà di lottare.

La Federazione Anarchica Livornese sostiene il corteo di sabato 20 settembre organizzato da Azione Livorno Antifascista in difesa degli spazi sociali, contro zone rosse autoritarismo e repressione, contro la guerra, contro l’economia di guerra e il genocidio in corso a Gaza.

Scendiamo in piazza, per riprenderci la città, per riprenderci la libertà

Federazione Anarchica Livornese

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