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scuola: Taglia, dividi, comanda

Da: Umanità Nova, n.32 del 20 settembre 2009, anno 89

 La manovra Gelmini Tremonti dello scorso anno sta producendo i programmati devastanti effetti sui posti di lavoro della scuola. Le cifre, tristemente note, si attestano attorno ai 42.000 posti docenti e 15.000 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario. I tagli sono stati realizzati con il blocco del turn over (non reintegrando i pensionamenti con nuove immissioni in ruolo e in molti casi procedendo addirittura alla cancellazione del posto), con l’introduzione del maestro unico nella primaria, con il calo delle ore curricolari nella scuola primaria, media e, già da ora, in alcuni professionali, con l’aumento del numero degli alunni per classe e la conseguente diminuzione delle classi, con la formazione, per alcuni insegnamenti, di cattedre a 20 ore. E ancora: tagli sul personale delle segreterie, sui collaboratori scolastici, il cui organico è legato al numero delle classi, ma è anche vittima dei processi di esternalizzazione delle pulizie, sugli assistenti tecnici e sugli insegnanti tecnico pratici.
Una mannaia che non cesserà di riproporsi nei prossimi anni. La riforma delle superiori prevede consistenti tagli di ore di insegnamento; la flessibilità che ogni scuola potrà autonomamente adottare favorirà solo deregulation e fluttuazione di organico, vale a dire altra precarietà; gli stage prolungati in azienda, che consegneranno studenti in mano all’impresa sempre a caccia di un apprendistato da sfruttare, faranno il resto.
A scontare l’attacco occupazionale, come è noto dalle cronache di quest’ultimo periodo, sono soprattutto i precari. Circa 25.000 persone che ricevevano nomine annuali sono a casa; altre 10.000 circa che lavoravano su supplenze temporanee pure. Una situazione che ha dato luogo a proteste crescenti e clamorose, mettendo in evidenza un problema che, per le proporzioni, rappresenta una drammatica emergenza sociale, ma che non è nuovo per un settore come la scuola, che storicamente si regge sul precariato. A questa emergenza, lo stesso governo che taglia risponde con misure anticrisi che dovrebbero avere funzione di sostegno.
Priorità nell’assegnazione di supplenze brevi a chi ha avuto un contratto annuale nello scorso anno scolastico e valutazione giuridica dell’intero anno scolastico per chi accetta tutte le supplenze brevi  (contratto di disponibilità). Corresponsione più veloce dell’indennità di disoccupazione, estensibile a 12 mesi per chi ha più di 50 anni. Accordi Governo – regioni per l’ampliamento dell’offerta formativa (istituzione di corsi vari ricorrendo ai fondi europei) che crei opportunità integrative di lavoro per i precari.
I provvedimenti, inseriti nel decreto Ronchi, evidenziano la loro inconsistenza: si rivolgono ad un numero ristretto di lavoratori (10-12.000 sugli oltre 30.000 che sono a casa), creando ulteriori frammentazioni e precarizzando ancora di più la precarietà;  istituiscono corsie preferenziali del tutto arbitrarie, scavalcando le graduatorie e prefigurando la chiamata diretta da parte del preside; creano istituti contrattuali e figure atipiche attraverso i contratti di disponibilità; creano disomogeneità territoriale appaltando la possibilità occupazionale alla discrezionalità delle regioni (per ora hanno aderito solo Lombardia, Sicilia, Sardegna e Campania, mentre le altre chiedono che il provvedimento venga discusso dalla Conferenza Stato – regioni) e riversando risorse nella formazione professionale, settore quanto mai regolato dalle esigenze di mercato e Confindustria. Senza contare che non sono stati stanziati, per le scuole, fondi da destinare alle supplenze, cosa che, da sola, mina alla base tutta la manovra.
Nonostante tutto, l’operazione mira ingegnosamente a raggiungere, in un colpo solo, una pluralità di obiettivi: non solo tagliare le spese attraverso un massiccio abbattimento di posti di lavoro, ma anche mutare lo status dei precari della scuola, ridisegnando un panorama. Come è noto, il precariato, nella scuola, non è un’invenzione recente. La configurazione del lavoro, in questo settore, anche per la sua specificità, si è sempre basata sul personale a tempo indeterminato – una volta si diceva "di ruolo"- e quello a tempo determinato. Su questa specificità si è costruito ed alimentato un sistema funzionale all’esigenza economica di non stabilizzare i rapporti di lavoro. Eppure, paradossalmente, il sistema non stabilizzato è diventato  tanto stabile da consentire anche alcune garanzie di natura contrattuale per i precari della scuola. I contratti collettivi del comparto, infatti, disciplinano anche i lavoratori a tempo determinato e gli aspetti normativi, retributivi e di "reclutamento" sono regolamentati in modo chiaro.
L’introduzione degli ammortizzatori sociali va sostanzialmente a disgregare questo inquadramento, rendendo il precario della scuola un soggetto molto più debole, prevedendo, come si è detto, la chiamata diretta fuori graduatoria, travasando il personale nei canali degli enti locali, normati da altre regole contrattuali, aprendo ai contratti ad personam su prestazioni da concordare. Il fenomeno del precariato nella scuola finora ha fatto scandalo perché rappresentava la paralisi di ciò che per sua natura dovrebbe essere estremamente transitorio.
Adesso, senza dare maggiori aspettative di lavoro e senza andare verso il superamento del precariato, lo si fa diventare qualcosa di ancora meno certo, prospettando, attraverso le misure anticrisi, i mille rivoli dei contratti atipici. Solo in questo senso  ci si può spiegare perché il Governo intende spendere per gli ammortizzatori sociali e non per le conferme sui posti di lavoro: tagliare i posti e insieme depotenziare e destrutturare il precariato della scuola è un obiettivo estremamente interessante per il Governo.
E’ necessario quindi sostenere le lotte specifiche dei precari volte al  ripristino dei posti di lavoro ed assumerle nell’ambito della più generale lotta contro i tagli, contro la riforma, contro la crescente gerarchizzazione e meritocrazia, contro la politica del governo; devono essere valorizzate tutte le mobilitazioni che si muovano attorno a questi obiettivi, da quelle spontanee a quelle già in calendario, come lo sciopero indetto dall’Unicobas per il 9 ottobre, a quelle che sono da costruire.
Infine, un paio di osservazioni di carattere generale.
Le azioni simboliche intraprese in quest’ultimo periodo dai lavoratori di varie situazioni, dall’industria alla scuola, hanno l’innegabile pregio di rappresentare la drammaticità di un problema e la volontà di misurarsi con la controparte senza mediazioni, oltre che richiamare l’attenzione pubblica  in modo potente. E’ bene ricordare comunque che, in queste come in altre situazioni, le azioni simboliche vanno inserite in un percorso di lotta collettivo. Sarebbe estremamente fuorviante, soprattutto in una fase in cui il diritto di sciopero è attaccato pesantemente, accantonare le forme classiche di mobilitazione collettiva dei lavoratori per favorire l’iniziativa clamorosa del singolo, anche se replicata e  condivisa.
Inoltre, la questione del precariato, in generale, ha necessità di essere ripensata. Quantomeno è ora di uscire dalla logica del precariato "esistenziale" su cui spesso il dibattito si intrattiene. Il diritto al lavoro, se lo si vuole rivendicare, va  rivendicato per obiettivi che abbiano elementi di emancipazione: l’autonomia economica, l’autodeterminazione, la volontà di contrastare le dinamiche dello sfruttamento capitalistico. Tutto ciò che, in ogni caso, sia elemento di rottura. Smettiamo di recitare la trita litania secondo la quale il precario va compatito perché non può progettare di sposarsi, pagare un mutuo o le  rate della macchina. Il precariato va superato non per assicurare ad un lavoratore delle condizioni di integrazione sociale e culturale, ma per rendere il precario un soggetto più forte, in grado di produrre reale antagonismo al capitale.

Patrizia

Posted in Scuola/Università.


SOLIDARIETA’ AI LAVORATORI: COMUNICATO DEL COORDINAMENTO STUDENTESCO

comunicato di solidarietà diffuso dal Coordinamento Studentesco Livornese

COMUNICATO STAMPA

lIVORNO, 17/09/09

Il Coordinamento Studentesco Livornese esprime solidarietà ed appoggio
a tutti i lavoratori che in questo periodo subiscono licenziamenti e
cassa integrazione, a tutti coloro che vedono a rischio il proprio
posto di lavoro, a coloro che si trovano, in nome di “sacrifici per
uscire dalla crisi”, sempre più sfruttati.

Il Coordinamento Studentesco Livornese esprime solidarietà ed appoggio
agli operai della Giolfo e Calcagno, della Delphi, dell’ENI e delle
ditte che lavorano all’interno della raffineria di Stagno. Dalla scorsa
settimana questi lavoratori, che stanno affrontando con le loro
famiglie un periodo di grande difficoltà, tengono dei presidi
permanenti e portano avanti con varie iniziative di lotta le tre
diverse vertenze.

Da queste situazioni è chiaro come, sempre, nell’interesse dei governi
e dei padroni vi sia solo il massimo sfruttamento del territorio e dei
lavoratori. Lo stesso accade nella scuola, si tagliano fondi e posti di
lavoro perché il governo possa far cassa, si fanno entrare le aziende
private nell’organizzazione della didattica e si aumenta il carattere
classista della scuola per abituare ancora di più gli studenti allo
sfruttamento sul lavoro e alla divisione in classi della società.

Come Coordinamento Studentesco Livornese ci daremo da fare per
sensibilizzare ed informare gli studenti su queste lotte e, continuando
il nostro normale lavoro politico nelle scuole, seguiremo da vicino gli
sviluppi della situazione, cercando di dare un appoggio concreto.
Appoggiamo le lotte sorte in questi giorni perché è attraverso di esse
che i lavoratori possono difendere la loro condizione ed ottenere delle
conquiste.

Coordinamento Studentesco Livornese


studentilivornesi@hotmail.
it

Posted in Lavoro.


Ferragosto 2009: La Rivolta

da: Umanità Nova, settimanale anarchico, n.30
del 6 settembre 2009,
anno 89

 

Venerdì 7 agosto
Entra in vigore il "pacchetto sicurezza". La gran parte delle
prigioniere e dei prigionieri dà inizio ad uno sciopero della
fame e della sete contro questo "pacchetto" che estende la prigionia
(per mancata identificazione) dai precedenti 2 mesi a 6 e che inoltre,
importante, prevede la  "retroattività", vale a dire che
non è valido solo per chi verrà fermato a partire da quel
giorno, ma, anche, per tutte e tutti coloro che già si trovano
nei CIE.
La protesta si collega subito alla mobilitazione in corso nei CIE di
Ponte Galeria (Roma), di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), di Torino e
infine di Bari.

Mercoledì 12 agosto
Una trentina di compagni/e si reca in via Corelli per ottenere un
incontro fra una propria delegazione – comprendente un medico – e i
detenuti, che intanto hanno interrotto lo sciopero della sete, e per
consegnare loro delle bevande. L’incontro viene negato con le rituali
argomentazioni burocratiche.
La situazione dentro già di per sé tesa dal rifiuto della
retroattività e dalle solite misere e sporche condizioni di
vita, è surriscaldata dall’arrivo di una trentina di prigionieri
arrivati nel pomeriggio da Gradisca, trasferiti in seguito alla lotta.
La rivolta è nell’aria. Da fuori si capisce che fra le sezioni
(3 maschili e 1 femminile) si sviluppa comunicazione, probabilmente
cercano di coordinarsi, di occupare gli spazi collettivi (passeggi,
sala mensa-tv, magari i tetti…). Polizia e i militari, vista la
determinazione delle persone prigioniere a difendersi, scelgono di non
intervenire. Il sostegno solidale all’esterno si concretizza con
battiture su un vicino guard-rail  e slogan.

Giovedì 13 agosto: arresti
Inizia il settimo giorno di sciopero della fame, la rivolta divampa in
tutte le sezioni. Le persone rinchiuse esigono delle risposte, non
possono e non vogliono essere aggredite, ingannate, trasfigurate da
persone "senza permesso di soggiorno" (clandestine) in galeotte. La
risposta dello stato è quella di sempre in questi casi.
Verso le 19 polizia, carabinieri, guardia di finanza e militari entrano
in forze nelle sezioni, incontrano resistenza. La loro è una
rappresaglia: avanzano a colpi di manganello, lancio di gas
lacrimogeni, impiego di idranti; occupano i tetti per strappare alle
persone arrestate una base importante, solitamente adoperata per
comunicare con l’esterno e anche per tentare la fuga.  Dentro,
resistono,  innalzando barricate con quel che hanno sottomano,
materassi di plastica, termosifoni…
Una ventina di compagne e compagni riesce ad arrivare sotto Corelli, ma
solo verso le 22,30. La battaglia è ancora in corso, l’odore dei
lacrimogeni, delle cose bruciate al pari dei  rumori sordi e forti
causati dai colpi  alle porte blindate, alle pareti,
caratterizzano l’intera nottata. Riprendiamo le battiture, gli slogan.
Qualche passante attirato dai rumori, dalle voci, si azzarda nella via
laterale, si avvicina.
Da dentro chiedono, con insistenza e fermezza, che le notizie sulla
rivolta siano divulgate il più possibile, che sia rafforzato il
sostegno. Qualcosa avviene, rispetto alla situazione tuttavia si
è in ritardo e in poche/i. Polizia e Co. vogliono riprendere il
controllo a tutti i costi; per raggiungere l’obiettivo utilizzano anche
a scopo intimidatorio l’arma degli arresti e del carcere. Le persone
arrestate sono selezionate in base all’impegno messo nella lotta, ma
anche delle conseguenze delle manganellate e per pura rappresaglia. Gli
sbirri sanno che nelle "altre" carceri, in qualche maniera, vige la
visita medica per le persone "nuove aggiunte"; la gran parte delle
persone che ha segni delle legnate sul corpo e che non vengono
arrestate, viene separata per essere trasferita. Sono così
arrestate 5 prigioniere, alcune giovanissime, e 9 prigionieri; le
persone scelte per essere trasferite sono 47. Insomma quel giorno
lasciano Corelli  61 persone, circa la metà del totale. Un
paio di sezioni risultano "inagibili". Verso le 2,30 il presidio si
scioglie. Queste sono le fasi violente e ultime della battaglia.
Dopo l’una di notte, una trentina di poliziotti con caschi, scudi e
manganelli esce dal CIE per aprire la strada al primo blindato che
porta in questura 5 donne in stato di arresto. Si riesce a vederle e a
salutarle, il loro sguardo è incredulo e preoccupato, sono
ammanettate con le braccia dietro la schiena e il fiato sul collo di un
branco di poliziotti.
All’esterno si giunge alla conclusione, anche sentendo gli avvocati,
che nella mattinata del 14 si svolgerà l’"udienza di convalida"
degli arresti. Ci si dà appuntamento al palazzo di giustizia per
le 9 del mattino.

Venerdì 14 agosto: convalida arresti
All’udienza del mattino attendiamo per ore dentro il tribunale l’arrivo
delle persone arrestate in seguito alla settimana di lotta in Corelli.
Si è lì per ribadire che la legittimità della
lotta contro il "pacchetto sicurezza", i CIE non può essere
criminalizzata. Ci viene impedito di entrare nell’aula. Si resta nel
vicino corridoio per tutta la giornata. I "capi di imputazione" sono
pesanti: incendio, resistenza, danneggiamento, aggressione … 
L’arrivo in manette e catene delle persone arrestate, attorniate da
decine di poliziotti, viene accolto con l’urlo "libertà",
"horria" (libertà in arabo) e altri slogan, con pugni chiusi e
battimani; così ci si esprime ogni volta che una di loro esce
dall’aula e quando lasceranno il tribunale. Il giudice, ovviamente,
convalida quanto scritto dalla polizia. Le persone arrestate, le
sentiamo poco e male, si difendono, il giudice cercherà
più volte di zittirle e intimidirle; lui ha il compito di far
passare le versioni della questura. Verso le 18 avviene il
trasferimento a S. Vittore.
Il processo per "direttissima" è fissato per venerdì 21
agosto. E’ un processo alla resistenza opposta alla violenza dello
stato, un tentativo di criminalizzarla che va, assieme al "pacchetto
sicurezza", respinto e vinto.

RESPINGIAMO IL PACCHETTO SICUREZZA!
LIBERE TUTTE LIBERI TUTTI –  SUBITO !

Venerdì  21 agosto: il processo
Le lotte non si processano! Criminali e assassini siete voi!  Libertà! Horria!
Queste  parole d’ordine, tanto ripetute da generazioni di
proletarie e proletari, hanno ritrovato entusiasmo oggi in un’aula del
tribunale di Milano.
All’appuntamento, provenienti da diverse città, un centinaio di
compagne e compagni, oltre ad amici e parenti dei prigionieri. Entriamo
in un’aula dove le persone sono chiuse in gabbie distinte: da una parte
9 uomini, dall’altra 5 donne. Sono state scelte fra gli oltre cento
prigionieri del CIE di Corelli, che fra il 7 e il 13 agosto, hanno
osato ribellarsi al "pacchetto sicurezza", in particolare all’aumento –
retroattivo – della detenzione da 2 a 6 mesi per gli scioperanti.
La protesta, nelle settimane precedenti, si era estesa in diversi CIE
(Roma, Gradisca, Bari, Torino, Modena…); ma in Corelli la mobilitazione
ha finito con l’assumere un carattere più deciso e chiaro.
Per questo lo stato ha scelto di colpirla direttamente in modo
esemplare e ammonitorio, con pestaggi, arresti, trasferimenti ed
espulsioni. I "capi di imputazione" (danneggiamento seguito da
incendio, resistenza e lesioni in concorso tra loro) non lasciano dubbi
sul significato dell’intera messa in scena, mettere in atto i dettami
del pacchetto sicurezza e cercare quindi di intimidire, terrorizzare,
quindi ammutolire e ricattare centinaia di migliaia di immigrate, per
poterle sfruttare nel migliore dei modi: badanti e colf nelle case
degli italiani, braccianti nelle campagne, del sud, operai carne da
macello nei cantieri edili, nelle grandi catene di distribuzione e
nelle fabbriche del nord. Finalmente il meccanismo si  inceppa e
gli immigrati, in barba ai soliti tentativi di divisione, decidono,
tutti uniti, di affrontare il processo, rifiutando la trappola dei riti
alternativi che, in cambio di una riduzione della pena, eliminano
praticamente le possibilità di dargli il carattere politico che
merita.
I prigionieri si dimostrano quindi determinati a rivendicare la scelta
collettiva della protesta e rendere pubbliche le violenze adoperate da
polizia e carabinieri tanto nella repressione della rivolta che nella
quotidianità.
La giudice tenta invano di eliminare ogni riferimento politico
affermato con forza dagli avvocati della difesa; la formalità
del rito processuale svanisce non appena in aula viene convocato
l’ispettore capo direttore di Corelli. Le donne e gli uomini nelle
gabbie e noi con loro, gli siamo addosso all’unisono, con lo sguardo,
con l’urlo: vergogna, libertà, horria (libertà in arabo),
assassini… compare anche un piccolo striscione "A Corelli si
tortura". 
La comunanza-sintonia costruita fra compagne/i fuori e arrestati,
già espressa a distanza nei momenti della rivolta, ora anche
fisicamente unita, si esprime stupendamente. Nel clamore la giudice, lo
si capisce con gli occhi, prima licenzia il boia, poi dichiara sospesa
l’udienza, ordina lo sgombero dell’aula e infine se ne va.
Niente e nessuno riesce più ad impedire l’incrociarsi dei
saluti, delle parole d’ordine scandite assieme, riusciamo a scambiare
qualche breve impressione con le prigioniere e i prigionieri prima che
vengano portate/i fuori.  C’è la certezza comune di aver
conseguito qualche cosa di importante: sotto processo, per la prima
volta, e a differenza del 2005, non ci sono solo gli immigrati ma anche
i CIE, lo stato.
Il primo segnale del mutamento della situazione lo si coglie alla
ripresa dell’udienza "a porte chiuse" senza pubblico ma con le persone
arrestate. Noi siamo nel corridoio antistante all’aula presidiata da
sbirri con scudi ecc., salutiamo i passaggi delle prigioniere e dei
prigionieri, insomma siamo lì in contropresidio.
Intanto il tribunale prende alcune decisioni importanti. Innanzitutto,
il boia di Corelli potrà essere interrogato dalla difesa anche
in relazione alle particolarità della repressione della rivolta
e della gestione della quotidianità, assieme alle violenze
conosciute da Preziosa (trans brasiliana, che esattamente un anno fa in
Corelli fu sottoposta a sevizie); inoltre, le tre udienze concentrate
nell’ultima settimana di agosto sono state ridotte a due, spostando la
successiva dopo il 16 settembre.
Il proposito del governo di portare un colpo intimidatorio rapido e duro ha perso grinta e euforia.
Compagni/e  alla fine di questa prima udienza si uniscono in
assemblea su un prato adiacente. La giornata è stata buona, lo
sappiamo, non ce lo ripetiamo. Ci dividiamo i compiti per tenere i
contatti con le persone arrestate e nei CIE, per estendere la
mobilitazione nei quartieri; si decide di concentrare l’attenzione
sulle prossime udienze, di preparare una mobilitazione generale alla
ripresa del processo in settembre con un relativo manifesto.
Prevalente è la modestia che, si sa, non è mai troppa e infine ci salutiamo.

Martedì 25 agosto
Anche questa mattina un nutrito gruppo di compagne e compagni solidali
ha atteso in tribunale, all’ingresso dell’aula, l’arrivo delle e degli
"imputati".
Questa volta, a differenza delle precedenti (udienza di convalida e
prima udienza del processo in direttissima), non ci è stato
possibile incontrare lo sguardo di nessuno/a degli arrestati/e.
Sono, infatti, stati/e fatti entrare direttamente in aula dalla porta
sul retro, quella dove i signori della corte sono soliti ritirarsi per
decidere le sorti dei loro nemici…(…per capirci, la porta segreta
dove la volta scorsa la giudice si rifugiò terrorizzata dopo
essere scesa dalla pianta sulla quale era vissuta per l’intera sua vita
e dove presumibilmente – a giudicare dal suo atteggiamento processuale
– rimarrà ad oltranza…).
L’udienza come annunciato si è svolta a porte chiuse; la giudice
non ha accettato la richiesta di ingresso per il pubblico – sollevata
in apertura d’udienza – dagli avvocati.
L’ispettore capo di Corelli – Vittorio Addesso – ha potuto testimoniare
ai piedi della corte. Nella prima parte, quella in cui faceva le
domande la pm, ha reso una testimonianza precisa e particolareggiata
come si compete ai capi.
Tra l’interrogatorio dell’accusa e quello della difesa, c’è
stata una pausa temporanea durante la quale Vittorio Addesso è
uscito sorridente dall’aula per raggiungere i suoi colleghi. Peccato
che ad accoglierlo ci fossero anche voci fuori dal coro che non hanno
esitato ad urlargli in faccia quello che realmente è: un boia.
Inizialmente strafottente Vittorio Addesso ha smesso di ridere,
evidentemente grida, urla e battitura sulle porte lo hanno irritato,
è, infatti, dovuto rientrare in aula ancor prima che suonasse la
campana!
Nella seconda parte della sua testimonianza – quella in cui gli
avvocati interrogavano e hanno chiesto di visionare i filmati delle
telecamere poste all’interno – ha dichiarato che queste erano rotte,
poi che forse i filmati erano stati cancellati per poi tornare a dire
che in due settori erano rotte da due mesi. Dov’è allora la
segnalazione che avrebbero dovuto fare per chiedere la riparazione
delle telecamere? Gli è stato chiesto inoltre dove fossero i
"reperti testimoniali" che potrebbero sostenere le prove accusatorie
(materassi bruciati, oggetti divelti e distrutti ecc…) e ha risposto di
averle viste nella (non meglio precisata) discarica, proprio la mattina
di oggi, mentre usciva da Corelli per recarsi in tribunale. Queste sono
alcune delle consuete negligenze che polizia e apparati vari dimostrano!
Al termine della sua testimonianza Vittorio Addesso è uscito dal
retro, evidentemente aveva perfettamente chiaro cosa si sarebbe sentito
urlare in faccia e ha scelto di scappare via, di nascondersi come si
meritano gli esseri come lui.
Dopo la ripresa dalla pausa pranzo, il compagno portoghese arrestato,
ha rilasciato una dichiarazione per dire a Vittorio Adesso che –
proprio due giorni prima dei fatti – dall’infermeria aveva potuto
tranquillamente guardare i monitor collegati alle telecamere che
riprendevano e mostravano tutto quanto, con immagini nitide e chiare
…ops, Addesso mente?
A noi non interessa certo stare a discutere su verità e
menzogna, quello che ci interessa è sapere che comunque anche
oggi dalle gabbie ci hanno sentito, sapevano che eravamo in tanti fuori
dall’aula; ci interessa inoltre che il loro morale continua ad essere
alto, non dubitano assolutamente di nulla né hanno modificato il
loro modo di porsi di fronte allo stato.
Sono infine stati sentiti altri due sbirri (dei dodici che si erano
fatti refertare, i più per distorsione del rachide cervicale
procuratosi mentre massacravano le prigioniere e i prigionieri) e
abbiamo anche appreso che molti di loro non verranno in aula
perché ancora convalescenti o forse perché la
testimonianza degli ultimi due è stata meno lucida e precisa del
loro capo Addesso, come dire, si sono un po’ contraddetti tra loro,
figuriamoci in dodici, diventerebbe imbarazzante anche per la giudice!

Giovedì 27 agosto
Oggi si è svolta a Milano la 3a udienza agli arrestati/e a
seguito della rivolta scoppiata lo scorso 13 agosto nel CIE di via
Corelli. Anche oggi il pubblico non è stato ammesso in aula, ma
per l’intera giornata – conclusasi alle 18.30 con gli avvocati stremati
– un gruppo di compagne e compagni ha presenziato all’esterno dell’aula
facendo sentire agli arrestati/e tutta la loro solidarietà e
vicinanza.
Nel corso della mattinata sono stati ascoltate tre testimonianze da
parte del personale della croce rossa; nel pomeriggio è iniziato
l’esame degli "imputati", per ora ne sono stati ascoltati quattro, due
donne e due uomini. Una delle donne ha denunciato davanti alla giudice
un tentativo di violenza sessuale da parte dell’ispettore capo di
Corelli, il boia Vittorio Addesso.
Tentativo che fallì anche grazie all’intervento della sua
compagna di stanza attualmente rinchiusa a San Vittore, anch’essa
picchiata e arrestata come le altre sue compagne.
Nel corso delle prossime udienze, che si terranno lunedì 21 e
mercoledì 23 settembre, verrà in proposito chiamato a
testimoniare il direttore della croce rossa che – a detta di Joy – non
solo era presente nel CIE la sera in cui Addesso entrò nella sua
stanza per tentare di violentarla, ma fu lui stesso, richiamato dalle
urla delle ragazze, a cacciare l’ispettore. Vedremo se avrà il
coraggio di dire la verità o se, al contrario, si
schiererà dalla parte degli sbirri.
Sempre lunedì 21 settembre verranno ascoltati due prigionieri
che erano presenti alla rivolta e che attualmente sono ancora rinchiusi
nel CIE (la giudice ha ammesso quindi i testi della difesa che aveva
rifiutato nel corso della prima udienza).
Mercoledì 23 settembre verranno invece ascoltati alcuni degli
sbirri oggi ancora convalescenti per poi proseguire con gli e le
"imputate".

COMITATO ANTIRAZZISTA MILANESE

Posted in Antirazzismo.


Bel Lavoro

da:Umanità Nova, settimanale anarchico, n.30
del 6 settembre 2009,
anno 89

 

A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese

Per contatti e comunicazioni:
bel-lavoro@federazioneanarchica.org

Sud Corea: scioperi, occupazioni e scontri degli operai con la polizia

Il timore di perdere il lavoro che si tramuta in volontà di
lotta e di reazione, la disperazione di non riuscire più a
sopravvivere che diventa atto di coraggio e ribellione alla
passività. Una bella lezione, questa che ci arriva dalla Corea
del Sud, con lo sciopero e soprattutto l’occupazione della fabbrica da
parte degli operai della Ssangyong Motors, la più piccola delle
case automobilistiche sudcoreane. Nel febbraio 2009 l’azienda, sulla
via del fallimento, offre lo stabilimento di Pyeongtaek alle banche
come garanzia per ulteriori prestiti; il 27 maggio, quando annuncia
licenziamenti ed espulsione coatta per 1700 dei 7000 dipendenti, inizia
la lotta. Gli operai licenziati occupano immediatamente lo stabilimento
chiedendo il reintegro sul posto di lavoro. Il KMWU (Sindacato dei
Lavoratori Metallurgici Coreani) sostiene l’occupazione ma (tutto il
mondo è paese…) prova a incanalare le proteste esclusivamente
intorno alla questione dei licenziamenti.
A metà giugno, gli operai impegnati nell’occupazione sono
diventati 1000, con un significativo sostegno esterno. Il governo e
l’azienda passano all’offensiva, mentre gli operai si attrezzano per la
difesa con piedi di porco e bottiglie molotov. A fine mese teppisti,
crumiri e polizia antisommossa tentano di entrare in fabbrica: scoppia
un violento combattimento, al termine del quale gli operai, con molti
feriti, conquistano l’edificio principale. L’11 luglio le forze di
repressione attaccano ancora mentre la polizia anti sommossa avanza per
circondare l’intera fabbrica; la direzione del KMWU esita a dichiarare
lo sciopero generale in risposta agli attacchi all’impianto.
Il 16  luglio, 3.000 membri del KMWU si riuniscono per sostenere
lo sciopero di Ssangyong davanti al municipio della città di
Pyeongtaek. Quando, dopo l’assemblea, provano a muoversi verso la
fabbrica, questa è bloccata dalla polizia e 82 operai vengono
arrestati. E’ ancora scontro con attacchi della polizia (lacrimogeni
dagli elicotteri) ed operai che si difendono con bottiglie molotov e
catapulte.
Infine il 5 agosto: la polizia sudcoreana in tenuta antisommossa carica
pesantemente i lavoratori in sciopero e disperde il sit-in con cui i
rappresentanti sindacali degli operai chiedevano il salvataggio dei
posti  di lavoro. Il danno economico provocato dall’occupazione
è stimato in oltre 245 milioni di dollari. La maggior parte
degli edifici passa sotto il controllo della polizia. Ma la lotta
continua…

Operai LASME di Melfi occupano la fabbrica

"La LASME di Melfi, azienda dell’indotto Fiat che produce alzavetri
elettrici per auto ha deciso di trasferire la produzione in Liguria,
mettendo in mobilità tutti i lavoratori".
Con questa operazione 174 sono gli operai che si trovano sul lastrico.
"I padroni Fiat e Lasme ci avevano detto che il loro sistema di lavoro
funzionava. Si sono presi finanziamenti pubblici e una delle migliore
zone della piana di S.Nicola di Melfi. Adesso a soli 15 anni
dall’apertura della fabbrica, non può dire che l’importante
è che i pezzi per l’assemblaggio della Grande Punto arrivino,
anche se provengono da un’altra parte".
Dopo settimane in cui gli operai hanno pazientemente presidiato la sede
dell’impresa e l’azienda, mentre politici, sindacalisti,
amministratori, vescovi promettevano "incontri risolutori" senza
approdare a niente, il 24 agosto è esplosa tutta la rabbia dei
174 operai della Lasme. In quella giornata era stata convocato a
Potenza, nella sede dell’associazione industriale, un incontro per
discutere del futuro degli operai, con i vertici della Lasme 2
(l’azienda dell’indotto Fiat) e i rappresentanti della Confindustria
lucana. Le tute blu arrivate in autobus hanno "caricato" i poliziotti
che volevano far entrare nella sede padronale solo una piccola
delegazione. Più di 100 operai hanno occupato i locali della
associazione.
Il 25 agosto gli operai hanno occupato la fabbrica di Melfi per
impedire alla direzione di portare via i macchinari, mentre 7 operai
sono saliti sul tetto dello stabilimento.
A questo punto era stato stabilito un accordo che prevedeva "un tavolo
per il 4 settembre a Roma e la sospensione della mobilità". Ma i
titolari della azienda, i fratelli Pellegri di Chiavari, prendendo a
pretesto la continuazione del presidio dei lavoratori all’esterno dello
stabilimento, hanno al momento sospeso l’accordo.

Un giorno di sciopero alla CLO di Lachiarella

Nel polo logistico de Lachiarella nel sudovest milanese, presso i
lavoratori della cooperativa Clo (Cooperativa lavoratori ortomercato)
il 13 luglio è stata indetta una giornata di sciopero, con
presidio ai cancelli, dalla CUB.
La Clo è "una realtà che impiega 140 lavoratori, di cui
il 90% stranieri, e che opera nella Standa Villa, appartenente al
gruppo europeo Lewe, uno dei principali nella distribuzione merci da
magazzino. La Clo ha sedi in Lombardia, nelle Marche e in Liguria. Nel
sudovest milanese è presente anche a Pieve Emanuele".
Il motivo scatenante della protesta è stato che, malgrado i
molti iscritti al sindacato di base CUB, la direzione della cooperativa
ne rifiutava la rappresentanza sindacale e di conseguenza la trattativa
sulle problematiche dei lavoratori, come il declassamento di una parte
dei lavoratori dal 4° al 5° livello, l’assegnazione
discriminatoria delle ore di lavoro per i soci lavoratori e sulle
lettere di contestazione che stanno fioccando contro i lavoratori.
Impressionante è stato lo schieramento di forze di "persuasione"
con cui il presidente stesso della Clo (ex funzionario Cisl) si
è presentato ai cancelli fin dall’inizio del lavoro, con i suoi
lacchè, tra i quali spiccava lo stesso capo del personale, e
decine di "fedelissimi" fatti affluire anche da altri centri, per
intimidire e scoraggiare quelli che volevano scioperare.
Di grande importanza è stata la tenuta degli iscritti alla CUB
nello scioperare, coinvolgendo anche altri lavoratori non aderenti.
La prova di forza è stata superata dai lavoratori del sindacato
di base, ma la rappresaglia si è fatta subito sentire. Un
lavoratore filippino, che aveva partecipato allo sciopero, è
stato licenziato, prendendo a pretesto ritardi di pochi minuti che, per
le difficoltà nel raggiungere quel posto di lavoro, sono
addirittura ridicoli. Il punto è che queste cosiddette
cooperative, spesso con la compiacenza dei sindacati confederali, la
fanno da padroni e non vogliono sindacati conflittuali tra i piedi. Nel
caso specifico, la partita è solo all’inizio e… vi terremo
informati del seguito.

Con la lotta dei lavoratori della Caris ad Arese raggiunto l’accordo

Dopo le giornate di sciopero del 24  e del 27 luglio, con
presidio all’ingresso della ex Alfa ad Arese (Mi), e intervento da
parte della polizia, i lavoratori della Caris hanno raggiunto l’accordo
con le cooperative che hanno in appalto il lavoro (trattamento e
cernita di rifiuti speciali), prima la Lsi di Vercelli ed ora la
Mosaico.
I 98 lavoratori, in maggioranza cinesi, romeni, bengalesi, albanesi ed
egiziani della Caris vedono finalmente riconosciuto il pagamento dei
loro stipendi arretrati. L’accordo siglato dallo Slai Cobas stabilisce:
"Lo stipendio di maggio sarà pagato per metà dalla Lsi e
dalla Mosaico, che si impegna poi a pagare lo stipendio di luglio entro
il 14 agosto. Per le spettanze rimanenti la Lsi il 5 agosto
pagherà il 50%, mentre il saldo finale che chiuderà il
contenzioso, il termine ultimo è il 25 agosto."
Il rappresentante dello Slai Cobas avverte: "Resta inteso che se non
verranno mantenuti gli impegni presi saremo pronti a nuove forme di
lotta".

Posted in Lavoro.


INNSE: lotte e avvoltoi

da: Umanità Nova, settimanale anarchico, n.30
del 6 settembre 2009,
anno 89

Che l’inse?
Avrebbe gridato Gian Battista Perasso (passato alla storia come
Balilla) nello scagliare il sasso che diede inizio alla rivolta
genovese anti-austriaca il 5 dicembre 1746. Che cosa volesse dire "Che
l’inse?" non lo ha mai capito nessuno, nemmeno i filologi del nostro
dialetto. In ogni caso è un ottimo spunto per commentare, con un
giochino di parole, una lotta, quella dei lavoratori dell’INNSE, che ha
monopolizzato l’attenzione di molti.
I fatti sono arcinoti: la fabbrica metalmeccanica INNSE Presse era
stata chiusa dalla proprietà (lo speculatore Genta) nel 2008,
con l’intendimento di smantellarla  e speculare sull’area. I 50
lavoratori avevano rifiutato la chiusura (e il conseguente
licenziamento) occupando la fabbrica. Dopo oltre un anno di lotta
nell’indifferenza generale, la situazione è bruscamente
cambiata. Ai primi d’agosto, dopo un intervento di polizia e
carabinieri per sgomberare la fabbrica, quattro operai e un
sindacalista si sono arrampicati su un carro-ponte per una difesa ad
oltranza. Miracolosamente l’interesse generale per la vertenza si
è risvegliato: paginate di articoli sui maggiori quotidiani, una
trasmissione televisiva dedicata, appelli firmati da noti
intellettuali, intellighenzia sindacal-politica in fibrillazione (tra
cui va segnalato l’ex-ministro Ferrero alla ricerca di una nuova
verginità), lo stato maggiore della FIOM sceso bellicosamente in
campo, ecc. Il 12 agosto la vertenza si è sbloccata, una nuova
proprietà ha acquisito l’azienda (il gruppo Camozzi), i posti di
lavoro sono stati conservati e i cinque occupanti sono potuti scendere
dalla gru. Tutti contenti, compreso il prode Bertinotti che sembra aver
festeggiato a caviale e champagne…
Non ci interessa in questa sede procedere ad una disamina dell’accordo,
è compito dei tecnici sindacali, ma bensì di esporre
alcune considerazioni che derivano dalla lotta.

L’assalto al cielo?
Fantasiosamente alcuni hanno rispolverato questo vecchio slogan per
commentare l’occupazione aerea del carro-ponte che, potremmo dire, ha
fatto scuola: pochi giorni dopo un gruppo di guardie giurate è
salito sul terzo anello del Colosseo per manifestare per il loro posto
di lavoro. Oggi ci sono altre tre fabbriche occupate nell’hinterland
milanese (la Ercole Marelli Power di Sesto San Giovanni, la Lares e la
Metalli Preziosi di Paderno Dugnano), molte altre scenderanno in lotta,
nell’autunno, contro la devastante ondata di chiusure e licenziamenti
che si preannunciano. Dovranno i lavoratori di queste aziende salire
sempre più in alto (magari sul campanile del Duomo) per avere un
po’ d’attenzione e di solidarietà?
Boutade a parte la riflessione non può che essere su quanto
queste accentuazioni spettacolari (e in generale forme di lotta non
codificate, anche se di quelle più radicali parleremo più
avanti) possano incidere sulla positiva risoluzione di lotte. Chi
scrive vive nell’atavica convinzione che, al di là di tutto, la
base di ogni lotta vittoriosa risieda principalmente nella
capacità dei lavoratori di resistere un giorno di più dei
padroni, ma anche nell’odierna consapevolezza che per farsi sentire –
in assenza di una coscienza e di una solidarietà generalizzata
da parte della working class nel suo insieme – bisogna gridare forte,
apparire più di quello che si è, in omaggio alle leggi
bronzee della società spettacolarizzata. Altrimenti si lotta e
si perde in silenzio, senza che nessuno se ne accorga… Certo che
anche con le azioni spettacolari si può non riuscire a
spuntarla, un buon patronage politico-sindacale aiuta di più e
allora…

Niente ferie per Rinaldini
Sinceramente delle vacanze di Rinaldini (così come di quelle del
suo sodale Cremaschi) non ce ne può importare di meno. Tuttavia
la notizia che il nostro avrebbe rimandato le ferie (e si sa quanto ne
abbiano bisogno i nostri bonzi sindacali stremati dalle fatiche della
concertazione) per presidiare i cancelli dell’INNSE la dice lunga
sull’impegno profuso dalla FIOM per questa vertenza. Il sindacatone
battagliero dei metalmeccanici aveva bisogno di un’occasione, di una
battaglia esemplare per riacquistare il ruolo di scavezzacollo
insofferente della disciplina confederale che gli avvenimenti
dell’ultimo anno avevano un po’ offuscato. E allora come non mettere
gli occhi sulla vicenda INNSE, dove con relativamente poco sforzo si
potevano ottenere grandi risultati mass-mediatici? Così gli
inesausti Rinaldini e Cremaschi (insieme alla Sciancati della Fiom
milanese) hanno tenuto botta per quattro giorni davanti ai cancelli,
rincuorato gli occupanti e i lavoratori, parlato con i giornalisti e,
soprattutto pensiamo, trattato in alto loco per risolvere la vertenza.
E poi insomma l’INNSE non era un’azienda decotta, ma una fabbrica
sana… 

Una fabbrica produttiva
Può stupire, per chi abbia una obsoleta visione classista della
lotta sindacale, che tanta enfasi sia stata messa (da tutte le parti)
sulle potenzialità produttive dell’INNSE come se queste fossero
determinanti nel decidere le sorti materiali dei lavoratori. Sei in
un’azienda produttiva? Allora salviamo il tuo posto di lavoro. Sei in
un’azienda decotta? Allora vattene a casa, se ti va bene con qualche
mensilità. Ma perché stupirsi? Questa è l’ultima
aberrazione della logica "compatibilista" che da sempre presiede
all’attività sindacale in senso stretto: andare a vedere negli
affari del padrone per determinare che cosa chiedere o non chiedere. E’
nel DNA dei tecnici-notai sindacali. Ma se questa logica è
vagamente comprensibile (anche se comunque inaccettabile) nel caso di
richieste migliorative (salariali e/o normative) diventa disgustosa nel
caso di tagli, chiusure, licenziamenti. È, a tutti gli effetti,
fare gli aiutanti del boia. Il lavoratore non è più al
centro (se lo è mai stato) e nemmeno in periferia
dell’attività dell’organizzazione tecnico-notarile-sindacale,
è una pedina della quale si può decidere la
sacrificabilità. Ma non è tutto… 

Le fogne parlano…
Senza sciacquarsi la bocca. Così, a giochi fatti, il signor
Epifani non ha resistito alla tentazione di contrapporre la "pacifica"
lotta dei lavoratori dell’INNSE a quella "violenta" dei lavoratori
francesi che, ricordiamolo, alcuni mesi fa in circostanze analoghe
hanno sequestrato manager o minacciato di far saltare fabbriche.
Insomma – pensa il nostro eroe – questo è un sindacato moderno
fondato sul bon-ton e che mira al gentlemen agreement con le
controparti, non vorrete mica che indisponiamo la controparte con
queste rudezze… E poi su questa strada si finisce come in Cina dove
un gruppo di lavoratori ha malmenato un padrone fino ad ammazzarlo.
Caro Epifanio, a differenza del tuo quasi omonimo non ci fai ridere per
niente. Non pretendiamo che tu comprenda il valore e il significato
delle lotte dei lavoratori francesi, né la ruvidezza dei loro
mezzi; non ci aspettiamo che tu esprima a loro solidarietà e
neppure ai 7.000 lavoratori della Ssangyong che dopo una lotta
durissima durata mesi e aver affrontato scontri militari con le forze
speciali coreane e aver pagato il prezzo di cinque morti sono stati
cacciati brutalmente dalla loro fabbrica; non pretendiamo neppure che
il tuo sindacato si mobiliti seriamente contro la strage di posti di
lavoro in Italia che ci sarà in autunno. Sappiamo che tutto
ciò è fuori dalla tua comprensione e dalla tua cultura,
sappiamo che tutto ciò è estraneo alla tua formazione di
tecnocrate incravattato d’alto livello. Ti chiediamo solo di tacere,
continua a guazzare nella tua broda e a pensare al tuo futuro di
parlamentare o di dirigente aziendale ben retribuito, però in
silenzio. 

Walter Kerwal

Posted in Lavoro.


Un’evasione e una strage

(ANSA) – GORIZIA, 20 AGO – Sette immigrati sono fuggiti dal Cie di
Gradisca d’Isonzo dopo aver allargato, con attrezzi rudimentali, le
sbarre delle loro camere. Altri due immigrati, che stavano tentando di
scappare attraverso i tetti della struttura, sono stati bloccati dalle
forze dell’ordine. I sette evasi sono di nazionalita’ algerina e
tunisina e sono tuttora ricercati dalle forze dell’ordine.
 
(ANSA) – LAMPEDUSA, 20 AGO – Cinque migranti eritrei soccorsi su
un gommone a Lampedusa hanno raccontato che 75 loro compagni sono morti
nella traversata. Gli extracomunitari sono stati salvati da una
motovedetta della Guardia di Finanza al largo di Lampedusa e portati
alla guardia medica in precarie condizioni fisiche; tra loro vi e’
anche una donna. Secondo il loro racconto sarebbero stati in mare una
ventina di giorni.
 

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Rivolte nelle Carceri

da Repoubblica.it

 

A Sollicciano carabinieri e polizia presidiano dall’esterno la struttura e sono pronti a intervenire
Il sindacato degli agenti penitenziari denunciano il "colpevole silenzio" dell’amministrazione

"Nelle carceri italiane situazione esplosiva"

ROMA – Lenzuola incendiate, inferriate battute,
slogan di protesta. Negli ultimi giorni si stanno moltiplicando le
proteste dei detenuti rinchiusi nelle carceri italiane: lamentano il
sovraffollamento che, con l’ondata di afa, sta assumendo i contorni di
un’emergenza.


A Como i detenuti del "Bassone" per tre giorni
hanno battuto le sbarre con i loro oggetti personali. Chiedono più
spazio, essendo in 600 all’interno di celle che ne dovrebbero contenere
circa la metà. Stessi motivi all’origine della protesta di Ferragosto
ad Arezzo.


Ieri notte e questa mattina la scena si è ripetuta a Sollicciano, a Firenze:
i detenuti (950 in una struttura che ne dovrebbe contenere 400) hanno
gridato slogan per l’indulto e contro il sovraffollamento lanciando nei
corridoi lenzuola incendiate. "Convocheremo per domani la commissione
detenuti e parleremo con loro – ha annunciato il direttore Oreste
Cacurri – Al momento comunque la situazione è tollerabile. Non sono
stati fatti danni importanti, né qualcuno si è sentito male o si è
ferito". All’esterno del carcere sono state schierate pattuglie di
polizia e carabinieri, pronte a dare supporto agli agenti di polizia
penitenziaria, ma finora non c’è stato bisogno del loro intervento. Il
garante dei detenuti Franco Corleoni ha spiegato che, all’origine della
rivolta, vi sarebbe anche la distribuzione nei giorni scorsi di pane
ammuffito: "Da tempo raccolgo lamentele sulla qualità del vitto e anche
sulla quantità. D’altra parte osservo che in Toscana il cibo
distribuito nelle carceri ha un costo medio per detenuto di 1,53 euro a
pasto, una cifra che deve far riflettere".


A Perugia l’allarme è scattato per un incendio
all’interno di una cella, provocato da un detenuto che ha tentato di
dare fuoco al suo materasso. Gli altri carcerati sono stati trasferiti
nei passeggi, gli spazi utilizzati per l’ora d’aria, e dopo poco hanno
fatto ritorno nelle loro celle. Anche in questo caso la situazione è
critica: la popolazione è passata dai 243 detenuti del 2008 ai 485 di
oggi.


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Situazione analoga a quella di altri istituti italiani dove non
sono state inscenate eclatanti proteste, anche se la situazione resta
drammatica. Nel carcere di Poggioreale, ad esempio, si fronteggia il
caldo facendo i turni per bagnare le lenzuola e appenderle al soffitto.


Secondo il segretario generale della Uil Pa penitenziari, Eugenio
Sarno, le rivolte sarebbero fomentate da detenuti romeni e albanesi.
"La deriva violenta delle proteste è motivo di profonda
preoccupazione", anche perché "non può favorire il confronto".[…]

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AMMAZZATO IL COMPAGNO ANARCHICO FRANCESCO MASTROGIOVANNI


da Liberazione del 13 agosto 2009
di Daniele Nalbone
Francesco Mastrogiovanni è morto legato al letto del reparto
psichiatrico dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania alle 7.20 di
martedì 4 agosto. Cinquantotto anni, insegnante elementare originario di
Castelnuovo Cilento, era, per tutti i suoi alunni, semplicemente "il
maestro più alto del mondo". Il suo metro e novanta non passava
inosservato. Inusuale fra la gente cilentana. Così come erano fuori dal
comune i suoi comportamenti, «dolci, gentili, premurosi, soprattutto
verso i bambini» ci racconta la signora Licia, proprietaria del
campeggio Club Costa Cilento. E’ proprio lì che la mattina del 31 luglio
decine di carabinieri e vigili urbani, «alcuni in borghese, altri armati
fino ai denti, hanno circondato la casa in cui alloggiava dall’inizio di
luglio per le vacanze estive». Uno spiegamento degno dell’arresto di un
boss della camorra per dar seguito a un’ordinanza di Trattamento
Sanitario Obbligatorio (competenza, per legge, solo dei vigili urbani)
proveniente dalla giunta comunale di Pollica Acciaroli.
Oscuri i motivi della decisione: si dice per disturbo della quiete pubblica.
Fonti interne alle forze dell’ordine raccontano di un incidente in cui,
guidando contromano, alcune sere prima, avrebbe tamponato quattro
autovetture parcheggiate, «ma nessun agente, né vigile, ha mai
contestato qualche infrazione e nessuno ha sporto denuncia verso
l’assicurazione» ci racconta Vincenzo, il cognato di Francesco.
Mistero fitto, quindi, sui motivi dell’"assedio"

, che getta ovviamente
nel panico Francesco.
Scappa dalla finestra e inizia a correre per il villaggio turistico,
finendo per gettarsi in acqua. Come non bastassero carabinieri e vigili
urbani «è intervenuta una motovedetta della Guardia Costiera che
dall’altoparlante avvertiva i bagnanti: "Caccia all’uomo in corso"»
racconta, ancora incredula, Licia. Per oltre tre ore, dalla riva e
dall’acqua, le forze dell’ordine cercano di bloccare Francesco che,
ormai, è fuori controllo. «Inevitabile » commenta suo cognato «dopo
quanto gli è accaduto dieci anni fa».
Il riferimento è a due brutti episodi del passato «che hanno distrutto
Francesco psicologicamente» spiega il professor Giuseppe Galzerano, suo
concittadino e carissimo amico, come lui anarchico. Il 7 luglio 1972
Mastrogiovanni rimase coinvolto nella morte di Carlo Falvella,
vicepresidente del Fronte universitario d’unione nazionale di Salerno:
Francesco stava passeggiando con due compagni, Giovanni Marini e Gennaro
Scariati, sul lungomare di Salerno quando furono aggrediti, coltello
alla mano, da un gruppo di fascisti, tra cui Falvella. Il motivo
dell’aggressione ce la spiega il professor Galzerano: «Marini stava
raccogliendo notizie per far luce sull’omicidio di Giovanni, Annalisa,
Angelo, Francesco e Luigi, cinque anarchici calabresi morti in quello
che dicono essere stato un incidente stradale nei pressi di Ferentino
(Frosinone) dove i ragazzi si stavano recando per consegnare i risultati
di un’inchiesta condotta sulle stragi fasciste del tempo».
Carte e documenti provenienti da Reggio Calabria non furono mai
ritrovati e nell’incidente, avvenuto all’altezza di una villa di
proprietà di Valerio Borghese, era coinvolto un autotreno guidato da un
salernitano con simpatie fasciste.
Sul lungomare di Salerno, però, Giovanni Marini anziché morire, uccise
Falvella con lo stesso coltello che questi aveva in mano.
Francesco Mastrogiovanni fu ferito alla gamba. Nel processo che seguì,
Francesco venne assolto dall’accusa di rissa mentre Marini fu condannato
a nove anni.
Nel 1999 il secondo trauma. Mastrogiovanni venne arrestato «duramente,
con ricorso alla forza, manganellate, e calci» spiega il cognato
Vincenzo, per resistenza a pubblico ufficiale. Il motivo? Protestava per
una multa. In primo grado venne condannato a tre anni di reclusione dal
Tribunale di Vallo di Lucania «grazie a prove inesistenti e accuse
costruite ad arte dai carabinieri». In appello, dalla corte di Salerno,
pienamente prosciolto. Ma le botte prese, i mesi passati ai domiciliari
e le angherie subite dalle forze dell’ordine lasciano il segno nella
testa di Francesco.
«Da allora viveva in un incubo» racconta Vincenzo fra le lacrime.
«Una volta, alla vista dei vigili urbani che canalizzavano il traffico
per una processione, abbandonò l’auto ancora accesa sulla strada e fuggì
per le campagne. Un’altra volta lo ritrovammo sanguinante per essersi
nascosto fra i rovi alla vista di una pattuglia della polizia ». Eppure
da quei fatti Mastrogiovanni si era ripreso alla grande, «tanto da
essere diventato un ottimo insegnante elementare», sottolinea l’amico
Galzerano, «come dimostra il fatto che quest’anno avrebbe finalmente
ottenuto un posto di ruolo, essendo diciottesimo nella graduatoria
provinciale».
Era in cura psichiatrica ma si stava lasciando tutto alle spalle. Fino
al 31 luglio.
Giorno in cui salì «di sua volontà» sottolinea Licia del campeggio Club
Costa Cilento «su un’ambulanza chiamata solo dopo averlo lasciato
sdraiato in terra per oltre quaranta minuti una volta uscito
dall’acqua». Licia non potrà mai dimenticare la frase che pronunciò
Francesco in quel momento: guardandola, le disse: «Se mi portano
all’ospedale di Vallo della Lucania, non ne esco vivo». E così è stato.
Entrò nel pomeriggio di venerdì 31 luglio per il Trattamento Sanitario
Obbligatorio. Dalle analisi risultò positivo alla cannabis. La sera
stessa venne legato al letto e rimase così quattro giorni. La misura non
risulta dalla cartella clinica, ma è stata riferita ai parenti da
testimoni oculari. E confermata dal medico legale Adamo Maiese, che ha
riscontrato segni di lacci su polsi e caviglie della salma durante
l’autopsia. Legato al letto per quattro giorni, quindi. Fino alla morte
sopravvenuta secondo l’autopsia per edema polmonare.
Sulla vicenda la procura di Vallo della Lucania ha aperto un’inchiesta e
iscritto nel registro degli indagati i sette medici del reparto
psichiatrico campano che hanno avuto in cura Mastrogiovanni. Intanto
oggi alle 18, nel suo Castelnuovo Cilento, familiari, amici e alunni
porgeranno l’ultimo saluto al "maestro più alto del mondo".

—–

da
http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=69419&sez=CAMPANIA

*Salerno, morte all’ospedale psichiatrico
i medici: solo delle falsità*

SALERNO (13 agosto) – Francesco Mastrogiovanni è deceduto per un edema
polmonare provocato da un’insufficienza ventricolare sinistra. Sul suo
corpo sono state riscontrate lesioni su polsi e caviglie, segno
dell’utilizzo di legacci abbastanza spessi, plastica rigida o
addirittura filo di ferro. Comunque, lesioni derivanti da una forte
pressione esercitata con strumenti non leciti. Ma ora i medici legali
della procura vorranno capire anche il motivo scatrenante di un edema
polmonare che ha poi determinato l’infarto. Sono alcuni dei dati emersi
dall’autopsia effettuata ieri mattina sul cadavere di Francesco
Mastrogiovanni, il maestro di scuola elementare di Castelnuovo Cilento
sul cui decesso indaga la procura di Vallo della Lucania.

Mastrogiovanni ricoverato il 31 luglio scorso all’ospedale San Luca in
seguito ad una crisi di nervi e conseguente certificato di trattamento
sanitario obbligatorio è morto dopo quattro giorni di degenza. La
procura della Repubblica ha aperto una indagine, diretta dal pm
Francesco Rotondo, a carico del primario Michele Di Genio e i medici
Rocco Barone, Raffaele Basto, Amerigo Mazza, Annunziata Buongiovanni,
Michele Della Pepa, Anna Angela Ruberto.

Ieri l’autopsia e la scoperta di profonde lesioni a polsi e caviglie. È
soprattutto su quest’ultimo aspetto che si incentrano le indagini della
Procura di Vallo della Lucania. Le lesioni, infatti, starebbero ad
indicare l’allettamento forzato del paziente e sull’eventuale
accanimento dei sanitari si incentrano le indagini. Durante l’esame del
corpo, disposto dal sostituto procuratore Francesco Rotondo, è stata
rilevata in effetti la presenza di profonde lesioni ai polsi e alle
caviglie, dovute a uno stato di contenzione prolungato, con l’utilizzo
di mezzi fisici.

Una pratica estremamente invasiva, che però nella cartella clinica di
Mastrogiovanni non è mai menzionata né, tanto meno, motivata come
prevede la legge. È, infatti, ammessa solo in uno stato di necessità e
deve durare poche ore, fino alla terapia chimica. Mastrogiovanni,
invece, secondo l’ipotesi choc all’esame degli inquirenti, sarebbe
rimasto legato al letto per più giorni.

Nella sua cartella clinica, inoltre, ci sarebbe un "buco" di oltre 10
ore rispetto ai trattamenti a cui il maestro è stato sottoposto prima di
morire, ovvero dalle ore 21 del 3 agosto fino alle 7,20 del giorno
successivo, quando i medici del reparto ne hanno constatato il decesso.
Durante l’autopsia sono stati eseguiti anche prelievi di tessuti che
saranno analizzati in un centro specializzato di Napoli. I risultati
potranno contribuire a chiarire il quadro clinico complessivo.

All’esame ha assistito per la procura pure uno psichiatra nominato come
consulente, per la famiglia i legali Caterina Mastrogiovanni e Loreto
D’Aiuto oltre al medico legale Francesco Lombardo. C’erano, poi, quasi
tutti i medici indagati, il loro nutrito collegio legale e i loro
consulenti, lo psichiatra Michele Lupo e il medico legale Giuseppe
Consalvo. L’ipotesi di reato, di cui devono rispondere i sanitari, è
omicidio colposo, salvo che dall’esame della cartella clinica e delle
video registrazioni sequestrate non emergano differenti profili di
responsabilità
. Ad essere determinanti sono soprattutto le riprese
girate nella camera di Mastrogiovanni durante il trattamento di ritenuta
e subito dopo la sua morte, per verificare le azioni degli indagati.

In ogni caso l’inchiesta sembra destinata ad allargarsi all’acquisizione
delle cartelle cliniche degli altri pazienti sottoposti a trattamenti
psichiatrici nell’ospedale San Luca e forse in tutta l’ex Asl Salerno 3.
I funerali si svolgeranno oggi alle 18,30 nella chiesa di Santa Maria
Maddalena a Castelnuovo Cilento.

Puntuale la replica dei medici: «Finora sono state scritte solo
falsità». È il commento di Federico Conte e Antonio Conte, avvocati di
Angela Ruberto e Michele Di Genio, rispettivamente medico e direttore
del dipartimento di Psichiatria dell’ospedale ‘San Luca’ di Vallo della
Lucania (Salerno), a proposito delle notizie relative al decesso di
Francesco Mastrogiovanni.

«Contestiamo quanto finora pubblicizzato a mezzo stampa perchè
destituito di qualsiasi fondamento – ha detto Antonio Fasolino, insieme
a Francesca Di Genio legale del primario di Psichiatria, Michele Di
Genio – Il professor Mastrogiovanni è giunto in ospedale a seguito di
una emanazione di un’ ordinanza di ‘trattamento sanitario obbligatorio’
da parte del comune di Pollica. I sanitari dell’ospedale di Vallo della
Lucania hanno seguito il protocollo previsto per casi come questo».

Elisabetta Manganiello

—–
da
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/vallo-della-lucania-salerno-francesco-mastrogiovanni-e-morto-nel-reparto-di-psichiatria-aveva-lesioni-profonde-sui-polsi-e-sulle-caviglie-78376/

Vallo della Lucania, Salerno/ Francesco Mastrogiovanni è morto nel
reparto di psichiatria: aveva lesioni profonde sui polsi e sulle caviglie

ospedale1Aveva lesioni su polsi e caviglie l’uomo deceduto lo scorso 4
agosto nel reparto di Psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania,
in provincia di Salerno.

È uno dei dati emersi dall’autopsia effettuata sul cadavere di Francesco
Mastrogiovanni che di professione faceva il maestro della scuola
elementare di Castelnuovo Cilento. Sul decesso sta indagando la procura
di Vallo della Lucania: Mastrogiovanni era stato ricoverato il 31 luglio
all’ospedale San Luca in seguito ad una crisi di nervi. Era rimasto là
per quattro giorni prima di morire per edema polmonare riconducibile ad
una crisi cardiaca.

L’autopsia ha confermato quello che era emerso ad un primo esame
esterno: il cadavere aveva profonde lesioni a polsi e caviglie, e per
questa ragione erano partite le indagini della Procura. Le lesioni
infatti, starebbero ad indicare che il paziente è stato legato
forzatamente al letto: su un eventuale accanimento dei sanitari, si
stanno concentrando le indagini.

Dall’autopsia è emersa anche la presenza nel corpo di cannabinoidi. Gli
inquirenti stanno anche visionando le registrazioni delle telecamere a
circuito chiuso presenti nel reparto, dalle quali potrebbero emergere
nuovi elementi decisivi per chiarire le eventuali responsabilità
.

Sono sette al momento gli indagati del reparto di Psichiatria
dell’ospedale Vallo della Lucania; tra questi c’è anche il primario
Michele Di Genio.


www.radioblackout.
org/palinsesto/stato-terapeutico

Posted in Generale.


Pubblicate foto Filippetti


PUBBLICATE NELLA SEZIONE ALBUM (CON UN PO’ DI RTARDO) LE FOTO DELL’INIZIATIVA IN RICORDO DI F.FILIPPETTI

http://collettivoanarchico.noblogs.org/album/02-08-09-foto-commemorazione-filippetti

 

Posted in Iniziative.


Rivolte nei CIE

dopo la rivolta a Gradisca, in questi giorni anche a Torino e a Milano sommosse nei centri.


da indymedia lombardia


Dopo avere scoperto che a moltissi di loro è
stato prorogato il termine di uscita dal Centro di altri due mesi, i
reclusi di Corelli hanno dato vita ad una nuova sommossa. In questo
momento la polizia in assetto antisommossa sta usando gli idranti e
tenta di entrare nelle gabbie. Forse alcune detenute sono state
picchiate.


Ascolta la diretta su: http://www.autistici.org/macerie/


Dopo due tentativi di assalti c’è un momento di calma, poi la battaglia riprende: http://www.autistici.org/macerie/


Alla fine, la polizia riesce ad entrare nelle camerate, e ritorna
“la calma”. Ci sono vari feriti e sostanzialmente non ci sono notizie
delle donne: nella loro sezione c’è ancora tensione, sono terrorizzate
e hanno paura di parlare. Ascoltate le drammatiche testimonianze che
abbiamo raccolto alla fine della battaglia, testimonianze di due
reclusi che ora sono rinchiusi in due stanze differenti su http://www.autistici.org/macerie/


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Rivolta in corso Brunelleschi


Il secondo giorno di sciopero della fame al Cpt di corso
Brunelleschi è già un giorno di rivolta. Dopo aver rifiutato il cibo a
colazione e a pranzo, i reclusi nel pomeriggio cominciano a gridare
tutti assieme «libertà! libertà!». Esasperati dalle condizioni di
reclusione, preoccupati per la salute di alcuni reclusi svenuti per i
primi effetti dello sciopero della fame, in contatto con il centro di
via Corelli a Milano in lotta da giorni, resisi conto che l’estensione
a 180 giorni di reclusione li colpisce direttamente, dentro cominciano
a spaccare il primo ostacolo che li separa dalla libertà: le porte.
Intanto, a rincuorarli, fuori dal Centro si forma un rumorosissimo
presidio di solidali. La polizia, che da ieri gira in tenuta
antisommossa, carica. E per ben due volte i reclusi tengono, non
fuggono, resistono. Alla terza carica la polizia e i militari riescono
a sfondare, e picchiano giù duro. Nel frattempo, il presidio fuori si
disperde, assediato da poliziotti e alpini. In serata, la situazione si
tranquillizza, e la polizia vuole l’ultima parola, con una specie di
perquisa con cani e macchine fotografiche.


Ascolta le dirette su: http://www.autistici.org/macerie/


altri links


http://www.informa-azione.info/milano_corelli_in_subbuglio/


http://www.informa-azione.info/torino_sciopero_della_fame_nel_cie_di_corso_brunelleschi_i_reclusi_circondati_dalla_polizia


http://piemonte.indymedia.org/article/5545


 


 


 

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