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Ucraina: senza frontiere contro la guerra – Dibattito + aperitivo

Senza frontiere, contro la guerra!

Sabato 23 aprile

presso la FAL

in Via degli Asili 33

A due mesi dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia milioni di persone stanno pagando sulla propria pelle le conseguenze della guerra. Da chi viene mandato al macello da generali, preti e governanti a chi non riesce più a permettersi un tetto o un pasto decente, come sempre sono le classi sfruttate e oppresse di tutto il mondo a vivere la paura, le privazioni e il disastro della guerra. In guerra chi non può essere uniformato è messo a tacere, imprigionato, torturato, cancellato. Si è visto con la dura repressione delle proteste contro la guerra in Russia, si vede con il brutale trattamento che spesso è riservato alle minoranze, alla popolazione Rom e ai migranti che vivono in Ucraina, perseguitati dal razzismo dello stato ucraino, degli stati confinanti e dell’Unione Europea.

Di fronte a questa guerra e alla corsa al riarmo nei paesi NATO e nell’Unione Europea, già coinvolti nel conflitto in Europa orientale, quali possibilità di azione antimilitarista e internazionalista?

Ore 17 Assemblea-dibattito

interverranno:

– Giacomo Sini, fotogiornalista e compagno del Collettivo Anarchico Libertario, appena tornato dall’Ucraina e dalle aree di confine con la Polonia dove ha documentato la situazione dei profughi, delle minoranze e della popolazione Rom

– Compagnx della Federazione Anarchica Livornese e del Collettivo Anarchico Libertario con contributi sulla situazione internazionale e le prospettive antimilitariste

Ore 20 aperitivo

Collettivo Anarchico Libertario

Federazione Anarchica Livornese

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A 31 ANNI DALLA STRAGE DEL MOBY PRINCE

A 31 ANNI DALLA STRAGE DEL MOBY PRINCE
Condividiamo un messaggio pubblicato da Giacomo Sini, figlio di una delle vittime e nostro compagno
«In un giorno così difficile e così importante mi ritrovo in quarantena senza la possibilità di sentire la vicinanza e la solidarietà di chi negli anni ci è sempre stato vicino. È Solo grazie alle battaglie nate e cresciute dal basso, a chi c’era 31 anni fa e non ci ha mai abbandonati, a chi ha seguito le nostre lotte, che si è arrivati anche solo a riparlare sempre del nostro caso, a tentare di strappare uno stralcio di verità ufficiale. 31 anni, senza che sia stata fatta verità e giustizia dagli organi ufficiali dell’apparato statale. Tante parole, tante promesse, pochi fatti e tanto dolore. Ogni anno quel babbo che mi tiene in collo in questa foto sbiadita viene ucciso dalla mancanza di una giustizia che distrugge. Non ce la facciamo più ogni anno a dover ripetere sempre le stesse cose. Vorremmo un giorno poter solo commemorare le nostre ed i nostri cari, senza dover ribadire la necessità di giustizia. Vorremmo ogni anno non dover piangere altri morti sul lavoro, vorremmo non dover ricordare che ci sono ancora persone che muoiono in mare in cerca di una vita migliore senza esser soccorse o chi muore per progetti assassini di alternanza scuola lavoro. Vorremmo non dover ricordare che la sicurezza sul lavoro e nella mobilità devono essere priorità assolute.
Invece in nome di una sicurezza armata sentiamo parlare di “spese militari in aumento”, giustificate da un’emergenza nazionale. L’emergenza reale è la guerra quotidiana alle lavoratrici ed ai lavoratori, ed in questo caso non si parla mai di un aumento di investimenti a garanzia della sicurezza di queste e quest’ultimi sul posto di lavoro. Non dimentichiamoci mai che la nostra strage è stata la più grande su di un posto di lavoro in Italia. Mai smetterò di ricordare che i signori Onorato facevano viaggiare quel maledetto traghetto senza alcune delle misure di sicurezza basilari da seguire per una navigazione tranquilla. Mai messi sul banco d’imputazione. Allora continuerò a pensare che lo stato ed i suoi apparati a loro giustizia la hanno già fatta, da anni. Siamo stufe e stufi.»
Giacomo Sini

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Contro le guerre e chi le arma! Manifestazione a Milano il 2 aprile

L’Italia è in guerra. I governi che si sono succeduti hanno coperto le operazioni belliche tricolori sotto un manto di ipocrisia. Missioni umanitarie, operazioni di polizia internazionali hanno travestito l’invio di truppe sui fronti di guerra in Somalia, Libano, Serbia, Iraq, Afganistan, Libia. Quest’estate, per la prima volta in quarant’anni un ministro della Difesa, in occasione del rifinanziamento delle missioni militari italiane all’estero, ha rivendicato spudoratamente le avventure neocoloniali delle forze armate come strumento di tutela degli interessi dell’Italia. Ben 18 delle 40 missioni militari all’estero sono in Africa nel triangolo che va dalla Libia al Sahel sino al golfo di Guinea. Sono lì per fare la guerra ai migranti diretti in Europa e per sostenere l’ENI. La bandiera gialla con il cane a sei zampe dell’ENI accompagna il tricolore issato sui mezzi militari. Le multinazionali energetiche come l’ENI e le banche producono guerre e saccheggio ambientale. La guerra viene progettata, organizzata, condotta da generali senza divisa e stellette, quelli che in giacca e cravatta siedono nei consigli d’amministrazione delle multinazionali insieme ai loro strapagati consulenti. Sono loro che lasciano ad altri il “lavoro sporco” mentre pianificano una guerra invisibile, che apparentemente non distrugge, non sparge sangue. Il fronte non è solo sui campi di battaglia ma passa attraverso le nostre città e le nostre vite. Un fronte invisibile, solo apparentemente silenzioso, ma che ogni giorno presenta il bollettino di caduti che hanno tanti volti. Il volto della classe lavoratrice, con il carovita e il progressivo prelievo dai salari per finanziare le spese militari ormai senza limite. Il volto delle giovani generazioni ripagate con la precarietà, con salari che bastano solo a sopravvivere. Il volto dell’ambiente devastato per alimentare la macchina della produzione. Essere in piazza significa denunciare tutto questo e lottare per una trasformazione sociale radicale che investa tutte e tutti, umani e non umani, per costruire un presente ed un futuro senza sfruttamento, oppressione, guerre e saccheggio dell’ambiente. Contro informare, organizzarci e lottare sono le nostre armi. Le armi della dignità delle persone e della coscienza antiautoritaria di classe. Il conflitto imperialista tra la NATO, che mira a continuare l’espansione ad est cominciata dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica, e la Russia, che, dopo decenni di arretramento, ha deciso di passare al contrattacco occupando l’Ucraina, ha causato un grande balzo in avanti della propaganda militarista. Draghi ha deciso un ulteriore aumento della spesa militare e l’invio di truppe sul fronte est della NATO. 500 militari, scelti tra gli incursori della Marina, Col Moschin, Forze speciali dell’Aeronautica e Task Force 45, si vanno ad aggiungere ai 240 alpini in Lettonia e i 138 uomini dell’Aeronautica in Romania. Nel Mar Nero ci sono la fregata FREMM “Margottini” e il cacciamine “Viareggio”, oltre alla portaerei “Cavour” con i cacciabombardieri F-35. Noi non ci stiamo. Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia. Rifiutiamo la retorica patriottica e nazionalista, diretta emanazione della logica patriarcale, come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche.
L’antimilitarismo,


l’internazionalismo, il disfattismo rivoluzionario sono stati centrali nelle lotte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici sin dalle sue origini. Sfruttamento ed oppressione colpiscono in egual misura a tutte le latitudini, il conflitto contro i “propri” padroni e contro i “propri” governanti è il miglior modo di opporsi alla violenza statale e alla ferocia del capitalismo in ogni dove. Opporsi allo Stato di emergenza bellico, all’aumento della spesa militare, lottare per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero, per la chiusura e riconversione dell’industria bellica, per aprire le frontiere a tutti i profughi, ai migranti e ai disertori è un concreto ed urgente fronte di lotta.

Il 2 aprile saremo quindi in piazza a denunciare le guerre scaturite dagli interessi delle multinazionali energetiche, dal mantenimento di apparati militari sempre più costosi e dalla devastazione dell’ambiente schiacciato dalla logica feroce del profitto. Per indicare in modo chiaro i responsabili manifesteremo nelle piazze del potere finanziario da Piazza Affari a Piazza della Scala.

Contro le banche, i veri padroni del sistema energetico, i responsabili della rapina ambientale e del finanziamento dell’apparato industriale militare.

Per fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dalle nostre città.

RITIRO DELLE TRUPPE ITALIANE ALL’ESTERO
CHIUSURA E RICONVERSIONE DELL’INDUSTRIA BELLICA
BASTA SPESE MILITARI

SOLIDARIETÀ E ACCOGLIENZA AI PROFUGHI DI TUTTE LE GUERRE

Assemblea Antimilitarista

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Opporsi alla guerra. Sabato 2 aprile manifestazione a Milano


Opporsi alla guerra. Sabato 2 aprile manifestazione a Milano

articolo pubblicato su Umanità Nova n. 11 del 3 aprile 2022

Opporsi alla guerra significa prima di tutto agire là dove la guerra comincia. Perché se senza dubbio la guerra è là dove cadono le bombe, è poi nei palazzi dei governi, nei comandi militari, nelle sedi degli industriali e nei grandi centri finanziari che si decide della vita di milioni di persone, è là che inizia la guerra.

Per questo essere in Piazza Affari a Milano sabato 2 aprile per la manifestazione antimilitarista che avrà inizio alle 14:30 ha un significato molto importante. Il centro finanziario del paese, dove ha sede la Borsa, è certamente uno dei luoghi dove dobbiamo portare la nostra voce per indicare dove siano le responsabilità del massacro. Un impegno che oggi si fa sempre più urgente con la guerra in Ucraina, con il rischio di estensione del conflitto ad altri paesi e con il pericoloso coinvolgimento militare dell’Italia ma che già prima dell’inizio dell’invasione russa era importante, per contrastare il militarismo e l’imperialismo dell’Italia, e in particolare l’invio dei contingenti militari all’estero.

L’ENI – principale compagnia italiana del settore energia e idrocarburi – è l’obiettivo centrale della campagna antimilitarista di cui la manifestazione milanese è tappa fondamentale. Il colosso dell’industria degli idrocarburi è infatti uno dei principali strumenti della politica estera dello Stato italiano e, sicuramente, è l’elemento forte della sua nuova proiezione militare in Africa. L’ENI continua ad essere sotto il controllo dello Stato italiano, che ne è il principale azionista attraverso Ministero del Tesoro e Cassa Depositi e Prestiti e, al contempo, detiene nei confronti della società dei poteri speciali tramite il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo Economico.

La società del “cane a sei zampe” ha da sempre una dimensione multinazionale, con impianti e infrastrutture in vari paesi del mondo ed ha costruito nel corso dei decenni una forte presenza nel continente africano. Algeria, Angola, Repubblica del Congo, Costa d’Avorio, Egitto, Gabon, Ghana, Kenya, Libia, Marocco, Mozambico, Nigeria, Tunisia e, fino a quest’anno, anche Sudafrica. Questi gli stati africani in cui ENI è presente in modo più o meno diretto, con impianti di estrazione di petrolio e gas, impianti di trasformazione, raffinerie, centrali, condutture, progetti commerciali, di esplorazione e ricerca di giacimenti, di formazione, con progetti di sviluppo delle cosiddette energie di transizione, che comprendono il solare come i biocarburanti e gli agrocarburanti per la cui produzione è prevista, come in Congo, la coltivazione intensiva per la produzione industriale dell’olio di ricino. Da decenni dirigenti dell’ENI accompagnano le missioni diplomatiche italiane ma, negli ultimi anni, la difesa degli impianti della multinazionale è entrata nelle motivazioni ufficiali per l’invio di truppe italiane all’estero, come nel caso della missione navale nel Golfo di Guinea, nella cui scheda di presentazione della missione al Parlamento era ben evidenziato, tra gli obiettivi dell’intervento militare, la “difesa degli asset estrattivi ENI”.

L’ENI è quindi un elemento centrale della politica neocoloniale dell’Italia e della sua nuova proiezione strategica in Africa, che ha tra i suoi strumenti l’intervento militare in senso offensivo e aggressivo nel rafforzamento della politica predatoria dello stato italiano in quei paesi. Una politica che sta portando le truppe italiane nella regione del Sahel dove la guerra si fa sempre più sanguinosa e dove con i colpi di Stato salgono al potere giunte militari che impongono una stretta autoritaria sulla popolazione e proseguono nella spirale di guerra. La devastazione umanitaria, materiale, sociale, ecologica che la guerra guerreggiata, il neocolonialismo e l’estrattivismo portano in questi paesi trova nel “cane a sei zampe” uno dei suoi principali attori. Per questo essere a Milano, dove ha sede il centro direzionale ENI e in Piazza Affari, dove viene quotata la multinazionale italiana dell’energia è una tappa fondamentale per la costruzione di un ampio movimento antimilitarista che sappia creare intersezioni con la lotta ecologista, sindacale, antipatriarcale, oltre che con il nuovo movimento studentesco che ha animato le scuole e le piazze di tutto il paese negli scorsi mesi.

«Contro la guerra e chi la arma»: con questo slogan è stato convocata la manifestazione di Milano dall’Assemblea Antimilitarista, rete nata proprio nel capoluogo lombardo lo scorso 9 ottobre e che cerca di collegare a livello nazionale realtà impegnate in vario modo contro il militarismo. Da chi si oppone ai poligoni e alle servitù militari, a chi denuncia i movimenti del mercato delle armi, lotta contro l’industria bellica, contro le installazioni USA e NATO, contro la militarizzazione delle città, la propaganda di guerra nelle scuole e il greenwashing dell’esercito, fino a chi conduce campagne per il ritiro delle missioni militari italiane all’estero, per il disarmo, contro l’aumento delle spese militari e i tagli alla spesa sociale.

Sono gruppi anarchici, organizzazioni sindacali, associazioni, forze politiche, circoli, centri di documentazione, collettivi, comitati, coordinamenti, realtà unitarie che vanno pian piano costituendosi a livello locale ad animare questa Assemblea Antimilitarista. Una rete che ha individuato tra punti di intervento comune l’opposizione alle missioni militari dell’Italia e il contrasto della politica guerrafondaia di cui l’ENI è elemento centrale. Oltre alle assemblee di confronto e organizzazione in questi mesi la rete ha lanciato la manifestazione antimilitarista del 20 novembre a Torino contro l’Aerospace & Defence Meetings che ha portato in piazza centinaia di persone contro la fiera delle armi che ogni due anni si tiene nel capoluogo piemontese.

La manifestazione del 2 aprile era nata prima che il conflitto in Ucraina portasse al centro del dibattito pubblico la questione della guerra. L’impegno enorme che molte realtà territoriali hanno avuto nelle ultime settimane per le attività contro la guerra sicuramente non ha permesso di concentrare – almeno quanto avremmo voluto – tutte le energie sulla manifestazione milanese. Al contempo però questa nuova tragica situazione carica di ulteriore significato la manifestazione di Milano.

Il convegno di approfondimento dello scorso 19 marzo che ha visto partecipare decine di persone da varie località, ha infatti posto al centro oltre alla questione dell’energia, dell’ENI, delle missioni in Africa, anche una specifica lettura antimperialista della guerra in Ucraina. Il conflitto nell’Europa orientale dopotutto si inserisce in un riorientamento dell’approvvigionamento energetico, in uno scontro tra le potenze attorno alla questione dei gasdotti, in una ridefinizione dell’imperialismo europeo nella generale crisi dell’egemonia aggravata dalla pandemia che ha contribuito a trasformare la lunga escalation sui confini della Russia in guerra vera e propria.

L’ENI è ben presente anche in questo scenario. In particolare la multinazionale italiana ha forti interessi in Kazakistan ed è proprio in un impianto petrolifero a Zhanaozen controllato da ENI tramite Saipem che, nel dicembre 2011, dopo mesi di sciopero dodici persone sono state uccise dalla polizia durante la repressione delle proteste. Proprio Zhanaozen è stato uno dei centri da cui è iniziata l’insurrezione popolare che ha fatto tremare il regime kazako nei primi giorni del 2022. Quando le truppe russe sono entrate in Kazakistan a inizio gennaio per affiancare il governo locale nella sanguinosa repressione del movimento insurrezionale, le armi della Russia sparavano anche per difendere gli interessi dell’ENI.

L’energia è quindi uno dei fattori al centro delle politiche di guerra dei governi: lo chiarisce anche la relazione del COPASIR sulla sicurezza energetica in cui si indica la necessità di riorientare alla difesa dell’interesse nazionale le politiche di sicurezza dello Stato. Lo confermano le motivazioni che esponenti del governo presentano per giustificare le missioni militari all’estero, con una trasformazione della propaganda in cui la “missione umanitaria” lascia sempre più spesso spazio alla sovranista e autoritaria “difesa degli interessi nazionali”.

Questa è la verniciatura ideologica del nuovo ciclo di guerra e riarmo che viviamo anche in Italia. Perché l’interesse nazionale di cui si parla è solo l’interesse dei governi e dei capitalisti, perché spesso la strada che scelgono i governi per l’approvvigionamento energetico non risponde a scelte di mercato che seguono criteri di semplice efficienza economica ma sono legati a indirizzi politici e militari, o servono da giustificazione per alimentare gli apparati militari che nelle nostre società hanno assunto un ruolo sempre più importante a livello di politica pubblica negli ultimi anni. Purtroppo l’involuzione militare e autoritaria di cui abbiamo spesso parlato nei tempi più recenti sta rapidamente arrivando a maturazione e le conseguenze non sono facilmente prevedibili.

In questo momento si aprono spazi di intervento per il movimento anarchico e per gli antimilitaristi in generale. Mentre si restringono gli spazi di libertà e l’agibilità politica nella società, diviene necessario costruire un’opposizione chiara e coerente al militarismo e alla guerra, una rete solidale che sappia sostenere l’impegno concreto di chi cerca di inceppare la macchina dello sforzo bellico. La piazza di Milano sarà una tappa di questo difficile percorso, per ribadire con chiarezza una posizione disfattista, antimilitarista, internazionalista.

Dario Antonelli

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2 aprile corteo a Milano: pullman dalla toscana

Pullman dalla toscana per la manifestazione (per info e prenotazioni: 333 10 91 165)

*CONTRO LE GUERRE E CHI LE ARMA*
Manifestazione
Sabato 2 aprile ore 14.30 Piazza Affari, Milano
*CONTRO LE POLITICHE GUERRAFONDAIE DELL’ENI*

Ritiro delle truppe italiane all’estero
Chiusura e riconversione dell’industria bellica
Basta spese militari
Abbattiamo le frontiere
Solidarietà e accoglienza ai profughi di tutte le guerre


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per una presenza anarchica il 26 marzo a Firenze

Pubblichiamo l’appello delle realtà toscane della FAI in vista della manifestazione “Insorgiamo” del 26 marzo a Firenze

Per una presenza anarchica alla manifestazione del 26 marzo a Firenze
H 14.30 p. Vittorio Veneto

Nessun sussidio ai capitalisti, nessuna fiducia nelle istituzioni – più reddito meno tempo di lavoro per tutt*!

La lunga lotta degli operai della GKN, sostenuti della popolazione locale, ha dimostrato la forza reale che l’azione diretta degli sfruttati può mettere in campo contro la violenza del capitalismo “sfrutta, mordi e fuggi”. Quel capitalismo che sta mettendo in crisi migliaia di operai* e precar*, con le tante vertenze occupazionali aperte nel nostro paese.
Purtroppo la vertenza GKN, nonostante il grande tessuto di solidarietà che ha avuto attorno, non è riuscita a rompere del tutto la pratica di una difesa operaia fatta fabbrica per fabbrica.

L’accordo sindacale che ne è venuto fuori salva per il momento i posti di lavoro – e non è cosa da poco! – ma permette alla vecchia proprietà di andare a sfruttare altrove, lasciando alle casse pubbliche il compito di traghettare i lavoratori verso un futuro che non può esser dato per scontato.
Le cose forse non potevano andar meglio di così in mancanza di un percorso chiaro di indipendenza e autorganizzazione complessiva del movimento operaio italiano.

Un percorso che lo sciopero generale dell’11 ottobre – promosso da tutto il sindacalismo alternativo e di base – ha cominciato ad indicare, ma che va ancora largamente costruito.
Ad un padronato sempre più teso a massimizzare lo sfruttamento del lavoro operaio, ma anche teso a depredare le risorse pubbliche senza le quali non riuscirebbe a vivere, bisogna opporre una piattaforma composta da obbiettivi unificanti, come:
– la riduzione del tempo di lavoro e la riduzione dell’età pensionabile per dividere il lavoro esistente tra occupat* e disoccupat*;
– un reddito garantito a tutti, per spostare risorse dai sussidi alle imprese, vero assistenzialismo per ricchi, verso il benessere delle classi sfruttate.
Per fare questo è necessario sviluppare realmente il percorso di unità, di organizzazione e di lotta, fuori dalle burocrazie sindacali di Cgil, Cisl e Uil, avviato con lo sciopero generale dell’11 ottobre.
Come anarchiche e anarchici federati della Toscana intendiamo essere protagonisti, con il nostro contributo fattivo e di idee a questo percorso, difficile ma necessario.

Federazione Anarchica Italiana
Gruppi e individualità della Toscana

 

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Fermiamo la guerra! 19 marzo manifestazione a Livorno

FERMIAMO LA GUERRA
Contro ogni imperialismo

Sabato 19 marzo
MANIFESTAZIONE
P. Grande h 16.30

La Russia ha invaso l’Ucraina bombardando le città. Migliaia di morti, miseria, distruzione, milioni di persone in fuga. Questo il risultato di tre settimane di guerra. La NATO e i governi UE tra cui l’Italia sono anch’essi in guerra. Fermiamo la guerra fermiamo l’estensione del conflitto.

Stop all’invio di armi all’Ucraina! Ritirare le truppe italiane dall’Europa orientale!

Per fermare l’ampliamento della base USA di Camp Darby

Per impedire l’aumento delle spese militari

Fermiamo la propaganda di guerra e il nuovo stato di emergenza del governo

Solidarietà internazionalista

Coordinamento cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari italiane all’estero

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Urgente: Venite appena potete al presidio antidiscarica del Limoncino

Urgente: Venite appena potete al presidio antidiscarica del Limoncino

L’azienda che gestisce la discarica ha provato a forzare con il camion, aggredendo i presenti al presidio.

C’è bisogno di massima presenza con urgenza, anche nelle prossime ore e per la sera. Perché aspettano che ci sia meno gente per aggredire e passare.

Oggi poco dopo le 12.30 un camion carico di rifiuti per la discarica ha provato a imboccare la strada. Il camion era accompagnato da auto cariche di personale della Livrea, l’azienda che gestisce la discarica. Chi era al presidio in Via del Limoncino si è messo davanti al camion per far rispettare il divieto di passaggio ai mezzi pesanti. Il proprietario della discarica esortava l’autista del camion ad andare avanti e investire le persone del presidio. Due persone sono state aggredite fisicamente, gli scagnozzi dell’azienda hanno provocato e minacciato i presenti.

Le forze di polizia con atteggiamenti già visti quando ad essere aggrediti dalle squadre di picchiatori sono i picchetti dei lavoratori, si girano dall’altra parte di fronte alle violenze dei padroni e dei loro scagnozzi e mantengono un atteggiamento intimidatorio nei confronti dei chi protesta.

Da martedi 8 marzo con un presidio permanente, con una presenza costante giorno e notte sono stati fermati i conferimenti di rifiuti al Limoncino. È stata la lotta costante del comitato dal 2009 a fermare l’apetura di questa discarica che dovrebbe sorgere in un’area a rischio, già interessata dall’alluvione del 2017, sulle  colline alle spalle della città.

A Limoncino da oltre quattro ore il camion è fermo grazie alla presenza determinata al presidio. C’è bisogno di maggiore presenza per mantenere il presidio contro queste provocazioni. No ai veleni no alla violenza padronale.

Collettivo Anarchico Libertario
15/03/22

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Contestazione alla Meloni: L’antifascismo non si processa!

L’antifascismo non si processa!
Nella giornata di ieri, venerdì 4 Marzo, si è tenuta presso il Tribunale di Livorno la seconda udienza di un processo penale che coinvolge 40 persone, accusate di aver contestato Giorgia Meloni, esponente di Fratelli d’Italia, durante la giornata del 13 Febbraio 2018.
Quel giorno la piazza si riempì di numerosi abitanti della città, che senza alcuna concertazione, espressero spontaneo dissenso e sdegno per la presenza di un partito che si richiama alla dittatura fascista, che porta nel proprio simbolo ancora la fiamma tricolore che esce dalla tomba di Mussolini, un partito responsabile con gli altri che hanno governato il paese negli ultimi 30 anni dell’involuzione autoritaria della società, della precarietà, dei tagli alla spesa sociale, ai salari e alle pensioni. Chi si ritrovò in piazza quel giorno voleva dare una risposta chiara e ferma alle provocazioni di una parlamentare che aveva proprio in auei giorni rilasciato gravi dichiarazioni xenofobe dopo l’attentato razzista di Macerata ad opera di Luca Traini, un esponente dell’estrema destra marchigiana che era stato candidato per la Lega e che aveva provato a compiere una strage, sparando a sei persone nere in pieno centro, prima di arrendersi alle forze dell’ordine salutandole a braccio teso e con un tricolore stretto al collo. Pochi giorni dopo aver pubblicamente millantato che è colpa della sinistra e cercato altre simili giustificazioni per un simile attentato, Giorgia Meloni aveva scelto come teatro per la sua visita livornese Piazza Garibaldi, lo snodo più meticcio della città, un contesto non sempre pacificato, ma certo vivo, vissuto, densamente popolato e storicamente antifascista. Non sappiamo cosa si aspettasse di trovare, ma ricordiamo di averla vista attraversare la piazza sballettando, con evidente intento canzonatorio, sulle note di Bella Ciao, che qualcuno aveva fatto partire da una cassa bluetooth o forse da uno dei tanti balconi della piazza, molti dei quali adorni di striscioni di protesta. Dalla sua parte solo la sua scorta, forse un pugno di sostenitori raggranellati insieme alle città vicine e una trentina tra agenti e DIGOS.
Quello che è seguito è stato un quarto d’ora di antifascismo popolare, una risposta ad alta voce a una presenza fascista, identitaria, razzista e nazionalista che giudichiamo deleteria e nefasta e che, riteniamo, non dovrebbe trovare alcuno spazio nel dibattito politico, ma solo contestazione, almeno dalla Resistenza in poi.
A distanza di un anno e mezzo, nell’ottobre del 2019, per quel quarto d’ora sono stati notificati 40 decreti penali di condanna e 4 provvedimenti Daspo, per l’ammontare di oltre 200000 € di pena pecuniaria. Il reato principalmente contestato è Radunata Sediziosa, reato contenuto in un regio decreto del 1930 emanato in pieno regime fascista e quindi funzionale al mantenimento di un assetto autoritario che ad oggi va contro il principio fondamentale della libertà di dissenso.
Ogni aspetto di tale procedimento, dallo strumento processuale adottato al tipo di reato contestato, sono indicativi di una reiterata e nostalgica volontà politica di sopprimere l’esercizio dei diritti fondamentali, innanzitutto della libertà di manifestare, perpetrata attraverso la criminalizzazione di ogni tipo di dissenso.
Per questo le persone imputate hanno deciso di fare opposizione al decreto penale e di andare a processo, per affermare la libertà di manifestare il proprio dissenso e il proprio antifascismo.
La presenza in quella piazza, quel giorno, era necessaria e importante, e ha visto la più variegata partecipazione. L’antifascismo è anche questo: impedire la diffusione di idee e pratiche razziste, discriminatorie, portatrici di odio e violenza.
L’antifascismo non si processa!
Livorno antifascista
05/03/22
Solidarietà concreta! Sostieni le spese legali

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5 marzo manifestazione contro la guerra a Livorno

FERMIAMO LA GUERRA
Contro ogni imperialismo
MANIFESTAZIONE A LIVORNO
Sabato 5 marzo h 16.30
Piazza Grande
Né con la Nato né con Putin
Solidarietà internazionalista
Coordinamento cittadino per il ritiro delle missioni militari italiane all’estero
Testo del volantino che sarà distribuito:

FERMIAMO LA GUERRA
Contro ogni forma di imperialismo

Contro la guerra in Ucraina
Il 24 febbraio la Russia ha invaso l’Ucraina bombardando le principali città, il conflitto sta proseguendo causando centinaia di vittime e distruzioni materiali. Condanniamo fermamente queste azioni che colpiscono in primo luogo la popolazione civile. Le classi sfruttate e oppresse dell’intero continente stanno già pagando le conseguenze umanitarie e sociali di questa guerra. I governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, dell’Unione Europea e della Russia si contendono il potere con armi ed eserciti giocando sulla nostra pelle. La NATO dopo aver portato con la Russia l’escalation fino allo scontro ne approfitta per consolidarsi e serrare le proprie fila, incrementa la presenza di contingenti militari nella regione e consegna carichi di armi all’Ucraina, oltre ad aver imposto sanzioni alla Russia che in gran parte graveranno sulla popolazione.
Stop all’invio di armi in Ucraina! Ritirare subito le truppe italiane dall’Europa orientale!
– Il governo italiano spinge il paese verso la guerra. 1350 militari inviati in Romania e Ungheria. Potenziamento delle missioni in Lettonia, Romania e Mar Nero con ulteriori 605 unità, mezzi corazzati, navi e aerei. Questo incremento del contingente NATO costa 174 milioni di euro. Altri 2000 militari sono pronti a intervenire in caso il governo lo ritenga necessario.
– Dall’aeroporto di Pisa sono partiti i primi carichi di armamenti per l’Ucraina. Saranno missili terra aria Stinger, controcarro Spike, mitragliatrici leggere e pesanti, munizioni, mine anticarro ad essere consegnate all’Ucraina. Fino a 150 milioni di euro di materiale bellico per alimentare la guerra. Le armi italiane sono utilizzate da entrambi gli schieramenti, l’industria bellica fa affari d’oro.
– La dichiarazione dello stato di emergenza per la situazione in Ucraina lascia mano libera al governo nel prendere questo genere di misure. Altri 110 milioni sono stati inviati dall’Italia al governo di Kiev.
Dobbiamo costruire un’opposizione antimilitarista per impedire la partecipazione italiana alla guerra e fermare la potente iniezione di armi e denaro nel conflitto in corso.
Per fermare l’ampliamento della base USA di Camp Darby
Già oggi arsenale e nodo determinante per la logistica di armi e mezzi nel Mediterraneo e non solo. L’ampliamento della base prevede tra l’altro la creazione di una nuova linea ferroviaria, che trasporterà fino a due treni carichi di armi ogni giorno.
Per impedire l’aumento delle spese militari.
Nel 2022 le spese militari hanno superato i 26 miliardi di euro e con questa guerra aumenteranno. Nel 2021 1 miliardo e 100 milioni sono stati spesi solo per le missioni militari italiane tra cui gli interventi neocoloniali in Africa.
Solidarietà internazionalista
Non collaboriamo con la guerra, scioperiamo nei settori strategici per il trasporto di armi e equipaggiamenti militari, nei porti e nelle ferrovie. C’è bisogno di uno sciopero generale. Fermiamo le produzioni belliche. Disertiamo la guerra.
Coordinamento cittadino per il ritiro delle missioni militari italiane all’estero // no_missioni_livorno@anche.no

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