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PRESIDIO 26/02 Fermiamo la guerra!!

SABATO 26 FEBBRAIO ORE 16.00
PIAZZA GRANDE – LIVORNO 
 
FERMIAMO LA GUERRA
Contro ogni forma di imperialismo 
 
Contro la guerra in Ucraina
Il 24 febbraio la Russia ha invaso l’Ucraina bombardando le principali città. Condanniamo fermamente queste azioni che colpiscono in primo luogo la popolazione civile. Le classi sfruttate e oppresse dell’intero continente stanno già pagando le conseguenze umanitarie e sociali di questa guerra.
I governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, dell’Unione Europea e della Russia si contendono il potere con armi ed eserciti giocando sulla nostra pelle. La NATO dopo aver portato con la Russia l’escalation fino allo scontro ne approfitta per consolidarsi e serrare le proprie fila. 
 
Per il ritiro immediato delle truppe, delle navi e degli aerei italiani dall’Europa orientale
Lettonia: truppe con carri armati e cingolati da neve, nell’ambito della missione “Baltic Guardian” della NATO.
Romania: nei pressi di Costanza è presente una squadriglia di 4 caccia Typhoon nell’ambito della missione “Air Black Storm”.
Mar Nero: sono presenti una fregata FREMM, un cacciamine e una portaerei con caccia F-35.
Questo dispiegamento di forze costa già 78 milioni. Cosa farà l’Italia? È stato già annunciato l’invio di altri 2000 soldati italiani e le forze armate sono in allerta. Dobbiamo costruire un’opposizione antimilitarista per impedire la partecipazione italiana alla guerra. 
 
Per fermare l’ampliamento della base USA di Camp Darby
Già oggi arsenale e nodo determinante per la logistica di armi e mezzi nel Mediterraneo e non solo. L’ampliamento della base prevede tra l’altro la creazione di una nuova linea ferroviaria, che trasporterà fino a due treni carichi di armi ogni giorno. 
 
Per impedire l’aumento delle spese militari.
Nel 2022 le spese militari hanno superato i 26 miliardi di euro. Nel 2021 1 miliardo e 100 milioni sono stati spesi solo per le missioni militari italiani tra cui gli interventi neocoloniali in Africa. 
 
Solidarietà internazionalista
Facciamoci sentire contro la guerra. Non collaboriamo con la guerra, scioperiamo nei settori strategici per il trasporto di armi e equipaggiamenti militari, nei porti e nelle ferrovie. C’è bisogno di uno sciopero generale. Fermiamo le produzioni belliche. Disertiamo la guerra. 
 
Coordinamento cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari italiane all’estero
no_missioni_livorno@anche.no

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Per fermare la guerra imperialista: sciopero generale, azione diretta, diserzione!

Per fermare la guerra imperialista

sciopero generale

azione diretta, diserzione!

ritiro immediato delle missioni all’estero
Né un soldo né un soldato né un’ora di lavoro per la guerra!
All’alba di giovedì 24 febbraio è iniziato l’attacco della Russia all’Ucraina. Centinaia di milioni di proletar*, oppress*, sfruttat* stanno già pagando le conseguenze terribili a livello sociale e umanitario di questa guerra.
La crisi dell’egemonia imperialista porta il confronto tra le potenze sul piano delle scontro militare diretto. Chi paga direttamente le conseguenze di questa follia sono le popolazioni civili e soprattutto le classi sfuttate in Ucraina, Russia, Bielorussia e in tutta Europa.
Ribelliamoci alla guerra, con lo sciopero generale, contro il governo Draghi che ha aumentato le spese militari nel 2022 a 26 miliardi e vuole gettare l’Italia nel vicolo cieco della guerra con le missioni in Africa.
Federazione Anarchica Livornese cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it
——————-
Di seguito il testo del documento contro la guerra in Ucraina approvato dal convegno della Federazione Anarchica Italiana dello scorso 20 febbraio:
Fermiamo la guerra. Fermiamo il massacro. Sulla questione Ucraina
Di fronte all’escalation militare in Europa orientale, che vede Ucraina e Russia fronteggiarsi portando il confronto militare ai limiti dello scontro diretto, e con il pesante coinvolgimento di Stati Uniti e Unione Europea, la nostra posizione non può che mantenere il rifiuto degli imperialismi degli Stati e delle coalizioni contendenti, NATO e OTSC.
Le politiche di potenza degli stati, i nazionalismi, le piccole patrie, sono solo paraventi per nascondere lo sfruttamento delle classi lavoratrici, delle risorse, dei territori. Le ricadute di questo confronto, anche se non si dovesse arrivare a una guerra aperta, saranno comunque estremamente gravi, in primis per le popolazioni civili delle zone interessate che si trovano da anni in una situazione di conflitto e privazione materiale. Ma questo conflitto riguarda anche lavoratori e lavoratrici di tutta Europa, che stanno già vedendo i loro redditi falcidiati dagli aumenti dei costi dell’energia e dei beni di prima necessità, nonché dal taglio della spesa pubblica sociale a beneficio dell’aumento delle spese militari.
Il conflitto in corso si inserisce in uno scenario mondiale di crescente disordine a livello politico e militare. Gli Stati Uniti, sebbene rimangano ancora la prima potenza mondiale, da anni sono in evidente difficoltà tanto sul piano esterno, come dimostra la fuga precipitosa dall’Afghanistan, che su quello interno come mostrato dall’insorgenza sociale del 2020 e la ripresa del conflitto di classe. Dal canto suo, la Federazione Russa si trova in una posizione difensiva che la costringe ad attaccare per rimanere in piedi. La crisi apertasi nella sfera d’influenza russa, risultata evidente con la mobilitazione sociale in Bielorussia nell’estate del 2020 e con le proteste in Russia nel Gennaio 2021, mostra la fragilità dello Stato Russo tanto sul piano esterno che su quello interno. Fragilità che potrebbe essere fatale nel caso in cui anche solo uno degli Stati vicini possa collassare, come dimostra la brutale e sbrigativa repressione della rivolta in Kazakhstan del gennaio 2021.
Per quello che ci riguarda l’Italia è pesantemente coinvolta nel confronto, con le basi militari USA e Nato in tutto il paese, e in particolare con le installazioni in Sicilia utilizzate per il controllo della flotta russa nel Mediterraneo. Inoltre lo Stato Italiano è presente direttamente in Europa orientale con proprie truppe,e prende quindi parte concretamente alla spirale di guerra. In Lettonia sono dislocate truppe con carri armati e cingolati da neve, nell’ambito della missione “Baltic Guardian” della NATO; in Romania, nei pressi di Costanza, è presente una squadriglia di 4 caccia Typhoon nell’ambito della missione “Air Black Storm”; nel Mar Nero sono presenti la fregata FREMM “Margottini” e il cacciamine “Viareggio”, oltre alla portaerei “Cavour” con gli F-35. Questo spiegamento di forze è stato autorizzato con uno stanziamento di 78 milioni di euro, che sicuramente il governo dovrà incrementare. Già è stato annunciata l’intenzione di inviare nell’area altri 2000 soldati italiani. Le crescenti spese militari sono giustificate con la nostra sicurezza, ma nessuno dice che sicurezza è soprattutto educazione e sanità, reddito per tutti e non la guerra.
Come anarchici, intendiamo innalzare la bandiera della solidarietà tra le classi sfruttate, al di là ed al di fuori di qualunque nazione.
Per questo facciamo appello a tutti coloro che si oppongono alla guerra a rafforzare e rilanciare la lotta contro la politica guerrafondaia del governo italiano, per creare un ampio movimento antimilitarista che sappia imporre il ritiro delle missioni militari all’estero.
Nell’ipotesi di un conflitto aperto, la nostra posizione rimane quella del disfattismo rivoluzionario, della solidarietà, della fraternizzazione e della ribellione contro gli Alti Comandi di ciascuno Stato.
Federazione Anarchica Italiana – federazioneanarchica.org – cdc@federazioneanarchica.org
20 febbraio 2022

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FACCIAMOCI SENTIRE CONTRO LE GUERRE

SABATO 19 FEBBRAIO ORE 17:00
PIAZZA GRANDE – LIVORNO

FACCIAMOCI SENTIRE CONTRO LE GUERRE

Per fermare l’escalation imperialista in Ucraina
I governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, dell’Unione Europea e
della Russia insieme ai gruppi affaristici che li sostengono si
contendono il potere con armi ed eserciti giocando sulla pelle delle
classi sfruttate.

Per il ritiro immediato delle truppe, delle navi e degli aerei italiani
dall’Europa orientale
Lettonia: truppe con carri armati e cingolati da neve, nell’ambito della
missione “Baltic Guardian” della NATO
Romania: nei pressi di Costanza è presente una squadriglia di 4 caccia
Typhoon nell’ambito della missione “Air Black Storm”
Mar Nero: sono presenti una fregata FREMM, un cacciamine e una portaerei
con caccia F-35

Per fermare l’ampliamento della base USA di Camp Darby
Già oggi arsenale e nodo determinante per la logistica di armi e mezzi
nel Mediterraneo e non solo. L’ampliamento della base prevede tra
l’altro la creazione di una nuova linea ferroviaria, che trasporterà
fino a due treni carichi di armi ogni giorno.

Per impedire l’aumento delle spese militari.
Nel 2022 le spese militari hanno superato i 26 miliardi di euro. Nel
2021 1 miliardo e 100 milioni sono stati spesi solo per le missioni
militari italiani tra cui gli interventi neocoloniali in Africa.

Coordinamento Cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari all’estero

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Sosteniamo le lotte studentesche

SOSTENIAMO LE LOTTE STUDENTESCHE

A Livorno come in tutto il paese il movimento studentesco nato nelle scuole superiori sta portando nelle ultime settimane nelle piazze un nuovo protagonismo delle generazioni più giovani. L’opposizione all’alternanza scuola lavoro, ai tagli all’istruzione, al nuovo esame di stato, oltre al tema dell’edilizia scolastica che è esploso in questi due anni di pandemia, sono alcune delle questioni al centro delle lotte di questi giorni.

Manganellate a chi manifesta, divieti per i cortei, denunce, sgomberi violenti delle scuole occupate, minacce e ricatti. Le autorità – presidi o questori a seconda dei casi – hanno provato ad usare il pugno duro contro le proteste. Anche a Livorno non sono mancati i violenti tentativi repressivi delle istituzioni, per delegittimare, ridicolizzare e intimidire chi sta portando avanti questa lotta.

Per questo esprimiamo solidarietà verso lə studentə in lotta livornesi che si sono vistə negare la libertà di manifestare in piazza, hanno dovuto subire minacce di presidi e questore durante le occupazioni di queste settimane. L’apice di questo clima repressivo si è visto al liceo Enriques dove venerdì 11 si sono presentate le camionette del reparto mobile di Firenze per sgomberare la scuola occupata.

La prefettura, la questura, la provincia e il provveditorato, insieme ai dirigenti scolastici sono gli artefici di questo tentativo di reprimere il movimento studentesco. Sono gli unici responsabili di un clima di tensione nelle scuole che non si è mai visto in questa città negli ultimi decenni, almeno in modo così generalizzato.

Lə studentə in lotta hanno già dato una lezione a questi signori, non facendosi intimidire e proseguendo le iniziative di protesta.

La morte di Lorenzo Parrella e Giuseppe Lenoci nei tanti percorsi di formazione lavoro che incatenano le più giovani generazioni alla precarietà e allo sfruttamento già prima dei 18 anni, è il risultato dell’asservimento della scuola agli interessi delle aziende con le riforme degli ultimi 30 anni, sostenute da tutti i partiti che ora siedono in parlamento. È ora di dire basta alla scuola dello sfruttamento e dell’autoritarismo.

Le lotte studentesche di queste settimane danno indicazioni valide per tuttə: riprendiamoci tempi e spazi di libertà per confrontarci e creare legami solidali, blocchiamo la produzione, rovesciamo i divieti, organizziamoci per lottare e cambiare dal basso la società.

Collettivo Anarchico Libertario
Federazione Anarchica Livornese
18/02/2022

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Roberto Traverso “Kabuy”. Un ricordo.

pubblicato sul settimanale Umanità Nova n. 4 del 13 febbraio 2022

Roberto Traverso “Kabuy”. Un ricordo.

Venerdì 21 gennaio ci ha lasciato Roberto Traverso detto Kabuy, portatoci via all’età di 46 anni da un male devastante che in poco meno di due mesi lo ha condotto alla morte. Kabuy aveva iniziato a frequentare gli anarchici da giovanissimo, quando poco più che quattordicenne bazzicava i locali occupati dagli anarchici in via San Martino 108 (dove allora aveva sede anche la Biblioteca Franco Serantini) e non aveva mai più abbandonato le idee libertarie e l’attivismo politico e sociale, partecipando attivamente a tutti i movimenti di lotta e di liberazione che negli ultimi trent’anni hanno rischiarato l’infinita notte neoliberista.

Coi suoi capelli folti, lunghi e scompigliati, la barba da vichingo, i suoi occhi luminosi e il suo sorriso gentile e sempre un po’ sorpreso che lo facevano assomigliare a una qualche creatura del Piccolo Popolo, Kabuy c’era sempre. Alle manifestazioni, ai presidi, alle Critical Mass (dalle CM pisane a cui aveva partecipato sin dalla prima fatta nel 1999 alla Ciemmona romana di fine maggio che per lui era un appuntamento immancabile), al G8 di Genova, in Val Susa, a pulire alla fine dei free parties di Canapisa molto dopo l’alba (ai tempi in cui ai free parties di CAnapisa partecipavano più di 10mila persone e i free parties finivano a notte fonda) alle manifestazioni di Non Una Di Meno e a quelle di Fridays For Future.

Appartenente alla generazione che faceva le scuole superiori ai tempi dell’esplosione del movimento dei centri sociali, Kabuy aveva partecipato molto attivamente in particolare all’esperienza di Rebeldia, prima nelle sedi dell’Ex Etruria e di via Battisti in cui insieme ad altr* attivist* della CM pisana ha dato vita alla Ciclofficina (che tuttora continua al Circolo Anarchico di Vicolo Del Tidi) e poi nelle occupazioni dell’ex Colorificio e dell’ex Distretto Militare. Era stato poi uno degli occupanti del Galeone, insieme ad un gruppo di compagne e compagni dell’area del Garage Anarchico, fino allo sgombero nell’estate del 2019. Più recentemente, era entrato a far parte del Cantiere Sanbernardo insieme agli altri membri di Istanti Sonori, un’associazione di musicisti dediti all’improvvisazione più estrema che da alcuni anni organizza un appuntamento mensile a Sanbernardo e di cui era stato uno dei fondatori. Kabuy, infatti, era anche un talentuoso batterista: il piccolo metallaro che aveva iniziato a frequentare San Martino 108 si era trasformato in un cultore del free jazz e della musica sperimentale.

Era una persona che nella vita era stato segnato anche da tutta una serie di traversie che però aveva sempre saputo affrontare senza rassegnazione, in qualche modo sempre indomabile con uno spirito curioso e ribelle che non abbandonava neanche nei momenti più difficili. Tra di noi le chiamavamo poi Le Avventure del Kabuy, perché era una persona capace di una grande ironia in ogni circostanza.

L’ultima avventura, purtroppo, ora però è finita male e lunedì 24 si sono tenuti i funerali di Roberto in forma civile, che hanno visto la partecipazione di tantissime persone ritrovatesi a ricordare, a piangere e ad onorare un compagno buono, intelligente e generoso e che sono stati chiusi da una performance di Istanti Sonori e dal coro di Addio Lugano bella. Che la terra Ti sia lieve, fratello, compagno, amico!…

rb

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Africa occidentale: L’Italia fa la guerra coi golpisti

pubblicato sul n. 3 di Umanità Nova del 6 febbraio 2022

Africa occidentale: L’Italia fa la guerra coi golpisti

Il 24 gennaio c’è stato un colpo di stato militare in Burkina Faso. Si tratta del terzo colpo di stato militare in solo sette mesi nell’Africa occidentale. In Mali il 24 maggio 2021 una fazione dell’esercito ha deposto il governo militare instaurato solo pochi mesi prima, il 20 agosto 2020, con un altro colpo di stato. In Guinea il 5 settembre 2021 una sollevazione militare ha posto fine al potere del presidente Condé che stava avviando il suo terzo mandato consecutivo alla guida del paese.

Sono eventi molto gravi che non possono essere ignorati e devono essere anzi tenuti bene in conto nel considerare la situazione che ci troviamo di fronte in questo periodo di rilancio della lotta antimilitarista. Il nostro impegno infatti è almeno in larga parte concentrato sull’opposizione alle missioni italiane in quella regione. Innanzitutto alla partecipazione dell’Italia alla Task Force Takuba nel Sahel con l’invio di uomini e mezzi in un contesto di guerra vera proprio tra Mali, Burkina Faso e Niger, basti pensare che il 23 gennaio scorso la base operativa avanzata di Gao in Mali, dove si trovano anche alcuni militari italiani, è stata attaccata con colpi di mortaio ed un soldato francese è morto nel bombardamento. Ma anche alla missione bilaterale in Niger MISIN, che ha stabilito la prima base militare esclusivamente italiana nella regione. E infine alla missione aeronavale nel Golfo di Guinea. Sono queste le tre principali missioni – ve ne sono altre di portata minore e ruolo diverso – con cui lo stato italiano rilancia la propria proiezione militare all’estero, inasprendo il carattere imperialista, aggressivo e predatorio della propria politica estera.

Questi colpi di stato avvengono dunque in una regione in cui c’è una significativa presenza militare dell’Italia e in paesi con cui lo stato italiano sta proprio in questi anni costruendo nuovi rapporti. Basti pensare ai trattati stipulati dal 2017 con vari paesi dell’area come Niger, Ciad e Burkina Faso o all’apertura tra 2018 e 2020 di nuove ambasciate proprio in Niger, Burkina Faso e Guinea.

Sappiamo bene che lo scontro per l’influenza nella regione è di portata globale, il Sahel è uno dei luoghi dove le potenze combattono quello che chiamano il nuovo “scramble for Africa”, la Russia, la Cina, le monarchie del Golfo hanno ormai consolidato il loro intervento imperialista nell’area, con la Francia, gli stati europei e l’UE stessa, che cercano di rinnovare le forme del loro tradizionale dominio coloniale per non perdere le posizioni. Non è quindi facile capire se questa sequenza di colpi di stato sia opera di una o più potenze o se sia la risposta delle élite militari locali al contesto di guerra continua. Certamente però l’impegno militare dell’Italia nella regione non è stato messo minimamente in discussione dal governo italiano – almeno non pubblicamente – in seguito a questi gravi rivolgimenti politici, anzi il governo è intenzionato a incrementare il numero di militari assegnati alle missioni nel Sahel. Una prospettiva che non fa che gettare l’Italia nel vicolo cieco della guerra. Dopotutto ormai dal 2020 in Mali governano gli ufficiali golpisti ed è con questa dittatura militare che lo stato italiano – nel silenzio – collabora nella “lotta al terrorismo” e nella “gestione dei flussi migratori”. Premesse che potrebbero condurre ad orrori ben peggiori di quelli che si verificano in Libia. Dopo il colpo di stato in Burkina Faso, condannato solo dall’ECOWAS e dall’Unione Africana, tutto lascia pensare che la guerra dell’Italia nel Sahel continuerà, nel silenzio, al fianco di una nuova dittatura militare.

«Il Movimento Patriottico per la Salvaguardia e la Restaurazione ha deciso di assumersi le proprie responsabilità» ha dichiarato in televisione il tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba annunciando la deposizione di Kaboré, il presidente del Burkina Faso in carica dal 2015. La costituzione è stata sospesa, il governo e il parlamento sono stati sciolti e le frontiere sono state chiuse. La nuova giunta militare – affermano gli ufficiali – sarà solo un governo transitorio per garantire “sicurezza”, “unità nazionale” e una efficace “lotta al terrorismo jihadista”.

Le stesse parole si trovano nelle dichiarazioni pubbliche dei golpisti in Mali e in Guinea, ma la corrispondenza non è solo dovuta al fatto che le formule con cui si presenta il potere eccezionale siano più o meno ovunque le stesse. È chiaro che c’è un legame tra questi colpi di stato, che sono parte dei processi in corso nel più ampio contesto della regione.

Il colpo di stato a Ouagadougou ha suscitato una certa attenzione a livello internazionale imponendo a media, osservatori e analisti di dare una lettura a questa sequenza di sollevazioni militari.

Molti hanno sottolineato come nei tre paesi le giunte militari siano guidate da giovani ufficiali. Altri evidenziano il carattere “populista” di questi governi, con particolare riferimento a come in Guinea e in Burkina Faso gli ufficiali affermino di avere il mandato del popolo per deporre politici corrotti e generali irresoluti. E alcuni pongono attenzione a come queste iniziative dei militari abbiano saputo approfittare del malcontento sociale causato dalla crescente disoccupazione e povertà, dall’insofferenza nei confronti dei vertici politici e militari, dovuto non solo alla corruzione ma anche al protrarsi della guerra. Altri guardano alla partita che stanno giocando le potenze per il controllo delle risorse, dalla bauxite al litio, dalle terre rare all’uranio.

Tutte queste letture possono aiutare a comprendere quello che sta succedendo, ma nessuno pone al centro la questione delle missioni militari, della presenza di eserciti e mercenari da tutto il mondo in quei paesi. È chiaro che l’inserirsi di potenze estere nella guerra tra i governi centrali di questi stati e le truppe principalmente islamiste ma non solo che ne minacciano il potere, non ha fatto che estendere e rendere più violento questo conflitto anziché risolverlo. La guerra diviene un elemento strutturale, le necessità militari sono in costante aumento e le relazioni con l’estero, la cooperazione e gli aiuti internazionali si muovono in misura sempre maggiore sui canali della difesa e della sicurezza, in questo modo gli eserciti vedono crescere il proprio potere, assumono un ruolo sempre maggiore nella società. Mentre i governi civili vedono restringere la propria legittimità fino ad essere deposti. La strategia della Francia, condotta principalmente attraverso l’operazione Barkhane, è fallita ed era destinata a fallire perché l’inasprimento del conflitto che essa ha deteriminato, ha armato nuove forze, ha dato opportunità a nuove potenze di scendere in campo, ha dato all’esercito un potere immenso. Adesso non potrà che inasprirsi ulteriormente la situazione in questi paesi dal momento che sono gli eserciti al potere a trattare direttamente gli accordi militari, le forniture di armamenti, le forme di cooperazione nel settore della difesa.

Con falsa ingenuità alcuni esponenti del think tank italiano si chiedono come mai l’Italia, e soprattutto l’UE non intervengano per condannare queste forme di “accesso illegittimo al potere”, e preferiscano la tutela dell’ormai assoluto “interesse nazionale” a creare le prospettive di “buon governo” che sarebbero alla base della politica in Africa dell’UE. Ma proprio nel Sahel si sta mettendo in atto il primo vero intervento di “difesa comune” dell’Europa, in quei paesi si trova spiegato di fatto l’esercito europeo che sulla carta deve ancora vedere davvero la luce. L’Unione Europea che è accorsa in aiuto della Francia, ormai impantanata in questa guerra, ha quindi una responsabilità centrale in questo conflitto e quindi anche nei rivolgimenti autoritari in atto.

Probabilmente la soluzione delle giunte militari è l’unica possibilità per chi vuole continuare la guerra nel Sahel. La situazione sociale disastrosa, l’ostilità verso gli eserciti stranieri e soprattutto verso le truppe francesi, l’avversione nei confronti dei governi e dei presidenti ormai compromessi dalla collaborazione con la Francia e dalla corruzione potevano rischiare di rallentare il conflitto e i grandi affari da cui tutte le potenze, indipendentemente dagli schieramenti che sostengono, alla fine traggono profitto. La guerra è garantita. Non si fermerà da sola, sta a noi fermarla iniziando a pretendere il ritiro delle missioni militari italiane in Africa e nel Sahel.

Dario Antonelli

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Vecchio scarpone: Anche l’Italia partecipa all’escalation in Europa Orientale

pubblicato sul n. 3 di Umanità Nova del 6 febbraio 2022

Vecchio scarpone

Anche l’Italia partecipa all’escalation in Europa Orientale

Sono stato indeciso se rendere pubbliche o meno queste mie riflessioni sulla crisi in Ucraina, da una parte per non aggregarmi alla variopinta schiera degli estimatori di Putin, dall’altra per non sbilanciarmi in affrettate previsioni che possono essere sempre smentite dall’evoluzione degli avvenimenti.

La recente presa di posizione del presidente ucraino Zelensky lancia più di un’ombra sulla campagna allarmistica in atto negli USA e in Europa a proposito della minaccia di invasione russa. In una conferenza stampa con i media stranieri, il leader ucraino affermato che la minaccia di invasione russa non è più alta oggi che nel 2021, e non si vede un’escalation russa. La priorità per le autorità di Kiev è la stabilità interna e soprattutto la stabilizzazione dell’economia.

Il reportage sull’Ucraina pubblicato su “Avvenire”, quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, del 30 gennaio si apre con le parole “il fronte orientale”. Al di là delle dichiarazioni ufficiali della gerarchia e del pacifismo a corrente alternata di “Avvenire”, la Chiesa si mostra una delle fonti che alimentano la tensione internazionale.

Il ruolo della Russia all’interno della politica internazionale è ben diverso da quello dell’URSS fino a più di trent’anni fa. E questo non solo per lo scompaginamento territoriale e per lo sgretolamento delle alleanze di cui l’Unione Sovietica era al centro. Ora Mosca è perfettamente integrata nel sistema di potere dell’imperialismo anglo-americano, dopo l’adesione al Fondo Monetario Internazionale e all’Organizzazione Mondiale del Commercio, organismi internazionali controllati da Washington. La successiva adesione della Cina a questi organismi ha segnato la fine del mercato mondiale, costituito da scambi basati sull’oro, divenuto mercato domestico USA costituito da scambi basati sul dollaro.

Lo spazio di autonomia della Russia è quindi più ristretto di quello della vecchia Unione Sovietica, se Putin si trova a svolgere il ruolo del “vilain” nel teatrino della politica estera USA è perché ha tutte le caratteristiche del personaggio e non solo perché i media occidentali lo dipingono così. I recenti allori conseguiti in Kazakistan, grazie ai massacri dei ribelli, il sostegno a dittatori a giro per il mondo, dalla Bielorussia, alla Siria, all’Egitto, il clima di dura repressione interna caratterizzano il regime personificato da Putin come marcatamente autoritario.

Perché allora gli USA hanno bisogno di alimentare il clima di guerra con la Russia?

È bene ricordare gli avvenimenti che hanno accompagnato l’elezione di Sleepy Joe alla presidenza degli Stati Uniti. La convalida del voto, all’indomani della scomposta manifestazione dei sostenitori dell’ex-presidente Trump, si è svolta in condizione di stato di emergenza proclamato dal sindaco di Washington per 15 giorni, con la sede del congresso circondata da contingenti della Guardia Nazionale della Virdinia, del Mariland e del Distretto di Columbia e con l’ombra del tradimento che aleggiava sugli oppositori del presidente eletto. L’insediamento di Biden, per cui si prevedevano nuove clamorose proteste, è stato preceduto da un pronunciamiento dello Stato Maggiore Congiunto, organo che riunisce i capi di stato maggiore di ciascun ramo delle forze armate USA e il capo dell’Ufficio della Guardia Nazionale, in cui i fatti del 6 gennaio erano condannati come insurrezione e sedizione, invitando inoltre i membri delle Forze Armate a sostenere e difendere la costituzione e il processo costituzionale (che aveva portato all’elezione Joe Biden nda); il 20 gennaio 2021, giorno dell’insediamento di Biden, erano schierati a Washington oltre 25 mila militari. La protezione dei militari ha quindi garantito il passaggio dei poteri fra l’amministrazione Trump e quella Biden.

Le ragioni di questo favore sono presto dette: il budget per la Difesa, preparato dall’amministrazione Trump per l’anno fiscale 2021, non prevedeva aumenti; il presidente Trump in persona ava posto il veto, il 20 dicembre 2020, sulla legge approvata dal Congresso che autorizzava le spese del Dipartimento della Difesa per il 2021, che aveva portato il budget dai 705 previsti dalla Casa Bianca a 740 miliardi di dollari. Il veto metteva in pericolo il pagamento dell’indennità di rischio delle truppe, i progetti di nuove costruzioni militari, quelli per la sicurezza informatica ecc.. Il primo Budget per la Difesa, approvato dal -congresso sotto l’amministrazione Biden, è stato definito come la più ampia autorizzazione di spesa nella styoria, dopo quello del 2011, che aveva visto il picco nell’impiego di truppe statunitensi in Iraq e in Afghanistan. L’importo di spesa passa da 740 a 768 miliardi di dollari.

L’aumento di spesa per oltre la metà va agli appaltatori, alle corporations del complesso militare-industriale, che si occupa di tutto, dalla logistica al lavoro d’ufficio, dall’intelligence alla sicurezza privata. Secondo Open Secrets, l’industria bellica ha speso quasi 100 milioni di dollari in attività di lobbyng per condizionare le scelte del Congresso. Non c’è da stupirsi, il complesso militare-industriale plasma Washington da oltre un secolo.

C’è inoltre da tener presente che il 2022 per gli USA è un importante anno elettorale: con le elezioni di mid-term, in cui vengono eletti la Camera dei rappresentanti e un terzo dei membri del Senato. Il partito democratico rischia di perdere il controllo di entrambi i rami del Congresso, con inevitabili ripercussioni per Joe Biden e la possibilità di portare avanti la sua politica. La Lockheed-Martin, una delle cinque più grandi compagnie statunitensi impegnate nell’industia bellica, ha impianti in ogni Stato: una politica di aumento delle spese militari, di aumento dei guadagni delle grandi compagnie si può quindi tradurre in consenso elettorale, non solo a livello centrale, ma anche nei singoli Stati che mandano i loro rappresentanti al Congresso.

Anche se gli esperti della sicurezza nazionale della Casa Bianca vedono nella Cina la minaccia più urgente, è comprensibile che Biden cerchi una vittoria, anche solo diplomatica, nei confronti di un osso che crede meno duro, che faccia dimenticare il pandemnio scatenato dalla ritirata in Afghanistan. D’altra parte l’elevarsi della tensione mediatica internazionale giustifica l’espansione delle basi militari Usa attorno al mondo, ed in Europa Orientale in particolare, soddisfacendo i famelici interessi dei militari e dell’industria delle armi.

Il settore dell’energia non va dimenticato. Gas e petrolio hanno avuto un ruolo fondamentale nel processomdi accumulazione capitalistico negli Stati Uniti a partire dalla fine del XIX secolo. Dal 2014 la produzione di gas e petrolio ha conosciuto una nuova espansione, dopo la crisi degli anni ‘70 del secolo scorso e la conseguente recessione. Nonostante le promesse elettorali, l’amministrazione Biden non ha alcuna intenzione di porre limiti all’espansione delle perforazioni, siano esse in terraferma o sui fondali marini. Oltre a questo il recente aumento del prezzo del petrolio ha rimesso sul mercato le costose tecnologie di produzione di petrolio e gas da scisto, il cosiddetto fracking. D’altra parte, proprio alla fine del 2021 la Commissione UE ha dato via libera a gas e nucleare come fonti utili per la transizione verde. Questa scelta potrebbe aprire un nuovo mercato per i combustibili fossili USA, ma al momento attuale rischia di legare ancora di più l’Unione Europea alla Russia, maggiore e più economico fornitore di gas, rendendo inutili gli investimento fatti nei rigassificatori, che permetterebbero di utilizzare il costoso GNL, gas naturale liquefatto, naturalmente made in USA.

Nell’attività diplomatica attorno all’attuale crisi ucraina è quindi entrato anche il gasdotto North Stream 2. Il nuovo gasdotto fornirà all’Unione Europea 55 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno. Corre parallelo al già esistente North Stream, e permetterebbe al gas russo di raggiungere l’Europa senza attraversare Polonia, Ucraina e Bielorussia; i rispettivi governi vengono quindi esclusi dai diritti di transito e nn possono sospendere il transito del gas per mettere pressione alla Russia e all’Unione Europea. L’amministrazione USA non è contenta che siano bypassati sia gli stati baltici, sia quelli del gruppo di Vysegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria) principale centro di pressione dell’imperialismo anglo-americano all’interno dell’Unine Europea.

La crisi ha pesanti contraccolpi all’interno dell’Unione Europea, oltre che nei singoli Stati che la compongono, ma non interrompe la marcia verso una struttura unificata di difesa, nell’ottica di costituire la terza gamba, oltre agli USA e al Regno Unito, della NATO.

L’Italia si conferma paese di punta dell’impegno militare europeo: come scrive “Il Fatto Quotidiano”, in un articolo del 25 gennaio, truppe italiane sono in Lettonia, con carri armati e cingolati da neve, nell’ambito della missione “Baltic Guardian” della NATO; nei pressi di Costanza (Romania) è presente una squadriglia di 4 caccia Typhoon nell’ambito della missione “Air Black Storm”; mentre nel Mar Nero sono presenti la fregata FREMM Margottini e il cacciamone Viareggio. Ad essi si aggiungerà la portaerei “Cavour” con gli F-35, nell’ambito delle ennesime manovre NATO che si svolgeranno nelle prossime settimane, assieme alla portaerei francese De Gaulle e alla statunitense Truman.

Questo spiegamento di forze è stato autorizzato con uno stanziamento di 78 milioni di euro, che sicuramente il governo dovrà incrementare. Non si può escludere che lo scostamento di bilancio di cui si sta discutendo serva proprio ad incrementare la presenza militare italiana nello scacchiere.

Le crescenti spese militari sono giustificate con la nostra sicurezza, ma nessuno dice che sicurezza è soprattutto educazione e sanità, reddito garantito per tutti, non la guerra fra le dune infuocate o nelle steppe gelate.

Anche se forse nessuno vuole realmente la guerra oggi, le continue dimostrazioni di forza, la corsa agli armamenti, la concorrenza commerciale continuano a gettare benzina sul fuoco della crisi internazionale.

Solo un fronte proletario internazionale può fermare la corsa verso la guerra, combattendo tutti gli imperialismi a partire dal proprio imperialismo.

Basta missioni militari all’estero!

Tiziano Antonelli

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La salute è un lusso per ricchi!

La salute è un lusso per ricchi!

I numeri della Pandemia non dicono quello che non è stato fatto per arginarli

L’attuale governo è in continuità con i precedenti: scellerate politiche di privatizzazione e di taglio del personale e delle infrastrutture ospedaliere. Infermieri, personale medico strutturato, assistenti sanitari hanno subito una riduzione numerica drastica. Chi è ancora in attività è costretto a turni massacranti. I posti letto sono calati del 30% tra il 2000 e il 2017. Era chiaro fin dal principio che il sistema sanitario non avrebbe mai potuto reggere il colpo. Eppure nulla è stato fatto per invertire la rotta. La logica che i governanti hanno seguito è stata sempre quella di salvaguardare la produzione e la circolazione di merci, assecondando le imprese e i loro interessi. In compenso sono stati più di 400.000 gli interventi chirurgici rimandati per impossibilità di tenere sotto osservazione pazienti in convalescenza postoperatoria. Tra questi, malati di tumore o con problemi cardio-vascolari, o altri divenuti inoperabili a causa dell’attesa prolungata. A questo si sono aggiunte cancellazione o sospensione di visite ed esami diagnostici. Numeri veramente impressionanti che si sommano alle mancate prestazioni sanitarie. Una diminuzione delle attività programmate dell’80%.
Ma salute non significa solo assenza di malattia, non è “solo” una domanda di posti letto in ospedale, di finanziamenti o di tamponi, ma riguarda anche le condizioni sociali e materiali delle persone nel loro complesso. La privatizzazione e la destrutturazione dei servizi territoriali, la riduzione dei consultori a ambulatori burocratici erogatori di servizi e non più spazi di ascolto, vicini a chiunque ne abbia bisogno, quartiere per quartiere sono problematiche già presenti prima della pandemia

La salute è sempre più un lusso per pochi

e soprattutto per ricchi

L’imposizione del green pass da parte del governo Draghi non ha mai avuto come obiettivo il contenimento del contagio. Si tratta di uno strumento di controllo da una parte e di distrazione sociale dall’altra, dal momento che il vaccino – misura sanitaria importante e necessaria – riduce la mortalità ma non è ad ora in grado di immunizzare totalmente.
La gestione criminale dell’emergenza pandemica, la scelta arbitraria di non garantire prevenzione e cura, preferendo investire ingenti somme di denaro nel comparto bellico, nelle grandi opere, nel sostegno alle imprese a discapito della spesa sociale, è sotto gli occhi di tutti.
Alla tutela della salute viene anteposta la logica del profitto a tutti i costi. “Produci, consuma, crepa” è il paradigma dominante.
Le nostre vite contano solo all’interno dell’ingranaggio del sistema statale e capitalista che ci vuole obbedienti e produttivi. È sempre più urgente innescare percorsi di solidarietà e lotta che sappiano sottrarre alle grinfie del controllo statale e della speculazione privata, i servizi necessari alla collettività. La costruzione di spazi di autogestione della vita e della salute, sono l’unica reale via d’uscita dall’incubo nel quale ci troviamo a vivere.

Le nostre vite valgono più dei loro profitti

Federazione Anarchica Livornese – FAI

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La scuola-azienda uccide Solidarietà allə studentə in lotta!

Student* in piazza stamani anche a Livorno
Manifestazione organizzata dal Collettivo Scuola di Carta dalle ore 9.30 in P del Municipio
Sostegno anche delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola, che stamani hanno scioperato in molti istituti scolastici, le porte del Liceo Enriques sono rimaste chiuse stamani per sciopero.

La scuola-azienda uccide
Solidarietà allə studentə in lotta!

La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario esprimono piena solidarietà alle lotte studentesche e sostengono la proteste di chi lotta contro una scuola che riesce solo ad essere un luogo in cui la cultura è imposta a colpi di autorità, in cui si sprecano risorse per progetti e iniziative di stampo aziendalista, in cui si riproduce la divisione classista della società, in cui si propaganda la cultura della competizione e del servilismo. Ammassati in classi pollaio a scuola, sbattuti in alternanza fuori dalla scuola. Consegnati allo sfruttamento, addestrati alla precarietà, scaraventati spesso dall’alternanza scuola lavoro  n quelle medesime situazioni lavorative in cui ogni giorno muoiono 4 lavoratori. Per Lorenzo Parelli, 18 anni, studente di un corso di formazione professionale, è stato così. La storia dell’alternanza conta una lunga serie di “incidenti”: studenti che precipitano da cestelli elevatori, travolti da strutture di ferro, che riportano amputazioni e lesioni per crolli o cedimenti di strutture meccaniche. Una sequenza di incidenti non casuali, dovuti alla mancanza di sicurezza dettata dalla ricerca del profitto che non risparmia nessuno,  nemmeno uno studente che in quel momento dovrebbe stare da tutt’altra parte, non certo a lavorare gratis in situazione di estremo sfruttamento e di pericolo. Eppure fino ad ora il modello di alternanza scuola lavoro non è stato seriamente riconsiderato. Oggi gli studenti mettono sotto accusa il sistema dell’ alternanza scuola lavoro e il modello di scuola in cui si trovano a studiare. Allo stesso tempo vengono messi al centro i problemi strutturali, la speculazione edilizia che mantiene le scuole in condizioni fatiscenti e degradate, talvolta anche nocive, se si pensa ad esempio a tutte le scuole in cui ancora è presente amianto. Niente risorse per le reali necessità della scuola, nemmeno in periodo di pandemia. Così come non ci sono risorse per la sanità. Scuola e sanità pubblica affossate, a fronte di foraggiamenti del settore privato e di risorse sempre più ingenti per il settore militare, l’unico che vergognosamente non conosce crisi.
Da mesi in molte scuole di varie città italiane si stanno svolgendo occupazioni e proteste studentesche contro un modello di scuola fallimentare. Proteste che testimoniano un malcontento e una voglia di ribellione espressa anche dal mondo del lavoro, più o meno formale, animato da scioperi, picchetti, assemblee contro licenziamenti e sfruttamento; proteste espresse anche da  fasce popolari e da ampi settori sociali contro sfratti, carovita e caro bollette. La gestione securitaria dell’emergenza sanitaria, la medesima che vieta manifestazioni a lavoratori e studenti, la medesima che aziona i manganelli di solerti funzionari contro studenti, come è successo a Roma domenica scorsa, non riesce a sopire il malcontento e l’opposizione sociale. Sosteniamo queste mobilitazioni, diamo forza alle proteste, uniamo le lotte presenti nella scuola nel mondo del lavoro e nei contesti sociali.

Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario

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Manifestazione 29 gennaio: Solidarietà ai lavoratori MT

Solidarietà ai lavoratori MT
Basta sfruttamento, prendiamo in mano le nostre vite!

La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario parteciperanno alla manifestazione di sabato 29 indetta in solidarietà con i lavoratori MT dell’appalto Bertani, a fianco di tuttə quellə che combattono quotidianamente nei posti di lavoro contro l’arroganza dei padroni e delle istituzioni.
La responsabilità della crisi occupazionale che attraversa oggi l’Italia è in primo luogo delle scelte del governo Draghi, che ha deciso prematuramente di sospendere il blocco dei licenziamenti, appoggiato dai dai sindacati collaborazionisti.
Al di là delle cause contingenti delle singole crisi aziendali, l’attuale fase produttiva si caratterizza per una costante diminuzione della richiesta di forza lavoro.
Questa trasformazione strutturale ha un impatto inevitabile sull’occupazione e sul reddito dei ceti popolari. Siamo convinti che sia possibile trasformare questo fenomeno da una minaccia in una opportunità, a condizione che nasca un movimento operaio autonomo e organizzato, un movimento di lotta per la riduzione del tempo di lavoro a partire dalla abbassamento dell’età pensionabile, un movimento di lotta per il reddito a partire dal reddito garantito per tuttə.
E noi ci si venga a dire che non ci sono soldi: basta mettere fine alle infinite regalie (finanziamenti, crediti di imposta, tariffe agevolate, rimborsi e chi più ne ha più ne metta) a favore di attività commerciali ormai fallite, piccole e grandi, industriali, agricole, finanziarie. Non sono le singole aziende ad essere fallite, è il modo di produzione capitalistico ad aver fatto bancarotta.
Spetta alle lavoratrici e ai lavoratori organizzati riprendere in mano la propria vita.

Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario

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