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Solidarietà senza frontiere! Striscioni al consolato francese e ai 4 mori

DALLA MANICA AL MEDITERRANEO

BASTA SGOMBERI E VIOLENZE DEI GOVERNI!

SOLIDARIETÀ ALLE PERSONE MIGRANTI!

BASTA MORTI NEI CPR, CHIUDERE I NUOVI LAGER!

LIBERTÀ PER EMILIO!

Ci uniamo alle iniziative di solidarietà e di lotta contro le frontiere che in questi giorni si tengono in tutto il mondo. Come ogni anno la giornata del 18 dicembre mostra come solo l’azione diretta, il mutuo appoggio, la solidarietà possano spezzare la catena di violenza, sfruttamento e oppressione che schiaccia le vite di milioni di persone migranti nel mondo. Non possono certo farlo le Convenzioni delle Nazioni Unite che restano lettera morta per oltre 30 anni, non possono essere gli Stati che – come l’Italia – neanche firmano queste convenzioni, e che sono responsabili ogni anno della morte, della deportazione e dell’internamento di migliaia di persone. In questi giorni, come sempre, siamo con chi nel mondo grida “Libertà di movimento per tutt*!”, “Nessun* è illegale!”

Solidarietà con chi è costretto dalle politiche razziste e autoritarie dei governi a compiere viaggi pericolosi per attraversare un confine. Solidarietà a chi è internato nei centri di detenzione per senza documenti, con chi è costretto a vivere nell’isolamento, nell’emarginazione a causa delle violenze e dei ricatti delle forze di polizia, del razzismo di stato, dello sfruttamento selvaggio sul lavoro, delle politiche di separazione sociale. Solidarietà a chi lotta per la libertà da Lampedusa a Calais in Francia, da Melilla in Spagna a Byalistok in Polonia!

Chiudere i CPR, i centri di permanenza per il rimpatrio in cui in Italia vengono rinchiusi coloro che non hanno i documenti in regola, è sempre più urgente. Il 28 novembre Wissem Ben Abdellatif, 26 anni, tunisino, è morto in contenzione psichiatrica, legato, all’ospedale San Camillo di Roma. Era rinchiuso nel CPR di Ponte Galeria, dove era stato inserito in un percorso psichiatrico da cui non è uscito vivo. Domenica 5 dicembre, R., del Marocco è morto mentre era rinchiuso nel CPR di Gradisca d’Isonzo. Il governo vuole aprire nuovi CPR, rilanciamo la lotta per chiudere ovunque tutti i nuovi lager!

A Calais, sulla Manica, la repressione del governo contro le persone migranti che cercano di attraversare il mare per raggiungere l’Inghilterra è sempre più violenta, sgomberi quotidiani delle tendopoli nei boschi, distruzione e sequestro illegale delle tende e degli averi di chi vive negli insediamenti. Droni, sensori di calore, filo spinato, pallottole di gomma, gas e cani. Queste sono solo alcune delle armi che la Francia usa per fare la guerra alla popolazione migrante. Lo scorso 27 novembre sono morte 27 persone in mare, a poche centinaia di chilometri da Londra e Parigi, dove i governi stanno trattando come meglio trarre profitto dalla Brexit, in un gioco di potere tra gli stati fatto sulla pelle delle persone. Solidarietà con tutte le persone migranti, e con tutti coloro che lottano contro le frontiere sulle coste della Manica!

La solidarietà è lo strumento più forte che abbiamo, soprattutto davanti alla collaborazione tra i governi nelle politiche razziste e repressive. Il 26 novembre a Roma è stato firmato da Macron e Draghi il nuovo Trattato d’amicizia tra Italia e Francia. È un trattato di amicizia tra i governi per portare insieme la guerra in Mali e in Libia, per far fare più grassi profitti alla grande industria, per militarizzare la società con il servizio universale obbligatorio per i giovani, per chiudere ancora di più i confini, per cooperare sempre di più nella repressione dei movimenti di lotta. Gli stati europei, al di là delle divergenze politiche, collaborano strettamente nella repressione. La vicenda di Emilio è emblematica. Storico militante NO TAV della Val di Susa, vicino al confine con la Francia, è stato estradato in Francia in conseguenza di un Mandato d’Arresto Europeo emesso dalla magistratura di Gap accusato ingiustamente di aver aggredito un gendarme francese lo scorso maggio durante una manifestazione No border a Clavière. Emilio è chiuso nel carcere di Aix Luynes per la sua attvità di solidarietà. Libertà per Emilio!

Collettivo Anarchico Libertario collettivoanarchico@hotmail.it // collettivoanarchico.noblogs.org

Federazione Anarchica Livornese cdcfedanaarchicalivornese@virgilio.it // federazioneanarchica.org

 

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Contro tutti i confini! Sosteniamo i no borders in Polonia!

Contro tutti i confini
Solleviamoci in solidarietà!
Sosteniamo i no borders in Polonia!
Come Federazione Anarchica Livornese e Collettivo Anarchico Libertario rispondiamo all’appello alla solidarietà internazionalista lanciato dal No Borders Team attivo sul confine tra Polonia e Bielorussia in solidarietà concreta con coloro che cercando di passare il confine sono schiacciati dalle politiche assassine dell’Unione Europea, dei governi polacco e bielorusso. Abbattiamo le frontiere! Nostra patria è il mondo intero!
Di seguito l’appello:
Il movimento no borders in Polonia fa appello per una settimana di azioni di solidarietà dal 6 al 13 dicembre, invitando le realtà che lottano per un mondo senza frontiere a dar vita a iniziative coordinate. Di seguito l’appello del No Borders Team sostenuto anche dalla Federazione Anarchica Polacca.
APPELLO ALLE AZIONI DI SOLIDARIETÀ
dal 6 al 13 dicembre
Da diversi mesi stiamo assistendo a un gioco politico tra Unione Europea, Russia, Polonia e Bielorussia. Come spesso è già avvenuto negli scorsi anni, le persone private delle loro case e in cerca di una vita migliore, sono diventate strumento delle autorità statali.
Trattate come strumenti in questo conflitto, ne sopportano i costi diretti. Muoiono alla frontiera, vengono torturate, picchiate, violentate e abusate in ogni modo possibile. La situazione in cui si trovano è il risultato diretto della politica anti-immigrazione dell’Unione Europea, che viene usata senza scrupoli dal regime di Lukashenka.
Come movimento no borders in Polonia, vogliamo invitare ad attività coordinate tutti i gruppi in Europa che condividono l’idea di un mondo senza frontiere.
Vogliamo fare pressione sulle autorità della Polonia e dell’Unione Europea ed esprimere solidarietà a tutte le persone in viaggio. La decisione sulla forma da dare alle vostre azioni, la lasciamo prendere a voi. Manifestazioni davanti alle ambasciate e ai consolati polacchi, accensione di candele, campagne di graffiti, striscioni, feste di solidarietà, benefit, incontri e tutte le altre attività, dovrebbero diventare parte della nostra opposizione alla militarizzazione delle frontiere e alla restrizione del diritto di movimento.
Anche se stiamo agendo contro una grande macchina che ha soldati, polizia, tribunali e media al suo servizio, crediamo che grazie alla solidarietà transnazionale saremo in grado di opporci efficacemente a questo sistema.
Settimana di azioni dal 6 al 13 dicembre 2021
Se hai domande, suggerimenti, idee o vuoi contattarci,
scrivi a: no_borders_team@riseup.net
No Borders Team (Polonia)

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NO DRAGHI DAY!

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Mobilitiamoci per mandare a casa il governo della guerra, della pandemia, della miseria, della disoccupazione

4 dicembre: no Draghi day

La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario appoggiano la mobilitazione del sindacalismo di base e conflittuale contro il governo Draghi, per questo partecipano e invitano a partecipare al presidio organizzato a Livorno dai sindacati di base e conflittuali il 2 dicembre in Piazza Grande alle ore 17.

La legge di bilancio che il governo ha inviato al Parlamento prevede tagli solo per i ceti popolari, dalle pensioni al reddito di cittadinanza, a vantaggio dei finanziamenti alle imprese.

L’assegno unico per i figli a carico è uno squallido bluff, che riduce i contributi per famiglie fino a due figli a carico, che sono la maggioranza.

Il taglio dell’IRPEF va a vantaggio dei redditi medio-alti; per i senza reddito e per gli incapienti, cioè per chi ha un reddito tanto basso da non poter beneficiare delle detrazioni, non avranno niente.

Le spese militari continuano ad aumentare, ben più dell’inflazione e dell’aumento del Prodotto Interno Lordo, trainate anche dalle missioni militari all’estero. Le misure che potrebbero colpire i ceti privilegiati e la gerarchia clericale, come la patrimoniale o il nuovo catasto, sono riposte nel cassetto.

La ripresa economica, di cui il governo si vanta, è costruita sui sacrifici delle classi sfruttate. Il numero delle per sone in povertà assoluta è cresciuto da 4 milioni a 5 milioni e 600 mila nel 2020, mentre la disoccupazione resterà alta per tutto il 2022, secondo il Centro Studi Confindustria. I nuovi contratti di lavoro non fanno che aumentare le varie forme di precariato. Aumentano gli incidenti sul lavoro, gli omicidi bianchi aumentano del 41% nello stesso periodo dell’anno precedente. La sicurezza reale viene completamente ignorata, mentre il governo spacia per sicurezza quella che è invece una gestione autoritaria e poco efficace dell’emergenza sanitaria

La giornata del 4 dicembre è un’ulteriore tappa del percorso unitario intrapreso dal sindacalismo di base e conflittuale, che ha già visto il successo dello sciopero generale dell’11 ottobre. Questo percorso si interseca con la mobilitazione antimilitarista che ha avuto un importante appuntamento il 20 novembre a Torino, con la manifestazione contro il Defense and Aerospace Meetings. La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario sostengono queste iniziative di lotta e auspicano che il sindacalismo di base e conflittuale possa costruire ulteriori scadenze di sciopero per contrastare gli effetti della legge di bilancio.

Federazione Anarchica Livornese

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cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

Collettivo Anarchico Libertario

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NO DRAGHI DAY: giovedì 2 a Livorno e sabato 4 a Firenze

IL SINDACALISMO DI BASE E CONNFLITTUALE DICE NO!

MANIFESTAZIONE REGIONALE SABATO 4 DICEMBRE

FIRENZE PIAZZA della stazione ore 15

Appuntamento per parteciparvi alle ore 12:30 stazione di Livorno

GIOVEDÌ 2 DICEMBRE ORE 17 PRESIDIO E ASSEMBLEA IN PIAZZA GRANDE a Livorno

La Legge di Bilancio prodotta dal governo Draghi conferma il nuovo e pesante attacco alle condizioni di vita dei settori sociali più deboli del paese mentre stanzia ulteriori risorse per le grandi imprese, le rendite finanziarie e il settore militare

Si conferma la linea politica dell’aumento delle disuguaglianze, con aumenti dei prezzi delle materie prime e dell’energia.

Sulle pensioni si mantiene il famigerato impianto della Fornero con un rialzo dell’età pensionabile.

Sul Reddito di Cittadinanza si introducono misure per restringerne la platea.

Sul fisco si preannuncia l’abolizione dell’IRAP, cioè dell’unica tassa ineludibile per le imprese.

Vengono sbloccati i licenziamenti attaccando ancora di più l’occupazione, favorendo sfruttamento e precarietà

Crescono i morti sul lavoro e gli infortuni.

Quasi inesistenti gli investimenti pubblici nei settori chiave della vita sociale, come sanità, scuola e trasporti urbani, fondamentali anche per contrastare la diffusione della pandemia.

Viene inoltre riesumato il pericolosissimo progetto di autonomia differenziata, destinato ad aumentare le differenze territoriali e sociali.

A completare il piano di Draghi c’è invece il disegno di legge del governo sulla concorrenza che prepara una privatizzazione selvaggia di tutto ciò che resta ancora di pubblico nel nostro paese: dai trasporti locali all’energia, dall’acqua all’igiene ambientale, dai porti fino alla liberalizzazione dei taxi e ad un rilancio in grande stile della sanità privata. Draghi sta soddisfacendo tutte le richieste di Confindustria con il silenzio complice di Cgil, Cisl, Uil. Il governo dà copertura alle azioni illegali da parte del padronato quando utilizza le squadracce pagate per picchiare lavoratori e lavoratrici in sciopero.

Dopo il riuscito sciopero generale dell’11 ottobre, promosso da tutto il sindacalismo conflittuale e di base la mobilitazione continua

No ai licenziamenti e alle privatizzazioni. Lotta per il salario e il reddito garantito. Cancellazione della Legge Fornero, contrasto al carovita e ai diktat dell’Unione Europea. Rinnovi contrattuali e lotta alla precarietà per la piena occupazione. Forti investimenti per scuola, sanità, trasporti e previdenza pubblica, contro le spese militari e le missioni all’estero, a favore di una necessaria spesa sociale. Per un fisco equo che aggredisca le rendite e riduca le disuguaglianze sociali.

4 DICEMBRE NO DRAGHI DAY!

CIB-UNICOBAS, CUB, USB, USI-CIT

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Distruggiamo la violenza di genere, distruggiamo il patriarcato!

Distruggiamo la violenza di genere, distruggiamo il patriarcato!
Nella famiglia, nella società, sul posto di lavoro, di studio, di svago
Nelle associazioni e nei movimenti
La Federazione Anarchica Livornese sostiene le iniziative di NonUnadiMeno Livorno in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza di genere e tutte le iniziative di agitazione e di comunicazione contro la violenza ele discriminazioni di genere, contro l’organizzazione sociale gerarchica e patriarcale.
Denuncia l’azione del governo, delle forze parlamentari e delle istituzioni religiose che, mentre parlano di lotta alla discriminazione e alla violenza, rafforzano quelle politiche familiste, suprematiste, maschiliste che alimentano e giustificano la violenza di genere.
Commissione di corrispondenza della
Federazione Anarchica Livornese

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Lottare contro il militarismo

articolo uscito su Umanità Nova n. 36 del 21 novembre 2021

Lottare contro il militarismo

Saremo a Torino sabato 20 novembre per la manifestazione antimilitarista contro l’Aerospace and defence meetings, la fiera dei mercanti e dei produttori di armi che si terrà nel capoluogo piemontese alla fine del mese. Durante questa fiera rappresentanti di governi, eserciti e compagnie di mercenari stringono accordi con mercanti e produttori di armi per riempire gli arsenali che riforniscono le guerre in giro per il mondo. L’Aerospace and defence meetings si tiene ogni due anni e da oltre un decennio le realtà antimilitariste cittadine organizzano contestazioni e manifestazioni contro la fiera della guerra. Quest’anno l’opposizione antimilitarista si muoverà in un quadro per certi aspetti nuovo e diverso.

Proprio nel corso degli ultimi due anni, mentre il servizio sanitario collassava di fronte alla pandemia e centinaia di migliaia di persone venivano spinte nella povertà e nella disoccupazione, il governo ha deciso di aumentare a 24,97 miliardi la spesa militare per il 2021. Un aumento dell’8,1% rispetto all’anno precedente, a cui corrisponde un taglio delle spese per scuola, sanità e sociale. Inoltre proprio tra 2020 e 2021 il Parlamento ha approvato quasi all’unanimità quattro nuove missioni militari. Nel Golfo di Guinea, nel Sahel, in Somalia e sullo Stretto di Hormuz. Zone molto calde, dove le truppe italiane si troveranno davvero a far la guerra, in particolare nel Sahel, dove la Francia è impantanata da anni nell’operazione Barkhane, facendo anche strage di civili pur di mantenere la propria influenza sulla regione. Missioni che hanno dichiarate ragioni imperialiste come nel Golfo di Guinea, dove si schierano navi da guerra “per difendere gli interessi estrattivi dell’ENI”. Sono missioni che quindi confermano l’inasprimento del carattere aggressivo, predatorio e neocoloniale della politica estera dello stato italiano e che consolidano il riorientamento strategico degli ultimi anni verso il continente africano.

È per dare una risposta a tutto ciò che quest’anno la contestazione dell’Aerospace and defence meetings ha assunto un carattere più ampio, non solo sul piano delle questioni su cui punterà la manifestazione. Infatti il corteo del 20 è stato convocato da un’ assemblea che ha visto la partecipazione di collettivi, gruppi, organizzazioni e associazioni da varie regioni e che si è svolta a Milano lo scorso 9 ottobre presso il Laboratorio Kasciavit. Un confronto vario e approfondito da cui è nato un nuovo organismo di coordinamento, l’Assemblea Antimilitarista, per costruire un percorso unitario che rilanci l’antimilitarismo, di cui la manifestazione torinese è una prima fondamentale tappa.

I punti individuati dall’assemblea di Milano per costruire una campagna antimilitarista cercano di dare visibilità a molte delle questioni su cui sono in corso delle lotte, per creare nuove reti e al contempo formare connessioni e intersezioni con altri movimenti: lotta per il ritiro delle missioni militari; boicottaggio dell’industria bellica per la sua riconversione; lotta contro basi militari, poligoni e servitù militari; contro la militarizzazione dei confini e delle città; contro le spese militari; contro i colossi industriali italiani come l’ENI che dettano l’agenda di guerra; contro le devastazioni ambientali provocate dal sistema militare-industriale; contro il dominio patriarcale asse portante del militarismo; contro il disciplinamento sociale e la propaganda militarista nelle scuole e nelle università.

Uno dei nodi principali è costituito dalle missioni militari all’estero. Perché proprio attraverso le missioni lo stato impone con la presenza militare la sua ingerenza politica ed economica in altri paesi. Le missioni sono anche uno dei motori della produzione di armi perché è l’esigenza di impiegare sul campo armamenti, mezzi e tecnologie di guerra sempre all’avanguardia a giustificare l’enorme impegno dello stato nel sostenere l’industria militare, e le missioni stesse sono spesso una vetrina per mostrare al mercato internazionale la potenza dei nuovi gioielli della produzione bellica.

Per l’anno 2021 il Parlamento ha votato lo scorso luglio l’approvazione di 41 missioni militari. Una di queste era la missione in Afghanistan, conclusa nel corso dell’estate. Una vicenda purtroppo esemplare, che mostra chiaramente come una guerra d’invasione giustificata come “missione di polizia internazionale” prima, con la caccia al terrorista, e come “missione umanitaria” poi, per mantenere la pace, abbia riconsegnato il potere ai talebani, devastato le città, provocato 240000 morti di cui 70000 civili, e mantenuto la popolazione nella miseria, nell’oppressione, nella guerra, nella violenza patriarcale. L’Afghanistan è stato uno dei paesi in cui l’impegno militare italiano è stato più consistente e dispendioso, questi sono i risultati. Non c’è certo da immaginarsi qualcosa di meglio dalle altre missioni di guerra.

Le altre 40 missioni possono essere inquadrate sotto la guida dell’ONU, della NATO o dell’UE, oppure nella partecipazione a specifiche coalizioni, come spedizioni militari basate su accordi bilaterali o come interventi gestiti esclusivamente dall’Italia.

Le missioni condotte sotto le insegne dell’ONU impegnano oltre 1300 soldati, quasi tutti schierati in Libano con la missione UNIFIL, attiva con fasi alterne dal 1982. Alcune unità sono disposte in Somalia, Libia, Mali, Sahara Occidentale, a Cipro e tra India e Pakistan.

Nel quadro della NATO sono attualmente impegnati fino a 1891 militari, a cui andrebbero aggiunti i 1000 soldati che sono stati ritirati dall’Afghanistan nella scorsa estate. In Kosovo sono presenti 638 militari, nel Mediterraneo con la missione Sea Guardian sono 240, in Iraq 280, in Lettonia come parte dello schieramento del patto atlantico per minacciare la Russia sono 237, mentre per la sorveglianza dello spazio navale sono schierati 235 militari e 2 mezzi navali, per la sorveglianza dello spazio aereo 2 velivoli, mentre per l’Air Policing sono impegnati 260 militari e 12 aerei.

Le missioni a guida UE vedono coinvolte invece 1459 unità, nello stretto di Hormuz 193 militari 1 nave e 2 aerei, in Kosovo 4 unità, in Bosnia 50, mentre la missione nel Mediterraneo Sophia impiega 596 militari 1 nave e 2 aerei, in Palestina 1 unità, in Iraq 2, in Mali 30 con due diverse missioni, in Niger 14, nella Repubblica Centraficana 2, nel Corno d’Africa 388 militari 2 navi e 4 aerei, in Somalia 169 soldati con 33 mezzi con due diverse missioni.

In forma autonoma o sulla base di accordi bilaterali con alcuni paesi l’Italia impegna fino a 2357 militari all’estero. Per la missione “emergenza cedri” in Libano del 2020 sono stati impegnati 402 militari, per la missione di addestramento delle forze di sicurezza sempre in Libano sono stati inviati 315 militari, per l’addestramento delle forze dell’Autorità Palestinese 33 unità, per la missione MIASIT in Libia 400 soldati, per la missione di cooperazione in Tunisia 15 unità, per la missione di supporto in Niger 295 soldati, per l’addestramento delle forze di polizia in Somalia, Gibuti e Yemen 63 unità, per la base militare italiana in Gibuti 147 militari, per la missione Mare Sicuro nel Mediterraneo 754 militari, 6 navi e 8 aerei, per la missione nel Golfo di Guinea 394 militari, 2 navi e 4 aerei, come personale di supporto alle missioni nella regione sono dislocati negli Emirati Arabi Uniti, nel Baharain, nel Qatar, 139 unità.

Infine nell’ambito di specifiche coalizioni di intervento sono impegnati fino a 1228 militari, con la missione in Iraq per partecipare alla coalizione contro lo Stato Islamico, con 900 soldati, 84 mezzi e 11 aerei, la missione Takuba nel Sahel, con 250 soldati, 44 mezzi e 8 aerei, e la MFO Sinai in Egitto con 78 militari e 3 mezzi navali.

Pur confermando la dipendenza dalla NATO e dagli USA con missioni come quella in Lettonia, così come con l’aumento della spesa militare sollecitato dall’alleanza atlantica, da questo scenario emerge una particolare rilevanza delle missioni bilaterali o autonome dell’Italia, è infatti in queste missioni che l’impegno militare italiano risulta più forte, almeno in termini di effettivi. Si noti anche che al di là del personale di supporto nella penisola arabica, dell’addestramento presso l’Autorità Palestinese e dello storico e consistente schieramento in Libano, gran parte di queste missioni si svolgono in Africa, in parallelo con alcune missioni a guida UE e con la missione Takuba nel Sahel nel quadro di una coalizione sollecitata dalla Francia. La novità, segnalata anche da analisti certo non antimilitaristi, ma anzi vicini alle Forze armate, sta proprio nel sempre maggior impegno militare all’estero dello stato italiano in missioni autonome, e nel consolidamento definitivo di una nuova strategia verso il continente africano. Bisogna evitare di cadere in forzature perché in certi ambienti militari e politici la storiella di un’Italia che assume un ruolo sugli scenari internazionali serve a nutrire un immaginario sovranista e autarchico. Tuttavia anche nel quadro della definizione di una strategia militare europea comune, è evidente che la politica estera dell’Italia si fa più aggressiva e più apertamente imperialista e neocoloniale. Questo emerge chiaramente dalle motivazioni date dal governo alle missioni, dalla propaganda, dal discorso dominante che sui media e pure a livello accademico propone continuamente la “difesa dell’interesse nazionale” come principale indirizzo della politica estera.

Per questo è importante la manifestazione del 20 novembre. Per aggregare una piazza plurale che possa unire le voci dell’antimilitarismo contrastando uno dei luoghi in cui la guerra si prepara, come l’Aerospace and defence meetings. Per contrastare la crescente strategia aggressiva dello stato italiano, che si realizza innanzitutto nelle missioni militari all’estero, e che si inserisce in un contesto che vede inasprirsi la tensione internazionale tra i poli imperialisti USA, Russia, UE, Cina. Una crisi generale di cui il caso del trattato AUKUS che ha portato a forti contrasti tra USA e Francia è solo un sintomo, ma che emerge in modo sanguinoso ovunque nel mondo: La guerra in Etiopia e il conflitto ininterrotto in Siria, Iraq e Turchia sono solo le situazioni più conosciute alle nostre latitudini.

Per il movimento anarchico l’antimilitarismo non è solo opposizione alla guerra, è lotta contro tutti gli eserciti. Perché il principale ostacolo alle rivoluzioni, in ogni paese, è proprio l’esercito, perché è a questa istituzione molto gelosa dei propri privilegi che lo stato si affida per difendere il proprio potere, per mantenere la divisione in classi della società, per tutelare i profitti e i privilegi della classe dominante. La guerra, le missioni militari, non fanno che rendere necessario l’esercito, il suo continuo ammodernamento, la sua specializzazione e professionalizzazione, il suo continuo finanziamento.

Le guerre, le missioni, si possono fermare. I governi hanno paura dei movimenti di lotta, nel 2011 l’Italia partecipò al bombardamento della Libia ma l’intervento dell’Italia al fianco di USA, Francia, UK, fu tenuto nascosto dal governo per paura di suscitare proteste. Durante l’invasione dello stato turco in Rojava nell’ottobre 2019 il movimento di solidarietà in Italia denunciò la complicità dello stato italiano con il massacro condotto dall’esercito turco, portando l’attenzione sulla presenza di una missione militare italiana in difesa dello spazio aereo turco, la missione Active Fence nel quadro della NATO. Missione che il governo italiano fu costretto a ritirare nei mesi successivi. Questo dimostra che è possibile mettersi in mezzo, fermare le guerre, inceppare gli ingranaggi del militarismo. Iniziamo dal 20 novembre a Torino.

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Pullman per corteo antimilitarista a Torino

Per il corteo antimilitarista del 20 novembre a Torino il Coordinamento livornese per il ritiro delle missioni militari organizza una partenza collettiva, con pullman da Carrara

Il pullman partirà alle 09:20 dal parcheggio Esselunga di Carrara (Turigliano /aurelia Carrara)
Rientro in serata. Costo stimato tra i 20 / 25 euro in base alle presenze

Ci sono ancora posti disponibili, per prenotare il pullman e raggiungere insieme Carrara contattare

tel. 3331091165

mail: no_missioni_livorno@anche.no

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20 NOVEMBRE ANTIMILITARISTA a Torino

20 novembre corteo antimilitarista a Torino
Mercanti d’armi e missioni militari: colonialismo e buoni affari

Le armi italiane, in prima fila il colosso pubblico Leonardo, sono presenti su tutti i teatri di guerra. Guerre che paiono lontane sono invece vicinissime: le armi che uccidono civili in ogni dove, sono prodotte non lontano dai giardini dove giocano i nostri bambini.
Torino è uno dei centri dell’industria bellica.
Dal 30 novembre al 2 dicembre si terrà a Torino “Aerospace & defence meetings”, mostra-mercato internazionale dell’industria aerospaziale di guerra.
La convention, giunta alla sua ottava edizione, sarà ospitata all’Oval Lingotto, centro congressi facente parte delle strutture nate sulle ceneri del complesso industriale dell’ex Fiat.
La mostra-mercato è riservata agli addetti ai lavori: fabbriche del settore, governi e organizzazioni internazionali, esponenti delle forze armate degli Stati e compagnie di contractor. Alla scorsa edizione parteciparono 600 aziende, 1300 tra acquirenti e venditori ed i rappresentanti di 30 governi. Il vero fulcro della convention sono gli incontri bilaterali per stringere accordi di cooperazione e vendita: nel 2019 ce ne furono oltre 7.500.
Tra gli sponsor ospiti del meeting spiccano la Regione Piemonte e la Camera di Commercio subalpina.
Settima nel mondo e quarta in Europa, con un giro d’affari di oltre 16.4 miliardi di euro, 47.274 addetti l’industria aerospaziale è un enorme business di morte.
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a gran parte delle aziende italiane dell’aerospazio si trova in Piemonte, dove il giro d’affari annuale è di 3,9 miliardi euro. I settori produttivi sono strettamente connessi con le università, in primis il Politecnico, e altri settori della formazione.
In Piemonte, ci sono ben cinque attori internazionali di primo piano: Leonardo, Avio Aero, Collins Aerospace, Thales Alenia Space, ALTEC. Gran parte delle industrie mondiali di prima grandezza partecipano alla biennele dell’aerospazio.

A Torino nei prossimi mesi sorgerà la città dell’aerospazio, un nuovo polo tecnologico dedicato all’industria di guerra. Il progetto coinvolge Regione Piemonte, Comune, Politecnico, Università, Camera di Commercio e Unione Industriale di Torino, Api, Cim 4.0, il Distretto aerospaziale piemontese e Tne.
Inutile dire che chi vive in Piemonte probabilmente ha altre necessità, come casa, reddito, salute, istruzione, trasporti di prossimità.
A fine novembre all’Oval saranno allestiti alveari di uffici, dove verranno sottoscritti accordi commerciali per le armi che distruggono intere città, massacrano civili, avvelenano terre e fiumi. L’industria aerospaziale produce cacciabombardieri, missili balistici, sistemi di controllo satellitare, elicotteri da combattimento, droni armati per azioni a distanza.
L’Aerospace and defence meeting è un evento semi clandestino, chiuso, dove si giocano partite mortali per milioni di persone in ogni dove.
L’industria bellica è un business che non va mai in crisi. L’Italia fa affari con chiunque.
La chiusura e riconversione dell’industria bellica è urgente e necessaria.

Le truppe del Belpaese fanno la guerra in Niger, Libia, Golfo di Guinea, stretto di Ormuz, Iraq, nel Mediterraneo ed in tanti altri luoghi del pianeta.
La scorsa estate il parlamento ha approvato il rifinanziamento delle varie avventure neo-coloniali delle forze armate italiane. In Africa sono concentrate 18 delle 40 missioni tricolori.
Le missioni militari all’estero costano un miliardo e 200 milioni di euro: 9.449 i militari impiegati: un secco aumento rispetto alle cifre già da record del 2020.
Le spese militari quest’anno hanno toccato i 25 miliardi. Vent’anni di guerra e occupazione militare dell’Afganistan sono costati alla sola Italia 8,7 miliardi di euro.
Va in soffitta la retorica delle missioni umanitarie ed entra in ballo la “difesa degli interessi italiani”.
Le bandiere tricolori sventolano accanto a quelle gialle con il cane a sei zampe dell’ENI.
La decisione di costruire una base militare italiana in Niger mira a rendere stabile la presenza tricolore nell’area, facendone un avamposto per la difesa degli interessi dell’ENI in Africa.
La diplomazia in armi del governo per garantire i profitti della multinazionale petrolifera va dalla Libia al Sahel al Golfo di Guinea. Queste aree hanno un’importanza strategica per gli interessi dell’ENI, perché vi si trovano i maggiori produttori africani di gas e petrolio. L’obiettivo è la protezione delle piattaforme offshore e degli impianti di estrazione.
L’ENI rappresenta oggi la punta di diamante del colonialismo italiano in Africa.
Alla guerra per il controllo delle risorse energetiche si accompagna l’offensiva contro le persone in viaggio, per ricacciare i migranti nelle galere libiche, dove torture, stupri e omicidi sono fatti normali. Come un serpente che si morde la coda le migrazioni verso i paesi ricchi sono frutto della ferocia predatoria delle politiche neocoloniali. Sotto all’ampio cappello della “sicurezza” e della “lotta al terrorismo” si articola una narrazione che mescola interessi economici con la retorica della missione di protezione delle popolazioni locali. Popolazioni che sono quotidianamente sfruttate, depredate ed oppresse da governi complici delle multinazionali europee, asiatiche e statunitensi.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce della stessa medaglia.
Nel nostro paese militari sono stati promossi al ruolo di agenti di polizia giudiziaria e, da oltre dieci anni , con l’operazione “strade sicure”, sono nei CPR, dove vengono rinchiusi i corpi in eccedenza da espellere, nei cantieri militarizzati e per le strade delle nostre periferie, dove la guerra ai poveri si attua con l’occupazione e il controllo etnicamente mirato del territorio, per reprimere sul nascere ogni possibile insorgenza sociale.

Nel nostro paese ci sono porti e aeroporti militari, poligoni di tiro, aree di esercitazione, spazi dove vengono testati ordigni, cacciabombardieri, droni, navi e sottomarini. Luoghi di morte anche per chi ci abita vicino, perché carburanti, proiettili all’uranio impoverito, dispositivi per la guerra chimica inquinano in modo irreversibile terra e mare.
Le prove generali dei conflitti di questi anni vengono fatte nelle basi militari sparse per l’Italia.

Provate ad immaginare quanto migliori sarebbero le nostre vite se i miliardi impiegati per ricacciare uomini, donne e bambini nei lager libici, per garantire gli interessi dell’ENI in Africa, per investire in armamenti fossero usati per scuola, sanità, trasporti.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.
Bloccare le missioni all’estero, boicottare l’ENI, cacciare i militari dalle nostre città, bloccare la produzione e il trasporto di armi, contrastare la mostra mercato dell’industria aerospaziale di guerra sono concreti orizzonti di lotta.

Sabato 20 novembre
corteo antimilitarista a Torino
ore 14,30 da Porta Palazzo – corso Giulio Cesare angolo via Andreis

Contro i mercanti d’armi, le fabbriche di morte e le basi militari
Contro l’Aerospace & defence meetings
Contro la spesa di guerra e le missioni militari all’estero
Contro il colonialismo tricolore, boicottiamo l’ENI
Contro la guerra ai migranti e ai poveri
Contro la violenza sessista di ogni esercito
Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere

Assemblea antimilitarista
per info antimilitarista.to@gmail.com

https://www.facebook.com/antimilitarista

 

 

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Gli occhiali rosa del ministro Franco. Note sul Documento Programmatico di Bilancio.

Gli occhiali rosa del ministro Franco. Note sul Documento Programmatico di Bilancio.

articolo pubblicato sul numero 33 di Umanità Nova del 31/10/21

Il governo, ogni governo, è oggi l’espressione delle classi privilegiate, dei banchieri, dei capitalisti, degli agrari, dei circoli militari e della gerarchia ecclesiastica. Chi ritenesse questa affermazione troppo decisa, farebbe bene a dare un’occhiata al Documento Programmatico di Bilancio, che illustra a grandi linee gli interventi su cui si baserà il disegno di legge di Bilancio, e le conseguenze sulla situazione economica generale e sulla finanza pubblica.

Prima di commentare il quadro che il ministro dell’Economia e Finanza Daniele Franco dipinge degli scenari economici internazionali e italiani, vorrei porre l’attenzione sulle grandezze e gli indici che vengono presi in considerazione. Il punto di partenza nella descrizione delle tendenze dell’economia è la variazione del Prodotto Interno Lordo, di cui viene enfatizzata la crescita superiore alle aspettative e una previsione in aumento rispetto alle stime del Programma di Stabilità definito solo pochi mesi prima. La seconda considerazione fatta da Franco riguarda l’andamento della pandemia: secondo il documento del governo, il mantenimento dei dati sulla Covid-19 al di sotto dei livelli di guardia favorisce il ritorno alla normalità nella vita lavorativa e sociale. Evidentemente la media giornaliera di quasi 34 morti, attribuiti dalle statistiche ufficiali alla pandemia, per il governo rientra nella normalità, cui si possono sacrificare le norme di sicurezza nei posti di lavoro.

Un altro dato su cui il governo punta per dipingere un quadro favorevole della situazione economica è l’andamento dell’occupazione: il DPB afferma che “Coerentemente con l’andamento del prodotto, nel primo semestre l’occupazione ha registrato un notevole recupero”. Secondo le stime del Centro Studi Confindustria, invece, la disoccupazione resterà alta fino a tutto il 2022: “Con un’occupazione in solo lieve recupero, il tasso di disoccupazione crescerà progressivamente, tornando in media d’anno vicino al suo valore pre-crisi (9,9%). Nel 2022, la risalita prevista per l’occupazione tenderebbe a ridurre il tasso di disoccupazione. Tuttavia, l’aumento della forza lavoro si rafforzerà ulteriormente (+1,3%, dopo il +1% nel 2021) e ciò manterrà alto il tasso di disoccupazione, che è previsto pari al 9,6%”.

Quello che inoltre non dice il ministro Franco, è che la ripresa economica si basa su un aumento del lavoro precario, a tempo determinato e discontinuo. In particolare le posizioni lavorative a tempo determinato con durata inferiore o pari a 30 giorni sono aumentate nel secondo trimestre del 2021 del 9,2% rispetto all’anno precedente, mentre il numero dei lavoratori in somministrazione cresce del 39% nello stesso periodo, mentre la crescita di quello dei lavoratori a chiamata o intermittenti è definito “sostenuto” nella nota trimestrale del Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale (+63,8%). Si tratta di valori assoluti modesti, tuttavia indicativi delle tendenze del mercato del lavoro.

Nella stessa nota trimestrale, si segnala l’aumento degli infortuni sul lavoro, che nel periodo preso in esame sono stati 119 mila, con un aumento di quasi 25 mila sullo stesso periodo dell’anno precedente (+26,5%). Gli omicidi bianchi sono aumentati ancora di più, passando da 163 nel 2020 a 231 nel 2021, con un aumento di 68 unità, pari a un aumento del 41,78%. Di questa drammatica emergenza non c’è un’eco nel documento, nemmeno in vesti di maggiori stanziamenti per la prevenzione e la medicina del lavoro.

La visione ottimistica del governo è confermata dai paragrafi dedicati, nel Documento Programmatico di Bilancio, al credito, all’inflazione, agli scambi con l’estero, all’andamento della finanza pubblica. Il quadro dipinto dal governo ignora completamente da una parte la condizione di miseria crescente in cui grava la stragrande maggioranza della popolazione, dall’altra la crescita della devastazione ambientale, con le conseguenze inevitabili sulla salute pubblica e sull’ambiente naturale.

Tutto questo avviene non malgrado la crescita economica, ma ne rappresenta la necessaria premessa e la logica conseguenza. Com’è pensabile una crescita economica senza un aumento delle materie prime necessarie alla produzione, quindi senza un aumento del saccheggio del territorio? Com’è pensabile un aumento della crescita economica senza un conseguente e parallelo aumento degli scarti, dei rifiuti, dell’inquinamento generato da questa stessa crescita economica? La pandemia ci ha offerto la dimostrazione dei benefici che la contrazione dell’attività produttiva ha sulla salute pubblica e sull’ambiente.

L’Istat segnala che nel 2020 il numero delle persone in povertà assoluta è di 5,6 milioni, mentre nel 2019 era di 4 milioni e 593 mila, con un aumento di più di un milione di nuovi poveri assoluti e del 21,97 in percentuale, mentre i minori in situazione di povertà assoluta sono 1 milione e 337 mila, Anche l’andamento della povertà relativa, in calo rispetto al 2019, ci segnala un peggioramento delle condizioni di vita. La diminuzione dei consumi (-9% nel 2020) ha un diverso impatto fra chi si colloca nella fascia alta del reddito rispetto a chi si colloca nella fascia bassa: chi si trova nella fascia bassa ha già consumi molto ridotti che è difficile ridurre ulteriormente, tanto che nella fascia bassa si registra una diminuzione media dei consumi del 2,7%, ben al di sotto della media nazionale.

Come diceva Bernard de Mandeville all’inizio del XVIII secolo “in una nazione libera (…) la ricchezza più sicura consiste in una massa di poveri laboriosi” e il governo Draghi, con paterna sollecitudine, si adopera affinché un reddito troppo cospicuo non renda i proletari insolenti e pigri.

La miseria fra la stragrande maggioranza della popolazione non è solo un problema monetario. Una crescita economica costante richiede che, anno dopo anno, il rapporto tra beni e servizi destinati all’investimento e beni e servizi destinati al consumo privato cresca costantemente a vantaggio dei primi. Quindi la miseria non dipende solo da un’ineguale distribuzione del reddito monetario, ma anche da una produzione che ignora le esigenze di una condizione di vita decente per tutti. La crescita economica quindi si alimenta e genera una polarizzazione delle condizioni sociali: il regime della proprietà privata si caratterizza per la concentrazione della proprietà nelle mani di pochi e nella privazione della proprietà per la maggioranza della popolazione.

Se allora questo aumento del prodotto interno lordo non sarà assorbito dalla domanda interna, da chi sarà assorbito? Una prima risposta il documento presentato dal ministro Franco la dà: le esportazioni, nel biennio 2021-2022, cresceranno a un tasso superiore a quello di crescita del commercio mondiale, sottraendo quote di mercato, grazie ai guadagni di competitività nei confronti degli altri stati dell’Unione Europea dovuti ai salari più bassi. Un’altra risposta viene dall’aumento degli investimenti fissi, fra cui in primo luogo le grandi opere, alimentati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Un’ulteriore risposta la diamo noi ed è la spesa bellica. In nessuna parte del documento presentato dal governo si parla degli stanziamenti per le forze armate e per la guerra ma si capisce facilmente che l’aumento della contesa interimperialistica, implicita nell’auspicio di crescita delle esportazioni, spinga al passaggio dalla competizione economica al conflitto armato e che le nuove quote di mercato, o le fonti di approvvigionamento, debbano essere difese in qualunque parte del mondo, in particolar modo in quello che la visione strategica del governo chiama “Mediterraneo allargato”, con ogni mezzo, comprese le armi. D’altra parte proprio la produzione bellica è uno dei punti di forza delle esportazioni italiane, settore a cui il parlamento e il governo dedicano particolari attenzioni.

La crisi del ruolo internazionale degli Stati Uniti, la tendenza dell’Unione Europea a dotarsi di un proprio strumento militare per far fronte alle esigenze imperialistiche delle classi privilegiate europee, l’affacciarsi sul mercato dei capitali dell’Unione Europea come soggetto unico delineano un quadro in cui il piano di ripresa post pandemia assume un ruolo strettamente legato alla politica di potenza della Fortezza Europa. Se a questo aggiungiamo la crescita delle missioni militari all’estero volute dal governo italiano, abbiamo un quadro che ci autorizza a parlare di un bilancio di guerra per le misure adottate dal governo Draghi.

Ma volere non è potere, nemmeno per i governi e nemmeno per quelli che dispongono di una maggioranza composta da quasi tutte le forze parlamentari. Abbiamo già visto come le previsioni rosee sulla disoccupazione travisino la realtà del mercato del lavoro. Anche l’analisi del sistema creditizio è mistificatoria. Secondo la previsione ABI-Cerved, nel 2021 i crediti in sofferenza aumenteranno, passando dal 2,5 del 2020 al 4,3 del 2021, sul totale dei prestiti erogati alle società non finanziarie, con un aumento del 72%. Si tratta ovviamente di previsioni, ma l’aumento dei tassi d’interesse previsto nel Documento Programmatico di Bilancio non potrà che peggiorare la situazione.

Anche Franco, come la maggior parte dei responsabili di politica monetaria, ritiene passeggero l’aumento dell’inflazione registrato in questi mesi, anche se pone alcune condizioni. Intanto, il documento programmatico di bilancio prevede già per il prossimo anno un aumento dei tassi di interesse; se questa tendenza dell’inflazione prosegue, può richiedere ulteriori interventi di politica monetaria con ulteriori aumenti dei tassi di interesse. Questo però potrebbe avere un effetto devastante sia sui conti pubblici sia a maggior ragione sui conti delle aziende private che sono fortemente indebitate. In questo periodo il dilemma di fronte a cui si trovano le autorità monetarie e finanziarie del governo è quello di una crescita dell’inflazione superiore a quello del PIL, che aprirebbe la strada a scenari di difficile gestione.

In altre parole il governo italiano, come gli altri governi che devono fare i conti con una fase di stagnazione di lungo periodo, aggravata dallo scoppio della pandemia, si trova di fronte a una serie di contraddizioni. Deve innanzitutto mantenere un comodo accesso al credito per le imprese e deve mantenere sotto controllo la dinamica dell’inflazione. Purtroppo il credito facile e il ricorso al deficit di bilancio per finanziare la ripresa, in assenza di un’imposizione adeguata sui patrimoni e sui redditi più alti, generano inflazione e questa, a sua volta, provoca l’aumento dei tassi d’interesse e può essere tenuta sotto controllo solo per mezzo di politiche monetarie restrittive.

I governi italiani che si sono succeduti dal 1945, diversamente dal governo degli Stati Uniti, non hanno potuto usare liberamente le politiche monetarie perché prima la lira era ancorata al dollaro (accordi di Bretton Woods) ed ora è stata sostituita dall’euro, moneta su cui il governo italiano esercita un controllo condiviso con gli altri governi europei. Il governo Draghi, inoltre, con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha in pratica commissariato l’Italia, subordinando la concessione di prestiti da Bruxelles al rispetto delle condizioni imposte dalla Commissione Europea.

Il governo quindi cercherà di barcamenarsi, allentando o stringendo i cordoni della borsa secondo le fluttuazioni del ciclo economico e cercando in tutti i modi di scaricare ulteriormente sui ceti popolari i costi della propria politica economica.

Tutto fatto dunque? Il movimento anarchico è cosciente che unico limite alla prepotenza del governo è l’opposizione che gli sfruttati sono capaci di opporre. Lo sciopero generale e le manifestazioni dell’11 ottobre hanno dimostrato che oggi questa forza c’è ed è disposta a scendere in piazza. Si tratta di continuare sulla strada dell’unità, si tratta di continuare su obiettivi capaci di incidere sulle scelte del governo. La battaglia per il ritiro immediato delle missioni militari all’estero si salda direttamente alla lotta contro la nuova manovra, che aumenta la ricchezza per i capitalisti e la miseria e la disoccupazione per i proletari. Questa saldatura deve essere operativa subito, a partire dalle iniziative antimilitariste in occasione del 4 novembre e in occasione della manifestazione contro l’Aerospace and Defence Meetings di Torino.

Tiziano Antonelli

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Aperitivo benefit – Verso il corteo del 20/11 a Torino

riceviamo dal Coordinamento per il ritiro delle missioni militari

Aperitivo benefit antimilitarista

per sostenere le spese per partecipare alla manifestazione del 20 novembre a Torino

Domenica 7 novembre
dalle ore 19
presso la Ex Caserma Occupata
Aperitivo benefit con cibo, birre, e bevute a prezzi popolari per sostenere le spese per partecipare al corteo antimilitarista del 20 novembre a Torino
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Sabato 20 novembre
corteo antimilitarista a Torino
ore 14,30 da Porta Palazzo – corso Giulio Cesare angolo via Andreis
Contro i mercanti d’armi, le fabbriche di morte e le basi militari
Contro l’Aerospace & defence meetings
Contro la spesa di guerra e le missioni militari all’estero
Contro il colonialismo tricolore, boicottiamo l’ENI
Contro la guerra ai migranti e ai poveri
Contro la violenza sessista di ogni esercito
Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere
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Come Coordinamento cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari all’estero stiamo preparando la partenza collettiva da Livorno per la manifestazione antimilitarista del 20 Novembre a Torino, potete contattarci al 3331091165 o all’indirizzo no_missioni_livorno@anche.no per informazioni su auto e pullman in partenza per Torino.

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