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18 marzo: Per Lorenzo, per il Rojava, per la libertà!

18 marzo: Per Lorenzo, per il Rojava, per la libertà!

Oggi anche a Livorno abbiamo ricordato Lorenzo Orsetti di fronte alla Lapide del partigiano. Due anni fa a pochi giorni dalla sua morte a Baghouz quando ci ritrovammo in questo stesso luogo la guerra sembrava essere vicina alla fine. Ma l’esperienza alternativa del Rojava continua a doversi difendere dalla guerra degli stati. Una sessantina di persone hanno partecipato a questa iniziativa di memoria e di lotta, organizzata dal Collettivo Anarchico Libertario e dalla Federazione Anarchica Livornese a cui sono intervenuti anche Ex Caserma Occupata, Potere al Popolo e alcune compagne della Rete Jin. Negli interventi è stato ricordato l’impegno di Lorenzo come anarchico al fianco dell’esperienza rivoluzionaria del Rojava, il valore di liberazione sociale e di pace dell’esperienza alternativa in atto in quelle regioni, schiacciata dalle guerre degli stati. È stata espressa solidarietà a Eddi Marcucci e a tutte le compagn* che in Italia come in altri paesi sono stat* e sono tuttora perseguitat* per il loro impegno internazionalista. È stata ricordata anche la drammatica situazione di tutt* coloro che sono reclus* nelle carceri, ovunque nel mondo, in particolare dei prigionieri politici in Turchia. In particolare sono stati ricordati gli appelli circolati negli ultimi giorni per le iniziative di solidarietà con Öcalan e gli altri prigionieri politici sepolti vivi nell’isola carcere di Imrali che dal 27 aprile dello scorso anno non hanno contatto con i propri avvocati.

Il 18 marzo è anche una data simbolica per i movimenti rivoluzionari internazionali, oggi sono 150 anni dall’insurrezione della Comune di Parigi e 100 anni dalla caduta della Comune di Kronstadt. La rivoluzione sociale è oggi l’unica prospettiva possobile di fronte al fallimento dello stato, del capitale e del patriarcato che a livello globale inaspriscono la morsa autoritaria su miliardi di persone pur di mantenere potere privilegi e profitti.

Di seguito il testo di convocazione del presidio:

Per Lorenzo, per il Rojava, per la libertà

Giovedì 18 marzo 2021

ore 18

Di fronte alla Lapide del partigiano

Via Ernesto Rossi, Livorno

Due anni fa veniva ucciso Lorenzo Orsetti a Baghouz, nel nord est della Siria, mentre lottava per la libertà e l’internazionalismo. Seguendo gli ideali di giustizia, libertà ed eguaglianza aveva scelto di unirsi alla lotta delle popolazioni del Rojava e delle YPG/YPJ nel 2017, combattendo contro lo Stato Islamico a fianco del Tikko e negli ultimi mesi nella formazione Tekoşina anarşist (lotta anarchica) con il nome di Tekoşer Piling.

In questi due anni lo stato turco ha continuato con bombardamenti e attacchi via terra a portare la guerra contro la popolazione e il movimento di liberazione curdo in Rojava e nel nord dell’Iraq. Questa guerra punta a cancellare quella prospettiva di pace e di cambiamento radicale della società per cui anche Lorenzo ha lottato sacrificando la propria vita.

Questa guerra contro la libertà è condotta non solo dalla Turchia ma da tutti gli stati. Perché un’esperienza alternativa come quella del Rojava è in sé una minaccia per la dimensione egemonica e di guerra prodotta dagli stati. Ma anche perché un simile esempio rischia di riaccendere anche in altri parti del mondo la speranza della rivoluzione sociale. Per questo anche in Italia, come in Germania, Francia e in altri paesi, compagne e compagni che hanno sostenuto direttamente la lotta delle popolazioni del Rojava sono stati o sono tuttora soggetti alla persecuzione dello stato.

Invitiamo a partecipare al presidio tutt* coloro che vorranno ricordare Lorenzo, manifestare sostegno per il Rojava e esprimere solidarietà a tutte le compagne e i compagni che anche in Italia sono perseguitati per il loro impegno internazionalista

Collettivo Anarchico Libertario

Federazione Anarchica Livornese

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Per Lorenzo, per il Rojava, per la libertà

Per Lorenzo, per il Rojava, per la libertà

Due anni fa veniva ucciso Lorenzo Orsetti a Baghouz, nel nord est della Siria, mentre lottava per la libertà e l’internazionalismo. Seguendo gli ideali di giustizia, libertà ed eguaglianza aveva scelto di unirsi alla lotta delle popolazioni del Rojava e delle YPG/YPJ nel 2017, combattendo contro lo Stato Islamico a fianco del Tikko e negli ultimi mesi nella formazione Tekoşina anarşist (lotta anarchica) con il nome di Tekoşer Piling.

In questi due anni lo stato turco ha continuato con bombardamenti e attacchi via terra a portare la guerra contro la popolazione e il movimento di liberazione curdo in Rojava e nel nord dell’Iraq. Questa guerra punta a cancellare quella prospettiva di pace e di cambiamento radicale della società per cui anche Lorenzo ha lottato sacrificando la propria vita.

Questa guerra contro la libertà è condotta non solo dalla Turchia ma da tutti gli stati. Perché un’esperienza alternativa come quella del Rojava è in sé una minaccia per la dimensione egemonica e di guerra prodotta dagli stati. Ma anche perché un simile esempio rischia di riaccendere anche in altri parti del mondo la speranza della rivoluzione sociale. Per questo anche in Italia, come in Germania, Francia e in altri paesi, compagne e compagni che hanno sostenuto direttamente la lotta delle popolazioni del Rojava sono stati o sono tuttora soggetti alla persecuzione dello stato.

Invitiamo a partecipare al presidio tutt* coloro che vorranno ricordare Lorenzo, manifestare sostegno per il Rojava e esprimere solidarietà a tutte le compagne e i compagni che anche in Italia sono perseguitati per il loro impegno internazionalista.

Collettivo Anarchico Libertario

Federazione Anarchica Livornese

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Livorno: striscione al consolato greco per Dimitris Koufontinas

Solidarietà a Dimitris Koufontinas!

Stato assassino! Libertà per tutt*!

Striscione solidale anche a Livorno oggi al porto di fronte al consolato greco, nella giornata internazionale di solidarietà con Dimitris Koufontinas che dall’8 gennaio è in sciopero della fame contro la politica carceraria assassina del governo greco.

Il governo di destra guidato da Nuova Democrazia non intende accettare la richiesta di trasferimento per cui Koufintinas ha iniziato prima uno sciopero della fame e poi anche uno sciopero della sete. Il governo vuole in questo modo uccidere Koufontinas e cancellare ogni forma di protesta dalle strade del paese. Negli ultimi giorni la polizia ad Atene attacca violentemente le manifestazioni organizzate dagli avvocati in solidarietà con lo sciopero della fame, la polizia scioglie le manifestazioni con la forza prima ancora che inizino, impedendo ogni forma di raduno nelle piazze. Nonostante questo nelle ultime settimane migliaia di persone sono scese in piazza ogni giorno nelle principali città della Grecia. Gli anarchici sono una componente significativa di queste manifestazioni. È importante rompere il silenzio a livello internazionale sulla situazione in Grecia rilanciando le iniziative di solidarietà internazionale.

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8 marzo in piazza a Livorno ore 10 in P Grande: appello di NUDM

pubblichiamo volentieri l’appello di NUDM per la giornata di lotta dell’8 marzo

8 marzo 2021: Sciopero globale femminista e transfemminista. Essenziale è il nostro sciopero, essenziale è la nostra lotta!

A LIVORNO

Dalle Ore 10.00
Piazza Grande, lato bar Surfer Joe
piazza dello sciopero:
banchetti, musica, testimonianze, microfono aperto, distribuzione materiale

APPELLO DI NUDM VERSO L’8 MARZO
Negli ultimi anni abbiamo vissuto lo sciopero femminista e transfemminista globale come una manifestazione di forza, il grido di chi non accetta di essere vittima della violenza maschile e di genere. Abbiamo riempito le piazze e le strade di tutto il mondo con i nostri corpi e il nostro desiderio di essere vive e libere, abbiamo sfidato la difficoltà di scioperare causata dalla precarietà, dall’isolamento, dal razzismo istituzionale, abbiamo dimostrato che non esiste produzione di ricchezza senza il nostro lavoro quotidiano di cura e riproduzione della vita, abbiamo affermato che non siamo più disposte a subirlo in condizioni di sfruttamento e oppressione.
A un anno dall’esplosione dell’emergenza sanitaria, la pandemia ha travolto tutto, anche il nostro movimento e la nostra lotta, rendendoli ancora più necessari e urgenti. Lo scorso 8 marzo ci siamo ritrovatə allo scoccare del primo lockdown e abbiamo scelto di non scendere in piazza a migliaia e migliaia come gli anni precedenti, per la salute e la sicurezza di tutte. È a partire dalla consapevolezza e dalla fantasia che abbiamo maturato in questi mesi di pandemia, in cui abbiamo iniziato a ripensare le pratiche di lotta di fronte alla necessità della cura collettiva, che sentiamo il bisogno di costruire per il prossimo 8 marzo un nuovo sciopero femminista e transfemminista, della produzione, della riproduzione, del e dal consumo, dei generi e dai generi. Non possiamo permetterci altrimenti. il prossimo 8 marzo sarà sciopero femminista e transfemminista, della produzione, della riproduzione, del e dal consumo, dei generi e dai generi.
Dobbiamo creare l’occasione per dare voce a chi sta vivendo sulla propria pelle i violentissimi effetti sociali della pandemia, e per affermare il nostro programma di lotta contro piani di ricostruzione che confermano l’organizzazione patriarcale della società contro la quale da anni stiamo combattendo insieme in tutto il mondo. Non abbiamo bisogno di spiegare l’urgenza di questa lotta. Le tantissime donne che sono state costrette a licenziarsi perché non potevano lavorare e contemporaneamente prendersi cura della propria famiglia sanno che non c’è più tempo da perdere. Lo sanno le migliaia di lavoratrici che hanno dovuto lavorare il doppio per ‘sanificare’ ospedali e fabbriche in cambio di salari bassissimi e nell’indifferenza delle loro condizioni di salute e sicurezza. Lo sanno tutte le donne e persone Lgbt*QIAP+ che sono state segregate dentro alle case in cui si consuma la violenza di mariti, padri, fratelli. Lo sanno coloro che hanno combattuto affinché i centri antiviolenza e i consultori, i reparti IVG, i punti nascita, le sale parto, continuassero a funzionare nonostante la strutturale mancanza di personale e di finanziamenti pubblici aggravata nell’emergenza. continuassero a funzionare nonostante la strutturale mancanza di fondi.
Lo sanno le migranti, quelle che lavorano nelle case e all’inizio della pandemia si sono viste negare ogni tipo di sussidio, o quelle che sono costrette ad accettare i nuovi turni impossibili del lavoro pandemico per non perdere il permesso di soggiorno. Lo sanno le insegnanti ridotte a ‘lavoratrici a chiamata’, costrette a fare i salti mortali per garantire la continuità dell’insegnamento mentre magari seguono i propri figli e figlie nella didattica a distanza. Lo sanno lə studenti che si sono vistə abbandonare completamente dalle istituzioni scolastiche, già carenti in materia di educazione sessuale, al piacere, alle diversità e al consenso, sullo sfondo di un vertiginoso aumento delle violenze tra giovanissimə. Lo sanno le persone trans* che hanno perso il lavoro e fanno ancora più fatica a trovarlo perché la loro dissidenza viene punita sul mercato. Lo sanno lə sex workers, invisibilizzatə, criminalizzatə e stigmatizzatə, senza alcun tipo di tutela nè sindacalizzazione, che hanno dovuto affrontare la pandemia e il lockdown da solə.
A tuttə loro, a chi nonostante le difficoltà in questi mesi ha lottato e scioperato, noi rivolgiamo questo appello: l’8 marzo scioperiamo! Abbiamo bisogno di tenere alta la sfida transnazionale dello sciopero femminista e transfemminista perché i piani di ricostruzione postpandemica sono piani patriarcali.
A fronte di uno stanziamento di risorse economiche per la ripresa, il Recovery Plan non rompe la disciplina dell’austerità sulle vite e sui corpi delle donne e delle persone LGBT*QIAP+. Da una parte si parla di politiche attive per l’inclusione delle donne al lavoro e di «politiche di conciliazione», dando per scontato che chi deve conciliare due lavori, quello dentro e quello fuori casa, sono le donne. Dall’altra non sono le donne, ma è la famiglia – la stessa dove si consuma la maggior parte della violenza maschile, la stessa che impedisce la libera espressione delle soggettività dissidenti ‒ il soggetto destinatario dei fondi sociali previsti dal Family Act. E da questi fondi sono del tutto escluse le migranti, confermando e mantenendo salde le gerarchie razziste che permettono di sfruttarle duramente in ogni tipo di servizi. Così anche gli investimenti su salute e sanità finiranno per essere basati su forme inaccettabili di sfruttamento razzista e patriarcale. Miliardi di euro sono poi destinati a una riconversione verde dell’economia, che mira soltanto ai profitti e pianifica modalità aggiornate di sfruttamento e distruzione dei corpi tutti, dell’ecosistema e della terra.
Poco o nulla si dice delle misure contro la violenza maschile e di genere, nonostante questa sia aumentata esponenzialmente durante la pandemia, mentre il «reddito di libertà» è una risposta del tutto insufficiente alla nostra rivendicazione dell’autodeterminazione contro la violenza, anche se dimostra che la nostra forza non può essere ignorata. Questo 8 Marzo non sarà facile, ma è necessario. Lo sciopero femminista e transfemminista non è soltanto una tradizionale forma di interruzione del lavoro ma è un processo di lotta che attraversa i confini tra posti di lavoro e società, entra nelle case, invade ogni spazio in cui vogliamo esprimere il nostro rifiuto di subire violenza e di essere oppressə e sfruttatə. Questa è da sempre la nostra forza e oggi lo pensiamo più che mai, perché ogni donna che resiste, che sopravvive, ogni soggettività dissidente che si ribella, ogni migrante afferma la propria libertà fa parte del nostro sciopero.
Il 30 e 31 una prima tappa verso l’8 marzo, nel corso della quale ci siamo incontrat* in gruppi divisi per tematiche per costruire le prime tappe dello sciopero femminista ed il 6 febbraio l’Assemblea per discutere collettivamente e indicare quali sono per noi terreni di lotta nella ricostruzione pandemica.
Proprio oggi che il nostro lavoro, dentro e fuori casa, è stato definito «essenziale», e questo ci ha costrette a livelli di sfruttamento, isolamento e costrizione senza precedenti, noi diciamo che “essenziale è il nostro sciopero, essenziale è la nostra lotta!”.

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La Comune di Kronstadt 1921-2021 Assemblea dibattito online

2 marzo 1921 – 2 marzo 2021

La Comune di Kronstadt

Assemblea dibattito on line

Martedì 2 marzo ore 21

Chi fosse interessato a partecipare può inviare una mail all’indirizzo cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

Il 2 marzo 1921 gli operai e i marinai rivoluzionari di Kronstadt insorgono con la parola d’ordine “Tutto il potere ai soviet, non al partito”.

Dopo due settimane di lotta sanguinosa, la ribellione viene soffocata dall’Armata Rossa.

Kronstadt è la principale base navale russa nel Mar Baltico, e fin dalla rivoluzione del 1905 si caratterizza per lo spirito rivoluzionario. Fin dall’inizio della Rivoluzione Russa, nel febbraio del 1917, il soviet locale si caratterizza per il radicalismo nel portare avanti la soppressione delle gerarchie militari, della proprietà privata, dei privilegi di casta. Durante la guerra civile scatenata dai partiti borghesi, dai generali zaristi e dai governi dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti) distaccamenti di marinai e operai di Kronstadt sono presenti su tutti i fronti per animare la resistenza con il loro spirito combattivo.

Quando la guerra civile volge al termine, fra i settori più combattivi della classe operaia e i soldati e marinai di avanguardia si diffonde l’insofferenza per il regime imposto dal governo bolscevico fino a prendere coscienza della necessità di una terza rivoluzione: dopo la prima che ha abbattuto l’autocrazia zarista e la seconda che ha cacciato i partiti borghesi dal governo, la restaurazione del potere dei soviet, con la cacciata dei burocrati di partito, e il ripristino del potere operaio in fabbrica e nella società potrà avvenire solo con una nuova rivoluzione. I grandi scioperi di Pietrogrado e la rivolta di Kronstadt sono i segni di questa dinamica di classe.

Per decenni abbiamo dovuto difendere i rivoluzionari di Kronstadt dalle calunnie degli stalinisti e dei trotzkisti. Oggi queste posizioni hanno perso potere ed influenza, ma un’altra ideologia minaccia il proletariato rivoluzionario. L’ideologia dominante oggi cerca di cancellare ogni prospettiva rivoluzionaria: la rivoluzione russa sarebbe stata solo un bagno di sangue e, come ogni altra rivoluzione, avrebbe dato vita ad una feroce tirannia.

Gli anarchici al contrario sono convinti che l’insurrezione vittoriosa sia l’unico mezzo per determinare la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi dei nuovi rapporti sociali latenti sotto il dominio del capitale e del governo.

La vicenda di Kronstadt strappa la storia della Rivoluzione Russa e della successiva, ultradecennale, restaurazione capitalistica dalla cronaca degli intrighi di palazzo e la restituisce alla dinamica dello scontro di classe e alle tendenze sociali più forti delle volontà degli individui o della teoria di un partito, per quanto “scientifica”.

L’esperienza dei marinai e degli operai rivoluzionari in Russia, come cinquant’anni prima la Comune di Parigi, ci consegnano un modello di organizzazione sociale, basato sull’autogoverno e il federalismo, alternativo al modello gerarchico, dittatoriale o democratico, che ha influenzato la successiva elaborazione del movimento anarchico, ed ha cambiato radicalmente l’atteggiamento rispetto alla ricostruzione sociale, al ruolo dei sindacati. Si tratta di un’esperienza non riducibile a quanto elaborato all’interno della Prima Internazionale e ai modelli suggeriti dal sindacalismo rivoluzionario e dall’anarcosindacalismo. Il modello dei soviet, il modello della Comune di Parigi, il modello dell’autogoverno e del federalismo sono incompatibili con qualsiasi forma di dittatura, che rimane sempre lo strumento del dominio di una classe sull’altra, il modello della rivoluzione borghese e non della rivoluzione proletaria.

Noi siamo convinti che il futuro è quello della rivoluzione proletaria, e in questa rivoluzione l’anarchismo avrà qualcosa da dire.

La Federazione Anarchica Livornese organizza un incontro on line per approfondire questi temi per il giorno 2 marzoo alle ore 21.

Introduce il compagno Tiziano Antonelli.

Chi fosse interessato a partecipare può inviare una mail all’indirizzo cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

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Striscione di solidarietà per Dimitris Koufontinas

Solidarietà a Dimitris Koufontinas, prigioniero politico in sciopero della fame e della sete in Grecia, che protesta contro la politica carceraria assassina dello stato greco, perché sia riconosciuto il suo diritto al trasferimento nel carcere di Korydallos.
Koufontinas è al 48esimo giorno di sciopero della fame e al terzo giorno di sciopero della sete.
Stasera la Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario hanno esposto uno striscione in sostegno alla lotta di Koufontinas. Perché vinca e viva!
Stato assassino! Libertà per tutt*!
Solidarietà a Dimitris Koufontinas

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Le lotte nella scuola Oltre la pandemia

Le lotte nella scuola
Oltre la pandemia
ASSEMBLEA-DIBATTITO
Sabato 13 febbraio 2021
h 15:30 presso il giardino della FAL
Via degli Asili 33-35 Livorno
Draghi non ha ancora formato un governo ma ha già annunciato la sua politica sulla scuola. Bastone e aziendalizzazione.
La scuola viene presentata nella narrazione manistream come il luogo più sicuro. La realtà è molto diversa. Le richieste di diminuire il numero di alunni per classe, assumere e stabilizzare personale, adeguare le strutture scolastiche portate avanti dalla scorsa primavera da sindacati di base, assosciazioni e componente studentesca sono state ignorate. Il governo, anche attraverso i dirigenti scolastici, impone in modo autoritario misure che contrastano con le reali necessità di chi a scuola ci lavora e ci studia, misure che invece perseguono solo gli obiettivi amministrativi di minimizzazione dei costi e privatizzazione, nell’imperativo generale della produttività.
Dalla primavera scorsa nella scuola non si è fermata la lotta per la tutela della salute e della sicurezza di tutt*, per la stabilizzazione di chi ci lavora, per l’accesso allo studio. Discutiamone insieme anche in vista di un rilancio delle proteste nei prossimi mesi.
Ne parleremo a partire dagli ultimi articoli pubblicati da Umanità Nova e dal volantone “La scuola nella pandemia”
Sabato 13 febbraio ore 15.30 presso la Federazione Anarchica Livornese
Nel giardino di via degli asili 35
In caso di maltempo l’iniziativa si terrà all’interno con numero ridotto di partecipanti
L’iniziativa si terrà nella tutela della salute di tutt*
Collettivo Anarchico Libertario
Federazione Anarchica Livornese

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Solidarietà internazionalista contro la stretta autoritaria globale!

da: https://umanitanova.org/?p=13520

Solidarietà internazionalista contro la stretta autoritaria globale!

La pandemia globale e le sue conseguenze gravano sulla classe lavoratrice. È quella sfruttata e oppressa la parte della popolazione mondiale più colpita dalla pandemia e allo stesso tempo quella più impegnata nel proteggere la salute di tutti. Il sistema statale e capitalista sta ora mostrando più chiaramente le proprie falle e contraddizioni. L’accelerazione dei processi autoritari in atto a livello globale punta a difendere il potere, il privilegio e il profitto delle classi dominanti.

In varie regioni del mondo osserviamo il drastico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di centinaia di milioni di persone. L’accaparramento di risorse naturali continua, e beni essenziali come terra e acqua sono sempre più concentrati nelle mani di grandi proprietari. Poche grandi compagnie di diversi settori come e-commerce, tecnologia, media, industria farmaceutica, grande distribuzione e industria dell’auto hanno prosperato durante la pandemia, guadagnando centinaia di miliardi di dollari.

In molti paesi del mondo cresce la spesa bellica, le tensioni militari tra gli stati aumentano, accompagnate dalla propaganda razzista, nazionalista, fascista. Molti governi stanno rafforzando il proprio apparato di sicurezza sia esercitando maggiore controllo e repressione sulla popolazione sia estendendo i poteri dei corpi di polizia. Intanto la popolazione segregata, nella striscia di Gaza come nei ghetti delle metropoli, a Lesvos e nei campi di detenzione per migranti come nelle carceri di tutto il mondo, vive questa crisi in condizioni di totale deprivazione.

Spesso le misure per prevenire la diffusione del coronavirus vengono utilizzate dai governi per colpire i movimenti di lotta. Ma in ogni angolo del mondo ci sono forme di resistenza, movimenti di lotta che in alcuni casi non solo resistono ai processi autoritari in atto, ma provano a far nascere un’alternativa. Siamo con coloro che si sollevano contro il razzismo e la polizia negli USA, contro le squadre speciali della polizia in Nigeria, contro un nuovo stato di polizia in Francia, con chi si rivolta in Cile contro lo Stato militarista neoliberale e la violenza genocida utilizzata per reprimere la popolazione Mapuche. Siamo con chi lotta per la libertà e l’uguaglianza contro la dittatura in Turchia e in Bielorussia, così come contro i regimi autoritari in Tahilandia e in Indonesia.

In molti casi il movimento anarchico è parte attiva di queste lotte. In varie aree del mondo del mondo le anarchiche e gli anarchici sono impegnati quotidianamente, difendendo spazi di libertà, sostenendo lavorator* in sciopero, costruendo di reti solidali e di mutuo appoggio per far fronte all’impoverimento, alla violenza di genere, all’inaccessibilità dei dispositivi di protezione e dei trattamenti medici.

Ora più che mai è urgente rafforzare la dimensione internazionalista dell’anarchismo, per far fronte ai processi autoritari in atto, per rilanciare una prospettiva rivoluzionaria in un mondo che lo Stato e il capitalismo hanno portato al collasso.

La Commissione di Relazioni dell’INTERNAZIONALE DI FEDERAZIONI ANARCHICHE (IAF/IFA) – 16 Gennaio 2021

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Contro il governo Draghi, contro tutti i governi!

Contro il governo Draghi

contro tutti i governi

L’incarico a Mario Draghi per provare a formare un nuovo governo è in ogni caso una dichiarazione di guerra alle classi sfruttate e ai ceti meno abbienti. È facile capire quale sarà il programma di un simile governo: raccogliere tutti i finanziamenti provenienti dall’Unione Europea, cancellare i pur miseri palliativi decisi dal primo e dal secondo governo Conte, promuovere ulteriori privatizzazioni nella scuola e nella sanità.

La missione di governo di Mario Draghi, benedetto da Mattarella e con il beneplacito di destra e sinistra, sarà una gigantesca operazione di assistenzialismo per ricchi. La chiesa continuerà a versare lacrime di coccodrillo sull’aumento della povertà, ma sarà la maggiore beneficiaria dei tagli ai servizi e delle privatizzazioni nella sanità e nell’istruzione.

Che si risolva o meno con la formazione di un nuovo governo, l’incarico conferito da Mattarella a Mario Draghi mostra chiaramente l’indirizzo che la classe dominante intende imporre, qualsiasi sia la soluzione dell’attuale crisi di governo. Un messaggio chiaro nella disastrosa situazione sociale attuale, a meno di due mesi dalla scadenza del blocco dei licenziamenti e del blocco degli sfratti. Continueremo la lotta, contro il governo Draghi e contro tutti i governi, convinti che solo l’azione diretta e l’autorganizzazione delle masse aprirà la strada a maggior libertà e maggiore giustizia sociale.

Federazione Anarchica Livornese

cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

03/02/21

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Dieci anni dalla rivoluzione tunisina. Un esempio ancora vivo

articolo pubblicato su Umanità Nova n. 4 del 31 gennaio 2021

Ecco dove si può trovare a Livorno e dintorni il settimanale anarchico:

Federazione Anarchica Livornese – via degli Asili 33

Edicola P.zza Grande (angolo via Cogorano)
Edicola Via Garibaldi 7
Edicola P.zza Damiano Chiesa (ospedale)
Edicola Porto (Piazza Micheli lato Quattro Mori)
Edicola Dharma – viale di Antignano 110
Bar Dolcenera – via della Madonna 38 (angolo Viale degli Avvalorati)
Edicola in via Verdi 133
Edicola in via Meyer 89 (p. Attias)
Edicola in via Curiel di fronte al circolo Arci (Stagno – Colleslvetti)

Dieci anni dalla rivoluzione tunisina. Un esempio ancora vivo

Quattro giorni di quarantena hanno segnato il decennale della rivoluzione tunisina. Ma il divieto di manifestare a Tunisi e nel resto del paese non ha fatto che riaccendere le proteste. Il fuoco della rivoluzione non si è ancora spento.

Le rivolte di oggi

Il traballante governo conservatore guidato da Hichem Mechichi ha deciso di usare il pugno di ferro e ha schierato anche i mezzi blindati dell’esercito per far rispettare quello che subito è stato chiamato un “lockdown politico”. Il 20 gennaio, dopo 6 giorni di manifestazioni e scontri, erano già oltre 1000 gli arresti da parte della polizia, ma il numero è in crescita e le proteste ad oggi [24 gennaio] stanno continuando. Alcune persone sarebbero state rilasciate, ma in molti casi sono già state emesse condanne severe di carcerazione nei confronti di giovani e giovanissimi arrestati in questi giorni. Intanto continuano le violenze poliziesche, con brutalità nelle strade, irruzioni e arresti all’interno delle abitazioni, l’uso massiccio di candelotti lacrimogeni ha provocato feriti anche molto gravi.

Il governo ha cercato di delegittimare le proteste attraverso i media, parlando di vandalismo e spargendo menzogne, mettendo in campo modelli di propaganda ben collaudati nelle democrazie e nelle dittature di tutto il mondo. Il Ministro della difesa tunisino Ibrahim Al-Bartaji ha ipotizzato che potrebbero essere “mani straniere” a dirigere le proteste, mentre il premier Mechichi ha fatto appello ai giovani a restare a casa, perché il governo penserà a risolvere i loro problemi, mentre le proteste rischiano di essere infiltrate da “sabotatori” e “anarchici”.

Sono soprattutto le più giovani e i più giovani a scendere in strada, quelli che erano poco più che bambini nel 2011. La “generazione sbagliata”, la generazione per cui la rivoluzione avrebbe dovuto essere la promessa di una vita diversa da quella dei loro genitori, delle loro sorelle e fratelli più grandi. Per questo si manifesta nel centro di Tunisi, per questo ogni sera si scende in strada nei quartieri periferici della capitale e delle altre grandi città, dove gli scontri sono più duri. In un paese in cui quasi il 40% della popolazione ha meno di 25 anni, circa un terzo dei giovani è disoccupato. Ma non è un conflitto generazionale. Quella che continua ad allargarsi nella realtà tunisina è una frattura sociale, tra popolazione povera, esclusa, diseredata e le classi dominanti. Da questo nasce la nuova ondata di proteste, che si lega ai movimenti del 2018 e del 2016. Ancora una volta l’anniversario della rivoluzione diviene occasione per rimettere al centro quella questione sociale che non ha trovato soluzione con la fine del regime.

La rottura del 2011

Il 14 gennaio 2011 il Presidente della Repubblica di Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali fuggiva in Arabia Saudita. Erano bastate poche settimane per porre fine a un regime durato 23 anni. L’ondata di proteste che portò alla sua caduta era iniziata il 17 dicembre 2010; quel giorno davanti alla sede del governatorato di Sidi Bouzid il giovane ambulante Mohamed Bouazizi si era dato fuoco, come estrema azione di protesta, dopo che la polizia aveva per l’ennesima volta cercato di estorcergli denaro sequestrandogli il carretto e le verdure, suo unico mezzo di sostentamento. Un gesto che aveva catalizzato le tensioni presenti in un società piegata dalla disoccupazione e dall’autoritarismo, in cui i più giovani e i più poveri iniziavano a pagare il conto delle riforme finanziarie, intraprese dal governo intorno al 2000 su pressione del FMI e accelerate in seguito alla crisi del 2008. Si accese così la rivolta contro la dittatura, l’arroganza e la corruzione del potere, per migliori condizioni di vita, per la libertà di associazione e di parola.

Nel 1987 era stato il SISMI, il ramo militare dei servizi segreti italiani, per volere di Craxi e Andreotti, a preparare il colpo di stato “medico” che portò al potere Ben Ali, deponendo il vecchio Bourghiba ritenuto ormai inadeguato alla presidenza. Finalmente l’insurrezione popolare nel 2011 metteva fine alla dittatura.

Quella del 2011 è stata chiamata “rivoluzione dei gelsomini”, una rivoluzione incompiuta. Perché le potenze europee hanno potuto riprendere il controllo sul paese imbrigliando un movimento insurrezionale di massa nelle dinamiche elettorali. Perché troppi esponenti del vecchio regime hanno mantenuto posizioni di potere e si sono riciclati nel nuovo sistema pluripartitico. Perché le aspirazioni di cambiamento sociale profondo e radicale sono state soffocate. La rivoluzione è incompiuta non perché lo dice qualche fazione politica, ma perché la fine del regime di Ben Ali non ha significato la fine delle “liste nere” che impedivano ai vecchi dissidenti di accedere a certi lavori, perché l’arroganza della polizia continua mentre le istanze di libertà, di autorganizzazione e di autodeterminazione sono represse, perché le donne nelle zone rurali come nei centri urbani continuano a vivere in condizioni di estremo sfruttamento, perché i giovani continuano ad essere schiacciati dalla disoccupazione, a lottare per sopravvivere, oppure costretti a emigrare, o spinti tra le braccia della criminalità organizzata e dei gruppi islamisti.

Tuttavia questo non deve indurre a sminuire l’importanza del movimento insurrezionale che ha rovesciato il regime di Ben Ali. Anche se incompiuta la rivoluzione tunisina ha avuto una portata epocale, perché la rottura è stata segnata dalla lotta delle classi popolari, che hanno con la propria forza non solo posto fine a una dittatura ma anche organizzato autonomamente in certi casi, come in alcune zone di Tunisi, la gestione dei quartieri. È in questo processo che escono dalla totale illegalità alcune tendenze della sinistra rivoluzionaria mentre altre emergono e si organizzano, si creano movimenti di base, spazi autogestiti, atelier artistici e centri culturali. Nella vivacità di questa fase si creano anche le prime basi di un movimento anarchico tunisino.

La forza dell’esempio spaventa le potenze europee e atlantiche, per questo intervengono in senso controrivoluzionario nei paesi della sponda sudorientale del Mediterraneo, anch’essi scossi agli inizi del 2011 da quell’ondata di rivolte che prese il nome di “primavera araba”. In Libia i bombardamenti e l’intervento di Italia, Francia, UK e USA, azzerano il ruolo delle proteste popolari e favoriscono un innalzamento del conflitto tale da aprire la strada, dopo la caduta di Gheddafi, alla guerra vera e propria per il controllo del paese. In Egitto dopo la rivolta che segna la caduta di Mubarak le potenze regionali e mondiali sostengono, contro ogni prospettiva di liberazione, le diverse forze autoritarie in campo, l’esito è una dittatura militare. La Siria, anch’essa scossa dalle proteste, viene trasformata in un enorme campo di battaglia tra gli stati, un grande gioco, giocato con armi da guerra, in cui sono schiacciate le più vivaci forme di autorganizzazione popolare. Solo l’esperimento politico e sociale del Rojava nel nord della Siria resiste a questa stretta controrivoluzionaria, pur nelle enormi contraddizioni del contesto bellico, grazie alle sue forze di autodifesa, pagando un prezzo altissimo in morti, feriti, profughi, distruzione, ed ancora è sotto attacco.

Ma la rottura del 2011 ha una portata più vasta che non deve essere trascurata. La crisi economica del 2007-2008 e le conseguenti politiche antiproletarie e autoritarie adottate a livello globale esasperano la crisi di legittimità del potere politico già in atto da tempo. E mentre sulle sponde sudorientali del Mediterraneo i vecchi sistemi politici autoritari vengono rovesciati, pure nei cosiddetti paesi democratici, al di là del mare, come in Grecia, Spagna e Italia, sorgono movimenti di massa che contestano anche molto duramente l’élite politica ed economica. In questi paesi non si verifica una rottura dell’ordinamento, anche perché molti partiti che compongono tali movimenti dipendono proprio dalla continuità del sistema politico. Un vicolo cieco, perché i governi democratici di questi paesi, sempre più autoritari, rimarranno sordi anche alle più semplici rivendicazioni economiche. Si assiste comunque in quel periodo a grandi movimenti, che non solo si scagliano contro le politiche antiproletarie di austerità, ma che portano avanti anche istanze alternative, pur se spesso contraddittorie, di gestione dal basso, autogoverno, democrazia diretta.

Un esempio vivo

Oggi, in una globale accelerazione dei processi autoritari, dalle sponde del Mediterraneo continuano ad arrivare segnali inquietanti. Ad Atene a novembre scorso sono state vietate, con la giustificazione della prevenzione del contagio da coronavirus, le manifestazioni per ricordare la rivolta del Politecnico del 1973, chi manifestava è stato picchiato, arrestato, multato, mentre giunge la notizia che sarà creato uno speciale corpo di polizia incaricato di intervenire nelle università. A Istanbul poche settimane fa il governatore del distretto ha vietato, sempre per ragioni sanitarie, le manifestazioni nelle aree interessate dalle proteste antigovernative degli studenti della Università Boğaziçi. In Slovenia, anche qui come misura anticontagio, è vietata e perseguita ogni forma di manifestazione, e il ROG una delle principali strutture occupate di movimento nella capitale Ljubljana è stato sgomberato. In Italia la libertà di manifestare è strettamente limitata, molte sono le persone multate per aver partecipato anche a semplici presidi, mentre in molte città la polizia sta eseguendo sgomberi di spazi occupati e autogestiti. In Francia con una nuova legge si vuole garantire l’impunità della polizia e creare una nuova forza speciale antisommossa.

È in questo quadro generale che anche in Tunisia il governo ha dichiarato la quarantena vietando le manifestazioni per l’anniversario della fuga di Ben Ali e per i giorni successivi, giornate che negli ultimi anni sono sempre diventate un’occasione per riaccendere la protesta sociale. Martedì 12 gennaio il Ministro della salute Fawzi Al-Mahdi aveva annunciato che da giovedì 14 a domenica 17 sarebbe entrata in vigore una quarantena completa su tutto il territorio nazionale per rallentare la diffusione del contagio da coronavirus. Ciò ha significato coprifuoco dalle 16 del pomeriggio alle 6 di mattina, divieto di manifestazioni e chiusura delle scuole e di tutte le attività. Sono ovviamente rimaste attive le industrie del settore petrolifero, chimico e energia, comprese le miniere di fosfato di Gafsa. Da marzo 2020 la Tunisia, che ha subito in autunno una rapida crescita del contagio da coronavirus, mantiene misure di quarantena, ma è proprio nei giorni intorno all’anniversario della rivoluzione che tali misure hanno subito una stretta eccezionale. Pur criticando la scelta del governo, la maggior parte delle organizzazioni, compreso il sindacato UGTT, ha rinunciato ad ogni manifestazione. C’è chi però è sceso comunque in piazza, scontrandosi anche con la polizia, prima la mattina del 14 gennaio nel centro di Tunisi, nella Avenue Bourghiba simbolo della rivoluzione, poi nei quartieri periferici e in altre città, in particolare a Sousse e a Bizerte. Queste proteste ci riguardano direttamente, sia per il ruolo ingombrante dello stato italiano in Tunisia, sia perché ci ricordano che ovunque è urgente reagire al disastro sociale imposto dai governi.

Dopo dieci anni l’insurrezione tunisina è ancora un esempio. E lo è più che mai in tempi in cui la classe lavoratrice, sfruttata e oppressa, è la più colpita dalla pandemia e al contempo la più impegnata ad arginarla. In tempi in cui il ricatto imposto dai padroni – virus o miseria – è più barbaro che mai. In tempi in cui gli spettri autoritari tornano alla ribalta in carne e ossa. Oggi il coraggio e la determinazione di chi rovesciò la dittatura in Tunisia è un esempio che sta anche a noi mantenere vivo.

Dario Antonelli

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