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Documento astensionista per le elezioni amministrative 2014

Questo documento sarà disponibile in forma di opuscolo al presidio astensionista che si terrà oggi, sabato 17 Maggio, in Via Grande (angolo Via Cogorano). Si potrà trovare ovviamente anche presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dale 18 alle 20).

SI CAMBIA CON LA LOTTA, NON COL VOTO!

DOCUMENTO ASTENSIONISTA PER LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2014

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A cura della Federazione Anarchica Livornese e del Collettivo Anarchico Libertario

LE CIFRE DEL DISASTRO

La crisi economica iniziata nel 2008 e di cui ancora non si vede la fine ha colpito duramente il territorio livornese. L’argomento richiederebbe molto spazio. Limiteremo quindi la nostra attenzione ad alcuni aspetti socialmente rilevanti.

Riferimento: la provincia di Livorno ha una popolazione complessiva di 335mila persone di cui 174mila vivono nei comuni di Livorno e Collesalvetti (area livornese). Pertanto, con una certa approssimazione si può dire che il peso di questa area è determinante nella valutazione dei dati anche quando non sono riferiti specificatamente alla zona Livorno-Collesalvetti ma più genericamente a tutta la provincia.

Disoccupazione

Secondo i dati ISTAT la disoccupazione nella provincia di Livorno era nel 2013 pari all’8,6%, con una progressione di quasi il 100% rispetto al 2007, quando era del 4,5%. Nel 2013 la media toscana era del 7,8%.

In realtà secondo quanto riportato dall’Osservatorio della Provincia di Livorno, alla fine del 2012 il tasso di disoccupazione provinciale era pari al 14,2% (21754 disoccupati censiti), molto superiore alla media nazionale ISTAT: 11,7%. A Livorno città il tasso di disoccupazione era pari al 15,1%. Secondo gli ultimi rilevamenti dell’Osservatorio la disoccupazione avrebbe raggiunto nel 2013 il 16,1% rispetto ad una media toscana del 7,9%: più del doppio!

Drammatica la situazione giovanile: alla fine del 2012, l’Osservatorio calcolava che nella fascia 15/24 anni (al netto di chi studia) la disoccupazione toccava il 59% (la media regionale era del 28,9%) mentre nella fascia 25/34 era del 22,9%. La disoccupazione giovanile è al livello delle peggiori realtà del sud Italia. Pesante anche la situazione degli “scoraggiati”, cioè di coloro che non studiano non lavorano ma non cercano neppure più un lavoro: nella provincia di Livorno sono 9.700 i giovani fra i 15 e i 29 anni in questa condizione, pari al 22% del totale, contro una media regionale del 16%.

Cassa integrazione

Si tratta di dati pesantissimi: le ore di cassa integrazione ordinarie erano 319mila nel 2006, 993mila nel 2007, 1.191mila nel 2008 ma sono schizzate a 6.235mila nel 2009, 7.757mila nel 2010, 4.230mila nel 2011, 7.100mila nel 2012 e 6.629mila nel 2013.

Liste di mobilità

In cinque anni gli iscritti alle liste di mobilità sono aumentati del 59%: dai 1413 del 2008 ai 2389 del 2012.

Indennità di disoccupazione

In quattro anni coloro che “godono” di questa indennità sono aumentati del 65%, passando da 6525 a 10822.

Emergenza abitativa: gli sfratti

Gli sfratti erano 245 nel 2007 ma sono diventati 909 nel 2011 e 645 nel 2012. Impressionante, in tale contesto disastrato, l’aumento dei provvedimenti di sfratto per morosità: erano 183 nel 2007 sono diventati 809 nel 2011 . Nel resto della regione sono aumentati ma in misura molto minore: da 3637 a 4879.

Salute: aumentano gli anziani

Nella provincia di Livorno ci sono due anziani (over 65 anni) per ogni giovane (sotto i 14 anni).

Salute: i non autosufficienti

Nell’area livornese ci sono 3381 non autosufficienti e 3685 fragili, cioè a rischio di divenire non autosufficienti. Secondo dati del 2010, i posti letto per non autosufficienti ogni 100 autosufficienti erano 30,4 nell’area livornese, contro i 39,9 della media toscana. Gli anziani assistiti con assistenza domiciliare integrata erano 1,59 (ogni 100 anziani) nell’AUSL 6, contro 2,31 della media toscana e i 4,12 della media italiana.

Spesa sociale

Cioè quello che i Comuni spendono per l’erogazione di servizi e degli intervento socio-sanitari. Nell’area livornese era di 123 € per residente, contro i 133 dell’AUSL6 e i 137 della media toscana. Da segnalare che la spesa nell’area livornese è in costante declino dal 2006.

Emigrati

Secondo il rapporto della Fondazione Migrantes (riconducibile alla Caritas) il Comune di Livorno con 11.033 residenti all’estero (il 7% della popolazione residente) si trova in 11^ posizione fra i comuni italiani. Livorno è preceduta solo da Palma di Montechiaro, Favara, Corigliano Calabro, Aragona, Lamezia Terme, Licata, Adfrano, Roma, Lucca e Trieste. Secondo uno studio di Adriana Dadà sull’emigrazione italiana fra l’unità d’Italia e la prima guerra mondiale, la provincia di Livorno (che a quel tempo comprendeva solo Livorno e l’isola d’Elba) aveva all’epoca un tasso di emigrazione pari al 13% della popolazione residente.

Riassumendo: la disoccupazione a Livorno e nella sua provincia è quasi il doppio di quella media toscana e molto superiore alla media nazionale. La disoccupazione giovanile è a livelli da profondo sud. La cassa integrazione è aumentata vertiginosamente: poiché la CIG è l’anticamera del licenziamento è probabile che nei prossimi anni la situazione della disoccupazione peggiorerà ancora. “Si perde il lavoro e si perde anche la casa” non è uno slogan ma una amara realtà come dimostrano gli sfratti in continuo aumento, specie per morosità. La popolazione diventa sempre più anziana, quindi non autosufficiente ma nell’area livornese i servizi sono minori che nel resto della Toscana e perfino che nel resto del territorio servito dall’AUSL6. In una situazione talmente degradata il Comune di Livorno spende per servizi e interventi socio-sanitari meno di quanto non facciano, in media, gli altri comuni dell’AUSL6 e della Toscana. Il risultato è che tanti livornesi fuggono all’estero: Livorno sta diventando terra di emigranti!

Conclusioni

La risposta delle amministrazioni locali a questa situazione devastata e devastante si è centrata su alcune scelte di fondo:

  • Immissione nel territorio di denaro pubblico e privato (come nel caso del nuovo ospedale) senza riguardo al peggioramento dei servizi (leggi: privatizzazioni) e al danno ambientale;

  • Sostegno a progetti inutili e dannosi come il rigassificatore e il megainceneritore;

  • Incentivi per favorire l’arrivo di nuove imprese impegnate nel settore delle produzioni tossiche e nocive (progetto del Puntone del Vallino), proseguendo nella fallimentare scelta di fare di Livorno il “polo delle nocività” che tanto piace al governatore Rossi;

  • Lancio di nuove cementificazioni a fini commerciali (porta a terra e poi porta a mare, nuovo centro e chissà cos’altro).

Queste le scelte di fondo delle amministrazioni PD che si sono succedute negli anni. Scelte sia ben chiaro condivise, di fatto, non solo dalla insulsa destra cittadina, sempre attenta a ritagliarsi una fetta di potere che il sistema gli concede ben volentieri in cambio di una finta opposizione, ma anche dai cosiddetti “alternativi”. Di consiglieri più o meno di sinistra ne abbiamo visti passare tanti: dai demoproletari, ai piddiuppini, ai verdi, ai rifondaroli, alle liste civiche. Nessuno però che abbia saputo uscire dalle logiche istituzionali affrontando il problema centrale del vero ruolo dell’istituzione comunale come cerniera fra i gruppi che vorrebbero fare il bello e il cattivo tempo in città, gruppi che non trovano resistenza fra i mummificati consiglieri comunali ma nei comitati, nelle associazioni, nei singoli cittadini autorganizzati per difendere salute e territorio.

L’opposizione consiliare si è limitata al piccolo cabotaggio delle lamentele, limitandosi, nel migliore dei casi, a registrare quello che avveniva in città. Mai un programma di radicale cambiamento dell’esistente, quello che una volta si sarebbe detto “riformista” o “socialdemocratico”.

D’altra parte non poteva e non può essere diversamente: accettando le regole del sistema gli “alternativi” si sono legati le mani e non hanno potuto far altro che partorire programmi raccogliticci, se non contraddittori, spesso slegati dalla realtà delle lotte.

Quello che colpisce in tutta la sarabanda elettorale, piuttosto dimessa quest’anno, è che mentre tutto quello che è accaduto di positivo nel territorio in questi anni avveniva sistematicamente fuori e spesso contro il consiglio comunale, prima delle elezioni si assiste ad una folle rincorsa a creare liste e listine in cui ognuno è più interessato ad avere una autorappresentazione che non a cambiare la realtà; questo cambiamento non passa certo dal consiglio comunale ma dai rapporti di forza nello scontro sociale. Rapporti di forza che – sia detto per inciso – a Livorno non sono poi così sfavorevoli alle forze del cambiamento: perché se a Livorno le cose vanno male anzi malissimo, esse andrebbero anche peggio senza l’impegno, il sacrificio, la costanza di tanti che si sono battuti giorno dopo giorno, contro l’arroganza del potere economico e politico.

IL CAMBIAMENTO NON PASSA PER LE URNE ELETTORALI

Quest’anno, rispetto alle elezioni amministrative del 2009, assieme al moltiplicarsi dei candidati a sindaco, c’è un maggior numero di queste liste elettorali “alternative” che tentano di catalizzare il diffuso malcontento proponendosi come elemento di rottura e cambiamento. Spendiamo quindi qualche parola in più su di esse.

Non stiamo ovviamente parlando della sparuta destra cittadina, attualmente frammentata in ben quattro liste differenti: una segmentazione che da una parte ricalca le divisioni politiche a livello nazionale, ma che dall’altra risponde anche agli interessi della stessa destra locale, ridotta ad un comitato di affari ben integrato nella gestione politica ed economica della città.

Sono le liste che si pongono in alternativa al PD più o meno “non da destra” a cavalcare in questa campagna elettorale il mito della scossa alla città, del grande cambiamento attraverso il voto del 25 maggio. Non ci interessa entrare nel merito di programmi e promesse elettorali, lasciamo questi argomenti a chi cerca in campagna elettorale di strappare voti all’avversario.

Poniamo invece la questione sul piano concreto dei processi politici che dovrebbero condurre a questo cambiamento. Per questi candidati il problema sta essenzialmente nella gestione della città da parte del PD, e la soluzione sta quindi nel cambiare la maggioranza di governo della città.

Qualcuno potrebbe pensare che questo sia già molto. Ma poi? Chi cerca esempi concreti può guardare a quello che è avvenuto nei molti comuni italiani che con le tornate elettorali degli scorsi anni hanno cambiato giunta. Non c’è alcuna prospettiva di cambiamento senza mettere veramente in discussione i processi decisionali che oggi impongono sui lavoratori ed in genere sulla popolazione le scelte politiche di governo del territorio, senza scardinare questo sistema politico partendo dalla sua base, ossia del meccanismo della delega. Non chiediamo certo ai candidati a sindaco di affrontare questo problema, dopotutto hanno scelto di correre sul piano delle elezioni; ma non ci vengano allora a parlare di cambiamento! Nella prospettiva elettorale il malcontento diffuso, la disillusione di molti, viene così manipolata con la creazione di una vana idea di trasformazione che non può mai passare per pratiche diverse da quelle della delega. Una delega, quella elettorale, che significa affidare a qualcuno il nostro voto perché siano i professionisti della politica a risolvere i nostri problemi, standocene buoni fino alle prossime elezioni; confidare nell’uomo della provvidenza e nell’efficienza degli apparati di partito.

La stessa struttura di queste liste elettorali “alternative” non lascia alcun margine ai dubbi. Molte di queste infatti sono organizzate secondo uno schema verticistico in tutto simile a quello dei partiti, con direttivi ed organismi decisionali più o meno aperti ma sempre centralizzati.

Oltre al consueto verticismo connaturato al mondo dei partiti ed ai personalismi che si impongono nelle liste civiche, un esempio fra tutti quello di Cannito, in queste elezioni abbiamo visto addirittura un raro caso di “direttivo” senza partito, come quello che guida la lista Buongiorno Livorno, attorno alla quale si sono aggregate altre tre liste di “sinistra”.

Un discorso a parte merita il Movimento 5 Stelle che dopo grandi liti interne a livello locale è riuscito ad presentare una lista per le amministrative. La spregiudicata caccia al consenso condotta dal movimento fondato da Grillo non ha niente da invidiare alla propaganda dei partiti più navigati. Le promesse agli imprenditori, la retorica razzista e anti-immigrati, il ritornello della sicurezza e della legalità sono parte importante della propaganda del Movimento 5 Stelle. Non di rado infatti a livello locale gli esponenti dei 5 Stelle sono stati costretti a ridimensionare o addirittura a prendere le distanze dalle affermazioni del proprio leader per evitare di perdere consensi.

Ma il problema non sta in questo o quel candidato, in questa o in quella lista, il problema sta nella via elettorale, il problema sta nella delega in bianco che con il voto si consegna a chi pretende di volerci rappresentare. Attraverso quella strada, quella del potere politico, non c’è margine per un reale cambiamento.

TRASFORMAZIONE POLITICA E CAMBIAMENTO SOCIALE

Quello di cui le persone hanno bisogno è un reale cambiamento sociale, e non un cambiamento di sindaco o della maggioranza al parlamento europeo.

Il Comune, oggi, dovrebbe provvedere a moltissimi servizi pubblici, ma lo fa male, perché la lotta fra i gruppi di potere altera anche le cose più semplici, ed è la popolazione a pagarne le tragiche conseguenze. Dovrebbe essere facile mettersi d’accordo sulle questioni urbanistiche, sui trasporti, sull’assistenza, sulla sanità, sulle cose che rientrano nell’ambito di gestione dell’ente locale, ma non è così.

La divisione in classi della società è un primo ostacolo; in tali condizioni, il Comune è tale solo di nome. Non vi è nulla in comune tra l’operaio ed il capitalista, tra il disoccupato ed il manager che impone straordinari a chi già lavora. Non vi è nulla in comune tra sfrattato e proprietario di case, tra chi si ammala perché è vittima dell’inquinamento e chi installa produzioni nocive per la salute e per l’ambiente.

L’interesse dei partiti che hanno in mano l’amministrazione è un altro elemento di divisione: il governo locale è pur sempre un governo, e chi è al potere ha bisogno di una classe economicamente potente che lo appoggi in cambio della protezione che ne riceve. Infatti ogni gruppo consiliare è a capo di una clientela che cerca di soddisfare i propri appetiti a danno delle altre e soprattutto a danno dell’insieme dei cittadini.

Ecco allora che il governo locale, in modo più o meno legale, amministra quei servizi di cui detiene il monopolio a vantaggio della classe economicamente dominante: abbiamo visto come è stato portato alla rovina il trasporto pubblico locale, per poi consegnare ATL alla società CTT che ha imposto una riduzione dello stipendio ai lavoratori. Lo sfacelo del sistema sanitario nazionale è funzionale a cliniche e laboratori privati, case farmaceutiche, speculatori di ogni risma. Questo a Livorno si è tradotto con l’abbandono dell’Ospedale di Viale Alfieri per lanciare il progetto del “nuovo ospedale” che vedrà una gestione pubblico-privato e che porterà ad una ulteriore riduzione del servizio sanitario a Livorno. L’inadeguatezza del servizio di scuole per l’infanzia, su cui gli investimenti sono assai inferiori alle esigenze della popolazione, favorisce soprattutto gli istituti religiosi, che attorno a questa attività hanno un giro di affari vertiginoso, presentato ancora una volta dall’amministrazione comunale come esempio di governance, di sistema integrato pubblico-privato.

Anche nelle principali crisi occupazionali che ci sono state a Livorno, il ruolo del Comune è sempre stato negativo per i lavoratori, mentre ha favorito padroni e speculatori. Negli ultimi venti anni i casi del Cantiere e della Delphi sono soltanto i più noti. La dismissione del Cantiere è stata accompagnata dal cambio di destinazione del terreno e dalla speculazione sulle aree con la costruzione del complesso commerciale e residenziale di Porta a Mare, un’operazione in cui il Comune ha avuto un ruolo centrale. Il Comune nella chiusura della Delphi ha avuto un ruolo importante come mediatore nella ricerca di soluzioni per i lavoratori. Il risultato? Anni di cassa integrazione, “tavoli” e promesse per tenere buoni gli operai, fino alla truffa di Rossignolo: il manager che secondo il Comune avrebbe dovuto “salvare” 134 operai ex Delphi, ma che venne arrestato mentre la sua società, la De Tomaso, si rivelava una grande farsa per far soldi.

Ma il Comune diviene anche magicamente paladino della “difesa dell’occupazione”. Infatti anche pochi posti di lavoro diventano strumento di propaganda se si devono difendere progetti sostenuti dall’amministrazione locale, soprattutto se nocivi ed inquinanti, come nel caso del rigassificatore e della discarica del Limoncino.

E se per caso un Comune volesse soddisfare i bisogni dei propri cittadini non avrebbe in realtà gli strumenti per farlo. Infatti le leggi dello Stato e il taglio dei finanziamenti, fino a ricorrere al commissariamento, costringerebbero gli amministratori a rispettare la volontà del Governo. D’altra parte è la macchina burocratica stessa che distrugge i servizi resi dagli enti locali: il contratto di lavoro dei dirigenti egli enti locali prevede che la parte variabile della loro retribuzione, il “premio incentivante”, sia legata ai risultati economici della loro dirigenza. E, visto che le entrate da parte dello Stato sono bloccate o ridotte, gli unici risultati economici si possono ottenere riducendo i servizi e peggiorando le condizioni dei dipendenti.

Ecco che cosa ci si può aspettare dal Comune, nella società divisa in classi e all’interno della struttura autoritaria dello Stato!

La pratica di ogni giorno dimostra come sarebbe possibile, e facile, risolvere i problemi dei cittadini. Ad esempio le occupazioni di case, o delle aree abbandonate, sia in città che in campagna, oltre a trovare una soluzione a un problema immediato, mostrano una realtà di immobili pubblici e privati abbandonati al degrado che, con le occupazioni e l’autogestione, tornano ad ospitare i cittadini sfrattati dalla società dello Stato e della proprietà privata; mostrano che, di fronte a milioni di disoccupati, di persone che non riescono più a combinare il pranzo con la cena, che non riescono a trovare un tetto sotto cui dormire esistono mezzi di produzione che rimangono improduttivi, nel fatto specifico il terreno, esistono mezzi di sussistenza che non trovano acquirenti, esistono case sfitte ed abbandonate.

Le misure che il governo centrale impone agli enti locali, possono essere bloccate solo da un movimento di massa che si basi sull’azione diretta, che non si affidi alle istituzioni o al mito della legalità.

Gli anarchici sono presenti nelle lotte sociali, a fianco di tutti coloro che lottano per la salute, per la casa, per il salario, per l’ambiente, per la libertà sessuale e l’autodeterminazione delle scelte. A Livorno vi sono molte persone che quotidianamente, senza rincorrere poltrone o benefici economici, fanno parte di strutture, comitati, sindacati di base, portando avanti lotte che entrano in contrasto con il governo locale come con il governo nazionale. Loro azione svela la responsabilità anche degli enti locali nel saccheggio del territorio, nella devastazione ambientale, nell’attacco alla salute e alla vita stessa degli abitanti; la loro azione mette in discussione la proprietà privata e l’ordinamento giuridico che la legittima.

Nella prospettiva anarchica, l’impegno quotidiano rivolto ad obiettivi immediati deve essere unito ad una più generale e radicale lotta contro il governo, contro ogni gerarchia, contro ogni apparato istituzionale. Gli anarchici si battono per una società diversa, una società senza classi, senza sfruttamento, senza carceri e senza gendarmi. L’anarchia non è disordine o confusione, ma è una forma di società organizzata, una volta abolite la poprietà privata e l’oppressione del Governo, per opera di libere associazioni e federazioni di produttori e consumatori, fatte e modificate secondo la volontà dei componenti. Saranno i lavoratori a prendere in mano la produzione, saranno i cittadini a risolvere i problemi dell’inquinamento, della sanità, della casa ecc. che le istituzioni hanno creato. L’anarchia non è un’utopia; è una prospettiva sociale che si costruisce con metodi e pratiche: l’azione diretta, l’autoorganizzazione, il modello assembleare, la costruzione di mobilitazioni dal basso, il rifiuto della prevalenza della maggioranza sulla minoranza, il rifiuto della delega e del meccanismo elettorale. Gli anarchici non votano perchè la delega è un ostacolo al loro progetto politico, che non è utopia. Utopico è credere che la ripetizione del rituale del voto porti un reale cambiamento.

Federazione Anarchica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

 

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PRESIDIO ASTENSIONISTA – SI CAMBIA CON LA LOTTA NON COL VOTO!

SI CAMBIA CON LA LOTTA, NON COL VOTO!

PRESIDIO ASTENSIONISTA

Sabato 17 Maggio dalle ore 17

Via Grande, angolo Via Cogorano (di fronte alla libreria Giunti)

Dalle ore 17 distribuzione di libri e giornali anarchici e libertari, volantinaggio ed interventi al megafono sulle ragioni dell’astensionismo e sulle proposte di lotta e trasformazione sociale portate avanti dal movimento anarchico.

Non affidarti a chi tradisce i tuoi interessi per sostenere banche, preti, padroni, militari e caste varie.
Non abbiamo bisogno di cambiare Sindaco o maggioranza al Parlamento Europeo, ma di un reale cambiamento sociale rivoluzionario.

NON VOTARE, NON PARTECIPARE ALLA TUA OPPRESSIONE!
ORGANIZZATI E LOTTA – PER COSTRUIRE L’AUTOGOVERNO E L’AUTOGESTIONE!

Federazione Anarchica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

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TURCHIA: IL NOSTRO DOLORE È IL GERME DELLA NOSTRA RABBIA


IL NOSTRO DOLORE È IL GERME DELLA NOSTRA RABBIA

L'incendio che si è sprigionato nella miniera di carbone di Manisa-Soma 
il 13 Maggio, è divenuto uno dei più grandi massacri avvenuti in queste terre.
A causa dell'incendio, centinaia di minatori sono stati avvelenati dal monossido
di carbonio. 
Il numero dei lavoratori che sono morti cresce di ora in ora.
Il Ministro dell'Energia, il Ministro del Lavoro ed il Primo Ministro hanno 
cercato di nascondere il numero reale di minatori che sono morti, dichiarando 
che si trattava di “un triste incidente sul lavoro”. Il Primo Ministro ha affermato 
che “Questo genere di incidenti può avvenire sempre.”

Mentre migliaia di persone stavano aspettando vicino alla miniera e cercavano 
di ottenere notizie riguardo ai propri parenti che si trovavano nella miniera di 
carbone, le ambulanze, i carri funebri, i veicoli firgoriferi, mostravano la gravità 
del massacro. Il numero dei minatori morti cresceva: 78, 151, 245, 282...

Il numero sta ancora crescendo. Coloro che sono responsabili di questo 
massacro, stanno cercando di legittimare queste “morti” dicendo “è il destino”. 
Ci sono proteste in tutta la regione. Le persone sono nelle strade affermano
che non si tratta del destino né di un incidente, questo è un massacro fatto 
dallo Stato e dalle aziende.

Il 14 Maggio la polizia ha attaccato le persone che contestavano coloro che 
hanno determinato questo massacro. Lo Stato e le sue forze armate hanno 
pensato di poter prevenire questa rabbia con i proiettili di gomma ed i gas 
lacrimogeni. Ma quelli che erano nelle strade gridavano insieme: 
“Stato assassino!”

I funzionari dello Stato e le compagnie energetiche sostengono di essere in 
cordoglio. Ma essi sono gli assassini che hanno forzato delle persone a 
lavorare a centinaia di metri di profondità dalla superficie per guadagnare i 
soldi per vivere. Essi sono gli assassini che hanno forzato le persone a 
lavorare in condizioni in cui la morte è inevitabile.

Abbiamo con noi il dolore per quelli che sono stati uccisi in miniera dai 
capitalisti e dallo Stato. Noi siamo nelle strade con la rabbia contro questi 
assassini. Noi non siamo in cordoglio, questa è rivolta. Il nostro dolore è il 
germe della nostra rabbia!


Azione Anarchica Rivoluzionaria
(Devrimci Anarşist Faaliyet – DAF)

15/05/2014
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No Tav. Cade in Cassazione l’accusa di terrorismo per Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò

da: http://anarresinfo.noblogs.org/2014/05/16/cassazione-cade-laccusa-di-terrorismo-per-i-no-tav/

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No Tav. Cade in Cassazione l’accusa di terrorismo per Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò

Dopo lunghe ore di attesa la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dai difensori di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò contro la decisione del Tribunale del Riesame che aveva confermato l’accusa di terrorismo formulata dalla Procura torinese.
Poco prima della mezzanotte di giovedì 15 maggio è stata emessa la sentenza che annulla quella del Riesame, cui sono stati rinviati gli atti per una riformulazione del reato.
Dopo oltre cinque mesi di carcere in regime di alta sorveglianza, qualche crepa si apre nel fronte giudiziario.
Sebbene il pronunciamento della Cassazione riguardi solo le misure cautelari, senza investire direttamente il procedimento in corte d’assise che comincerà il 22 maggio con l’accusa di attentato con finalità di terrorismo, pare tuttavia improbabile che non influisca sullo svolgimento del processo.
Nel frattempo per i quattro No Tav, che già ieri avevano avuto un’attenuazione del duro regime carcerario cui sono sottoposti, con la cancellazione del divieto di incontro e la riapertura dei colloqui con amici e compagni, si apre uno spiraglio.
Una buona conclusione per una giornata che si era aperta con la notizia che l’autista del PM Antonio Rinaudo, che aveva denunciato un’aggressione da parte di tre No Tav mascherati, si era inventato tutto.  Chi sa se la messa in scena era interamente frutto dell’immaginazione dell’ex carabiniere o la commedia era stata scritta e sceneggiata a più mani?

Il prossimo appuntamento è per l’apertura del processo giovedì 22 maggio.

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Elezioni Europee: NESSUN VOTO, RICONQUISTIAMO IL NOSTRO PRESENTE ED IL NOSTRO FUTURO!

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http://www.i-f-a.org/index.php/de/article-2/471-ifa-anti-election

NESSUN VOTO, RICONQUISTIAMO IL NOSTRO PRESENTE ED IL NOSTRO FUTURO!

Documento antielettorale per le elezioni europee del 22-25 maggio 2014

Elezioni europee

Le elezioni europee stanno avendo luogo in un contesto di inasprimento delle politiche di austerità.

Viviamo quotidianamente sulla nostra pelle gli effetti della crisi creata dalla trasformazione del capitalismo globale. Governi, stati, e strutture sovranazionali come la Comunità Europea negano i diritti ed attaccano le condizioni di vita conquistati dalle classi subalterne in anni di lotta, al fine di sostenere il capitalismo e garantire che le imprese e le banche non paghino il prezzo della situazione che hanno essi stessi creato.

Alcuni dei problemi che dobbiamo affrontare sono:

  • La disoccupazione, legata in particolare alla delocalizzazione dei capitali.

  • La privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, con la conseguenza di un’offerta garantita solo a quei pochi che possono permettersela, ed una bassa qualità dei servizi stessi.

  • L’atomizzazione sociale, per cui ciascuno è “imprenditore di se stesso”, e la competizione tra individui crea una lotta quotidiana per la sopravvivenza.

  • La precarizzazione del lavoro e di altri aspetti della vita; la negazione quotidiana dei diritti.

  • Il ritorno alla famiglia patriarcale, che impone alla donna un ruolo subalterno nella società e nei legami comunitari.

  • L’uso dell’immigrazione come bacino di forza lavoro da schiavizzare.

  • La devastazione delle nostre vite e dei territori dovuta ai metodi selvaggi di produzione.

  • Una società basata sul debito, in cui le nostre esistenze appartengono alle banche.

  • La burocratizzazione della società che garantisce la continuità delle istituzioni e degli interessi economici dei ricchi a spese degli sfruttati.

È in questo contesto che ci viene richiesto di partecipare con il voto alla farsa che si definisce democrazia. Le uniche scelte che ci vengono presentate continuano a garantire vantaggi alle imprese, alle istituzioni finanziarie e politiche. Uno dei principali dibattiti riguarda il ruolo dell’Unione Europea stessa. Alcuni guardano ad essa come ad un modo per risolvere la crisi e mantenere l’unità tra i popoli. Altri sostengono che abbiamo bisogno di ritirarci ciascuno nelle proprie frontiere, al fine di riprendere il controllo della nostra economia e delle nostre istituzioni politiche. Tuttavia queste soluzioni non faranno altro che rafforzare coloro che ci opprimono.

L’Unione Europea

Lo scopo principale dell’Unione Europea è soddisfare i bisogni delle multinazionali e delle istituzioni finanziarie ed è di conseguenza un ostacolo all’emancipazione della classe lavoratrice. La maggioranza delle leggi alle quali le persone sono ora sottoposte, giungono dal Parlamento Europeo piuttosto che dai singoli stati.

L’Unione Europea non ha bisogno di rispettare le condizioni locali, ed invece impone la propria visione di Europa basata sulle esigenze del capitale.

La stragrande maggioranza delle leggi esistono per rafforzare il potere del capitale sui lavoratori. Sono state condotte solo pochissime politiche dirette a migliorare le condizioni delle popolazioni europee.

Abbiamo visto il modo in cui l’Unione Europea ha presieduto l’attacco alla popolazione Greca ed il saccheggio da parte del capitalismo occidentale delle risorse dell’Europa dell’est. Ogni tentativo da parte dei lavoratori di resistere alle prevaricazioni di questo superstato sono state fermamente represse dai singoli stati.

Per esempio, lo stato può rifiutarsi di permettere alle persone di votare se vogliono o meno restare nella Unione Europea oppure, se le lasciano votare, impostano il quesito in modo che il paese resti nell’Unione. Questo è il caso dell’Irlanda, della Francia e dell’Olanda. Inoltre l’Unione Europea ha creato la fortezza Europa, chiudendo i suoi confini al resto del mondo, proprio come sta cercando di diventare uno dei tanti autoproclamati sceriffi del globo.

Uscire dalla UE ?

Come conseguenza di tutti i problemi creati dall’Unione Europea, si potrebbe pensare che la risposta sia uscirne. Tuttavia, l’idea che la classe lavoratrice starebbe meglio fuori dell’Unione Europea, in piccoli stati nazionali, è una pericolosa illusione. E’ la proposta che la destra europea sta facendo, la proposta di chi non è minimamente interessato a resistere al potere statale. Il vero obiettivo è quello di costruire forme di governo ancora più autoritarie, basate ancor di più sulla repressione.
In primo luogo, il capitalismo è globale. Il potere delle multinazionali e delle banche internazionali, la principale causa dei problemi che quotidianamente affrontiamo, non scomparirà se un paese esce dalla Unione Europea. I processi globali che stiamo subendo, i processi di produzione e i movimenti di denaro attraverso le frontiere sostenuti dalla sola ricerca di profitti, continueranno. Le istituzioni internazionali come il FMI (Fondo Monetario Internazionale) e la Banca Mondiale avranno ancora il potere di imporre misure di austerità e politiche contro gli interessi delle popolazioni locali. I bisogni umani saranno sempre messi al secondo posto; non importa se il paese è dentro o fuori dell’Unione Europea.
Inoltre, il rifugio dentro i confini nazionali, un cambiamento guidato dalla xenofobia, avrà gravi conseguenze per lo spirito di cooperazione e solidarietà tra la classe lavoratrice d’Europa. Gli sfruttati da sempre cercano di sostenersi a vicenda indipendentemente dalla loro origine nazionale. Il mutuo appoggio verrà smarrito per salvaguardare un piccolo interesse personale. Tutto ciò può anche non portare alla guerra vera e propria, ma ha già creato una mentalità di competizione e conflitto che minerà ulteriormente l’ efficacia dell’agire collettivo di una classe lavoratrice europea unita. Una classe lavoratrice divisa è un vantaggio per coloro che hanno causato i problemi che stiamo affrontando in prima persona, come le politiche di austerità e le misure repressive.
Molti di coloro che supportano l’uscita dalla Unione Europea sembrano pensare che possiamo tornare a una sorta di età dell’oro, della prosperità. Tuttavia, questa è un’altra illusione; questa età dell’oro non è mai esistita. Dimenticano infatti che lo Stato non è mai stato un amico; è sempre stato lo strumento per imporre gli interessi di una piccola minoranza sulla maggioranza. Tutti gli Stati operano espropriando il potere dal popolo. Non importa se lo Stato è a pochi chilometri o migliaia di chilometri di distanza; sarà ancora fuori dal nostro controllo, operando nel proprio interesse e garantendo gli interessi di pochi.

L’alternativa anarchica

Gli anarchici rifiutano entrambe le opzioni: il sostegno all’Unione Europea con il voto alle elezioni europee e la campagna per uscire dall’Unione Europea. Perché critichiamo ciò che lo Stato rappresenta. L’Unione Europea, come ogni Stato grande o piccolo, si basa sulla delega del potere ad una minoranza che usa questo potere nell’interesse dell’élite padronale, finanziaria e burocratica. Inoltre, un “internazionalismo” come quello rappresentato dall’Unione Europea non è altro che l’unità di questa élite contro la classe lavoratrice europea. Rispondiamo ad entrambe le opzioni con una visone sociale alternativa, un internazionalismo che si estende a tutti gli sfruttati del mondo.


Gli anarchici lottano contro le strutture organizzative verticali adottate da Stati e partiti, di destra e di sinistra. Viviamo e sperimentiamo quotidianamente forme non gerarchiche di organizzazione, metodi egualitari di relazione. La società che vogliamo nasce dal basso, si basa su gruppi tra loro federati e coordinati a livello internazionale, in modo indipendente da qualsiasi struttura statalista sia nazionale che europea. Coinvolge tutti i settori della vita economica e sociale, come la produzione, la distribuzione e il consumo di beni, la prestazione di servizi come la sanità e l’istruzione. Dobbiamo riappropriarci della nostra educazione, per promuovere l’emancipazione da ideologie autoritarie come la religione, il nazionalismo, e il culto del leader.
Per raggiungere questa completa trasformazione politica, economica, sociale e culturale, abbiamo bisogno di costruire e rafforzare le reti internazionali e i coordinamenti che già abbiamo. Dobbiamo continuare a lottare dove viviamo e lavoriamo, ed al contempo contribuire ad una strategia globale. Il compito dell’elaborazione di questa strategia contro le forze globali di oppressione e di sfruttamento non è facile. Tuttavia questa lotta può essere portata avanti da tutti coloro che vogliono creare una nuova società, non importa il paese in cui vivono, attraverso pratiche e azioni comuni da adattare alle condizioni locali:

  • Lottare contro tutte le frontiere, aperte per la sola circolazione di merci e capitali, barriere per le persone. La nostra proposta è di abbattere tutte le frontiere all’interno e tra i paesi, per la libera circolazione delle donne e degli uomini.

  • Lottare contro le banche per il rifiuto universale del pagamento del debito.

  • Disobbedire a tutte le leggi che limitano le nostre libertà e ledono i nostri diritti.

  • Rafforzare ed estendere le lotte contro la crescente precarietà delle condizioni di vita e di lavoro.

  • Resistere a tutti i tentativi di dividerci su base etnica, di genere o di età.

  • Coordinare su scala internazionale le lotte contro i padroni.

  • Resistere alla privatizzazione dei servizi pubblici.

  • Lottare contro un sistema di produzione che sfrutta le persone e devasta l’ambiente.

  • Promuovere reti alternative di produzione e distribuzione.

  • Estendere la rete di solidarietà internazionale per supportare chi viene criminalizzato nelle lotte sociali.

Le soluzioni all’austerità proposte dai politici, che siano sostenitori dell’Unione Europea o che siano contro l’Unione Europea, non funzioneranno. Porteranno al risultato opposto, causando un peggioramento delle nostre condizioni di vita. Ci vogliono far ratificare le loro scelte, per questo ci chiedono di votare, mettendo un segno su un pezzo di carta, dando loro il potere di agire per nostro conto. Sappiamo che continueranno a essere l’espressione delle ricche e potenti istituzioni economiche del capitalismo che ha creato questa situazione, e cercheranno di continuare a sfruttare le nostre esistenze. L’unico modo con cui possiamo resistere agli attacchi e riprendere in mano le nostre vite è quello di organizzarci e costruire movimenti e reti dal basso, che superino i confini e che ci permettano di vivere liberi, senza partiti né istituzioni statali.

CRIFA – Commissione di Relazioni dell’Internazionale delle Federazioni Anarchiche

riunita a Madrid il 29 e 30 marzo 2014

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COLPEVOLI DI RESISTERE – 10 MAGGIO CORTEO POPOLARE NO TAV A TORINO

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Colpevoli di resistere


Il 22 maggio a Torino si aprirà il processo a carico di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò accusati di terrorismo per il sabotaggio di un compressore.


Attraverso l’accusa di terrorismo contro alcuni NO TAV si vogliono colpire tutte le lotte.


Sabato 10 maggio ore 14 (ritrovo in Piazza Adriano)


Manifestazione popolare a Torino


perché Chi attacca alcuni di noi, attacca tutte e tutti
perché Le loro bugie, i loro manganelli, le loro inchieste non ci fermano


Resistiamo allo spreco delle risorse, alla devastazione del territorio, alla rapina su i salari, le pensioni e la sanità.


Chiara, Claudio ,Niccolò , Mattia liberi subito.


Movimento No Tav

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“Processo Prefettura”: il resoconto della quarta udienza

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da: senzasoste.it

Lo scorso 24 aprile si è tenuta la quarta udienza del processo che vede imputate 21 tra compagne e compagni per i fatti avvenuti il trenta novembre, primo e due dicembre 2012 a Livorno.

Quei giorni furono segnati dalle cariche della polizia contro i manifestanti e dalla risposta della città contro le violenze poliziesche, dal corteo di oltre mille persone che attraversò le strade del centro contro l’attacco alla libertà di manifestazione condotto con violenza dalla Questura livornese.

A carico degli imputati vi sono accuse per manifestazione non autorizzata, oltraggio e minacce a pubblico ufficiale, lesioni, danneggiamento, adunata sediziosa, tutti reati relativi alle manifestazioni organizzate in quei giorni dalla Ex Caserma Occupata.

Il nuovo Collegio Giudicante, nominato in seguito al trasferimento del giudice Dal Forno, è presieduto dal giudice Angelo Perrone. Proprio in conseguenza della nomina del nuovo collegio, nella scorsa udienza del 3 aprile, la Pubblica Accusa aveva richiesto che fossero nuovamente interrogati tutti e tre i testimoni che erano stati ascoltati nell’udienza del 9 gennaio, azzerando di fatto il processo. Durante l’udienza di giovedì 24 aprile però il banco dei testimoni è rimasto vuoto, infatti come si poteva immaginare la seduta è stata interamente dedicata a questioni procedurali.

Le mancanze procedurali sono state segnalate dai difensori che hanno presentato anche una memoria scritta firmata da tutti gli avvocati della difesa. Tra questi difetti procedurali c’è la mancata notifica di nuove contestazioni di reato a carico di alcuni degli imputati.

Altra questione è stata quella relativa alla richiesta della Pubblica Accusa di effettuare videoriprese delle udienze. Le riprese riguarderebbero in particolare le testimonianze, il materiale registrato andrebbe poi successivamente montato in modo da far apparire nel video due diversi riquadri, uno in basso ed uno in alto: in alto sarebbero rappresentate le immagini prodotte comeprove, mentre in basso sarebbero inserite le riprese delle relative testimonianze.

In merito a tali questioni il Tribunale ha emesso due ordinanze. C on la prima si dispone e si autorizza la videoregistrazione delle udienze. La ripresa ed il montaggio saranno affidati non al Pubblico Ministero come richiesto dal PM stesso, ma alla Polizia Scientifica. Non è quindi stata accettata la richiesta della difesa che, dopo avere espresso contrarietà all’effettuazione delle riprese, aveva chiesto, in subordine, di incaricare il Tribunale della riproduzione video delle udienze.

Con la seconda ordinanza venivano rinviati al 30 aprile i termini per le notifiche delle nuove contestazioni di reato.

La seduta si è conclusa con la richiesta di revoca delle misure di restrizione della libertà per i tre compagni che dopo più di un anno sono ancorra sottoposti all’obbligo di firma, e con la definizione del prossimo calendario delle udienze.

Oltre a quella già fissata per l’intera giornata del 22 maggio, sono state calendarizzate altre due udienze per il 3 luglio alle ore 15 e per il 15 ottobre alle ore 9.

Pur avendo avuto carattere principalmente tecnico, l’udienza del 24 aprile scorso ha ancora una volta chiarito la fragilità del teorema accusatorio. Quello che doveva essere un rapido processo esemplare si sta pian piano sgonfiando, mentre il Pubblico Ministero Masini dopo aver affastellato testimonianze contradditorie e prove manipolate si è trovato costretto a far marcia indietro per non veder crollare l’intero castello accusatorio. Allo stesso tempo il Tribunale ha accontentato il Pubblico Ministero, autorizzando la riproduzione audiovisiva delle udienze che la pubblica accusa aveva richiesto.

Dalla prossima udienza, a meno che non ci siano nuovi difetti procedurali, dovrebbe di fatto ricominciare da capo il processo. È quindi adesso ancora più importante denunciare il teorema accusatorio messo a punto dalla pubblica accusa, secondo il quale ci sarebbe un gruppo criminale dedito alla violenza che avrebbe organizzato in maniera premeditata il cosiddetto “assalto alla Prefettura” e gli incidenti dei giorni precedenti. Una ricostruzione dei fatti volta ad oscurare le gravi responsabilità della Questura e dei funzionari di polizia.

Rinnoviamo quindi l’appello a sostenere i 21 imputati, a sottoscrivere, ad aderire alla raccolta firme organizzata dal Comitato di solidarietà “Livorno non si piega!”.

La prossima udienza si terrà il 22 maggio dalle ore 9 presso il Tribunale di Livorno.

Comitato di solidarietà “Livorno non si piega!”

7 maggio 2014

vedi anche

Processo Prefettura: un primo passo indietro del PM Masini

“Processo Prefettura”: dopo la prima udienza è già un processo politico. Pm e polizia scatenati

“Livorno non si piega”: firma l’appello in sostegno agli imputati

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Primo Maggio a Taksim!

1Mayıs2014

Dopo quasi un anno dai giorni che segnarono l’inizio del grande movimento che ha scosso la Turchia all’inizio della scorsa estate, il Primo Ministro Recep Tayyip Erdoğan vieta per il Primo Maggio ogni manifestazione in Piazza Taksim ad Istanbul, dove sorge ancora il parco che da mesi è diventato il simbolo della resistenza popolare contro il governo. Il governatore di Istanbul ha dichiarato che da fonti dell’intelligence è certo che i “terroristi” lanceranno azioni violente questo Primo Maggio. Lo stesso dichiara che nuove violenze a Taksim comprometterebbero l’immagine della città, danneggiando il turismo. Domani nelle strade di Istanbul saranno schierati 40000 poliziotti con mezzi blindati, idranti, lacrimogeni. Per alcuni anni in cui il governo conservatore-religioso dell’AKP aveva provato a pacificare il Primo Maggio, “aprendo” ai manifestanti sindacali Piazza Taksim tra mille limitazioni e sotto lo stretto controllo di decine di migliaia di agenti di polizia. Lo scorso anno la piazza venne vietata da quello stesso governo con la scusa della sicurezza a causa dei lavori allora in corso a Gezi Park. Il Primo Maggio tornò quindi ad essere una giornata segnata dalla violenza della polizia contro i manifestanti che cercarono di raggiungere Piazza Taksim. Piazza simbolo per il movimento rivoluzionario e per i lavoratori, teatro il Primo Maggio 1977 della strage di 34 manifestanti, in un massacro che spianò la strada al colpo di stato militare. La rivolta popolare scoppiata da Gezi Park alla fine del maggio scorso contro la brutalità del governo aveva messo in luce le aspre contraddizioni della società turca. Una società che vede ormai esaurirsi lo slancio dello sviluppo economico iniziato negli anni 2000, basato sullo sfruttamento selvaggio e su folli progetti speculativi, mentre sembra entrare in crisi pure l’attuale modello politico fortemente autoritario, in cui la violenza dello Stato, dentro e fuori le proprie frontiere, va inasprendosi sempre di più.

 

Segue il comunicato del gruppo anarchico: Devrimci Anarşist Faaliyet

Primo Maggio a Taksim!


Lo Stato turco per il Primo Maggio ha chiuso ancora una volta a milioni di persone la Piazza Taksim che alcuni anni fa aveva “aperto”. Ha attaccato con i suoi manganelli, cannoni idranti, bombe lacrimogene, pallottole di gomma le persone che volevano essere in Piazza Taksim il Primo Maggio per i loro fratelli e le loro sorelle assassinati. Ha ferito ed arrestato molti lavoratori, rivoluzionari, oppressi; non ha permesso alle ambulanze di entrare per raccogliere i feriti… Lo scorso anno lo Stato turco ha attaccato i resistenti come ha fatto nel precedente Primo Maggio vietato. Ma cosa è accaduto quel giorno non ha scoraggiato i resistenti e al contrario la rabbia del Primo Maggio ha acceso una rivolta.



Giorni dopo il Primo Maggio, le strade che portano a Taksim furono chiuse dalla polizia per la seconda volta. Il governo voleva chiudere Taksim ai resistenti che lottavano contro il terrore di Stato, la brutalità della polizia, lo sfruttamento capitalista; quelli che si sollevavano per le loro vite, per la loro libertà. Ma non questa volta; la rabbia che si scatenò il Primo Maggio crebbe sempre più grande il 31 maggio, e divenne una ribellione con centinaia di migliaia di persone che riempivano le strade. Pure con la stessa brutalità, con ore di battaglia, la polizia non ebbe successo; non poté chiudere né le strade né Taksim ai resistenti. In questa giornate, fu chiesto il conto per il Primo Maggio vietato, per i lavoratori assassinati nel 1977, per i rivoluzionari che abbiamo perso in tutti questi anni, per povertà, per ingiustizia…



Con questo spirtito di rivolta, i lavoratori hanno accresciuto la propria combattività contro il lavoro in subappalto e le esternalizzazioni, contro i padroni, contro gli omicidi sul lavoro, contro il capitalismo. Hanno organizzato scioperi ed occupazioni contro i padroni che avevano rubato il loro pane, contro il capitalismo che aveva rubato le loro vite. Hanno occupato le loro fabbriche e creato le proprie aree di produzione, hanno creduto nell’autorganizzazione, non nei sindacati. Con questo spirito di rivolta hanno attuato l’azione diretta, facendo crescere la lotta giorno dopo giorno.



In questi giorni, come ogni anno, lo Stato ha detto di aver vietato Piazza Taksim, chiudendola ai lavoratori inventando molte scuse, ha proposto luoghi diversi per le manifestazioni, ha provato ad isolare Taksim dalla rabbia del Primo Maggio. Ma lo Stato ha dimenticato qualcosa, gli oppressi che non aveva calcolato fino ad oggi stanno vincendo con le loro stesse organizzazioni.


Come sempre saremo a Taksim il Primo Maggio quest’anno. Nonostante le barricate della poliza, la brutalità della poliza, combatteremo la violenza dello Stato e non abbandoneremo Taksim. Secoli dopo quei giorni, fedeli ai compagni che furono uccisi nel 1886, saremo nelle strade con la rabbia di sapere che ci sono ancora lavoratori ed oppressi che vengono uccisi



Quest’anno accenderemo il fuoco della rivolta con Mehmet, Ali İsmail, Abdullah, Hasan Ferit, Ahmet, Medeni, Ethem e Berkin. Sappiamo che iniziare una rivolta significa vincere una rivolta! Dal Primo Maggio a Taksim per vincere!


Per la Rivoluzione Anarchica con l’Azione!



 

Azione Anarchica Rivoluzionaria


(DAF – Devrimci Anarşist Faaliyet)


 

 

 

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Elezioni locali: nessuna delega

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Elezioni locali: nessuna delega

La tesi che accompagna la sinistra alla prossima tornata elettorale amministrativa è che gli enti locali si trovino di fronte ad un attacco sistemico, che abbia come ultimo obiettivo la scomparsa della funzione pubblica e sociale dell’ente locale, come sin qui lo abbiamo conosciuto, trasformandone il ruolo da erogatore di servizi per la collettività a facilitatore dell’espansione della sfera di influenza dei capitali finanziari e da garante dell’interesse collettivo a sentinella del controllo sociale delle comunità.

Viene da domandarsi quando mai gli enti locali, i comuni, le province, le regioni, hanno svolto questa funzione a vantaggio della collettività, ma lasciamo perdere. La questione, naturalmente, è nel ruolo degli eletti, i sindaci, gli amministratori, che dovrebbero opporsi ad un processo deciso dal governo centrale e dall’Unione Europea e trasformarsi in rappresentanti degli abitanti del territorio. Si tratta a questo punto di scegliere i migliori, i più capaci, i più onesti, senza interrogarsi sui profondi movimenti sociali che hanno provocato questo processo, e su cui la volontà dei singoli sindaci ha poco effetto.

Ad essa si accompagna la battaglia contro la speculazione finanziaria, per una finanza pubblica e sociale: distinguere la finanza buona da quella cattiva è molto difficile, solo chi ha ancora fiducia nelle virtù taumaturgiche dello Stato può riuscirvi. In realtà anche “i sinistri” sanno benissimo che non possono fare a meno della finanza, anche loro parlano di investimenti, sia pure destinati al soddisfacimento dei bisogni sociali e ambientali delle comunità locali, ma sempre di investimenti si tratta, e quindi chi amministra, al di là delle dichiarazioni demagogiche, deve trovare i soldi e farli arrivare rapidamente dove ce n’è bisogno. Solo chi non si intende di finanza pubblica può credere che questi soldi possano arrivare dalle tasse: i soldi arrivano dal sistema finanziario, che è garantito dalle tasse future, dalle proprietà pubbliche, ecc., ma che per questo servizio di anticipare i soldi chiede lauti compensi; qualsiasi politica di rilancio dell’economia stringe ancora di più il laccio dello strozzino al collo dei contribuenti.

La vicenda dei derivati sottoscritti da numerosi enti locali aiuta a gettare luce su questo rapporto. Il Comune di Milano ha fatto causa a quattro banche con le quali aveva stipulato contratti in derivati per proteggersi dal rischio interessi, appellandosi al fatto che queste banche non lo avrebbero informato dei rischi dell’operazione. In altre parole, amministratori, dirigenti, consulenti pagati profumatamente dal denaro pubblico non sono stati capaci di proteggere questo stesso pubblico, la cittadinanza, i contribuenti dalla truffa promossa dalle banche, e qui non si tratta di un piccolo comune isolato, ma di una metropoli dove è possibile trovare quelle risorse professionali che potrebbero non essere alle dipendenze dell’ente locale. E’ credibile tutto ciò, è credibile che basti un cambio di amministrazione perché queste cose non si verifichino più?

Del resto è tutta la macchina degli enti locali che è orientata nel senso del risultato economico. Una parte consistente della retribuzione dei dirigenti degli enti locali, cioè dei vertici della macchina burocratica dei comuni, delle province, delle regioni, è legata non all’efficienza dei servizi resi, ma al risultato economico, cioè al risparmio sugli stanziamenti ricevuti, al peggioramento della qualità dei servizi, alla valorizzazione (cioè alla messa sul mercato) del patrimonio pubblico.

In realtà è il Comune istituzione dello Stato che non può svolgere altro che una funzione di classe, è il mito della crescita economica che sprofonda nella miseria la massa della popolazione.

Al Comune statalista gli anarchici contrappongono la Comune libera, sull’esempio della Comune di Parigi, con delegati eletti con mandato imperativo e revocabili in qualsiasi momento, come tutti gli altri funzionari pubblici eletti, responsabili e revocabili in qualsiasi momento, e compensati per le loro prestazioni, con il salario medio di un operaio; al centralismo gli anarchici contrappongono la libera federazione. Ma a questa riorganizzazione sociale non si arriva per la strada delle elezioni, del parlamentarismo, del governo, locale o nazionale che sia.

Gli anarchici sono convinti che il governo, sia esso locale, nazionale o sovranazionale “si piglia la briga di proteggere, più o meno, la vita dei cittadini contro gli attacchi diretti e brutali; riconosce e legalizza un certo numero di diritti e doveri primordiali e di usi e costumi senza di cui è impossibile vivere in società; organizza e dirige certi esercizii pubblici, come posta, strade, igiene pubblica, regime delle acque, bonifiche, protezioni delle foreste, ecc., apre orfanotrofi ed ospedali, e si compiace spesso di atteggiarsi, solo in apparenza s’intende, a protettore e benefattore dei poveri e dei deboli. Ma basta osservare come e perché esso compie queste funzioni, per riscontrarvi la prova sperimentale, pratica, che tutto quello che il governo fa è sempre ispirato dallo spirito di dominazione, ed ordinato a difendere, allargare e perpetuare i privilegi propri, e quelli della classe di cui egli è il rappresentante ed il difensore” (Errico Malatesta L’Anarchia).

La libera Comune, la libera associazione delle esperienze di solidarietà e di autogestione, può nascere solo sulle rovine fumanti del Governo e della proprietà privata! E’ questo il nostro programma, il nostro ideale, troppo vasto per trovare posto in un’urna elettorale.

 

Tiziano Antonelli

Da “Umanità Nova” n. 12 del 13 aprile 2014.

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Moby Prince. Mai più!

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Moby Prince. Mai più!

Un giovedì pomeriggio di sole a Livorno. È il 10 aprile, anniversario della strage del Moby Prince.

Ventitre anni fa, la sera del 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince entrava in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, carica di greggio. L’incendio che si scatenò in seguito allo scontro fece strage di passeggeri ed equipaggio, lasciando un solo superstite. La non gestione dei soccorsi da parte della Capitaneria di Porto di Livorno e le disastrose condizioni di sicurezza della nave traghetto, di proprietà della Nav.Ar.Ma dell’armatore Onorato, ebbero certo un ruolo determinante in quella che resta una delle più grandi tragedie del mare, una delle più gravi stragi sul lavoro.

In questi anni i familiari delle vittime hanno dovuto combattere contro insabbiamenti, manomissioni del relitto, minacce, depistaggi. In questi anni la giustizia dello Stato non solo non ha individuato alcun colpevole per la strage, ma ha palesemente coperto le responsabilità dell’armatore e quelle delle autorità che avrebbero dovuto gestire i soccorsi.

 

Moby Prince: 140 morti, nessun colpevole!” questo lo striscione che ha aperto il corteo che ha attraversato il centro cittadino; oltre alla presenza ogni anno sempre più ridotta delle delegazioni delle amministrazioni locali con i gonfaloni, la commemorazione ha visto purtroppo anche l’assenza di una parte delle realtà di movimento livornesi. Presenti anche quest’anno invece le delegazioni da Viareggio dell’Associazione il mondo che vorrei e dell’Assemblea 29 giugno, e l’Associazione Voci della memoria di Casale Monferrato. Queste presenze sono importati perché segnano la forza dei legami di solidarietà creati negli ultimi anni, da quando numerose associazioni che in tutta Italia lottano per la verità e la giustizia sulle stragi hanno iniziato ad incontrarsi ed a sostenersi nelle proprie battaglie.

 

Segno distintivo di questo 10 aprile 2014 è stato il visibile riavvicinamento delle due diverse associazioni che riuniscono i familiari delle vittime del Moby Prince: l’Associazione 140 e l’Associazione 10 Aprile, che da sempre seguono percorsi distinti. Lo scorso anno, nel giorno del ventiduesimo anniversario i presidenti delle due associazioni avevano firmato un appello congiunto per ottenere una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Moby Prince.

Proprio nelle ultime settimane pare che qualcosa abbia iniziato a muoversi in tale senso, con il deposito alla Camera come al Senato di un disegno di legge per l’istituzione di tale Commissione.

 

Ogni risultato raggiunto sarà sempre esclusivo risultato della tenace lotta dei familiari delle vittime e di chi li sostiene.

La verità, terribile, è da sempre evidente, sotto gli occhi di tutti. Daniela Rombi, che ha perso la figlia nella strage di Viareggio del 29 giugno 2009, era a Livorno anche quest’anno per l’anniversario del Moby Prince. Nel suo forte intervento nella Sala consiliare del Comune di Livorno ha giustamente affermato che queste stragi “sono tutte uguali”. Persone ignare ed innocenti uccise in nome del profitto. Mentre lo Stato e la sua giustizia coprono le responsabilità degli apparati statali e dei padroni.

La giustizia, semplice e concreta, non è una parola vuota. Se da una parte ci sono gli importanti risultati processuali, dall’altra ottenere giustizia significa lottare affinché non succeda mai più. Lottare quindi per migliori condizioni di vita e di lavoro, per liberarci dalla sopraffazione dell’uomo sull’uomo, dallo sfruttamento e dall’oppressione.

 

Riportiamo di seguito l’intervento pronunciato durante la commemorazione del 10 aprile 2014 nella Sala consiliare del Comune di Livorno da Giacomo Sini, compagno del Collettivo Anarchico Libertario, e figlio di una delle vittime della strage del Moby Prince.

 

Sono passati venti tre anni dall’immane tragedia della Moby Prince che vide l’assassinio di 140 persone davanti alle coste della città di Livorno.
Anni nei quali le uniche verità trapelate ufficialmente dalla vicenda sono da riscontrarsi nei processi farsa, nelle manomissioni impunite del relitto del traghetto (ordinate chiaramente dallo stesso armatore della compagnia),omissioni, depistaggi ed un progressivo insabbiamento della tragedia. Anni nei quali abbiamo dovuto subire continui schiaffi ed offese da chi ha permesso che tale vicenda finisse nel dimenticatoio delle ufficialità, relegata in un angolo buio dei “non misteri italiani” lasciando che le parole “il fatto non sussiste” ed il “destino cinico e baro” mettessero un lucchetto definitivo alla vicenda.
Anni nei quali lo stato italiano, attraverso i suoi organi giudiziari ed in particolare nel processo in primo grado, ha voluto difendere a spada tratta gli interessi imprenditoriali di un armatore, senza inserire la sua persona e le sue responsabilità tra i soggetti colpevoli diretti della vicenda. Anni nei quali lo stato non ha mai voluto permettersi il lusso di puntare il dito contro una propria istituzione di prim’ordine come la capitaneria di porto ed il proprio apparato istituzionale, difendendone anzi l’operato e lasciando che questa potesse aprire, mediante plausibili responsabili del disastro, una commissione d’inchiesta sommaria che avrebbe influito su successivi accertamenti.
Anni nei quali si è costantemente parlato di una salvaguardia degli interessi dell’imprenditoria italiana e nella fattispecie dei grandi padroni d’azienda, erogando incentivi e finanziamenti agevolati ad imprese produttive, nei quali difficilmente si fa riferimento alla parola sicurezza; parallelamente, mediante una sentenza vergognosa, si sono ridotte le condanne ai responsabili della vicenda della Thyssen krupp, colpevoli dell’assassinio di otto operai.
Anni nei quali la parola giustizia è stata affiancata troppo spesso a chi difende la violenza e la prepotenza nei confronti di comunità che si battono per la difesa della salute e di vari territori, attivandosi per una giustizia reale, nella quale mi riconosco a pieno.
Anni nei quali non si è mai smesso di morire tra i mari, sia lontani dalle coste italiane ed europee, sia davanti ai nostri occhi, a poche miglia dai nostri porti a causa di politiche d’ingresso nel paese difficili e discriminatorie e di scellerati giochi politici tra istituzioni locali e grandi compagnie croceristiche (mi riferisco alla tragedia al Giglio).
Anni nei quali non è mai stata data una risposta concreta alle esigenze di verità arrivate con forza prorompente dalle nostre istanze e da chi con il passare degli anni si è avvicinato con solidarietà al nostro dolore, unendosi in una battaglia comune a difesa di chi in quella tragica notte del dieci Aprile venne ucciso dalla negligenza di vari apparati che trovarono successivamente rifugio in quel malato concetto di giustizia nel quale certamente non mi riconosco e non mi riconoscerò mai.
Una risposta è arrivata lo scorso anno, quel 10 Aprile 2013, nel quale il Presidente del Senato Grasso, sollecitava la costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta e ci ricordava la sua vicinanza e quella delle istituzioni. Tali parole sono rimaste per svariati mesi solo fumo nell’aria, senza una possibilità di manifestazione concreta e reale d’interesse da parte del parlamento, nonostante lo stesso giorno Loris ed Angelo avessero firmato anch’essi una dichiarazione comune d’intenti per l’apertura d’una commissione d’inchiesta. Ecco che dopo le note vicende delle vergognose, quanto prevedibili risposte dell’ex ministro Cancellieri ad un’ulteriore richiesta di apertura di una commissione d’inchiesta presentata da alcuni familiari e dal deputato Piras (personalmente poco condivisibile per i contenuti), è cominciata un’azione di pressione potente e conflittuale verso gli organi statali da parte di familiari e solidali, accompagnata dalla redazione di un report dettagliato che delinea le motivazioni concrete e non sensazionalistiche sulle quali poter aprire un’altra commissione d’inchiesta. L’atteggiamento dello stato è, guarda caso, improvvisamente cambiato, accogliendo con parole distensive tale report nell’incontro a Sassari del 31 Gennaio, proponendosi disponibile e solidale con le famiglie delle vittime. Oggi quel report si è trasformato in due proposte di legge per l’apertura di un’inchiesta bicamerale, depositate alla camera ed al senato da Sel e cinque stelle. A mio avviso credo sia quindi importante sottolineare un fattore. Dopo anni d’indifferenza da parte del governo centrale e dei suoi organi parlamentari silenti e dopo continue dichiarazioni ufficiali di rammarico per la vicenda lanciate nel vuoto, qualcosa negli ambienti istituzionali si è dovuto muovere. E’ stata abbassata la testa, sentendo una continua stretta e gli “occhi puntati addosso”. Come ogni battaglia storica per la conquista di determinati diritti sociali, è proprio grazie a quella costante pressione e quella determinazione nel portare avanti determinate battaglie, accompagnate sempre dalla solidarietà fornitaci da tutti quei movimenti cittadini e non che possiamo dire d’essere arrivati a compiere un passo avanti rispetto alle vicende degli ultimi venti tre anni.
Ecco perché mi sento in dovere di dire che il merito di questa probabile svolta va principalmente a chi in anni d’ orrenda situazione di sopraffazione, non ha mai dato spazio alla rassegnazione; a chi senza dimenticarsi il nostro dolore, lo ha tramutato in lotta e solidarietà attiva, mobilitandosi ed unendosi a battaglie comuni a difesa di una differente idea di verità. Idea che non deve riconoscersi solamente nelle ragioni peculiari del raggiungimento di una giustizia legale, ma che deve scardinare ogni dinamica e logica di sopruso. Idea che giunge dal basso e non piega mai la testa di fronte ad ogni tipo di attacco, affinchè, come dissi in un intervento di qualche anno fa, le parole BASTA , GIUSTIZIA, MAI PIU’ non rimangano sempre e solo slogan isolati, ma diventino finalmente la battuta d’arresto per chi non ci ha mai permesso di arrivare alla verità.”

Dario Antonelli

 

Articolo tratto da Umanità Nova, del 20 aprile 2014,

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