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Emergenza casa. Due famiglie occupano la vecchia sede abbandonata della Circoscrizione 1: il video

circ_1_occupazioneNel pomeriggio di oggi due famiglie hanno occupato la vecchia Circoscrizione 1 di via delle Sorgenti, da tempo abbandonata a se stessa dall’amministrazione comunale come altre numerose strutture in città.

Il video dell’occupazione

Le due famiglie sono reduci da altrettanti sfratti e da mesi di infruttuosi colloqui e domande con l’assessorato al Sociale per l’assegnazione di una casa popolare: la risposta? “Nonostante abbiate i requisiti – queste le parole dell’assessore Cantù – non abbiamo dove mettervi. Non ora almeno, magari tra qualche mese”. Tra le scuse accampate i tagli del governo, la crisi, i furbi nelle case popolari, ecc. La realtà, come ha poi ammesso lo stesso Cantù, è che l’amministrazione ha sottovalutato il problema abitativo per anni. Adesso Livorno si ritrova con quaranta sfrattati al mese (500 l’anno) e nessuno sa come fare, soprattutto perchè la maggioranza lo sono per la cosiddetta morosità incolpevole, coloro che ad un certo punto perdono il lavoro e smettono di pagare l’affitto. Proprio come le due famiglie occupanti.
Magari se non si fossero venduti molti immobili di proprietà pubblica il problema sarebbe stato di più facile soluzione. Forse se non si fossero vendute le case popolari ce ne sarebbero molte di più (un tempo ce n’erano 12.000, ora 7.000 e molta più gente senza lavoro). Peccato che mentre tutti dicano a parole che il problema è grave, per mancanza di risorse e incompetenza niente si muova.
La sede della vecchia Circoscrizione 1 di via delle Sorgenti è una struttura pubblica tenuta vuota senza motivo in un momento in cui andrebbero riempiti anche i garage pur di dare un tetto alla gente. Una struttura che deve immediatamente essere inserita nel lotto degli edifici per l’emergenza abitativa.
Questa occupazione segue di pochi giorni quella di via Bonomo, quando è stato occupato un ambulatorio di proprietà del Comune chiuso da dieci anni e del quale tutti si erano dimenticati: in quel caso la risposta del sindaco è stata quella di inviare venti sceriffi travestiti da vigili per sgomberare l’immobile e mettere la famiglia occupante in albergo per una settimana. Forse la storia si riproporrà oggi o domani: forse verranno a sgomberare e denunciare famiglie che hanno diritto ad una casa popolare o ad una struttura d’emergenza che non c’è. Famiglie che devono avere il diritto, a prescindere da quello che possa dire il sindaco, di non fare dormire i propri figli in macchina.
Perché il dramma dell’emergenza abitativa non può e non deve essere risolto con la forza e con l’arroganza di vigili o polizia, ma con la logica. Per questo è necessario e doveroso adibire velocemente nuovi locali ad uso abitativo senza obbligare i cittadini a fare da soli quello che dovrebbe fare gente pagata da noi che invece ragiona di comprare un palazzo da 850.000 euro per metterci l’archivio del Tribunale.

Link: Occupazione di via Bonomo. Emergenza casa, i nodi vengono al pettine

(red.) 13 luglio 2011

Posted in Casa, Generale, Iniziative, Lavoro.

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Val Susa. Domenica resistente

riceviamo e pubblichiamo

 

Domenica 10 luglio, baita No Tav nei boschi della Val Clarea. Sin dal mattino numerosi No Tav si incontrano alla casetta: vengono raccolti altri sacchi di porcherie lasciate dalle truppe di occupazione. In giornata tre No Tav con un camioncino vanno a recuperare e caricare i sacchi neri riempiti il giorno prima dai volontari No Tav che hanno risposto all’appello per la pulitura dei boschi alla Ramats. Uomini della digos guardano, ridono e non sanno che tanta volgarità non offende chi lavora ma da la misura di chi se ne fa vanto.

I bambini giocano, la gente chiacchiera, tanti si danno da fare per polenta e cibarie. Gli alberi nascondono le rete e per un po’ sembra che l’armonia dei nostri giorni si sia ricomposta.

Dopo pranzo un centinaio di No Tav va alle reti. I poliziotti sono pochi ma crescono presto di numero: dal “loro” lato il terreno è ingombro di cartacce, immondizia. Sembra proprio una gabbia.

I prigionieri sono loro: prigionieri dell’arroganza di un potere che vince con la violenza ma mostra tutta la propria debolezza politica e morale di fronte ad una comunità che resiste e non sia arrende.

Tanti battono con i sassi le reti: tre colpi ed un pezzo di filo viene via. Poi la gente torna alla baita. Nel tardo pomeriggio parte un’assemblea: tante voci, tante idee che, sedimentandosi, daranno corpo alla lotta dei prossimi giorni. Tanti insistono sulla necessità di organizzarsi per far diventare permanente il presidio alla Baita.

Poi, prima di raccogliere con cura ogni rifiuto, ancora un giro alle reti.
Battiture e slogan.
L’assedio continua.

Federazione Anarchica Torinese – FAI

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Una notte di ordinaria follia: ragazzo malmenato e arrestato davanti alla Normale

da: www.autautpisa.it

Una sera come tante, piazza Cavalieri gremita di gente, e poco più in là il sontuoso palazzo della Normale. Ecco, il delirio che si svilupperà di lì a poco coinvolge più questo secondo luogo che non il primo, sempre sulla bocca di tutti negli ultimi tempi per la cosiddetta “movida”.

Succede che c’è una festa in Normale, privata, nel senso per gli studenti della Normale e pochi altri, insomma una festa esclusiva che si svolge nel cortile interno della scuola d’eccellenza. L’entrate è su via Consoli del Mare, tre vigilanti tengono d’occhio gli ingressi, altri stanno poco più indietro.

Arriva un gruppo di ragazzi, chiede di entrare, ma niente, il numero cresce, ma i vigilantes rispondo a brutto muso: niente, non si entra.

Ne nasce un diverbio, che finisce di lì a poco, quando i vigilantes chiudono il portone per impedire a chiunque di entrare. Ma non basta, i vigilante chiamano i carabinieri, che arrivano con una volante, insieme a due della polizia.

All’arrivo dei tutori dell’ordine qualcuno va verso piazza Cavalieri per continuare la sua serata, altri spiegano ai poliziotti il perchè sono lì, ovvero c’è una festa a cui non fanno entrare. Nel frattempo qualcuno esce dalla festa con l’intento di risolvere il problema e porge dei “pass” per entrare. A quel punto tutti ci riprovano, si ritenta ad entrare, dal portone che finalmente si è riaperto.

Niente, i vigilantes incominciano a parlare di una lista, a cui se non sei iscritto non passi, e ovviamente ripartono le polemiche.

Intanto uno dei carabinieri incomincia a chiedere i documenti, con tono minaccioso e con dei modi che incominciano a far alzare la tensione.

Appena dopo aver preso gli estremi di un ragazzo passato di lì per caso, esce Dario, uno studente della Normale che era dentro alla festa. Dario è preoccupato ed esce per capire che sta succedendo fuori dalla scuola di eccellenza per cui sta svolgendo un dottorato. Esce anche perchè fuori, molte delle persone le conosce, e vuole evitare il peggio. Appena esce viene bloccato dal carabiniere di cui sopra, che ribattezziamo “testa quadrata”. Testa quadrata prende Dario con un po’ troppo vigore e tutti si girano per capire che sta succedendo. Dario chiede spiegazioni, ma testa quadrata non ne vuol sapere di darne, chiede i documenti con fare minaccioso. Dario dunque gli spiega chi è, ma prima dei documenti vuole sapere perchè sono lì e cosa sta succedendo. Quello che succede dopo ha dell’incredibile. Testa quadrata incomincia a strattonare Dario, sembra volerlo caricare in macchia per portarselo via. Sale lo sdegno e tutti si mettono a cercare di impedire che Dario venga preso. Testa quadrata infila al volo le manette a Dario, e continua a tirarlo per un braccio, prima, perfino per i capelli dopo. Dall’altra parte i ragazzi tentano di non permettere che Dario finisca in caserma, ma dopo aver tirato un po’ di botte in aria, tra cui una serie proprio a Dario, testa quadrata insieme ai colleghi riesce a infilare il ragazzo in macchina.

Dario sale in macchina dopo 15 minuti di parapiglia, in cui si è preso anche un paio di cazzotti dal carabiniere. Dario sale in macchina che sanguina e il carabiniere che sale alla guida, nonostante due ragazzi si siano messi di fronte alla macchina, preme il piede sull’accelleratore e parte, scaraventando via i contestatori.

Quello che succede dopo è semplice. Un centinaio di persone si muove in direzione della caserma dei carabinieri, per andare a chiedere spiegazioni, per riavere indietro Dario. Urla e cori, caserma blindata, Dario è dentro. “Dario libero” gridato fino alle quattro del mattino, quando finalmente riesce ad entrare in caserma il suo avvocato.

Nel frattempo arriva pure l’ambulanza, chiamata dalla gente fuori, che non viene fatta entrare. Ritornerà e finalmente potrà entrare alle cinque e mezzo del mattino.

Verso le cinque i giovani sono ancora tutti lì, quando l’avvocato esce e dice che non c’è nulla da fare, fino a lunedì Dario rimane dentro.

Al momento sappiamo che Dario non ha fatto niente, ma dovrà rimanere dentro fino a lunedì, quando un magistrato deciderà il da farsi. Sappiamo che Dario è stato prelevato intorno alle tre del mattino, ma fino alle sei non è stato possibile farlo visitare dai medici del pronto soccorso.

Sappiamo che gli è stato riscontrato un trauma cranico, un trauma contusivo escoriativo ai polsi e una ferita sotto il mento. Sappiamo che è sotto shock, e lo siamo anche noi, perchè il motivo di tutto questo è incomprensibile.

Si respira una brutta aria sotto la torre.

Alle due alcuni degli amici di Dario, insieme ai presenti di questa notte, hanno convocato una conferenza stampa di fronte alla caserma dei carabinieri.

 

Posted in Generale, Repressione, Scuola/Università.

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Torino. Fiaccolata no Tav e saluto al carcere

riceviamo e pubblichiamo:

Torino. Un bel segnale la fiaccolata di ieri sera a Torino: tanta gente,
decisa a non abbassare la testa, a denunciare la militarizzazione
dell’area della Maddalena, trasformata in un fortino pieno di uomini in
armi. Altro che cantiere!
A Torino come in Val Susa non bastano i gas, le botte, i lacrimogeni
sparati come proiettili, la criminalizzazione feroce, i feriti e gli
arresti a fermare la lotta popolare.
Nonostante le ambiguità del testo di indizione, gli oltre ventimila
partecipanti alla marcia hanno dimostrato di avere le idee chiare, di non
essere disposti a dividere chi resiste all’invasione in buoni e cattivi.
I cattivi, quelli veri, siedono nei consigli di amministrazione delle
banche e delle aziende, che si apprestano a spartirsi la torta Tav; i
cattivi, quelli veri, sono i partiti di governo ed opposizione che
vogliono imporre con la forza delle armi un’opera inutile, dannosa,
costosissima.
I cattivi sono al ministero dell’Interno: Maroni, non pago delle violenze
e delle torture che gli uomini ai suoi ordini hanno inflitto a chi ha
assediato la Maddalena il 3 luglio, a chi l’ha difesa il 27 giugno, oggi
sostiene che in Val Susa ci sono “millecinquecento terroristi pronti ad
uccidere”.
Una follia. La lucida follia di un criminale politico che ha deciso che la
miglior cura per chi protesta, per chi si ribella, per chi non si piega
alla violenza dello Stato sono galera e manganello.

Dopo la fiaccolata un centinaio di No Tav, prima di tornare a casa, è
passato dal carcere Le Vallette, per fare un saluto ai quattro ragazzi
arrestati domenica.
Fuochi d’artificio hanno bucato la notte malata di questa tristissima
periferia torinese, dove il confine tra il carcere e la galera quasi non
si vede. Una mezz’ora di saluti accolti con calore dai prigionieri, che
hanno risposto con grida e battiture.

Sarà dura. Resisteremo.

I No Tav della rete “Torino e cintura sarà dura”, che in questo mese e
mezzo di lotta alla Maddalena, nonostante il pressante impegno in alta Val
Susa, hanno continuato a fare iniziative di informazione e lotta a Torino
e, in particolare in borgata Lesna.
Dopo numerosi presidi, volantinaggi ed un’affollatissima assemblea
all’istituto Albe Steiner
mercoledì 13 presidio No Tav,
sabato 15 luglio dalle 17
assemblea/festa/incontro popolare con interventi, musica, banchetto
informativo
ai giardini di via Monginevro angolo via Rizieri

Di seguito uno dei volantini distribuiti in piazza ieri sera.

Ribelli, banditi, partigiani

Il Tav tra Torino e Lyon è un ingranaggio di una macchina “legale” di
drenaggio di soldi pubblici per fini privati. A destra come a sinistra,
tutti siedono alla stessa tavola imbandita. Tutti raccontano le stesse
favole di progresso e ricchezza, mentre si rubano il nostro futuro, mentre
saccheggiano il territorio, mentre sottraggono risorse alla vita nostra e
dei nostri figli. A Torino come in Val Susa.
Grandi opere e guerra: è il motivo dominante di questi anni. Si spende per
armi e soldati, si spende per arricchire i soliti pochi. Ma i soldi per le
scuole, gli ospedali, i trasporti per chi studia e chi lavora non ci sono
mai.
A sei anni dalla ripresa di Venaus siamo tornati ai blocchi di partenza.
Nel 2005 la gente No Tav poteva farcela senza delegare a nessuno, tanto
meno ai professionisti della politica, il proprio futuro. Bastava dire no
al tavolo di trattativa e continuare con la pratica dell’azione diretta.
Sarebbe bastato rifiutare la delega in bianco agli amministratori, dire
che quel tavolo non lo volevamo.
Oggi altri soggetti si affacciano sull’agone politico, nella speranza di
poter rappresentare e capitalizzare in voti una comunità resistente, che,
al momento buono non si tira indietro di fronte alla violenza dello Stato.
Sono gli stessi che denunciano la scelta del governo di trattare come
questione di ordine pubblico la lotta al supertreno ma non dedicano una
sola parola alle migliaia di No Tav gasati, colpiti da bossoli di
lacrimogeno, umiliati. Non una parola per i torturati, per gli arrestati,
per i feriti e gli intossicati nell’assedio della Maddalena occupata. È la
stessa sinistra giustizialista che vorrebbe l’Italia salvata da giudici,
gli stessi giudici che hanno inviato una pioggia di avvisi di garanzia a
chi lotta contro il Tav.
SEL e IDV sostengono la giunta Fassino ma fanno l’occhiolino ai No Tav. Un
gioco sporco. Un gioco già visto, al di là delle sigle che cambiano, al di
là delle poltrone che girano.

È appena iniziata una lunga estate di lotta e resistenza.
Il governo ha messo in campo tutta la sua forza: uomini in armi per le
strade, una campagna di criminalizzazione mediatica, nel tentativo fallito
di dividere i buoni dai cattivi.
Alla conferenza stampa dello scorso lunedì i No Tav hanno detto “i black
bloc siamo noi”.

A chi si affanna a cercare compatibilità con l’ordine che ci governa, ci
sfrutta, ci nega sin la libertà di dire la nostra vogliamo ricordare che
in questo paese la legalità sono vent’anni di cantieri, inquinamento,
taglio delle falde, rumore, camion, discariche. Legalità sono i militari
in strada, la guerra, le bombe e l’occupazione in Afganistan. Legalità
sono i regali fatti ai padroni, che lucrano sulle vite di chi lavora e si
prendono i beni comuni. Legalità è imporre con la forza un’opera che non
vogliamo. Legalità è il Tav.
Se lo Stato dice che un uomo è illegale, perché nato povero, se lo Stato
dice che difendersi dalla speculazione è illegale, se la Libera Repubblica
della Maddalena è illegale, occorre chiedersi se ciò sia legittimo.
Noi e con i noi i tanti che hanno resistito e resistono alla violenza
delle truppe di occupazione diciamo di no. Come i nostri nonni e i nostri
padri sappiamo che le ragioni della libertà, della giustizia sociale,
della solidarietà sono dalla parte dei ribelli, dei banditi, dei nuovi
partigiani.
Lo Stato ha eretto una gabbia con reti e filo spinato, occupando e
devastando il territorio. Oggi alla Maddalena c’è un deserto
militarizzato.

Per 37 giorni il popolo No Tav ha resistito alla Maddalena, sapendo che
era illegale. Per 37 giorni ha costruito barricate, sapendo che era
illegale.
Alla Maddalena, giorno dopo giorno, la comunità resistente si è raccolta
nei boschi e lungo la strada: brevi assemblee e lunghe giornate di lavoro,
perché tutto fosse a posto, la barricata come la cucina da campo, il
cartello informativo come il comunicato stampa.
Lunedì 27 giugno abbiamo chiuso le nostre barricate e ci siamo saliti
sopra: per oltre quattro ore abbiamo resistito alla pinza che frantumava
le reti cui eravamo aggrappati, ai gas che tagliavano il respiro e
bruciavano la pelle, ai colpi di manganello e agli insulti.
I militari hanno vinto e si sono presi il piazzale e i boschi,
distruggendo tanto di quello che avevamo costruito con pazienza, fatica e
amore in oltre un mese e mezzo di lotta, di autogestione, di incontro e
scambio solidale.
In nome della legge, che è sempre la legge del più forte. La legge dello
Stato.
Domenica 3 luglio le comunità resistenti d’Italia si raccolte a Chiomonte
per assediare le gabbie di acciaio erette alla Maddalena.
Chi se la sente scende dai sentieri, gli altri scelgono la strada: ma la
giornata è di tutti.
L’assedio va avanti per ore ed ore. I No Tav scendono dai sentieri e
premono contro le reti. Scendono dalla Ramats, si affacciano da Giaglione,
attraverso la via delle Gorge. Anche alla Centrale, una volta defluito il
corteo dove tanti hanno scelto di portare i propri bambini, comincia la
pressione contro le recinzioni.
In tanti hanno imparato la lezione impartita a suon di gas e manganellate
durante l’attacco di polizia alla Libera Repubblica: chi si è comperato la
maschera antigas, chi quelle semplici da ospedale, chi si limita ad un
fazzoletto bagnato. Tutti hanno i limoni, le pastiglie di Malox da
sciogliere, il ventolin. Caschi di tutte le fogge difendono il capo dei
manifestanti.
Nonostante le protezioni, al termine della giornata i feriti saranno
tantissimi, impossibile contarli tutti, perché solo i più gravi vanno in
ospedale: gli altri vengono curati sul posto da medici e infermieri No
Tav.

Durante le lunghe ore dell’assedio la gente che per età o per salute non
ce la fa ad essere in mezzo ai boschi non si allontana, e sostiene con
passione chi è in prima fila nell’assedio. Alla Baita – trasformata in
ospedale da campo – i feriti sono accolti da applausi e urla di sostegno;
dai curvoni che salgono a Chiomonte la gente grida forte quando arriva la
notizia che una rete è saltata. La gente dei boschi e quella della strada
è la stessa gente, le stesse facce, la stessa storia fatta delle mille
storie di ciascuno di noi.

Vent’anni di lotta, di autogestione, di continuo interrogarsi sul come e
il perché hanno dato i loro frutti. Un movimento che rifugge la violenza,
perché la violenza è quella feroce degli Stati, degli eserciti, delle
guerre, sa che quando si viene attaccati e invasi occorre difendersi.
L’etica della convinzione e quella della responsabilità si coniugano e
raggiungono un felice equilibrio quando si radicano nella prassi
quotidiana di un movimento dalle tante anime e sensibilità.
Le reti devono andare giù, la terra deve essere difesa. È una questione di
dignità. Niente di tutto questo è legale, ma contro chi fa guerra, chi
sfrutta, chi tortura, chi invade e ferisce, ribellarsi è sempre giusto.

Alla Maddalena gas e manganelli hanno cantato la canzone della democrazia
reale, che non è tradita ma si tradisce.
Chi ha spezzato le barricate della Libera Repubblica, chi ha voluto
imporre con la forza militare il proprio dominio deve sapere che non potrà
lavorare in pace, che verrà contrastato giorno dopo giorno dai No Tav,
finché se ne andrà.

In questi anni in tanti hanno imparato che la libertà non si mendica ma si
prende, che le regole di un gioco truccato devono essere violate, che solo
costruendo un percorso di autogestione dal basso dei territori e della
politica potremo cambiare di senso alla storia.

La posta in gioco è ben più alta della semplice opposizione ad un progetto
inutile, costoso, devastante.
Senza giustizia sociale, senza uguaglianza reale, senza libertà di
scegliere in prima persona non c’è futuro, non c’è libertà.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese
Corso Palermo 46
Riunioni, aperte a tutti gli interessati, ogni giovedì dopo le 21
fai_to@inrete.it – 338 6594361

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Val Susa. Fumo e aria fresca

I partigiani della Val di Susa

da Umanità Nova n. 23 del 10 lug 2011

Domenica 3 luglio, Val Susa. Un’altra pagina della nostra storia fatta
delle mille storie individuali che si intrecciano e si moltiplicano.
Lo striscione dei bambini che apre il corteo, la banda che suona, gli
striscioni, il popolo delle mille resistenze d’Italia che si mescola in un
grande corteo. Così grande che le menzogne della Questura saranno più
sfacciate del solito. Tanta gente con un unico grande obiettivo: stringere
d’assedio il fortino costruito alla Maddalena dalle truppe di occupazione.
Chi ha spezzato le barricate della Libera Repubblica, chi ha voluto
imporre con la forza militare il proprio dominio deve sapere che non potrà
lavorare in pace, che verrà contrastato giorno dopo giorno dai No Tav,
finché se ne andrà.
Il corteo si snoda per ore da Exilles lungo la statale e di lì in discesa
in mezzo ai piloni dell’autostrada sino alla barriera di acciaio e filo
spinato piazzata all’ingresso della salita verso la Maddalena, poco dopo
la centrale idroelettrica. C’è anche lo spezzone rosso e nero degli
anarchici sociali, che a centinaia hanno risposto da tutt’Italia
all’appello per la manifestazione, dividendosi tra il corteo e l’assedio
dai tanti sentieri. Nei giorni precedenti in moltissime città avevano dato
vita ad iniziative di solidarietà e sostegno alla lotta in Val Susa.
Quando il corteo arriva alla centrale molti No Tav si fermano nei boschi,
mangiano e si preparano all’assedio, altri si dispongono lungo la strada
che sale al paese di Chiomonte, altri ancora raggiungono il campo sportivo
dove si conclude la parte di manifestazione cui hanno aderito anche
sindaci ed amministratori.
Chi se la sentiva è sceso dai sentieri, gli altri hanno scelto la strada:
ma la giornata è di tutti.
L’assedio va avanti per ore ed ore. I No Tav scendono dai sentieri e
premono contro le reti. Scendono dalla Ramats, si affacciano da Giaglione,
attraverso la via delle Gorge. Anche alla Centrale, una volta defluito il
corteo dove tanti hanno scelto di portare i propri bambini, comincia la
pressione contro le recinzioni.
In tanti hanno imparato la lezione impartita a suon di gas e manganellate
durante l’attacco di polizia alla Libera Repubblica: chi si è comperato la
maschera antigas, chi quelle semplici da ospedale, chi si limita ad un
fazzoletto bagnato. Tutti hanno i limoni, le pastiglie di Malox da
sciogliere, il ventolin. Caschi di tutte le fogge difendono il capo dei
manifestanti: chi indossa quelli da cantiere, chi mette quelli da moto o
da bici: gli alpinisti si distinguono per il materiale tecnico usato da
chi arrampica.
Nonostante le protezioni, al termine della giornata i feriti saranno
tantissimi, impossibile contarli tutti, perché solo i più gravi vanno in
ospedale: gli altri vengono curati sul posto da medici e infermieri No
Tav. Qualcuno va su con in faccia i segni dei colpi ricevuti la settimana
precedente.
La baita dei resistenti, a margine del borgo Clarea, viene ripresa dal
corteo partito da Giaglione e si trasforma in ospedale da campo.
I poliziotti diranno di aver avuto 200 feriti: una dottora del CTO,
intervistata dal TG3 dichiarerà che tanti sono scivolati o sono vittima di
malori da caldo e stress. Si fa davvero fatica a provare compassione per
questi servi sciocchi e crudeli, ma chi ci riesce dimostra la diversa
qualità morale che oppone i resistenti ai lanzichenecchi del governo.
L’assedio va avanti per ore ed ore: dalla mattina sino a sera. Chi si
affaccia alle reti viene accolto da un fitto lancio di lacrimogeni CS,
un’arma da guerra, che altrove è stata bandita dalle manifestazioni. I
colpi spesso sono diretti sulle persone con effetti devastanti. I feriti
più gravi sono centrati da lacrimogeni sparati a distanza ravvicinata.
Come se non bastasse poliziotti e carabinieri lanciano sassi: li tirano da
dietro la recinzione, li scagliano dall’autostrada sui manifestanti che
stanno sotto.
Chi può si difende e tira a sua volta sassi. La lotta è impari, ma i
resistenti non mollano. Sui fronti di Ramats, Giaglione e della Centrale i
No Tav continuano per oltre sei ore il loro assedio. In un paio di punti
la recinzione cede alla pressione. La polizia continua a gasare: i
manifestanti arretrano ma poi tornano ad avanzare. La forza delle proprie
ragioni è più tenace della ragioni della forza bruta.
Chi cade in mano alle truppe dello Stato viene offeso e torturato. Un
ragazzo, con un braccio spezzato mentre cercava di difendere il capo dalle
manganellate di una decina di energumeni che lo pestavano a terra,
racconta di una giornata di umiliazioni e paura. Disteso su una barella
continua ad essere colpito da calci e pugni: un colpo di spranga gli
spezza il naso, è innaffiato da un bicchiere di orina. Ben tre ambulanze
vengono mandate indietro: resta senza cure in una barella al sole per
oltre tre ore.
Un carabiniere, anche lui scivolato e caduto in terra, viene abbandonato
dai propri camerati: saranno i No Tav a riportarlo tra i suoi.
Quattro manifestanti vengono arrestati e condotti nel carcere di Torino.
Maroni, i cui uomini hanno ferito, torturato ed offeso pretende che i
resistenti siano accusati di tentato omicidio.
Durante le lunghe ore dell’assedio la gente che per età o per salute non
ce la fa ad essere in mezzo ai boschi non si allontana, e sostiene con
passione chi è in prima fila nell’assedio. Alla Baita i feriti sono
accolti da applausi e urla di sostegno; dai curvoni che salgono a
Chiomonte la gente grida forte quando arriva la notizia che una rete è
saltata. Alcuni tentano anche una sortita dal fiume per dare man forte a
chi resiste più in alto.

Il giorno successivo i giornali racconteranno un’altra storia, ripetendo
un copione già scritto e usurato da anni: la litania della gente pacifica
e dei cattivi Black Bloc, l’opposizione tra i tranquilli valligiani e i
professionisti venuti da fuori.
Politici e politicanti per un momento si illuderanno di poter finalmente
spezzare il movimento, dividendo tra buoni e cattivi, tra pacifici e
violenti. Ma si sbaglieranno. Una comunità resistente, una comunità che si
è reinventata tale sfuggendo alle trappole dei media, imparando a capire
da se come stanno le cose, una comunità che tante volte ha assaggiato
sulla propria pelle la violenza dello Stato, non si fa abbindolare tanto
facilmente.
La gente dei boschi e quella della strada è la stessa gente, le stesse
facce, la stessa storia fatta delle mille storie di ciascuno di noi.
Nella conferenza stampa indetta il giorno dopo a Chiomonte verrà detto
forte e chiaro: nei boschi e sulle strade non c’erano Black Bloc, c’era
una comunità resistente, che si è difesa dagli attacchi riuscendo a
riprendersi la Baita e buttando giù, qua e là, la rete.

Sono passati dieci anni da Genova. Il sole estivo a tanti ricorda
quell’altro luglio, quando il movimento contro la globalizzazione perse la
sua grande occasione. Era il momento giusto per tessere a trama fitta
fitta una rete solidale tra chi lotta per un mondo dove lucro,
sfruttamento, disuguaglianza, comando scompaiano, divengano parole
cancellate dal lessico comune, relegate tra i residui di un passato da
dimenticare.
Un obiettivo importante che non si seppe centrare, perché chi si candidava
al governo dell’opposizione, chi voleva far leva sui movimenti per
costruire le proprie carriere politiche, chi parlava di municipalismo ma
finiva con il candidare i propri uomini nelle liste di centro sinistra,
non poteva permettere troppa autonomia ai movimenti.
Fecero male i propri conti, perché il vento stava cambiando in peggio:
qualcuno raccattò una poltrona, altri restarono a mani vuote.
D’altra parte i militanti più radicali nella pratica non seppero aprire
interlocuzioni sui contenuti, oltre che sulla prassi. E la prassi, scissa
da una forte progettualità autogestionaria, non indica altro che se
stessa. E in se stessa si esaurisce.
La criminalizzazione in questo contesto divenne sin troppo facile.
I media inventarono favole cattive per tenere buoni ed obbedienti i
bambini e troppi adulti pensarono che fossero vere. I buoni e i cattivi,
chi era dentro e chi era fuori. La barriera di carta e menzogne di quel
luglio divenne ben così alta e robusta che ancora oggi soffoca.
Le botte, i gas, le torture, gli insulti, gli inermi massacrati per le vie
di Genova e nelle caserme degli uomini dello Stato quasi passavano in
secondo piano. I cattivi in nero divennero l’alibi che quasi giustificò la
violenza di polizia e carabinieri, la feroce repressione compiuta dal
governo Berlusconi ma preparata dal governo D’Alema.
Ma Genova, dopo dieci anni non possiamo non riconoscerlo, era soprattutto
un enorme palcoscenico. I potenti della terra riuniti in una città ridotta
ad avamposto di frontiera tra uomini in armi e, intorno la folla
eterogenea, molteplice venuta a rovinarne la festa, a mettere in luce la
trama feroce di chi governa un mondo attraversato da ingiustizie
intollerabili.
Poi venne l’11 settembre, la guerra permanente contro il terrorismo, e
quel movimento piano piano si esaurì. L’opposizione alla guerra non seppe
mai farsi movimento vero, capace di mettere in difficoltà chi bombardava
in nome della democrazia. Quella guerra non è mai finita. Ed è anche
nostra responsabilità non averla saputa fermare.

In questo luglio, tra i piloni dell’autostrada e i sentieri ripidi della
montagna, dove la valle si stringe e dirupi si fanno scoscesi, abbiamo
scritto un’altra storia.
Non per caso.
Vent’anni di lotta, di autogestione, di continuo interrogarsi sul come e
il perché hanno dato i loro frutti. Un movimento che rifugge la violenza,
perché la violenza è quella feroce degli Stati, degli eserciti, delle
guerre, sa che quando si viene attaccati e invasi occorre difendersi.
L’etica della convinzione e quella della responsabilità si coniugano e
raggiungono un felice equilibrio quando si radicano nella prassi
quotidiana di un movimento fatto di tante anime e tante diverse
sensibilità.
Le reti devono andare giù, la terra deve essere difesa. È una questione di
dignità. Niente di tutto questo è legale, ma contro chi fa guerra, chi
sfrutta, chi tortura, chi invade e ferisce, ribellarsi è sempre giusto.
Genova è lontana, lontanissima. Anche allora c’era chi scelse di fuggire
lo spettacolo, mirando a coniugare radicalità e radicamento. Una scelta
che oggi a dieci anni di distanza mostra tutta la propria forza.
Ci hanno intossicati di gas, ci hanno chiamati criminali, hanno riempito
di fumo il chiarore del nostro luglio. Ma non è bastato a cancellare
l’aria fresca di questo movimento.
L’assedio continua. Ogni giorno.

Maria Matteo

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Occupazione di via Bonomo. Emergenza casa, i nodi vengono al pettine

da: senzasoste.it

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Nei mesi scorsi abbiamo più volte affrontato il problema dell’emergenza abitativa nella nostra città. Abbiamo più volte ragionato di come l’amministrazione non sia più in grado di gestire il problema in maniera efficace a causa del palese disinteresse nei confronti dei diritti elementari di ogni cittadino, cittadina a favore del guadagno di pochi speculatori e lobbies economiche.
Ieri abbiamo assistito alla prima dimostrazione “pubblica” ·di quanto avevamo in precedenza spiegato. Una famiglia con un bambino di tre anni è stata sfrattata per morosità incolpevole dopo diversi anni·di regolare pagamento dell’affitto. Il padre del bambino ha perso il lavoro trovandosi di fatto nell’impossibilità di continuare a pagare l’affitto.
Dopo innumerevoli incontri infruttuosi con l’assessore e alcuni dirigenti dell’ufficio casa e visto l’imminete rischio di finire per strada, la famiglia ha deciso di occupare un fondo comunale sfitto da diversi anni che ospitava in precedenza un’associazione. Dopo alcuni giorni dall’occupazione si presentano alla porta tre vigili in borghese spacciandosi come semplici incaricati dell’ufficio emergenza abitativa. Una volta dentro si qualificano e comunicano alla mamma del bambino che se non fosse uscita entro l’una avrebbero proceduto con uno sgombero coatto. In cambio offrono 5 giorni d’albergo.
In maniera molto spontanea, davanti all’appartamento si raccolgono numerosi aderenti dell’Assemblea cittadina sugli spazi sociali ed esponenti dell’unione inquilini. Come di consueto i presenti hanno dovuto putroppo assistere all’inettitudine e all’inesperienza dei vigili urbani livornesi che hanno subito perso la calma minacciando tutti di arresto e denunce se non avessero sciolto immediatamente il picchetto. Contemporaneamente si tenta di trovare una soluzione politica che puntualmente non arriva. Il sindaco ha confermato quanto detto dall’assessore: il comune non può offrire più di una settimana di albergazione. Nel tardo pomeriggio, intanto, il numero dei funzionari di polizia aumenta. Si presentano i famosi o famigerati vigili appartenenti al gruppo sicurezza e decoro urbano, ai quali si aggiungono Carabinieri, Guardia di finanza e la Polizia provinciale. Tutta questa militarizzazione di fronte ad una giovane famiglia con bambino così piccolo non ha certamente aiutato il clima e la ricerca di una soluzione. Solo in serata è stato possibile ottenere altre 24 ore per permettere alla famiglia di avere un ulteriore incontro con l’assessore.
Tralasciando i numerosi particolari che hanno caratterizzato in modo spiacevole la giornata di ieri – prima di tutto l’atteggiamento arrogante ed aggressivo della Municipale – è doveroso testimoniare di come, dirigenti e politici in primis, si cerchi di criminalizzare un comportamento indiscutibilmente pacifico come quello tenuto dalla famiglia in questione. La scelta di occupare un immobile da parte della famiglia è stata una scelta imposta dalla realtà. O così o per strada. Nella nostra città ci sono centinaia di locali pubblici tenuti sfitti, ma fino ad ora sono state fatte solo semplici promesse e un nulla di fatto. Ci chiediamo che fine facciano le decine di famiglie che ogni settimana affrontato situazioni simili a quella descritta, senza poter contare su un appoggio istituzionale e umano come avvenuto in questo caso, (per ora solo umano visto la latitanza delle istituzioni).
Attualmente, la famiglia si è trovata costretta ad accettare l’albergazione per non incorrere in inutili denunce. Purtroppo tra una settimana il rischio concreto è quello di finire in mezzo ad una strada. L’assemblea spazi sociali continuerà a seguire la faccenda monitorando i comportamenti e le eventuali proposte dell’Amministrazione.
Resta la consapevolezza che un problema reale è scoppiato e non si vedono soluzioni dalla politica istituzionale nel breve periodo. E’ importante che chiunque si trovi in questa situazione prenda il coraggio di uscire fuori e denunciare. Soluzioni individuali non portano da nessuna parte, cause collettive possono seriamente cambiare il destino dei tanti edifici pubblici sfitti e vuoti, in attesa magari di concorrere nell’ennesima speculazione edilizia. (red)

6 luglio 2011

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Comunicato sui fatti di Via Bonomo

 

Martedì 5 Luglio una giovane coppia con un figlio di 3 anni, costretta da tempo a vivere in auto, ha occupato dei locali sfitti da anni in Via Bonomo di proprietà del Comune di Livorno.

Questo non è che l’ultimo e più evidente segnale di una emergenza abitativa giunta ormai al collasso.

Non è più solo una questione statistica, non c’è bisogno di snocciolare dati per capire la situazione in cui sono costrette a vivere in città migliaia di persone. Per questo, quello che è successo in Via Bonomo è stato visto con simpatia e solidarietà dagli abitanti della zona e dalle molte persone che martedì sono accorse per sostenere gli occupanti.

L’amministrazione locale teme che azioni come queste possano essere un esempio per i tanti che sono costretti a vivere in condizioni abitative disastrose.

Per questo, fin dai primi momenti, sono stati mobilitati per eseguire lo sfratto decine di agenti tra Polizia Municipale, Carabinieri, Guardia di Finanza e DIGOS. Questa è l’arroganza e la prepotenza del potere che vuole punire chi cerca di uscire dalle condizioni in cui viene costretto a vivere.

Solo grazie alla spontanea solidarietà di tutte quelle persone che martedì e mercoledì hanno sostenuto gli occupanti, ma soprattutto grazie alla decisione con cui la giovane coppia ha rivendicato il diritto all’abitazione, lo sgombero non c’è stato. La punizione esemplare per far capire a chi è sfruttato che deve stare al suo posto non c’è stata.

Dopo una trattativa la coppia ha ottenuto alcuni giorni di albergazione in una pensione, nell’attesa che il Comune di Livorno trovi una soluzione. Questo chiaramente è solo un piccolo passo, ed è probabile che il Comune non rispetti le promesse.

Come Collettivo Anarchico Libertario riteniamo positivo che si sviluppino meccanismi di solidarietà e resistenza come quelli che si sono mossi attorno a questa occupazione. Esprimiamo solidarietà alla giovane coppia, come a tutti coloro che vivono l’emergenza abitativa.

 

Collettivo Anarchico Libertario

collettivoanarchico@hotmail.it

http://collettivoanarchico.noblogs.it

07/07/2011

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Manifesto di solidarietà con il movimento NO TAV

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Appello per la manifestazione nazionale del 3 luglio

riceviamo e pubblichiamo:

 

 

Dalla Valle che Resiste e non si arrende
Appello per la manifestazione nazionale del 3 luglio

Il coordinamento dei comitati notav riunito a Bussoleno il 29 Giugno indice per domenica 3 luglio dalle ore 9 una manifestazione di carattere nazionale in seguito allo sgombero del presidio della Maddalena.
La manifestazione avrà carattere popolare con l’obbiettivo di assediare le zone di accesso alla Maddalena occupate illegittimamente dalle forze di polizia e dalle ditte incaricate di costruire un immenso campo militare, e non un cantiere, distruggendo il territorio senza alcuna considerazione per l’ambiente, la storia e la civiltà della nostra Valle e non solo.

Saremo un popolo in movimento, pacifico e determinato per difendere i beni comuni, la nostra terra e il futuro di tutti e tutte.
Non siamo mai stati un movimento Nimby. La solidarietà di questi giorni ci dice che combattiamo una lotta che riguarda tutti.
Per questo invitiamo, quanti hanno a cuore la democrazia del nostro paese, chi ancora ha coraggio d’indignarsi, a partecipare all’assedio.
(Attraverso i siti internet e un numero telefonico dedicato faremo circolare le informazioni necessarie per raggiungere la manifestazione).
No TAV! No mafia! No alla militarizzazione!
Si al rispettodella Valle! Si alla volontà di riscatto di tutta l’Italia!

Il coordinamento dei comitati delle Valli No Tav, Torino e Cintura
Bussoleno 29 giugno 2011

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Solidarietà alla libera repubblica della Maddalena

Solidarietà alla libera repubblica della Maddalena

Di seguito il comunicato emesso ieri dalla Commissione di Corrispondenza
della Federazione Anarchica

Almeno duemila agenti fra polizia, carabinieri, guardia di finanza e corpo
forestale.
Una quantità impressionante di lacrimogeni sparati contro i manifestanti.
Idranti e ruspe per spazzare via le barricate contro il TAV. A dieci anni
dal massacro di Genova, lo Stato italiano ha voluto imporre il suo dominio
contro la Libera Repubblica della Maddalena, un presidio di libertà e
autogestione costruito dalla popolazione valsusina che resiste alla
devastazione ambientale.
Le minacce del ministro dell’Interno Maroni si sono concretizzate alle
prime luci dell’alba: un’operazione militare in grande stile sostenuta dal
plauso di tutti i poteri forti, dai partiti di centrodestra e
centrosinistra passando per Confindustria.
Nonostante questo, il movimento NO TAV non si piega: la resistenza
continua nella convocazione di scioperi spontanei nelle fabbriche della
valle (quattro fabbriche, da stamane, in sciopero spontaneo), nei blocchi
stradali e ferroviari di queste ore convulse, nella generosa
consapevolezza dei valsusini che lottano a mani nude per la salvaguardia
della loro valle, della loro salute, del loro futuro.
La mobilitazione in risposta all’arroganza del governo si sta estendendo
nella penisola: alcune organizzazioni hanno proclamato lo sciopero
generale; presidi e manifestazioni di protesta si annunciano, per il
pomeriggio, in moltissime città italiane.
I fatti di questa mattina dimostrano che la vera violenza è quella dello
Stato che spiana la strada agli interessi criminali del capitalismo
ripristinando il suo disordine in punta di manganello.
La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana
denuncia la repressione dello Stato nei confronti di questa lotta
decennale per la libertà e l’autodeterminazione e rinnova la sua massima
solidarietà alle popolazioni valsusine in lotta.

Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana – FAI

Lunedì 27 giugno 2011

Commissione di Corrispondenza
Federazione Anarchica Italiana
www.federazioneanarchica.org
Tel. 333 3275690

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