da: Umanità Nova, n.9 dell’11 marzo 2012 – www.umanitànova.org
I ferri vecchi della reazione
Incapace di venire a capo della resistenza popolare in Val Susa, e della solidarietà crescente che riceve in ogni parte del paese, il governo Monti penserebbe a nuove misure repressive nei confronti dei ribelli.
Lo annuncia Liana Milella in un articolo pubblicato su “La Repubblica”
(http://www.repubblica.it/politica/2012/03/04/news/e_il_viminale_studia_le_contromosse_associazione_a_delinquere_per_i_ribelli-30907058/?ref=HREC1-2): gli alti papaveri del Governo e della polizia sono preoccupati per l’opposizione popolare al progetto del TAV, e per le conseguenze che l’azione repressiva potrebbe avere nel rinfocolare la resistenza e la solidarietà.
In realtà, per applicare la tradizionale politica del bastone e della carota, manca al Governo qualsiasi carota da offrire al movimento, carota che non si trasformi in una sconfitta per la lobby delle costruzioni ferroviarie legata alla direzione del PD, e in particolare nei legami politici molto stretto tra il presidente del comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti (Copasir) Massimo D’Alema e Maria Rita Lorenzetti, ex presidente della regione Umbria e attuale presidente dell’Italferr.
La paura che fa Baffo di Ferro per Monti e il suo governo è maggiore di quella che fa il movimento popolare; per questo i dossier che sono sul tavolo del ministro degli Interni l’unica via d’uscita che viene prefigurata è quella
dell’accentuazione della repressione: associazione a delinquere per gli anarchici, l’arresto differito, il reato di blocco ferroviario.
Nell’articolo si afferma che “gli anarchici torinesi, in una scala di pericolosità, si collocano al livello più alto.”, e conclude: “le richieste delle forze di polizia sono ben precise. Innanzitutto un’interpretazione più ampia del 416, l’associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, applicabile anche agli anarchici che pure rifiutano l’etichetta di gruppo associativo. Poi l’arresto differito per chi commette reati in piazza. Infine un ritorno al reato di blocco stradale e ferroviario”.
Se si da un’occhiata alla storia, possiamo vedere che le ondate repressive contro il movimento anarchico hanno prima o poi coinvolto tutte le componenti del movimento operaio e popolare, con morti, arresti, confino e chiusura di organizzazioni.
E’ accaduto nel 1894 con le leggi antianarchiche del governo Crispi, è successo durante il fascismo con il codice Rocco, è successo nel 1969 con la strage di piazza Fontana e l’assassinio di Giuseppe Pinelli. E non si può dire che la
repressione abbia raggiunto il suo scopo: la malapianta dei malfattori è risorta più forte di prima dalle sue ceneri.
Chi sperava di garantirsi un’immunità dissociandosi dagli anarchici ha pagato a caro prezzo la sua illusione: al tempo delle leggi antianarchiche, Filippo Turati,
parlamentare socialista, cercava di stornare la repressione nei confronti del suo partito ricordando i meriti nella lotta contro l’anarchismo. Pochi mesi dopo, il governo scioglieva anche il neonato partito socialista, chiudeva le sedi e proclamava lo stato d’assedio in mezza Italia. Quasi vent’anni dopo, gli stessi dirigenti socialisti tentarono la pacificazione con il partito fascista, riuscendo solo a disorientare i militanti proletari e a dare un nuovo esempio di tradimento.
Stiano attenti, i leader democratici e sindacali, ad avallare la politica antianarchica del Governo: i “normalizzatori” troveranno sicuramente argomenti per colpire altri non allineati.
Da parte nostra, non cesseremo il nostro lavoro di propaganda e di organizzazione: il governo, con la sua politica autoritaria e classista, dimostra ogni giorno la validità delle nostre argomentazioni.
Tiziano Antonelli