Di seguito l’opuscolo presentato presso la FAL sabato 11 aprile
GRANDI OPERE
GRANDI TRUFFE
Darsena | Rigassificatore | Ospedale
INDICE
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Introduzione
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Analisi della questione nel contesto locale
Darsena
Rigassificatore
Ospedale
3. No Expo: appello alla mobilitazione
INTRODUZIONE
Le cifre della disoccupazione testimoniano la vera e propria catastrofe che si è abbattuta sugli sfruttati. La crisi economica è stata l’occasione per un gigantesco sabotaggio della produzione e della distribuzione, operato dai capitalisti con l’appoggio del Governo e delle banche, per distruggere il movimento operaio e cinquant’anni di conquiste e miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari.
La scuola, la sanità, i servizi pubblici sono disorganizzati; la disoccupazione si diffonde, e con essa la miseria e la sfiducia.
Livorno è un esempio di questa catastrofe: la disoccupazione a Livorno e nella sua provincia è quasi il doppio della media toscana e molto superiore alla media nazionale.
La disoccupazione giovanile è altissima. La cassa integrazione è aumentata vertiginosamente: poiché la CIG è l’anticamera del licenziamento è probabile che nei prossimi anni la situazione della disoccupazione peggiorerà ancora. Il risultato è che tanti livornesi fuggono all’estero: Livorno sta diventando terra di emigranti.
Tutto questo non è rimasto senza risposta. La lotta dei lavoratori della TRW, che ha visto l’occupazione della Confindustria e momenti molto alti di mobilitazione, è stata seguita da quella dell’IFB e di People Care, per
citare solo quelle più clamorose. Vanno avanti la lotta dei lavoratori delle agenzie interinali del porto per il rispetto dei regolamenti e contro lo straordinario, e quello dei lavoratori delle cooperative sociali contro il part-time obbligatorio. Sta crescendo anche a Livorno la mobilitazione contro la progettata riforma della scuola, che provocherà anch’essa una diminuzione dei posti di lavoro, soprattutto per i precari.
Occorre uscire dalla logica separata delle singole vertenze e porre il problema di come reagire al sabotaggio che i capitalisti operano ai danni della produzione, con l’appoggio dei governi nazionali e locali e delle banche. Un esempio ce lo dà Vertenza Livorno, la rete per la difesa della salute e dell’ambiente, che ha individuato una serie di punti, dal polo per la gestione dei rifiuti urbani a quello per le energie rinnovabili, per un turismo sostenibile, alla bonifica delle aree industriali dismesse a carico dei proprietari. Anche i lavoratori e le loro organizzazioni devono impegnarsi per individuare un percorso di uscita dalla crisi, al di fuori delle grandi opere che significano devastazione del territorio e saccheggio delle risorse pubbliche, pagate dagli sfruttati e dai ceti popolari.
Questo lavoro deve basarsi sull’inventario delle aree, degli impianti e dei macchinari abbandonati o sottoutilizzati, su una ricognizione delle possibilità di sbocco dei prodotti, delle aree inquinate e dei terreni abbandonati. Ad esso si deve accompagnare il censimento della forza lavoro occupata e disponibile, del ricorso allo straordinario e alla cassa integrazione, in modo da capire come dividere il lavoro esistente fra occupati, sottoccupati e disoccupati.
Infine i lavoratori organizzati devono effettuare una sorveglianza assidua per il rispetto dei regolamenti, dei contratti e della normativa, contro il lavoro nero o comunque non normato, contrastando al contempo le nuove forme di precarizzazione e di sfruttamento introdotte dal Jobs Act: siamo convinti che con queste semplici pratiche sia possibile ridurre la disoccupazione e individuare quei percorsi che puntino al soddisfacimento dei bisogni collettivi.
E’ chiaro che queste operazioni hanno senso solo se accompagnate dal collegamento fra i lavoratori delle varie località, e animate dalla volontà di superare il modo di produzione capitalistico:
questa attività di controllo effettuata dagli organismi dei lavoratori non deve servire a garantire maggiori profitti ai capitalisti, ma si deve muovere nella prospettiva dell’autogestione e dell’esproprio generalizzato dei mezzi di produzione.
Questo opuscolo vuole dare il proprio contributo a questo lavoro, demolendo l’illusione che le grandi opere portino maggiore occupazione, anche quelle che per Livorno sono grandi opere, la Darsena Europa, il nuovo ospedale, il rigassificatore; attraverso quel lavoro d’inchiesta che dia ai lavoratori gli strumenti per comprendere e gestire l’economia.
DARSENA
Il porto costituisce il cuore pulsante dell’economia livornese, è naturale quindi che ogni variazione ne traffici marittimi sia vista con preoccupazione o speranza dalla città, che le migliaia di disoccupati che popolano Livorno vedano con favore ogni promessa di investimento nelle strutture portuali.
La variante anticipatrice del Piano regolatore del Porto, che contiene la previsione di nuovi investimenti nell’area portuale, pone una serie di interrogativi.Il dibattito è stato condizionato dalla promessa di finanziamenti fatta dal presidente della Regione Toscana, che dovrebbero creare nuovi posti di lavoro. Come quando comandava il PD, non c’è stato alcun dibattito che coinvolgesse tutta la città, a partire da chi sul porto ci vive e ci lavora, né le loro rappresentanze sindacali. Il ribaltone primaverile, che ha tolto al PD il ruolo di partito di maggioranza nel consiglio comunale, dopo una serie di incertezze su altri argomenti, si rivela più di forma che di sostanza: è ancora il partito del mattone e della speculazione che domina la vita politica della città, senza alcun riguardo per le esigenze dei lavoratori e dei ceti popolari.
Ma arriveranno i milioni promessi da Rossi?
Intanto quelli che dovevano venire dalla Banca Europea degli Investimenti, il piano Juncker, sono scomparsi. Per fortuna Rossi ha un amico a Roma, alla presidenza del consiglio, che ci dovrebbe mettere una pezza; ma non sappiamo se le disavventure giudiziarie del ministero delle infrastrutture provocheranno un ennesimo stop, né sappiamo ancora che cosa prevederà il piano strutturale dei porti, da cui discenderanno gli impegni finanziari del governo.
Insomma,
Che cosa è andato a firmare il sindaco Nogarin a Firenze?
Che cosa c’è di certo?
Il provvedimento approvato dal Consiglio comunale stabilisce il trasferimento all’Autorità Portuale della fascia costiera dallo Scoglio della Regina alla Stazione Marittima compresi, sottraendola al Piano Regolatore del Comune.
Stabilisce inoltre il cambio di destinazione, dal “Sistema Insediativo” al “Sistema Portuale e delle Attività”, in contrasto con il Piano Strutturale in vigore e con un aumento dei volumi edificabili. Questo in contrasto con la legge vigente, che prevede che il Piano Regolatore del Porto debba conformarsi al Piano Regolatore Generale, e non viceversa.
Oltre a questo, ci sono una serie di operazioni che non hanno niente a che vedere con lo sviluppo del Porto, ma sono legate ad altri interessi. Secondo l’Osservatorio sulle Trasformazioni Urbane, obiettivo della Variante Anticipatrice è il raddoppio della Porta a Mare, con l’aggiunta delle aree fra la Fortezza Vecchia e la Stazione Marittima comprese. Questi sono i numeri del progetto: per la tipologia commerciale (ipermercati e simili) le nuove costruzioni passano da 3.500 mq a 12.500, il terziario passa da 20.000 a 22.000, il turistico ricettivo (alberghi) da 10.000 a 11.000 mq, mentre i servizi pubblici decrescono da 76.000 a 55.000 mq. Ecco a che cosa ha portato il ribaltone elettorale, all’ennesima vittoria del partito del mattone!
Che cosa ha a che vedere tutto questo con le condizioni dei lavoratori del porto?
La Darsena Europa, se mai vedrà la luce, sarà pronta fra dieci anni. Il progetto della Darsena è del 2006, sono passati nove anni e solo nel 2015 si fa un piccolo passo in avanti, ma non ci sono ancora soldi veri né l’inserimento nel piano dei porti. In realtà quello che è stato approvato è solo una costola del progetto originario, che costerà 650 milioni di euro, anziché il miliardo e 300 milioni previsti per l’opera originaria. Le nuove banchine assorbiranno comunque pochissimi nuovi addetti, e resta da vedere se l’andamento attuale dei traffici marittimi ha bisogno di questo investimento.
Quali prospettive ci sono oggi per lavoratori che fanno tra
uno e sei turni al mese?
Sul porto di Livorno si abbatte la crisi generale del trasporto marittimo; da una parte c’è la crisi economica che ormai da sette anni divampa in tutto il mondo capitalistico; inoltre c’è un eccesso di offerta, sono troppe le navi in circolazione, mentre le merci da trasportare continuano a diminuire, infine c’è una trasformazione nelle rotte delle grandi compagnie che riduce a pochissimi i porti dove faranno scalo le grandi navi portacontainer. La soluzione è non in una programmazione industriale del settore marittimo, ma nella concorrenza sfrenata fra ogni realtà produttiva, fra ogni Autorità Portuale, per attrarre nelle proprie strutture una fetta maggiore di traffico marittimo, moltiplicando in modo esponenziale le richieste di finanziamenti pubblici. E’ un aspetto tipico del modo di produzione capitalistico nella fase dell’imperialismo, moltiplicare, scaricandone i costi sul pubblico erario, unità produttive sempre più gigantesche. A questa logica non si sottraggono né l’Autorità Portuale né il Consiglio comunale di Livorno.
Ieri come oggi, i lavoratori non hanno nulla da sperare dalle grandi opere, possono contare solo sulle loro forze, sulla lotta costante e tenace per il rispetto degli accordi, dei regolamenti, dei limiti al lavoro straordinario, sulla loro organizzazione in sindacati combattivi non sottomessi ai gruppi di potere che si contendono la maggioranza nelle strutture rappresentative.
RIGASSIFICATORE
La questione rigassificatore è troppo nota per aver bisogno di essere riassunta in questa sede. Annunciato in pompa magna nell’estate del 2002, presentata ufficialmente nel febbraio 2003 con un annuncio/francobollo apparso su Tirreno e Repubblica, in modo che nessuno lo vedesse e potesse partecipare all’iter autorizzativo, il progetto è stato sostanzialmente imposto alla città, tanto che nel 2004 Giunta e Consiglio comunale violarono le regole per impedire lo svolgimento di un referendum sia pure soltanto consultivo.
Il referendum avrebbe avuto comunque il merito di far sviluppare un dibattito dove, comitati e associazioni cittadine contrarie al progetto, potevano sbugiardare tutte le fandonie e fanfaronate che i favorevoli (tutti i partiti salvo qualche rara eccezione, tutti i sindacati confederali, le associazioni padronali, in pratica tutto il “palazzo”) avevano sparato sui cittadini grazie alla compiacenza dei media locali, soprattutto del Tirreno, sempre e comunque schierato a difesa del progetto. Abbiamo dovuto sopportare stupidaggini sui grandi benefici che il gas importato dalla OLT avrebbe dato all’economia del territorio, alle centinaia di nuovi posti di lavoro, alle ricadute sul Cantiere Orlando (in quegli anni agonizzante ma ancora funzionante), alla metanizzazione della centrale ENEL del Marzocco, allo sconto sulle bollette del gas pagate dai livornesi, ecc. Tutte baggianate: il cantiere è stato chiuso come la centrale ENEL, i posti di lavoro, poche decine, non hanno avuto una ricaduta sul territorio , le bollette saranno più salate, a Livorno come nel resto d’Italia, perché, come vedremo, lo Stato si è assunto l’onere di salvare la OLT dal fallimento. Sarebbe interessante sapere che fine hanno fatto i Lamberti, i Cinuzzi, i Bussotti, i Manacorda, i Cosimi, e compagnia berciante, che hanno sparato per anni simili baggianate.
Era il 2006, quando i comitati lanciarono la parola d’ordine di un progetto dannoso all’ambiente, pericoloso per i rischi di incidente rilevante, inutile perché di gas in Italia ne stava arrivando fin troppo.
Alla fine di luglio 2013 il rigassificatore è arrivato, con tanto di strombazzamento propagandistico: ricorderemo l’inserto speciale del Tirreno, spacciato per supplemento informativo, in realtà un opuscolo pubblicitario, fatto fra l’altro pure male.
Il rigassificatore è arrivato, la OLT è apparsa come sponsor di Effetto Venezia, della regata organizzata dall’Accademia Navale, delle stagioni del Goldoni, ecc. Ha sparso un po’ di soldi che hanno fatto la felicità di pochi. Soldi nostri, come vedremo.
Il 19 dicembre 2013 il rigassificatore, dopo alcuni mesi di prove effettuate con gas procurato da uno dei soci di OLT, la tedesca E.On, è entrato ufficialmente nella fase di commercializzazione … ma non ha mai lavorato un m3 di gas! La crisi economica e l’avvento delle fonti rinnovabili hanno fatto calare a picco i consumi di gas: nel 2014 si è consumato tanto gas quanto nel 1998!
Si è così avverata la facile previsione del comitati: se, e per fortuna, il rigassificatore non ha fatto danno e non ha fatto correre rischi agli abitanti della costa e alle navi che solcano il nostro mare, si è dimostrato vero che il rigassificatore è inutile.
La logica avrebbe voluto che l’impianto venisse chiuso, forse venduto per essere riconvertito o spostato in altro paese … ma il capitale investito – si parla di 900 mln ma forse sono anche di più – andava remunerato. Ed ecco quindi arrivare il governo che lo dichiara “strategico” per la sicurezza energetica nazionale. La OLT, in questa farsa, si dice disponibile a fornire metà dei suoi, vuoti, serbatoi, per gas da utilizzare in caso di crisi: 100mila m3 di gas liquido, da utilizzare in caso di picchi di consumi. Una farsa perché come dimostrato dal Comitato contro il rigassificatore quei 100mila m3 stoccati sul rigassificatore potrebbero garantire, forse, 4 ore di consumi italiani in caso di emergenza. Una sciocchezza. Tanto più scandalosa se si pensa che gli stoccaggi italiani sono pieni al 94%, garantendo quantità ben superiori di gas, quelle si utili in caso di crisi. Tanto per comprendere la farsa inscenata per salvare la OLT: negli stoccaggi ad ottobre c’erano 11,4 mld di m3 di gas, più 4,6 miliardi di m3 di gas di riserve strategiche contro i 60 mln di m3 stoccati nei serbatoi del rigassificatore di Livorno!
Ma l’importante era dare fumo negli occhi per giustificare la sovvenzione, cioè il salvataggio. Un viceministro, tale De Vincenti (quello delle trattative per salvare la TRW e il call center …), ha parlato di 160mln di euro risparmiati grazie
allo stoccaggio della OLT. Cifre sparate a casaccio ma tanto nessuno sarebbe andato a controllare. La OLT garantisce sponsorizzazioni a destra e a manca, specie ora che ha avuto la garanzie di avere 45 mln di euro nel 2014 e 85 mln nel 2015 e per altri 18 anni. Soldi estratti da un apposito aumento sulle bollette pagate dagli italiani.
Cosa si potrebbe fare con 85 mln di euro ogni hanno investiti nel territorio?
Certamente molto di più di quanto non faccia la OLT che spanderà un pò di briciole qua e là … soldi rubati a coloro che hanno perso il posto di lavoro (28mila dal 2008 nella sola provincia di Livorno), ai precari, ai giovani in cerca di lavoro, agli anziani a cui è stata tagliata l’assistenza.
Con 85 mln di euro ogni anno si potrebbe dare un reddito decente (1200 euro al mese) a 5900 disoccupati livornesi, oppure si potrebbero finanziere le bonifiche dei siti inquinati, oppure si potrebbe rilanciare il turismo creando veramente il parco delle colline livornesi, oppure creare in città un polo per la corretta gestione dei rifiuti, si potrebbe
realizzare l’elettrificazione delle banchine con energia prodotta da impianti eolici o fotovoltaici in modo da ridurre l’inquinamento cittadino, si potrebbe rafforzare l’assistenza sanitaria anziché tagliarla. Si potrebbero fare queste e mille altre cose, tutte alternative, alle faraoniche grandi opere, spesso se non sempre inutili e dannose.
Quegli 85 mln di euro, che oggi mantengono in vita un rigassificatore che da lavoro, forse, a 50 persone, andrebbero spesi per iniziative proposte dalla città, sviluppate tramite un dibattito collettivo che abbia come centro il benessere degli individui e non di pochi imprenditori e burocrati. Le spese andrebbero decise collettivamente, ma anche andrebbe controllato collettivamente il loro effettivo utilizzo.
Un libro dei sogni?
No, se abbandoneremo ogni fiducia in chi ci ha trascinato in questa situazione ma anche in chi si è proposto come alternativa ma sta ripercorrendo le stesse strade, come la vicenda del piano regolatore portuale sta dimostrando in questi giorni
OSPEDALE
Nasce nel 2008 l’intenzione da parte del Comune e dell’ASL di dare vita ad un nuovo Ospedale. L’ASL, dopo aver ristrutturato parte del vecchio ospedale spendendo circa 100 milioni di euro, di cui la metà per il nuovo pronto soccorso, propone un nuovo polo ospedaliero delocalizzato; il piano finanziario dedicato al nuovo ospedale prevede una spesa di circa 266 milioni di euro, tra struttura ed attrezzatura interna, quasi 10 milioni solo per la progettazione e la direzione dei lavori, subito investiti.
Nel 2009, per finanziare quest’imponente opera, vengono messi in vendita: i distretti sanitari, i centri sanitari e di prevenzione, il centro di igiene mentale Frediani, le vecchie strutture di via San Francesco e via del Piave, alcuni servizi dell’attuale presidio ospedaliero di viale Alfieri e villa Graziani, la restante parte dei finanziamenti necessari, più della metà, si presuppone tramite prestiti di privati (project financing) e un ipotetico contributo della Regione Toscana.
Tra le aree candidate ad accogliere il nuovo polo vi sono: Picchianti, Archi (via di Tramontana), Carcere (zona Padula), Leccia e Scopaia, Villa Serena, RSA Pascoli. Le prime risultano essere aree soggette ad inquinamento dovuto alla vicinanza con zone industriali, a rischio esondazione, o troppo vicine ad aree come il carcere, ritenuto pericoloso. Viene inevitabilmente scelta l’area di Montenero Basso tra Villa Serena e RSA Pascoli. Si prevede la demolizione della casa di cura che ospita oltre 200 anziani e la riqualificazione dei padiglioni 4 e 5 dell’ospedale in Viale Alfieri per accoglierli, con un ulteriore spesa di circa 8 milioni e mezzo di euro.
Il nuovo ospedale è pensato come una struttura monoblocco, adeguata agli standard sanitari attuali, con 440 posti letto anzichè 650 presenti nell’attuale, una diminuzione dovuta alla scelta di applicare un nuovo sistema organizzativo basato sul modello ad “intensità di cure”. Il modello ad “intensità di cure” divide in tre livelli di intensità le necessità assistenziali: alta intensità, per degenze intensive e sub intensive (rianimazione e terapia intensiva post operatoria); media intensità, degenza per acuti (area medica e chirurgica); bassa intensità, degenze per pazienti post acuti (stabilizzazione e riabilitazione). Questo modello presuppone che l’assistenza delle cronicità, della disabilità e parte della riabilitazione vengano assorbite tramite la rete assistenziale dei servizi territoriali e l’assistenza domiciliare.
Nel progetto, per costruire l’intera struttura del nuovo ospedale si prevedono solo due anni, senza sprechi nè indugi e l’inaugurazione è prevista per il 2016, poi rimandata al 2017 e infine al 2018. Si pensa subito alle possibilità di riuso della vecchia sede in Viale Alfieri, in buona parte ceduta ai privati, riconvertita in zona per edilizia residenziale, in polo scolastico/universitario, in sede di uffici e attività di gestione delle strutture sanitarie.
L’ospedale attuale realizzato nel 1931, ha una superficie lorda di circa 114 mila metri quadrati, ed è collocato al centro tra le assi est-ovest e nord-est della città, risulta ben collegato con buona parte della città, è circondato da aree libere e pubbliche, come il Parterre (ex Pirelli), che potrebbero essere riconvertite in funzione di una ristrutturazione, ma presenta numerosi problemi infrastrutturali, oltre alla necessità di un adeguamento sismico. Con il Progetto Mariotti, iniziato prima della proposta del nuovo ospedale a Montenero, si delineava una riorganizzazione della vecchia struttura alla cifra di 60 milioni di euro. Il progetto però, è stato presto accantonato insieme alla relativa documentazione, rendendo impossibile qualsiasi confronto con la nuova proposta.
Nel 2010, viene fatto un referendum abrogativo consultivo al quale si risponde “SI” se si è contrari al nuovo polo ospedaliero; un caso anomalo che per l’occasione ha fatto estendere il diritto al voto anche ai sedicenni e agli 8 472 stranieri residenti. Hanno votato il 20% degli aventi diritto, dei quali il 73% ha espresso un “SI”.
Nonostante l’accesa opposizione della popolazione, il progetto procede comunque, si realizzano i modellini e si espongono all’interno dell’attuale ospedale, la Regione finanzia il Comune con 15 milioni di euro per la costruzione della viabilità di Montenero e poi chiede al Comune di restituiglieli qualche anno dopo, quando, nel 2014, si palesa all’interno della nuova amministrazione comunale un’opposizione alla costruzione del nuovo ospedale.
La questione dell’ospedale entra nei programmi elettorali come strumento della propaganda politica, ma da nessuna parte viene fatta una concreta proposta per migliorare la sanità e la struttura ospedaliera esistente.
Adesso la Regione preme per far realizzare il progetto del nuovo ospedale a Montenero, l’amministrazione comunale si oppone apertamente, ma la sanità rimane così com’era prima del 2008. Sorgono spontanee alcune domande:
Da cosa è nata la necessità di un nuovo ospedale delocalizzato?
Perché è nata dopo l’inizio del progetto Mariotti?
Dove è finita la documentazione di questo progetto?
Che fine hanno fatto i distretti sanitari messi in vendita?
Cosa avrebbero chiesto i privati in cambio dei finanziamenti dati per il nuovo ospedale?
Perché l’area scelta tra le altre candidate, era l’unica a non essere considerata un sito particolarmente inquinato?
Come verrebbe attuata l’assistenza presupposta dal modello ad “intensità di cure” se non vi è una rete assistenziale di servizi sociosanitari territoriali, nè alcuna assistenza domiciliare adeguata?
Perché la Regione richiede al Comune i soldi dati se sarebbero comunque impiegati per il miglioramento della sanità?
Ci sono progetti per migliorare le strutture sanitarie attuali?
L’ASL, è bene ricordarlo, è prima di tutto un’azienda con una propria soggettività giuridica e un’autonomia di carattere imprenditoriale e come tale mira al profitto. Nascoste le vecchie carte e i vecchi progetti, l’azienda si è lanciata nel progetto del nuovo ospedale coprendosi con una clausola di recessione che le assicurava che nessuno dei concorrenti potesse avanzare pretesa alcuna nel caso in cui fosse stata sospesa o annullata la procedura. Per coprire un’insostenibile riorganizzazione dell’assistenza ospedaliera, l’ASL ha giustificato la delocalizzazione del nuovo ospedale, parlando di umanizzazione, urbanità, socialità, organizzazione, interattività e tanti altri bei termini che si prestano bene come decorativi di un’opera che ha fini ben diversi da quelli del miglioramento della sanità.
In realtà l’ASL con il progetto del nuovo ospedale ha espresso la volontà di limitare la sanità pubblica per dare spazio al privato, procacciando società per azioni che gestiscono a breve e lungo termine larga parte della costruzione e di quello che vi orbita intorno. Inoltre, il modello ad “intensità di cure” che viene proposto, non ha bisogno di strutture fisiche indispensabili, come è stato fatto credere e, senza i presupposti necessari alla sua applicazione, rischia di dequalificare l’assistenza sanitaria. I distretti e centri sanitari, svenduti per finanziare la grande opera, sono pochi e sovraccaricati, incapaci di sopperire al bisogno di assistenza territoriale, così come non vi è un adeguamento delle strade per i disabili e non esistono finanziamenti per l’assistenza domiciliare.
La fase di realizzazione poi, prevista in soli due anni e successivamente dilungata a sei, non è affatto plausibile, considerati i ritardi già avvenuti per precedenti strutture di minor complessità come il nuovo distretto sanitario di Salviano e l’acquario.
Il ritiro dei finanziamenti da parte della Regione, rende evidente che quei soldi, per altro solo il 5% della spesa complessiva, non sono stati dati per migliorare la sanità a Livorno ma per riattivare un settore specifico, quello edilizio, tramite la distribuzione di appalti. In questo contesto, non è importante cosa e perché si costruisca, ma che si faccia e dopo si cerchino i modi per giustificare ciò che è stato costruito. La cementificazione portata dalla costruzione di un nuovo ospedale, così come da altri grandi opere immotivate ha inoltre costi ambientali molto pesanti che non vengono menzionati. La partecipazione pubblica sbandierata da qualsiasi parte politica in carica, risulta ipotetica e irreale, soprattutto quando si tratta di tenere informata la popolazione sulle scelte politiche che potrebbero avere un impatto negativo sull’ambiente e sugli “incidenti” che continuano a succedere.
Un esempio è quello dei bidoni tossici del cargo “Venezia” avvenuto 17 dicembre 2011 al largo della Gorgona, che ha portato in mare circa 34 tonnellate di monossido di cobalto e molibedeno. L’incidente è stato reso noto ben dodici giorni dopo l’accaduto e i controlli dell’ARPAT sui bidoni rimasti sono avvenuti con un enorme ritardo.
Inutile riferirsi al miglioramento della sanità senza parlare di prevenzione se, come si è stato ammesso anche per la scelta del sito del nuovo ospedale, Livorno è una zona industrializzata con sorgenti inquinanti diffuse: l’inceneritore RSU, la raffineria ENI, il rigassificatore OLT, il Porto, la discarica Scapigliati, lo stabilimento della Solvay, ed il vento non elimina gli inquinanti ma li trasporta, anche dove non ci sono sorgenti di emissione vicine.
Come hanno evidenziato tutti i comitati che si sono opposti al progetto dell’ospedale di Montenero, la sanità ha bisogno di un miglioramento reale: si devono prevenire le malattie in una città come Livorno dove diversi studi epidemiologici hanno evidenziando un eccesso di mortalità per tutte le cause di morte e per cause specifiche legate all’esposizione agli inquinanti, fare controlli sulla salubrità dell’ambiente lavorativo, si devono ridurre le liste d’attesa, adeguare le attrezzature, rendere possibile un’assistenza domiciliare e operativi i distretti territoriali, ristrutturare l’attuale ospedale e ampliarlo nell’area dell’ex Pirelli per fornire una risposta al problema dell’invecchiamento della popolazione.
Per fare tutto quello di cui c’è bisogno non è possibile affidarsi a questa o quell’altra amministrazione politica, che come hanno dimostrato, seguono solo le logiche del profitto e del consenso.
La questione dell’ospedale è emblematica per molte questioni attuali che vengono proposte come opere moderne per standard moderni, ma sono nate per precisi interessi economici. Per queste opere si parla di milioni di euro e quando ci viene detto che i soldi non ci sono è perché qualcuno se li sta mettendo in tasca propria.
Ne sono un esempio le trivellazioni in Basilicata e in Sicilia per il petrolio, che inquinano le acque, l’aria, il terreno e di conseguenza le coltivazioni e il bestiame. l’Ilva in Puglia continua a mietere morti di cancro e continuerà a farlo anche dopo l’applicazione degli interventi ad hoc stipulati con il “Contratto Istituzionale di Sviluppo Taranto”. Il rigassificatore ormeggiato al largo della costa livornese porta ad una maggior emissione di CO2 e NO2 e il raffreddamento dell’acqua di mare con conseguente modifica dall’habitat marino. Ci sono poi i rifiuti speciali, quelli che finiscono nella terra dei fuochi e non si sa bene dove, come e se vengano smaltiti. Ricordiamo infine la TAV in Val Susa, non voluta dalla popolazione locale per i suoi dannosi effetti sul territorio, dovuti ai dissesti idrici e alla
probabile diffusione di polveri di amianto e uranio durante gli scavi, ma propagandata per pregi economici che dovrebbe ipoteticamente portare. Popolazioni e comitati si battono da vent’anni contro questo progetto, sostenuti da vasti settori politici e sociali, osteggiati dal potere politico, economico e giudiziario, che non esitano a reprimere e condannare chi contrasta lo scempio del territorio. A questa lotta come a tutte le altre che si oppongono alla devastazione ambientale e alla speculazione infrastrutturale, va tutta la nostra solidarietà.
NO EXPO
appello alla mobilitazione
Il Primo Maggio, giornata di lotta e di festa della classe lavoratrice, sarà in questo 2015, la giornata inaugurale della massima espressione del paradigma capitalistico del XXI secolo: la fiera espositiva Expo prende il via. Expo non è una semplice fiera, un’esposizione delimitata nel tempo e nello spazio. Expo 2015 travalica qualsiasi funzione storica, ha natura invasiva e si erige a modello, a paradigma di un sistema sociale caratterizzato da un progressivo e inarrestabile processo di privatizzazione. Privatizzazione che parte dalle speculazioni sui terreni su cui si erigono i padiglioni della fiera internazionale, si estende in modo tentacolare a vaste zone della metropoli riproducendo
meccanismi di espropriazione a discapito di settori sempre maggiori di popolazione proletaria soggetta a violenti sgomberi coatti.Expo è massima espressione di cosiddetta “grande opera”, ovvero drenaggio di soldi pubblici a solo vantaggio di soggetti privati gestori di una devastante e inutile rete veicolare e di viabilità all’insegna di cemento e catrame. La rete stradale e autostradale lombarda modificherà in modo irrimediabile il paesaggio extraurbano della regione.
Il sistema capitalistico, nella sua mortifera corsa devastatrice, ha però anche bisogno di ripulirsi l’immagine – non certo la coscienza di cui è privo – ed è per questo motivo che Expo e la stragrande maggioranza di Paesi e aziende multinazionali presenti, per questa edizione giocano la carta dell’alimentazione con toni e slogan propagandistici relativi alla volontà e capacità di nutrire l’intero pianeta.
Ne scaturisce la volontà di rappresentare un mondo pacificato all’interno del quale, nel rispetto delle gerarchie strutturali, possano convivere modalità di produzione e consumo spacciate un tempo come alternative le une alle altre, ma in realtà solo concorrenti nello stesso mercato capitalistico. Vi è quindi la possibilità di vedere multinazionali come Monsanto – maggiore responsabile di produzioni alimentari ogm – con aziende fautrici del cosiddetto mercato biologico.
Mc Donald’s e Nestlé a braccetto con Slow Food.
In questa sorta di villaggio globale i vari conflitti e contraddizioni devono essere banditi e in primis quella relativa a capitale e lavoro. I processi realizzativi e di gestione dell’evento nei suoi sei mesi devono essere laboratorio di sperimentazione legislativa e giuridica di forme di lavoro schiavizzanti. Con accordi padronali, istituzionali e sindacali si sancisce la volontà di rendere completamente asservita a
logiche di mercato – con i suoi tempi e spazi – la figura del singolo lavoratore. Lavoratore che non è più, nella sua forma contrattuale, anche soggetto collettivo ma bensì soggetto atomizzato, separato, in rapporto individuale asimmetrico con il proprio datore di lavoro, nella fattispecie, rappresentato da una agenzia di caporalato interinale incaricata di effettuare selezioni in cui, primo requisito richiesto è la propria capacità di resilienza ovvero l’adattamento alle mutevoli condizioni richieste. Il lavoro quindi non è più considerato nella sua dimensione di scambio di vendita di prestazione d’opera in cambio di
adeguato salario: con la scusa di opportunità formative attraverso collaborazioni volontarie, di stages, ecc. si torna a forme di schiavitù, il lavoro senza salario.Un esercito di forza lavoro gratuito quindi anche richiesto e ottenuto
dal mondo della formazione scolastica ed universitaria.
Questi, molto brevemente ed in sintesi, solo alcuni dei motivi per cui ribadiamo il nostro rifiuto e contrarietà allo svolgimento di Expo 2015. Un rifiuto e contrarietà che non si dovrà esaurire nel contrasto alle giornate inaugurali, ma che sia capace di disegnare un percorso altro rispetto ai diktat socio economici del sistema.
Partire da queste giornate di maggio con la propensione ad
interconnettere, a saldare tra loro, i vari scenari di conflitto
sociale: la lotta intransigente contro la devastazione ambientale con quella della salvaguardia del diritto ad un lavoro e ad un reddito degno. La volontà di anteporre una modalità di formazione dei saperi libera e critica a quella asservita alla logica d’impresa così come oggi si delinea nel mondo della scuola e dell’università, con la volontà di
ridisegnare modelli di relazione sociale alternativi a quelli imposti da culture religiose, patriarcali, gerarchiche e autoritarie.
Le anarchiche e gli anarchici della FAI invitano pertanto le realtà federate a dare la massima diffusione alle iniziative di opposizione all’Expo 2015, sia nelle e iniziative locali del Primo Maggio che in occasione dei vari appuntamenti previsti a Milano: corteo studentesco nazionale del 30 aprile; giornata di lotta internazionalista del 1 maggio con un corteo pomeridiano comunicativo in centro, attraverso i simboli esemplificativi della natura predatrice e sfruttatrice di Expo;
nei due giorni successivi azioni dirette di blocco e contrasto
all’apertura ufficiale della kermesse; proposte di mobilitazione nei mesi successivi decise in modo assembleare.
Il convegno nazionale della Federazione Anarchica Italiana – Milano 22 marzo 2015
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Piazza Damiano Chiesa
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Piazza Grande (angolo Bar Sole),
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l’edicola Dharma Viale di Antignano
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la Libreria Belforte in Via Roma 69,
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il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati
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la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20)
Opuscolo a cura del Collettivo Anarchico Libertario e della Federazione Anarchica Livornese – Aprile 2015
f.i.p. Via degli Asili 33 Livorno