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Ventiquattresimo anniversario della strage del Moby Prince, la lotta continua

questo articolo sarà pubblicato sul prossimo numer del settimanale anarchico Umanità Nova

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Ventiquattresimo anniversario della strage del Moby Prince, la lotta continua

Venerdì 10 aprile è stato il ventiquattresimo anniversario della più grande strage sul lavoro dal dopoguerra. La strage del Moby Prince. Proprio alla vigilia dell’anniversario l’ottava commissione del Senato, quella che si occupa dei lavori pubblici, e quindi anche dei trasporti, ha approvato all’unanimità la proposta di commissione d’inchiesta che sarà ora sottoposta al voto del Senato.
La commissione d’inchiesta, se sarà istituita, avrà due anni di tempo per indagare sui tempi di sopravvivenza a bordo, sulla dinamica di collisione con la petroliera Agip Abruzzo, sui problemi della sicurezza a bordo e sul ritardo nei soccorsi.
Se da una parte vi è la speranza che questa commissione, se costituita, possa contribuire al riconoscimento di una verità ufficiale, dall’altra vi è la consapevolezza che le istituzioni politiche e giudiziarie dello Stato hanno finora coperto e protetto i veri responsabili.
La verità che è stata finora negata nelle aule di tribunale e nei grandi palazzi della politica, è invece ben nota ai familiari delle vittime e a tutti coloro che li sostengono. La verità è viva nella lotta dei familiari delle vittime della strage del Moby Prince, così come in quella dei familiari delle vittime della strage di Viareggio e di tutte le stragi, così come nelle lotte per la sicurezza sul lavoro e la salute della popolazione, contro le stragi sul lavoro e le nocività.
È per questo che venerdì 10 aprile, molti livornesi sono scesi in piazza al fianco dei familiari delle vittime, dando vita ad un corteo molto più numeroso rispetto a quelli degli anni passati. Da notare un particolare vergognoso: durante il passaggio del corteo davanti al Comune, al Duomo e all’arrivo all’Andana degli anelli in Porto, i militari della Folgore che da un mese occupano le strade del centro per la cosiddetta operazione “strade sicure” si sono messi in mostra a lato della strada, impugnando le loro armi da guerra, per poi rientrare nei propri mezzi dopo il passaggio del corteo.
Alla commemorazione ufficiale, che vede ogni anno, prima del corteo, il saluto delle autorità cittadine ai familiari delle vittime nella sala consiliare del Comune di Livorno, erano presenti anche un pugno di parlamentari, a fianco del Prefetto, del Questore e dei vertici militari. Di fronte ad essi, e a decine di altre persone, sono intervenuti i familiari delle vittime della strage del Moby Prince e di Viareggio, ma anche il ferroviere Riccardo Antonini, che è stato licenziato dalle Ferrovie a causa del suo impegno per la sicurezza sul lavoro, a fianco dei familiari di Viareggio.
Tutti gli interventi hanno messo in evidenza le responsabilità delle autorità politiche e giudiziarie, ma alcuni interventi hanno di fatto messo alla sbarra i parlamentari e le autorità presenti.
Riportiamo di seguito l’intervento nella sala consiliare del Comune tenuto da Giacomo Sini, figlio di una delle vittime e compagno del Collettivo Anarchico Libertario di Livorno.

“Sono passati ventiquattro anni da quella terribile notte nella quale centoquaranta persone vennero assassinate nel rogo del traghetto “Moby prince”. Assassinate è il termine migliore che può essere utilizzato per descrivere le dinamiche che hanno caratterizzato la morte dei nostri familiari.
Un traghetto, il Moby Prince, che nella notte del 10 Aprile del 1991, su ordine dell’armatore della Navarma, Onorato, viaggiava con l’impianto splinter spento, con un solo radar funzionante dei tre presenti a bordo e con un’apparecchiatura radio che presentava notevoli problematiche legate a frequenti cali di frequenza; a causa di quest’ultimo difetto, il traghetto non riuscì ad inviare alla capitaneria di porto un may day chiaro, nei tragici momenti della collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Secondo il RINA (Registro Italiano Navale ed Aeronautico), ente predisposto a valutare la sicurezza delle navi ed approvarne l’autorizzazione alla navigazione, il traghetto non presentava problematiche tali da impedirne la partenza. Il tutto nell’ottica del risparmio in materia di sicurezza, per permettere comunque alla Navarma di effettuare la tratta Livorno-Olbia, senza l’onere delle spese sulla manutenzione del traghetto.
Una realtà sconcertante che ha visto, con il passare degli anni, alzarsi in gran coro comune una serie di dichiarazioni da parte di organi istituzionali che hanno affermato la necessità di dover far emergere la verità sulla vicenda. Successivamente è stata promessa, come nelle migliori delle propagande, una maggiore attenzione agli investimenti sulla sicurezza nel mondo del lavoro, in modo che tali vicende non potessero più ripetersi. Ed ecco che negli ultimi anni si è prospettata una realtà ben diversa dalle rappresentazioni di un miglioramento della sicurezza nei luoghi di lavoro millantate dai governi che si sono susseguiti; le condizioni sono piuttosto peggiorate e le tragedie consumate dall’arroganza del profitto hanno caratterizzato la storia degli ultimi anni. Anni nei quali si è costantemente parlato di una salvaguardia esclusiva degli interessi dell’imprenditoria italiana e nella fattispecie di grandi padroni d’azienda, erogando incentivi e finanziamenti agevolati ad imprese produttive, nei quali difficilmente si fa riferimento alla parola sicurezza. Il tutto a discapito di milioni di lavoratori che vedono diminuirsi sensibilmente una serie di garanzie sul posto di lavoro. Non scordiamoci mai che la tragedia del Moby prince è stata la più grande strage sul lavoro dell’Italia post guerra.
A tal proposito credo sia doveroso ricordare l’ennesimo morto sul lavoro, assassinato da tali logiche proprio in questa città, Priscillano Inoc. Un morto sul lavoro che si verifica ancora una volta nel comparto portuale livornese. In un contesto nel quale si parla di allargamento del porto e progetti di megadarsene che favoriscono i già abbondanti introiti dei medesimi padroni, passano difatti in secondo piano i ritardi pesanti nel rinnovo del protocollo di sicurezza del lavoro portuale. Credo sia vergognoso discutere di tali progetti dinnanzi ad una situazione di già persistente condizione di schiavitù con orari di lavoro indecenti e situazioni, da tempo denunciate dai lavoratori stessi, di ingente insicurezza, fondamenta ben visibili per degli omicidi come quello di Priscillano e per stragi come quella della Moby Prince. In questi passaggi mi chiedo nuovamente Come fosse possibile che ad un un traghetto che svolgeva la tratta Livorno-Olbia venisse realmente permesso di viaggiare con tutte quelle carenze in materia di sicurezza della navigazione. La risposta viene da sé, guardando al numero di introiti che la Navarma è riuscita a riscuotere negli anni successivi alla tragedia sino ad oggi, continuando a navigare in simili condizioni, riscuotendo inoltre un buon numero d’incidenti. Fatalità, come venne ricordato dal ministro della marina al tempo della vicenda? Disattenzioni generali, come venne ribadito dal contesto mediatico nazionale? A voi le risposte reali, a loro il potere di schiacciarle con metodi di sopraffazione. Metodi che non hanno mai vinto grazie ai forti legami di solidarietà nati con gli anni che hanno permesso a quelle risposte di emergere con forza e presentare la realtà dei fatti, divenendo verità; 3 colpevoli: Onorato, l’armatore della Navarma Lines per le carenze del traghetto. Sergio Albanese, comandante della capitaneria di porto di Livorno che nella notte del 10 Aprile rimase in silenzio radio per ore senza coordinare i soccorsi, allontanando chi si era permesso di tentare di salvare delle vite Superina, comandante dell’Agip Abruzzo che ha fatto di tutto per concentrare i soccorsi verso la sua nave, riuscendo ad affermare che chi lo aveva speronato fosse una bettolina.
Arriviamo poi negli ultimi mesi del 2014, all’ennesima notizia di una tragedia consumata nei mari: il rogo del traghetto della Norman Atlantic che ha provocato nel giro di poche ore la morte accertata di 13 persone. Ancora una volta emergono dei fatti che non lasciano alcun dubbio sulle responsabilità dell’armatore del traghetto della Anek e la connivenza con il RINA in materia di concessioni alla navigabilità. Lo stesso RINA torna ad essere per l’ennesima volta un protagonista negativo della vicenda, dato il ruolo cruciale nell’affidare voti sufficienti durante le ispezioni precedenti alla partenza del traghetto, consentendone l’operatività. Inoltre, ad oggi, ispettori del registro navale hanno compiuto nei mesi scorsi numerosi sopralluoghi all’interno del traghetto, procedendo al suo trasferimento dal porto di Brindisi a quello di Bari, dove risiede la procura competente sul fatto. Un caso? Certamente la questione è passata inosservata grazie a motivazioni burocratiche. Personalmente lo ritengo un atto grave che può sovraintendere l’ennesimo tentativo di intromissione, per la copertura di certe responsabilità dello stesso RINA. Il traghetto della Norman Atlantic aveva dei malfunzionamenti: le porte taglia fuoco non erano conformi per i protocolli d’intesa internazionali ed i sistemi d’emergenza (luci e batterie)erano spariti. In questi passaggi rivedo tutte le medesime dinamiche che hanno accompagnato la storia della strage del Moby Prince e continuo a chiedermi come sia possibile che esse continuino imperterrite ad accadere in un imbarazzante silenzio-sdegno che viene fortunatamente tagliato dalla rabbia di chi subisce le conseguenze di tali dinamiche. Dinamiche possibili purtroppo, mi rispondo, quando capisco che chi, osservando che i colpevoli della più grande tragedia della marineria italiana sono rimasti ad oggi impuniti, può permettersi di agire con le stesse prerogative. Non è propaganda affermare che la giustizia ufficiale difenda gli interessi di chi uccide. Inoltre, nella vicenda della Norman Atlantic, come spesso purtroppo accade nelle tratte di mare che collegano i porti del mediterraneo e dell’Adriatico, è emersa la notizia della presenza di un buon numero di clandestini che si trovavano all’interno di alcuni TIR nelle aree garage. Ecco che nel valzer delle dichiarazioni inerenti le cause dell’incendio, si è tentato attraverso canali mediatici importanti e vari apparati istituzionali, di concentrare l’attenzione sulla vicenda dei migranti presenti a bordo, finendo per addossare le cause dell’incendio all’accensione di un fuoco da parte di questi ultimi per difendersi dal freddo nel reparto garage. Stessa dinamica nel 1991, quando si tentò da subito di scagionare le responsabilità dell’armatore della Moby Prince, addossando vigliaccamente tutte le colpe alla disattenzione dell’equipaggio intento a guardare una partita di calcio. Si è attuato nuovamente quel tentativo di marginalizzare la problematica delle politiche di deregolamentazione sulla sicurezza della navigazione, attaccando in quest’ultimo caso la fascia di soggetti più deboli e ben strumentalizzabili, i migranti.
E’ bene ricordarsi che a causa di politiche d’ingresso in Europa altamente discriminatorie, che vedono nell’uomo una merce utile solo in materia di fabbisogno di manodopera per diverse aziende, più di 23 mila migranti sono morti davanti agli occhi di chi oggi continua imperterrito a riempirsi la bocca della necessità di operare più attenzione al mondo della sicurezza della navigazione. Quegli attori che, grazie al continuo attacco ai diritti dei lavoratori ed ai conseguenti tagli in materia di sicurezza, salvaguardano il profitto di chi continua ad uccidere con il beneplacito della giustizia italiana. Depistaggi, insabbiamenti, minacce, ricatti, manomissione delle prove, menzogne. In questi 24 anni chi voleva che non si facesse luce sulla strage del Moby Prince ha provato in ogni modo ad ostacolare chi ancora oggi continua a portare avanti la battaglia per la verità e la giustizia. Sono metodi ben noti, gli stessi usati per coprire le responsabilità delle stragi di stato e delle bombe fasciste. Sono gli stessi metodi usati per coprire le responsabilità di industriali, speculatori e politici che per fare affari avvelenano ed uccidono la popolazione.
Ecco quindi che mi preme ricordare ancora una volta la convinzione che siano le mobilitazioni di base e le battaglie comuni a difesa di una differente idea di giustizia a portare ad una vittoria contro gli abusi e la sopraffazione. Una lotta che ogni anno viene rilanciata nelle parole d’ordine di verità e giustizia sulla strage del Moby Prince, perché non si tratta solo di dare una risposta a noi, familiari delle vittime, o di far luce su una vicenda oscura, ma la battaglia assume un significato più grande, che coinvolge tutti e che possa contribuire ad arrivare un giorno a poter dire che nessuno dovrà più subire il dolore che noi continuiamo a vivere.”

Dario Antonelli

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