Dall’opuscolo: LA GUERRA DEL GOVERNO CONTRO GLI SFRUTTATI
3. Blocco contratti del pubblico impiego: derubare i lavoratori per ingrassare i capitalisti
Nella lettera che la BCE scrisse, con firma congiunta Trichet e Draghi, al governo italiano nell’agosto 2011 indicando le misure che dovevano essere prese per risanare il bilancio statale si leggeva fra l’altro:
E’ possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012. Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi.
Il governo Berlusconi aveva in realtà già provveduto a bloccare i contratti degli impiegati pubblici fin dall’anno prima, riducendo di fatto gli stipendi agli statali. Stipendi che di fatto erano già fermi visto che ormai da almeno 10 anni il rinnovo contrattuale nel pubblico impiego si limitava a reintegrare solo l’inflazione programmata dal governo (e quindi neppure quella reale, sempre superiore) e quindi non comportava di fatto aumenti reali. Il blocco deciso da Berlusconi verrà poi confermata sia dal governo Monti, il “sobrio” tecnico inviatoci dai poteri forti della finanza europea, che da quello Letta, un altro politico molto ben visto in tali ambienti, che da quello Renzi, lo scendiletto di Francoforte e Bruxelles.
Seguendo le indicazioni della BCE (si scrive indicazioni si legge diktat), il governo Monti operò un blocco degli aumenti delle pensioni superiori ai 1500 euro lordi, in pratica operando lo stesso meccanismo già sperimentato sui contratti pubblici.
Dopo le sentenze della Corte Costituzionale che ha sancito l’incostituzionalità sia del blocco delle pensioni che di quello dei contratti statali, sappiamo che buona parte del “risanamento” operato dai vari governi succedutesi negli ultimi anni è stato fatto sulla pelle di queste due categorie: 50 miliardi di euro che il governo ha risparmiato e che vanno aggiunti ai tagli sulla sanità, sulla scuola, sui servizi sociali. Segni indelebili sulla società italiana a cui vanno sommati la disoccupazione giovanile di massa, la precarizzazione dei rapporti di lavoro, i licenziamenti, ecc. al fine di realizzare quella contrazione della domanda interna (per diminuire le importazioni e favorire le esportazioni, panacea di tutti i mali, secondo le sanguisughe della finanza mondiale).
E’ evidente come i governi violino ormai abitualmente le leggi dello Stato: la Corte costituzionale ha evidenziato la illegittimità dei provvedimenti sul contratto degli statali e sul blocco delle pensioni, ma è recente la decisione di far riaprire con un decreto legge governativo gli stabilimenti di Monfalcone e Taranto, bloccati da provvedimenti della magistratura dopo gravi inadempienze delle Società Fincantieri e Ilva. Il tutto con la scusa di salvaguardare i posti di lavoro!
Per tornare ai dipendenti pubblici è stato calcolato che il blocco dei contratti sia costato, in media, circa il 10% dei loro salari per un totale di circa 35 miliardi di euro in cinque anni, mentre negli ultimi anni si sono persi 221mila posti di lavoro nel pubblico impiego. Soldi che lo stato ha risparmiato e che sono serviti a ripagare il debito verso gli speculatori internazionali, a finanziare le spese e le avventure militari all’estero, a salvare le banche. E’ notizia di questi giorni che lo Stato italiano è divenuto il secondo socio per importanza del Monte dei Paschi di Siena grazie ad un prestito, mai restituito, di circa 5 miliardi di euro.
Insomma: un enorme travaso di soldi dalle tasche dei lavoratori, dei pensionati, dei precari a quelle dei capitalisti.