Dall’opuscolo: LA GUERRA DEL GOVERNO CONTRO GLI SFRUTTATI
1. Chiarezza e organizzazione per battere il governo della guerra
Quanti sono stati gli astenuti alle ultime elezioni regionali? In due regioni, la Toscana e le Marche, il numero degli astenuti supera quello dei votanti, e questo senza tener conto delle schede bianche e nulle; inoltre secondo i dati del Ministero degli Interni la media dei votanti, nelle regioni interessate al voto, è stata del 53,90%. Il numero degli astenuti è di 8 milioni e 748 mila. Non si tratta di otto milioni di rivoluzionari, si tratta di otto milioni di persone che hanno perso fiducia nel sistema democratico, che non si sentono rappresentati dal ceto politico.
Da tempo governi, organizzazioni sovranazionali e agenzie private cercano di gestire quella che chiamano “crisi di legittimità”. Una crisi di fiducia e di consenso nel sistema politico che attanaglia le grandi potenze imperialiste. Questa crisi è aggravata dalla crisi economica e dalle politiche di austerità con cui le classi privilegiate cercano di scaricare i costi sui ceti popolari e sugli sfruttati. Prima dell’introduzione dell’euro, la Commissione Europea e i governi ad essa collegati studiarono attentamente le conseguenze economiche delle politiche restrittive sui bilanci, e delle conseguenze disastrose, di cui erano perfettamente consapevoli, sull’occupazione e sui redditi dei ceti più bassi. Erano anche consapevoli delle potenziali conseguenze in termini di ordine pubblico di quelle politiche. La crisi di fiducia costituisce un rischio sistemico, ed emerge quando appare evidente che le protezioni politiche e legali date dal governo agli attori economici, e in particolare ai membri dell’elite economica, vengono usate per arricchirsi, anzi che questa è la funzione della struttura politico-legale, e l’elite politica non intraprende nessuna azione per proteggere le vere vittime della crisi.
Secondo le agenzie private di analisi politica che lavorano per i governi, le moderne nazioni possono essere rappresentate come composte di tre sistemi fondamentali, quello politico, quello economico e quello militare. Ciascuno di questi sistemi è gestito da elites; i tre sistemi intergiscono fra di loro, così che quando uno è in difficoltà, attraversa una crisi, gli altri compensano le difficoltà del primo. Quando la crisi economica mette in difficoltà l’elite finanziaria, e l’azione del governo volta a sostenerla genera un rischio sistemico, spetta all’apparato militare e alla sua elite farsi carico della salvezza del sistema.
Questo genere di analisi, rivolta all’attenzione di governi e organizzazioni sovranazionali, teorizza e giustifica l’uscita dell’azione governativa dall’ambito della legittimità democratica e il ricorso a mezzi autoritari per l’imposizione di politiche fortemente antipopolari.
E’ ciò che sta esplodendo in Grecia, ma sono fenomeni che in questi anni tutti i paesi dell’Europa stanno vedendo; è l’Europa il centro del rischio sistemico, a livello di stati nazionali, a livello di Eurozona, e a livello di Unione Europea.
La cosiddetta “crisi di legittimità” quindi, prima di portare ad uno sbocco rivoluzionario, porta alla crescente militarizzazione della società. Assumono allora un significato diverso sia l’amplificazione della minaccia terrorista, sia il crescente schieramento delle forze armate nelle nostre città. I governi esasperano il conflitto sociale e inaspriscono la repressione, in modo da mettere in condizione di non nuocere gli elementi più combattivi, prima che si sviluppi una maggiore presa di coscienza rivoluzionaria, una maggiore organizzazione tra gli sfruttati, la pratica di obiettivi di trasformazione sociale.
Il crescere del malcontento sociale, il crescere dell’astensionismo, prima di portare ad un augurabile sbocco rivoluzionario, porta alla crescita della tensione sociale, dell’aggressività delle classi privilegiate e del Governo. Così si spiegano i continui atteggiamenti provocatori delle istituzioni, l’atteggiamento irridente verso le rivendicazioni popolari, l’esibizione dell’autorità fino alla prepotenza più brutale, l’aperta rapina a danno dei lavoratori e dei pensionati, a vantaggio degli speculatori e dei banchieri, il dispregio per le stesse sentenze della magistratura, quando eccezionalmente si rivolgono contro i potenti.
Un governo che si comporta in questo modo punta a provocare la risposta popolare, sicuro della fedeltà dei propri sgherri, prima che il popolo si organizzi e si dia obiettivi concreti; è un governo che vede nell’uso della violenza l’unica ancora di salvezza, un uso della violenza che non ha intenzione di arretrare nemmeno di fronte alla guerra civile.
Gli anarchici sono contro la guerra, sono contro la violenza, ma di fronte alle provocazioni delle istituzioni saranno al loro posto.
Gli attivisti, le minoranze coscienti, gli organismi di base e i movimenti di massa possono vincere la lotta contro l’autoritarismo del governo, contro il peggioramento delle condizioni dei ceti popolari se, anziché rivolgersi al ceto politico e alle sue componenti critiche, si rivolgono alla maggioranza che non ha più fiducia, per orientarla ed organizzarla. Si tratta di un lavoro di organizzazione e di crescita che deve essere condotto nelle lotte particolari che portiamo avanti, ma che non si esaurisce in queste lotte.