Il militarismo italiano nei Balcani
Intervento della FAI alla Balkan Anarchist Bookfair
Fin dalla sua formazione lo stato italiano ha sviluppato il proprio militarismo e ha avuto il proprio ruolo nel confronto imperialista e colonialista tra le potenze. Lo stato italiano ha sempre giocato il ruolo del brutto anatroccolo, la piccola e giovane nazione esclusa dalla tavola rotonda delle grandi potenze, a cui spettano solo le briciole della torta che le nazioni europee più ricche si stanno dividendo.
Nonostante questo discorso vittimistico, lo stato italiano ha costruito le proprie fondamenta con la guerra, il militarismo, l’imperialismo. Infatti, ancor prima della costituzione del Regno d’Italia nel 1861, quando la penisola italiana e le isole erano ancora divise in diversi stati e regni, il Regno di Sardegna partecipò alla Guerra di Crimea (1853-1856) al fianco di Regno Unito, Francia e Impero Ottomano contro la Russia. La partecipazione a uno dei principali conflitti che all’epoca si svolgevano nel contesto della crisi dell’Impero Ottomano, diede alla dinastia dei Savoia che regnava sul Regno di Sardegna la legittimazione internazionale per unificare l’Italia e guidare il nuovo Stato nazionale italiano.
Un misto di vittimismo e vendetta, insieme al mito della potenza dell’Impero romano, sono tra i principali motivi dell’ideologia imperialista dello stato in Italia.
In oltre 150 anni di storia lo stato italiano ha condotto guerre di aggressione e spedizioni militari principalmente verso: Europa orientale; Corno d’Africa e Nord Africa; Balcani e Mediterraneo orientale.
È una storia di aggressione e occupazione militare, che soprattutto nei Balcani è stata orientata da una violenta politica razzista e nazionalista di italianizzazione. In questa regione il militarismo e l’imperialismo italiano hanno giocato un ruolo molto pesante. La rivendicazione della Dalmazia come territorio italiano e la violenza antislava fin dal XIX secolo, l’occupazione militare dell’isola di Rodi e del Dodecaneso dopo la Prima guerra mondiale, il tentativo di colonizzazione dell’Albania nel 1920 e l’invasione portata avanti dal regime fascista, nonché l’aggressione alla Grecia durante la Seconda guerra mondiale. Questi sono solo alcuni degli esempi di come il militarismo italiano sia stato storicamente orientato verso i Balcani.
Tuttavia è anche una storia di rivolta, solidarietà, insubordinazione. Basti pensare ai disertori e agli ammutinati della Prima Guerra Mondiale, o all’insurrezione di Ancona del 1920, quando i soldati di un reggimento dell’esercito si rifiutarono di imbarcarsi per Valona, in Albania, e presero il controllo della città di Ancona insieme ai lavoratori. In quel movimento il ruolo degli anarchici, insieme alle altre due correnti rivoluzionarie, quella socialista e quella repubblicana, fu fondamentale. Quella rivolta fu uno dei principali tentativi insurrezionali del periodo rivoluzionario del 1919-1920 in Italia. Nella Seconda guerra mondiale ricordiamo coloro che disertarono e si unirono alla resistenza in Italia per evitare di essere inviati al fronte in Albania o in Grecia, o coloro che, già schierati laggiù, decisero di unirsi ai gruppi partigiani locali.
Le aspirazioni del militarismo italiano nei Balcani sono crollate dopo la sconfitta militare del regime fascista nella Seconda guerra mondiale e il rovesciamento della dittatura in Italia con l’insurrezione di massa dell’aprile 1945. Nel contesto della guerra fredda l’esercito italiano è rimasto fuori dai Balcani per 45 anni. In quel periodo in Italia la regione al confine con la Jugoslavia è stata pesantemente militarizzata.
Qual è oggi l’influenza del militarismo italiano nei Balcani?
I militari italiani sono tornati nella regione negli anni ’90, intervenendo in diversi contesti.
La NATO ha avviato nel 1993 l’operazione “Deny Flight”, che prevedeva l’istituzione di una no-fly zone sulla Bosnia Erzegovina. I comandi principali dell’operazione furono stabiliti in Italia e anche l’Aeronautica Militare Italiana partecipò all’operazione. Nel 1995 la NATO bombarda la Republika Srpska con l’operazione “Deliberate Force”, i voli di bombardamento partirono dagli aeroporti italiani. Nel 1995 l’Esercito italiano partecipa all’operazione NATO “IFOR/SFOR” in Bosnia con un contingente di 2500 soldati.
In Albania, dopo una piccola missione militare logistica nel 1991, lo Stato italiano invia nel 1997 un contingente di oltre 2500 soldati nell’ambito dell’operazione multinazionale “Alba” il cui comandante è un ufficiale italiano. L’Italia ha inviato un altro contingente in Albania nel 1999.
Nel 1999 la missione NATO “Allied Force” contro la Serbia, culminata con il bombardamento di Belgrado, ha visto la partecipazione diretta dell’Aeronautica Militare Italiana.
Nel 1999 è iniziata anche l’operazione NATO “KFOR” in Kosovo. Lo stato italiano ha partecipato fin dall’inizio con un ruolo importante, partecipando con uno dei contingenti più grandi e guidando per molti anni l’operazione. I militari italiani hanno partecipato a molte altre operazioni militari nella regione. Ci siamo limitati a citare le principali.
Attualmente i Balcani sono una delle regioni in cui le Forze Armate italiane sono più presenti.
Nel 2023 quasi 2000 soldati italiani sono ancora presenti in diversi Paesi come Bosnia, Montenegro, Albania e Kosovo. Il contingente italiano in Kosovo è attualmente il più numeroso, con oltre 1500 uomini e quasi 400 veicoli e 2 aerei. Si consideri che l’operazione NATO “Joint Enterprise/KFOR” è composta da 4100 uomini. Ci sono preoccupazioni per l’aumento del contingente turco in Kosovo, che negli ultimi mesi ha raggiunto le 780 unità. Si prevede inoltre che la Turchia assumerà il comando della KFOR in autunno. Le preoccupazioni sono più che valide. Ma dobbiamo considerare anche chi è responsabile dell’attuale situazione in Kosovo, l’Italia ha avuto il comando quasi ininterrotto della KFOR per 10 anni dal 2013, guidando l’operazione anche negli anni 2000, e negli ultimi quattro anni la presenza militare italiana è più che raddoppiata (nel 2020 era di circa 630 uomini) in un più generale aumento del contingente NATO.
Il coinvolgimento militare italiano nella regione è cambiato dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa il 24 febbraio 2022. Sono iniziate nuove operazioni militari sotto lo scudo della NATO o dell’UE.
In Bulgaria è stato creato il Multinational Battle Group NATO – Bulgaria nell’ambito dell’operazione NATO “enhanced Vigilance Activity” che ha schierato 40000 truppe sul “fianco orientale della NATO”. Altri Battle Group presenti in Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania. Le Forze Armate italiane sono responsabili del comando del Battle Group in Bulgaria, dove hanno schierato 2100 uomini, 10 aerei e 450 veicoli.
Si può quindi affermare che i militari italiani sono oggi presenti nei Balcani con più di 4000 uomini, circa 850 veicoli e 12 aerei. Se consideriamo che nel 2023 lo stato italiano dispiegherà un numero massimo di 11499 uomini in operazioni militari fuori dai propri confini, vediamo che più di un terzo del totale è schierato nei Balcani. Più che in Africa e in Medio Oriente.
Il precipitare della guerra nell’Europa dell’Est non spiega la forte presenza delle Forze Armate italiane nei Balcani a partire dagli anni ’90, con un ruolo di primo piano anche in alcune operazioni della NATO. Ci sono interessi diretti della classe dirigente italiana in quella regione, e per l’ideologia dello Stato italiano i Balcani sono un’area di intervento “naturale”. In effetti lo Stato italiano ha sempre guardato all’Albania come al proprio giardino, e il capitalismo italiano ha forti interessi nel Paese. La quarta banca in Albania, “Intesa San Paolo Bank Albania”, è di proprietà della banca italiana “Intesa San Paolo”. In Albania passa il gasdotto transadriatico TAP che porta in Italia il gas naturale dall’Azerbaigian attraverso Georgia, Turchia e Grecia. In modo molto diverso, lo Stato italiano ha anche una considerazione speciale per la Bulgaria. Infatti, le élite bulgare hanno tradizionalmente rapporti stretti con quelle italiane e ci sono molti legami economici e finanziari. La seconda banca in Bulgaria, “Unicredit Bulbank”, è di proprietà della banca italiana “Unicredit”. Quando nel dicembre 2022 il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha incontrato il ministro della Difesa bulgaro Dimitar Stoyanov nella base aerea di Bezmer in Bulgaria secondo i media, hanno parlato di affari. Sofia acquisterà da Roma nuovi veicoli militari, radar, aerei F-16 e supporti di artiglieria. All’ordine del giorno c’era anche il progetto dell’ VIII Corridoio europeo. Questa infrastruttura ferroviaria e stradale per la cooperazione militare e industriale passerà dalla Bulgaria, alla Macedonia, all’Albania, collegando le coste del Mar Nero con quelle del Mar Adriatico. È considerata un’infrastruttura strategica che collega quella regione al Sud Italia, ma è anche una grande macchina per soldi per tutti coloro che sono coinvolti nella sua costruzione. Vediamo quindi che lo stato italiano continua a svolgere il ruolo di potenza militarista nei Balcani, perseguendo i propri interessi imperialisti nella regione.
Questo è solo un semplice contributo al dibattito. Speriamo di avervi dato qualche spunto sull’influenza del militarismo italiano nei Balcani. Per noi questo è il suggerimento più importante e originale che possiamo portare alla Fiera del Libro. Non si tratta solo di fare analisi, vorremmo condividere informazioni e prospettive per sviluppare punti comuni per lottare insieme e sviluppare reti di solidarietà internazionale.