Sono passati 34 anni dalla strage del traghetto Moby Prince in cui morirono 140 persone, tutti i passeggeri e l’equipaggio della nave, tranne un unico superstite. In questi lunghi anni i familiari delle vittime hanno condotto una determinata e dolorosa lotta per la verità e la giustizia, mai riconosciute dalle istituzioni che finora non hanno fatto altro che coprire le responsabilità di armatori e autorità. Una strage che spesso viene annoverata tra i cosiddetti misteri d’Italia ma la cui dinamica è, almeno in alcuni elementi fondamentali, terribilmente chiara. Alle 22:03 del 10 aprile 1991 partiva dal porto di Livorno il traghetto Moby Prince diretto ad Olbia in Sardegna. Non appena uscito dal porto, alle 22:25, il traghetto entrava in collisione con la petroliera Agip Abruzzo (proprietà SNAM, oggi ENI), che si trovava ancorata in posizione vietata, nel cono di uscita del porto, carica di prodotto incendiatosi in seguito allo scontro. Il rogo si propagava anche all’interno del traghetto, diffondendosi rapidamente. Le pessime condizioni di sicurezza in cui viaggiava il Moby Prince, che era di proprietà della Nav.Ar.Ma dell’armatore Onorato, e la non gestione dei soccorsi da parte della Capitaneria di Porto di Livorno – di fatto solo il mattino seguente i soccorritori salirono a bordo del traghetto, mentre l’equipaggio della petroliera fu portato in salvo tempestivamente – ebbero certo un ruolo determinante nel provocare quella che è ricordata come una delle più gravi stragi in mare e sul lavoro.
Come ogni anno, lo scorso 10 aprile si sono tenute a Livorno le principali iniziative per l’anniversario della strage. Molti i familiari presenti sia alla commemorazione nella sala consiliare del Comune di Livorno, sia alla manifestazione che ha attraversato il centro della città fino alla lapide in memoria delle vittime al porto. Il presidente della terza commissione parlamentare di inchiesta incaricata di individuare le cause del disastro, intervenuto nella sala consiliare ha annunciato – commuovendosi – che i lavori della commissione sarebbero prossimi a concludersi, che l’indagine sarebbe ormai “all’ultimo miglio”. Espressione ripresa da vari politici presenti, alcuni anche di rilievo nazionale, che sono stati presenti in modo particolarmente visibile quest’anno. Forse una presenza istituzionale che voleva bilanciare l’indignazione dei familiari di fronte alle parole del procuratore di Livorno Agnello, che poco più di un mese fa, ascoltato dalla commissione parlamentare ha – tra le altre cose – tirato in ballo la nebbia tra le cause del disastro. Una versione spesso usata in passato per coprire le varie responsabilità e far passare tutta la vicenda come una “tragica fatalità”. Certo se la commissione fosse davvero prossima alla conclusione dei lavori, e dovesse riconoscere ufficialmente anche solo alcune delle responsabilità eccellenti che da anni i familiari denunciano, sarebbe il risultato di anni di tenace lotta da parte dei familiari stessi assieme alle realtà che sempre sono state solidali con loro.
Questo è quanto ha sostenuto nel proprio intervento anche Giacomo Sini, figlio di una delle vittime e compagno della Federazione Anarchica Livornese. Riportiamo di seguito alcune parti del suo discorso tenuto il 10 aprile scorso nella sala consiliare:
«Si parla di ultimo miglio, siamo alla fine, ci sono state tre commissioni parlamentari d’inchiesta. Non una o due, addirittura tre, e la terza ancora sta lavorando. È vero che tutte hanno lavorato in maniera assidua ed anche bene, con spunti interessanti. Ma quegli spunti sono arrivati grazie solo al lavoro estenuante e doloroso che è stato fatto da noi parenti delle vittime. C’è l’esigenza di consegnare una verità storica. Ma cosa è la verità storica senza la giustizia? Niente. La verità storica l’abbiamo già fatta noi parenti delle vittime, con le nostre lotte e battaglie portate avanti negli ultimi 34 anni. La verità storica è venuta fuori dalle piazze, dai movimenti, dalla solidarietà che ci è arrivata anche da parenti di vittime di altre stragi, come Viareggio. La verità storica viene dall’aver puntato il dito – facendone i nomi – contro i reali colpevoli della vicenda. Però la verità storica è anche fatta da battaglie che sono state condotte in questa città. Una verità storica completa è quella che tiene di conto di queste battaglie. Battaglie portate avanti anche da persone che oggi purtroppo non possono più parlare perché sono passati 34 anni.
La verità storica consiste anche nel considerare la battaglia contro la compagnia armatrice, ed oggi qua in comune mi sorprende che ancora non sia stato fatto il suo nome, quello di un colpevole, quello della compagnia armatrice Nav.Ar.Ma. e dei suoi padroni. Noi in 34 anni lo abbiamo sempre ricordato ed abbiamo sempre puntato il dito contro essa.
Perché se noi abbiamo lanciato delle accuse negli anni non lo abbiamo fatto – come invece ha fatto la magistratura – verso chi su quel traghetto ci lavorava, che fosse l’equipaggio o chi conduceva la nave. Perché non è chi sale sopra ad un traghetto che commette errori. Quella notte non ci fu alcun errore da parte dell’equipaggio. Quando noi lanciamo accuse su alcune problematiche che c’erano a bordo del traghetto, lo facciamo contro chi quelle navi le mette in mare, quindi il padrone, l’armatore, e questo deve essere chiaro una volta per tutte. Quando parliamo di errori lo facciamo quindi in riferimento al “prima” ed alle condizioni di sicurezza dei traghetti Nav.Ar.Ma. Se quindi vogliamo una verità storica completa e reale dobbiamo parlare anche delle responsabilità dell’armatore e dei problemi che quel traghetto aveva. Ed allora esigo che questa terza commissione vada a rivedere ciò che si diceva anche nella prima commissione, le audizioni, ciò che i nostri avvocati di parte civile esponevano e che sono stati considerati nei lavori della prima commissione»
Si fa qui riferimento innanzitutto all’impianto antincendio sprinkler, che era spento, come segnalato anche dall’ingegnere La Malfa. Se fosse stato acceso, gli ambienti si sarebbero probabilmente raffreddati e qualcuno sarebbe probabilmente sopravvissuto, se fossero arrivati i soccorsi. C’è poi la questione dei cali di tensione alla radio VHF del Moby Prince che quindi non funzionava adeguatamente. Anche Tomasin, che fu marconista del Moby Prince prima della strage dice che il VHF avrebbe “avuto dei problemi: c’erano falsi contatti tra due fili e la saldatura, a causa delle vibrazioni o degli scossoni, non era ben fatta e non reggeva”. Immaginiamoci quindi per uno scontro tra il traghetto e la petroliera cosa può accadere all’impianto. Infine c’è la questione del non funzionamento di un radar dei due in dotazione alla nave. Bachechi, dipendente “Telemar” che era stato chiamato sul Moby Prince per una riparazione dice: “arrivai ad un certo punto del lavoro per cui occorrevano parti di ricambio, dei pezzi che non erano disponibili per cui non potevamo ultimare questa riparazione, poi non c’è stato un seguito perché al tempo l’obbligo prevedeva che solo un radar dovesse funzionare. Quel radar portava l’immagine dalla parte opposta, è come se l’osservatore lo guardasse dal di dietro. Come rappresentazione è come se si spostasse tutta l’immagine di 180°”.
«Vedere il presidente della commissione che si emoziona – ha inoltre detto Giacomo Sini – fa solo piacere, perché significa che la nostra vicenda vi è arrivata al cuore ed allora, se così è, tutto ciò deve arrivare anche al cuore del procuratore perché noi ci chiediamo spesso ora “che fare?” ed è già stato ricordato da altri parenti prima di me, c’è ancora aperta l’inchiesta per strage alla Procura di Livorno, ed il dolo è dimostrato dalla volontà ad esempio della Capitaneria di porto di non salvare le 141 persone a bordo del traghetto.
È vero, il procuratore ha ricordato delle cose ormai passate, è ritornato su dei punti che ormai sono stati chiariti ed appurati come falsi, ma bisogna anche leggere tra le righe della sua audizione. La sua disamina era una lettura dei fatti a lui pervenuti tramite documenti e lavori dei suoi predecessori. Agnello non è un nostro avvocato di parte civile, è un Procuratore della Repubblica e quando dalla sua bocca escono delle considerazioni di un certo tipo, vanno considerate perché significa che qualcosa dalle indagini in corso della magistratura livornese esce fuori. Sono fondamentali ad esempio le considerazioni in merito ad esempio alla sicurezza che la AGIP Abruzzo non fosse in una posizione corretta, ma in zona di divieto d’ancoraggio, cosa che dalle aule della procura non era mai venuta fuori in maniera ufficiale. Il procuratore si chiede come sia possibile che la Capitaneria permettesse una pratica del genere.
Oltre a ciò, seppur fosse già stato menzionato in passato, si è spinto a ricordare la totale mancanza di coordinamento dei soccorsi e non meno importante il depistaggio fatto sulla materia di definizione dei tempi di sopravvivenza a bordo, che sono stati di svariate ore e non di 30 minuti. È stato infatti ricordato il caso di Rodi, il cui corpo è stato filmato la mattina integro, steso sul Ponte Sole 2 di poppa, segno che era riuscito a salirvi solo poco tempo prima. Quando il traghetto viene rimorchiato in porto, in un filmato di poco successivo, la sua salma finisce combusta come le altre intorno a lui. Agnello ha anche ricordato, chiamandolo “ambiguo”, l’ accordo assicurativo tra Nav.Ar.Ma. ed ENI nel quale le due compagnie non si accusavano a vicenda, ma anzi, trovavano un punto d’incontro sul coprire da una parte i risarcimenti alle vittime e dall’altra i danni ambientali provocati dalla strage. Il procuratore parla di nuove intercettazioni fatte ed ascoltate dalla stessa magistratura, novità questa che è stata resa pubblica in audizione, impegnandosi a tentare di iscrivere nel registro degli indagati dei soggetti che se non indiziati in passato potrebbero essere accusati oggi. Tutte queste cose le abbiamo sempre dette. Agnello ci ha ascoltato? Forse. Ha ascoltato e letto le considerazioni delle commissioni d’inchiesta? Sicuramente. È importante quindi oggi cercare di capire dove vuole arrivare la Procura di Livorno perché è ancora aperta l’inchiesta per strage e su quello noi dobbiamo puntare e non ci dobbiamo fermare».
