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MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA 02/05 P. GRANDE ORE 19.00: VIA SALVINI DA LIVORNO!

 

MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA 02/05 P. GRANDE ORE 19.00: VIA SALVINI DA LIVORNO!

Giovedì 2 Maggio il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini sarà a Livorno per presentare un suo libro, vergognosamente ospitato all’interno del cinema teatro “4 Mori”, struttura gestita dalla Compagnia Lavoratori Portuali, rappresentando un insulto alla storia di questa città e a quella dei suoi lavoratori, proprio all’indomani del Primo Maggio. Basti pensare alla riforma dei porti e alla privatizzazione che questo ministro e il suo governo stanno portando avanti per arricchire gli armatori sulla pelle di chi lavora.

Livorno è una città nata sui valori di antirazzismo e antifascismo, dove non è tollerato l’odio nei confronti del diverso o del nuovo. Una città che è cresciuta grazie alle persone migranti, schernite e denigrate invece dai partiti di destra come la Lega, Fratelli d’Italia, ma anche da quei partiti che si definiscono “di sinistra” pur non avendo mai fornito un aiuto reale e tangibile alle persone sbarcate nei nostri porti.

Salvini oltre ad essere stato fautore di politiche razziste, autoritarie e discriminatorie (ricordiamo il decreto Salvini, o il caso della Sea Watch), porta avanti le stesse parole d’ordine che sono state sfruttate durante il periodo più buio della nostra storia, il regime fascista. Dio, patria e famiglia, tre parole che figure come Salvini, Vannacci e Meloni hanno continuamente in bocca.

Salvini e per estensione il suo partito, rappresentano quell’Italia che continua a non garantire dei posti di lavoro sicuri e controllati, che vede tagliati i fondi ai centri d’aiuto per le persone soggette a violenza domestica ma incentiva la presenza dei “Pro Vita” nei consultori. Quel paese in cui aumentano i CPR e le violenze nei centri di detenzione (ricordiamo il recente caso del Beccaria), in cui si continua a tagliare fondi per istruzione e sanità e a spendere sempre di più, invece, per le armi e per i manganelli con cui vengono repressi coloro che scelgono di manifestare il proprio dissenso.

Allo stesso modo non possiamo permettere la presenza del ministro che con l’iniziativa dell’Italia dei sì sostiene attivamente le grandi opere a partire dalle trivelle fino ai rigassificatori, dal ponte sullo stretto al Tav. Opere che equivalgono a devastazione di territori e a costi insostenibili pagati coi soldi dei cittadini.

Non possiamo tollerare che un soggetto come Salvini, che ha le mani macchiate del sangue degli studenti morti in PCTO, degli operai morti sul lavoro, delle persone a cui è stata spaccata la testa coi manganelli, delle donne uccise da uomini, figli sani del sistema patriarcale sostenuto da Lega e partiti limitrofi, abbia la libertà di spargere parole d’odio in un teatro della nostra città.

Per questo giovedì 2 Maggio, abbiamo deciso di lanciare un corteo come Azione Livorno Antifascista, a dimostrazione che questa città è unita e non tollera la presenza di Salvini e delle sue politiche fasciste, razziste, e discriminatorie su ogni fronte.

Invitiamo tutti coloro che condividono questa chiamata a scendere in piazza e a far circolare questo appello, si chiede di non esporre nel corso della manifestazione simboli di partiti e/o liste elettorali.

GIOVEDÌ 2, ORE 19.00 RITROVO IN PIAZZA GRANDE: VIA SALVINI DA LIVORNO!

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Le responsabilità dell’armatore, le menzogne dei politici: MOBY PRINCE 33 ANNI DOPO

Le responsabilità dell’armatore, le menzogne dei politici

MOBY PRINCE 33 ANNI DOPO

[articolo pubblicato su Umanità Nova numero 15 del 28/04/24]

Sono passati 33 anni dalla strage che uccise mio padre ed altre 139 persone – perché è bene chiamare le cose con il loro nome, non tragedia ma strage – siamo costretti nuovamente a dover parlare di fatti indecenti, e non di verità.
Quattro mesi fa l’ennesima sentenza vergognosa della corte d’appello di Firenze rispetto alla causa avviata da noi familiari contro il Ministero della Difesa e quello delle Infrastrutture, già
persa in primo grado.

Qua alcuni passaggi della sentenza sintetizzati:

– “Nel presente giudizio civile, la sentenza  irrevocabile di assoluzione, pronunciata dalla Corte di Appello di Firenze, Sez. terza penale, del  05.02.1999 n. 415, ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento che il fatto non sussiste e conseguentemente rigettare la domanda di parte attrice perché inammissibile..”

– “Dichiarare il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Difesa e conseguentemente rigettare la domanda di parte attrice nei confronti dello stesso”

– “In via principale, rigettare l’istanza di condanna generica, formulata da parte attrice, perché inammissibile in quanto non fondata su elementi probatori idonei a giustificare la stessa e, in subordine, in via riconvenzionale, accertare in negativo l’esistenza del danno subito..rigettare la domanda di parte attrice perché infondata”

– Dichiarare che la transazione già stipulata dagli odierni attori con NAVARMA abbia efficacia estintiva di ogni pretesa risarcitoria anche nei confronti dei Ministeri..”

Sono stufo ma anche stanco. Stanco di ripetere sempre le stesse cose.
La rabbia che è montata a Dicembre non si è estinta e non so più che parole usare per poterla descrivere. Rabbia per la durezza nei punti espressi che ribadiscono la posizione immutata da parte del sistema giudiziario italiano dopo 33 anni di battaglie.

Si sottolinea quanto la nostra richiesta sia “inammissibile in quanto NON fondata su elementi probatori idonei a giustificare la stessa”. Si ripete poi successivamente “infondata”. Esiste quindi la volontà di bloccare ogni tentativo di affermare che abbiamo prove fondate accusatorie, venute a galla grazie solo alla nostra tenacia. “E soprattutto ‘accertare l’inesistenza del danno subito’”, viene detto. Per lo stato non abbiamo subito alcun danno. La nuova sentenza sembra “punitiva”. Una sorta di nuovo monito da pagare(realmente) per quanto abbiamo fatto negli ultimi anni.
La fondatezza di aver ucciso 140 persone ancora una volta però esiste, e sta nelle vostre parole.

di Negli ultimi anni grazie all’attività continua dei familiari organizzati, con l’aiuto di una potente e strutturata attività di solidarietà di varie organizzazioni dal basso, sono stati fatti grandi passi avanti. Innanzitutto si è dovuti procedere all’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare che, proprio per la volontà da parte dell’apparato giudiziario italiano di non fare giustizia, ha ricevuto vari anni fa una risposta ghiacciante, tacciandola come esclusivamente politica e di nessuna valenza giudiziaria. Una commissione che definiva le negligenze occorse in materia di soccorso da parte della capitaneria di porto, le condotte non pienamente doverose del comando della petroliera e la sua posizione in divieto d’ancoraggio.

Inoltre ci si soffermava sull’ procedimento penale parallelo a quello della strage Moby Prince, concernente il tentativo di occultamento delle condizioni del timone effettuato da un dipendente della NAVARMA (Ciro Di Lauro) salito a bordo con D’Orsi per mano della NAVARMA, questione fondamentale in materia di responsabilità di vari attori nella strage.

La seconda commissione, rielaborando il lavoro della prima, ha svolto un lavoro diverso. Rimango molto perplesso e colpito dalla totale assenza nella relazione finale di responsabilità in materia di “navigazione sicura” della compagnia armatrice “Navarma” Seppur venga sottolineato nuovamente “l’unicum” dell’ambiguo “accordo assicurativo tra Navarma e ENI”.
Le indagini della seconda Commissione, che hanno affermato di voler insistere su “ciò che successe quella notte”, si fermano solamente ad analizzare “Il sistema delle eliche a passo variabile” ed i “sistemi di comando”, affermando che “fossero in piena efficienza”.
Com’è possibile non considerare le varie accuse che negli anni abbiamo mosso, con fatiche, con studi, con testimonianze di marittimi della compagnia NAVARMA in merito alle condizioni del traghetto? Ci rendiamo conto che in fase istruttoria il GIL decide di archiviare le posizioni dell’armatore di Navarma, Achille Onorato, e del comandante dell’Agip Abruzzo, Renato Superina? Guarda caso due degli attori principali in gioco e legati indissolubilmente allo stato: ENI ed una compagnia navale che portava profitti ed ingrossava le casse dello stato.

Con Loris Rispoli, presidente dell’associazione di Livorno “140”( oggi colpito da una malattia ed inabilitato a presenziare) e molti altri familiari abbiamo ripetuto con insistenza negli anni che una nave non può navigare con l’impianto Splinkler spento perché, come sosteneva un ex funzionario della Navarma, raccontandolo alla magistratura “gocciolava, le tubature erano guaste, perdevano acqua, per cui l’armatore aveva ordinato di lasciare disattivato l’impianto”.
Ce lo dice anche L’ingegnerie La Malfa, chiamato in causa nella prima commissione d’inchiesta “Vi potrei far vedere un filmato dove, per esempio, se si attiva l”impianto sprinkler ci si salva. Io ve l’ho lasciato e se poi lo volete vedere” Se acceso, gli ambienti si sarebbero probabilmente raffreddati e qualcun* non sarebbe bruciato viv*.

Negli anni abbiamo sottolineato come l’impianto radio VHF del Moby Prince avesse cali di tensione e quindi non funzionasse adeguatamente.
Ce lo dice anche Tomasin, ex marconista del Moby Prince prima della strage rispondendo ad un PM, asserendo come “Per un periodo il VHF abbia “avuto dei problemi: c’erano falsi contatti tra due fili e la saldatura, a causa delle vibrazioni o degli scossoni, non era ben fatta e non reggeva”. Il traghetto collide con la petroliera, e se solamente per una “vibrazione o uno scossone la saldatura non è ben fatta e si creano falsi contatti tra fili che portano al calo di tensione”. Immaginiamoci quindi per uno scontro tra il traghetto e la petroliera cosa può accadere.

Io non smetto mai di ascoltare quel segnale “May Day” così debole e sono amareggiato da come nell’ultima commissione venga ribadito più volte che il problema radio non fosse relativo al traghetto ma alle “modalità di registrazione di Livorno radio”. Non sono un tecnico, ma le parole di Tomasin in merito all’apparecchiatura radio riguardano problemi interni al traghetto – accuratamente definiti non come “avarie semplici”, ma danni riparati saltuariamente. Non si parla di massimi sistemi di comunicazioni radio, ma di VHF del traghetto.

E che dire invece degli impianti radar sul traghetto? Sappiamo con certezza che la Moby ne montava tre, dei quali solo uno in funzione ed un altro difettoso, mai riparato.
Ce lo dice Bachechi, dipendente “Telemar” che chiamato sul Moby prince per una riparazione ammette “arrivai ad un certo punto del lavoro per cui occorrevano parti di ricambio, dei pezzi che non erano disponibili per cui non potevamo ultimare questa riparazione, poi non c’è stato un seguito perché al tempo l’obbligo prevedeva che solo un radar dovesse funzionare. Quel radar portava l’immagine dalla parte opposta, è come se l’osservatore lo guardasse dal di dietro. Come rappresentazione è come se si spostasse tutta l’immagine di 180°”. Un problema che non mi sembra di poco conto per uno dei radar in funzione, ma nonostante ciò, il traghetto quella terribile notte parte ugualmente.

Ritornando al sabotaggio/manomissione del timone compiuto dal nostromo Ciro di Lauro a seguito della strage insieme ad un ispettore tecnico della Navarma, auto-accusandosi esprimeva come l’ ordine di sabotare i comandi della Moby Prince glielo avesse ha dato un superiore della Navarma. Solo questo fatto poteva portare la compagnia di navigazione ad essere al centro dell’attenzione come responsabile rispetto a tutta la strage, una modalità d’azione utilizzata per coprire responsabilità della compagnia ed addossare tutta la colpa all’equipaggio tentando di spostare la manopola del timone da comando manuale ad automatico.
Un padrone che chiede di far ricadere la colpa sui lavoratori e sulle lavoratrici, vecchio gioco, un qualcosa di terribile, coperto e graziato da quella che viene chiamata “giustizia”.

Ed invece venne fatto un processo separato ed i due colpevoli vennero assolti perché “il fatto fu così qualificato come «reato impossibile»”. La prima commissione ha ritenuto che ”Il procedimento penale non abbia contribuito a chiarire le motivazioni sottese al gesto compiuto, ne ́ abbia valutato eventuali responsabilità connesse”. Dove è finito questo fatto? Come si fa a non riprendere in mano una tale questione che rimetterebbe in gioco la Navarma come tra le responsabili concrete della vicenda? Alla luce di tutto questo, mi sembra alquanto palese la responsabilità della Navarma. Sul traghetto oltre ai passeggeri/e lavoravano tanti/e tante marittimi/e. La nostra strage è stata la più grande della marineria civile italiana e non è possibile che il nome “Navarma” scompaia quasi del tutto dalla vicenda. In tutte le stragi e tragedie che ahimè ancora occorrono la responsabilità primaria è da attribuire spesso a mancate misure di sicurezza opportune, prese dalle direzioni, per un ambiente lavorativo. Ce lo insegnano la Thyssen Group e Viareggio. Se nelle stragi seguite alla Moby prince i parenti coinvolti hanno sempre puntato il dito – anche a seguito della nostra vicenda e sulla scia della solidarietà portataci negli anni – contro grandi ditte imprenditoriali responsabili primarie di uccisioni e morti sul lavoro, noi dobbiamo portare avanti la nostra ferma posizione sulla Navarma.

Ed allora lo esigo anche io oggi, nuovamente. A commissione riaperta, voglio vedere inserita la compagnia armatrice tra le responsabili della vicenda, se si va verso questa direzione allora potrò dire che abbiamo provato ad arrivare ad una verità ufficiale. Noi i colpevoli, i loro nomi, le loro responsabilità le sappiamo, le abbiamo gridate, dette, ci siamo esposti. Se questa nuova commissione tenterà di lavorare seguendo ciò che è stato fatto in 33 anni, allora si ricomincino a mettere i bastoni tra le ruote a Navarma, si rifaccia quel nome, sennò significherà che alla verità non ci si e’ voluti arrivare e le nostre strade si separano. Significherà che si è voluto coprire un responsabile e se molti si sentiranno assolti con una mezza verità, avendo svolto il loro dovere istituzionale, saranno sempre coinvolti.

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“Fuori la guerra dall’università!” Movimento studentesco e repressione

“Fuori la guerra dall’università!”

[pubblicato su Umanità Nova n. 15 del 28/04/24]

Le cariche della polizia all’ingresso dell’università La Sapienza di Roma e l’arresto di uno studente e di una studentessa non sono che l’ultimo e più eclatante esempio della repressione in atto negli atenei italiani nei confronti del movimento per fermare il genocidio a Gaza che da ormai diversi mesi è sorto in molte sedi universitarie a in alcune città anche nelle scuole superiori. Abbiamo visto scene simili molte volte in questi mesi. A Torino, a Pisa, a Firenze, a Catania, a Bologna. Sempre più spesso la polizia interviene con la forza all’interno delle aree delle università. Ma ci sono anche i casi quotidiani di repressione, con controlli, denunce e divieti.

Il governo non può tollerare che nelle università e nelle scuole le generazioni più giovani mettano in discussione la politica estera del paese, il sostegno allo stato di Israele, le missioni militari, i rapporti tra il mondo dell’istruzione e della ricerca con forze armate e industria bellica.

Perché sono proprio le generazioni più giovani che lo stato dovrà mandare al macello nel caso di un maggiore coinvolgimento italiano nelle guerre in corso in Europa e non solo. Sono le giovani generazioni che dovranno lavorare per lo sforzo bellico. Sono le giovani generazioni che dovranno essere parte, disciplinatamente, della macchina del consenso della propaganda guerrafondaia.

Certo, non è l’unico motivo, ma anche le altre ragioni sono strettamente legate al generale clima di guerra. Questo governo attua verso i giovani una politica nettamente repressiva e autoritaria. Sono stati creati nuovi reati, innalzate le pene, create aggravanti per colpire i più giovani, criminalizzarli e metterne migliaia sotto processo. Molte consuete forme di lotta politica sono sempre più esposte a conseguenze penali. Ma questa stretta colpisce i giovani anche nel più generale contesto sociale in cui vivono, nelle forme di aggregazione, nelle feste, nel consumo di alcol e sostanze. Allo stesso modo nelle scuole e nelle università il clima è pesante, e sono annunciati nuovi provvedimenti autoritari. Bisogna inoltre considerare che l’attacco frontale ai collettivi universitari è uno dei primi impegni di questo governo. Ricordiamo che nel 2022 mentre il governo guidato da Meloni otteneva la fiducia della Camera la polizia caricava gli studenti che a La Sapienza di Roma contestavano un provocatorio convegno fascista organizzato dalle organizzazioni legate al partito di governo. Per quanto riguarda le proteste più recenti la repressione è ovviamente legata anche al peso, spesso più politico che economico, che hanno gli accordi con le università israeliane che gli studenti contestano ai propri atenei e di cui chiedono l’interruzione.

Questa repressione trova ampio sostegno a livello istituzionale e nei media ufficiali. La CRUI, l’organismo che riunisce i rettori delle università italiane, ha preso posizione rifiutando il boicottaggio accademico proposto dai movimenti e condannando la “violenza” delle proteste.

Non stupisce certo questa presa di posizione da parte dei rettori, ma questo è solo un esempio del generale clima di delegittimazione delle rivendicazioni di un movimento studentesco che in realtà mette in atto pratiche di lotta consuete e pacifiche e pone rivendicazioni che il più delle volte rientrano in realtà nei ristretti spazi di agibilità che la stessa istituzione universitaria concede.

Tra le principali rivendicazioni del movimento troviamo: la richiesta che organi di governo degli atenei come il senato accademico e i consigli di dipartimento prendano posizione attraverso una mozione; la richiesta di sospensione o cancellazione degli accordi con le università israeliane o con le istituzioni e le aziende responsabili dell’escalation bellica in atto: la richiesta che professori annullino la propria partecipazione a carrozzoni bellicisti come la fondazione di Leonardo MED-OR; la richiesta di dare spazio nelle lezioni e nei corsi a argomenti significativi per lo sviluppo di un sapere critico. Ovviamente in ogni ateneo la situazione può essere diversa ma questo è l’approccio generale. Le forme di lotta consistono in genere in manifestazioni, brevi occupazioni, semplici forme di disobbedienza civile come incatenarsi davanti a sedi istituzionali, incontri di approfondimento e iniziative di sensibilizzazione, contestazioni a convegni, conferenze che legittimano la strage in corso, contestazioni a cariche accademiche che per il loro ruolo sono considerate avere responsabilità nel sostenere la politica di guerra e di apartheid israeliana, pressione in occasione delle riunioni degli organi accademici che avrebbero il potere di assumere una posizione o prendere decisioni in rapporto alle rivendicazioni studentesche. C’è da segnalare inoltre che non si muove solo la componente studentesca. Nelle università anche da parte di dottorandx e assegnistx, come, anche se in misura minore, da parte di ricercatorx e professorx, c’è stata una presa di posizione a sostegno del movimento e in alcuni casi un impegno diretto.

La delegittimazione, criminalizzazione e repressione di questo movimento apparirebbero quindi come una reazione sproporzionata del governo, ma sono in realtà una risposta della classe dirigente per serrare le fila di fronte a un’ondata di proteste che rischia di mettere in discussione la coesione del sistema di governo di fronte alle politiche di guerra.

In effetti il movimento che agita le scuole e le università rappresenta qualcosa di nuovo. È da 20 anni probabilmente che non c’era un movimento che mettesse al centro del dibattito nelle aule scolastiche e universitarie il tema della guerra e della politica mondiale. Certo ci sono stati movimenti ben più partecipati contro riforme, tagli, aumenti delle tasse. Ma anche in questo caso la partecipazione, per quanto molto minore, va ben al di là della realtà dei collettivi, delle organizzazioni giovanili e dei sindacati studenteschi. Strutture che hanno una presenza più ridotta rispetto a quella che potevano avere 10 o 15 anni fa, anche se alcune di quelle più legate a partiti hanno conosciuto una crescita negli ultimi anni. Ad ogni modo gran parte di coloro che scendono in piazza non sono parte di queste strutture. Il movimento inoltre sta mantenendo la propria forza attraverso i mesi anziché affievolirsi. Questo lascia pensare che da questa fase di mobilitazione possano consolidarsi nuovi tessuti militanti e strutture di movimento. Infine va sottolineato un ultimo aspetto: il movimento incorpora al suo interno diversi temi, dalla solidarietà alla popolazione palestinese all’opposizione alla guerra, dal rifiuto di una presunta “neutralità” dell’accademia alla denuncia degli accordi con aziende dell’industria bellica. Moltx di coloro che scendono in piazza sono estranei o indifferenti agli storici percorsi e anche divisioni del movimento di solidarietà al popolo palestinese in Italia. Penso si possa vedere piuttosto in questo movimento una più generale risposta politica alle gravi minacce che incombono sulle giovani generazioni, questo movimento nato in reazione al genocidio a Gaza riesce in parte a catalizzare l’esigenza di opporsi al governo, di contrastare il fascismo, di rifiutare la guerra.

Spesso sono questi temi insieme ad agitare le piazze del movimento studentesco, certo non senza confusione, contraddizioni e problemi. All’interno di questo movimento che già usa spesso lo slogan “Fuori la guerra dall’università!” è importante portare con maggior forza la questione dell’antimilitarismo, perché può essere una chiave che contribuisce a far chiarezza ed a legare l’attuale movimento alle mobilitazioni contro la guerra e antimilitariste che hanno caratterizzato gli ultimi due anni.

Anche se la questione del boicottaggio accademico può essere senza dubbio considerato un obiettivo limitato, sia perché richiede un intervento delle istituzioni universitarie sia per la difficoltà di una sua effettiva applicazione, è in questo momento una rivendicazione in grado di rompere la cappa di consenso che il partito trasversale della guerra vorrebbe imporre nelle scuole e nelle università. Riuscire a rompere con questo movimento l’allineamento del mondo accademico alle politiche del governo, permetterà di avere maggiore agibilità nel momento in cui l’Italia dovesse trovarsi maggiormente coinvolta in una guerra, e sarà più difficile per il governo costruire un fronte di unità nazionale.

Dobbiamo rovesciare la paura che la militarizzazione della società e la corsa verso la guerra diffondono nella società, in modo che si trasformi in reazione lucida di opposizione alla guerra.

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Fermiamo il genocidio a Gaza! Per una prospettiva libertaria, federalista e internazionalista

Fermiamo il genocidio a Gaza!
Per una prospettiva libertaria, federalista e internazionalista

Sabato 13 aprile
presso la Federazione Anarchica Livornese
in Via degli Asili 33, Livorno
alle ore 18
Incontro con Gianmaria Valent
della Federazione Anarchica Reggiana
Discussione a partire dal documento approvato dal convegno nazionale FAI di Carrara nello scorso febbraio
dalle ore 20
Aperitivo
Federazione Anarchica Livornese
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it
Apertura sede LUN e GIOV dalle 16 alle 20

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“Solo una voce da sponda a sponda” Incontro con Giacomo Sini

GIOVEDÌ 4 APRILE ORE 18
presso la FAL in Via degli Asili 33, Livorno
incontro con Giacomo Sini, compagno fotogiornalista
appena rientrato da una missione di salvataggio nel Mediterraneo Centrale a bordo della Life Support di Emergency

“Solo una voce da sponda a sponda”

È una chiamata d’aiuto, una chiamata di solidarietà, oltre ogni frontiera, per fermare le stragi nel mare. Una chiamata di lotta, contro i governi che chiudono nei nuovi lager migliaia di persone lungo le sponde del Mediterraneo e fanno del mare un grande cimitero. Addirittura le navi che svolgono attività di soccorso dei
naufraghi sono soggette a sempre più gravi restrizioni, mentre la politica dei porti lontani ha portato anche a Livorno le navi delle ONG ormai da quasi un anno e mezzo. Nonostante tutto questo c’è chi continua a spezzare le maglie delle frontiere, le persone in movimento non si fermano, la solidarietà continua.

Ore 18 incontro con Giacomo Sini e proiezione foto
Ore 20 aperitivo

Federazione Anarchica Livornese
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it//apertura LUN GIOV dalle 16 alle 20

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29 marzo in Piazza Grande: FERMIAMO LA CORSA VERSO LA GUERRA NO MISSIONI ASPIDES E LEVANTE

VENERDÌ 29 MARZO ORE 17
SAREMO IN PIAZZA GRANDE
FERMIAMO LA CORSA VERSO LA GUERRA
NO MISSIONI ASPIDES E LEVANTE
Appena un mese fa, con tempi rapidissimi, il Governo ha fatto approvare dal Parlamento due nuove missioni, “Aspides” nel Mar Rosso e “Levante” nel Mediterraneo Orientale.
Aspides è una missione dell’Unione Europea il cui comando è affidato alla Grecia; l’Italia ha il comando tattico delle forze operative ed ha il proprio centro a bordo del cacciatorpediniere Caio Duilio. L’operazione riunisce ben quattro distinte missioni: oltre ad “Aspides”, la missione Atalanta targata UE a largo della Somalia, la multinazionale EMASOH nello stretto di Hormuz e le CMF (Combined Maritime Forces) a guida USA.
Gli organi di informazione ufficiali e la propaganda governativa si sono soffermati sugli aiuti “sanitari” alla popolazione civile per mascherare col pretesto umanitario quella che in realtà è un’operazione di rafforzamento della presenza militare italiana nel Mediterraneo orientale, in un contesto di guerra.
La rapidità con cui sono state autorizzate le nuove missioni e confermate quelle già attive, unita alla disinformazione e alle falsificazioni strumentali della propaganda, fa capire chiaramente che il governo punta ad avere mani libera nella gestione delle missioni militari. E’ stato infatti predisposto un disegno di legge per modificare le procedure di autorizzazione delle missioni militari. Secondo la nuova norma ci sarebbe una maggior flessibilità nell’impiego di uomini e mezzi , con autorizzazioni che potrebbero arrivare dal Parlamento anche dopo mesi dall’effettivo inizio delle missioni. L’autorizzazione inoltre verrebbe data non più a specifiche missioni da approvare singolarmente, ma ad operazioni su larga scala, secondo il criterio non del singolo intervento, ma di una campagna strategica complessiva ed articolata, come l’operazione di cui fa parte Aspides, definita “dispositivo multidominio”dal delirio bellico governativo.
Un passo dopo l’altro, con governi di diverso colore, l’impegno militare all’estero cresce: anziché occuparsi dei problemi del paese, il governo scodinzola dietro le avventure belliche delle potenze egemoni per soddisfare gli appetiti dei gruppi monopolistici e dell’industria bellica, per portare guerra e morte alle popolazioni. E mentre i tagli alle spese sociali sono sempre più disastrosi, le spese militari aumentano e le missioni assorbono oltre 1 miliardo e mezzo e di euro
FERMIAMO LA CORSA VERSO LA GUERRA
SMASCHERIAMO LA PROPAGANDA GOVERNATIVA
NO ALLE NUOVE MISSIONI ASPIDES E LEVANTE
BASTA MISSIONI MILITARI OVUNQUE
Il Coordinamento Antimilitarista Livornese invita ogni persona amante della pace all’impegno per fermare la marcia verso la guerra. Visto che in Parlamento maggioranza e opposizione approvano senza battere ciglio nuove spese e nuove avventure, spetta alle antimilitariste e agli antimilitaristi gettare sabbia negli ingranaggi delle politiche di guerra

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Un drone puntuale, Approvate le nuove missioni militari dell’Italia

articolo pubblicato su Umanità Nova del 17/’3/24

Un drone puntuale

Approvate le nuove missioni militari dell’Italia

Lo scorso 26 febbraio il Consiglio dei Ministri ha deliberato in merito alle missioni militari all’estero. In tempi record, neanche 10 giorni, il Parlamento ha discusso e approvato la delibera.

12000 militari saranno impegnati all’estero tra nuove missioni e missioni prorogate, per 1,5 miliardi di spesa. Negli anni scorsi tra la delibera del governo e l’approvazione parlamentare trascorrevano diverse settimane, anche mesi. Tempi che il governo ha cercato ulteriormente di accelerare, provando – senza riuscirci – a far passare l’approvazione in procedura di urgenza, per evitare la discussione nelle commissioni competenti. Certo a fare pressione sul parlamento c’è stata anche la raffica di sei colpi sparati dal cannone 72/67 Oto Melara del Cacciatorpediniere Caio Duilio che ha abbattuto un drone yemenita a 6 km di distanza. A ridosso della discussione parlamentare, il rischio di un’escalation militare e la martellante campagna sulla minaccia degli Huti per le navi italiane presenti nel Mar Rosso, ha reso necessario un inquadramento autorizzativo per la missione navale che l’Italia di fatto stava conducendo già da dicembre. Tutto ciò ha certo dato la possibilità di forzare con una approvazione in tempi record.

Le tre missioni approvate sono appunto la missione Aspides, missione navale nel Mar Rosso, la missione Levante, che si inserisce nel quadro della guerra a Gaza in Palestina, e la missione EUAM Ukraine. Considerato che questa ultima missione è in realtà attiva dal dicembre 2014 e l’attuale approvazione riguarda solo l’invio di un magistrato nel quadro di una missione europea di supporto al sistema di sicurezza, ci concentreremo soprattutto sulle prime due.

La missione Aspides, è una missione dell’Unione Europea, avviata nel mese di febbraio, il cui comando è affidato alla Grecia ed ha sede a Larissa, l’Italia è riuscita ad aggiudicarsi solo il comando tattico delle forze operative, di cui è stato incaricato il contrammiraglio Stefano Costantino e che ha il proprio centro proprio a bordo del Caio Duilio.

La nuova missione viene fatta passare come un nuovo impegno operativo all’interno di una più generale proroga di un “dispositivo multidominio”. La scheda sull’operazione riunisce infatti ben quattro distinte missioni, la già citata Aspides, la missione Atalanta targata UE a largo della Somalia, la multinazionale EMASOH nello stretto di Hormuz e la CMF a guida USA. Non è quindi specificato nella delibera governativa la precisa autorizzazione di uomini e mezzi per la missione Aspides, viene indicato l’impegno complessivo per le quattro missioni: 3 mezzi navali, 5 mezzi aerei, 642 unità di personale. Certo vedendo 3 navi impegnate su 4 diverse missioni viene da pensare ai famosi carri armati di Mussolini, ma ricondurre tutto a cialtroneria e propaganda – che certo non mancano – sarebbe fuorviante. In questo gioco delle tre carte c’è il chiaro tentativo di rendere più opaco il processo decisionale e meno definita la responsabilità per ogni singola missione. Una autorizzazione come questa lascia mano libera al governo per articolare le missioni in interventi diversi a seconda delle esigenze. Basti pensare all’area di intervento autorizzata per queste missioni, che è incredibilmente vasta: “Mar Mediterraneo, Mar Rosso e Paesi rivieraschi, Golfo di Aden, Mar Arabico, bacino somalo, Canale del Mozambico, Oceano Indiano, Stretto di Hormuz, Golfo Persico, Golfo di Oman, Bahrain, Gibuti, Emirati Arabi Uniti e altri Paesi rivieraschi”. Si tratta di quattro missioni navali di natura diversa e con regole diverse, che andrebbero inoltre ad interagire con missioni a terra.

In modo simile con la missione Levante è stato autorizzato un impegno militare molto generale, che ancora bisogna capire come si articolerà. La stampa ufficiale si è soffermata sui primi due punti degli obiettivi della missione, gli aiuti alla popolazione civile e la disposizione di un “ospedale da campo e una unità navale con capacità sanitaria”. Ma i secondi due non sono di solito menzionati: “misure precauzionali per l’eventuale evacuazione di connazionali o l’estrazione delle forze italiane dalla regione; rafforzare la presenza nel Mediterraneo Orientale”. Più che una missione di aiuto umanitario sembra una missione con lo scopo di consolidare la presenza militare nell’area e coordinare eventuali situazioni di emergenza collegate alla consistente presenza di contingenti italiani, che in misura diversa sono impegnati in Libano, Cisgiordania e Egitto. Per questa missione è autorizzato lo schieramento di un mezzo navale, un mezzo aereo, 10 mezzi di terra e 192 militari.

L’area di intervento è molto vasta anche in questo caso, e comprende “Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza, Libano, Egitto, Giordania, Cipro, EAU, Qatar e regione del Mediterraneo Orientale”.

Non credo si possa pensare che questi termini generici siano imposti dai tempi rapidi di approvazione, che al contrario necessiterebbero l’autorizzazione di un impegno più preciso e definito. Il modo in cui sono state predisposte le schede per queste due missioni sembrano anzi essere state in realtà ben preparate per anticipare le nuove procedure autorizzative per le missioni militari che il governo vorrebbe introdurre. La modifica alla legge 145 del 2016 che regola la materia è stata proposta dal governo con il DDL S. 1020, disegno di legge di riforma approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 25 gennaio. Tra i principali punti di questa proposta, ora all’esame delle Camere, segnaliamo innanzitutto quanto scritto nella relazione tecnica alla presentazione della proposta al Senato. La riforma introdurrebbe “Una maggior flessibilità nell’utilizzo degli assetti e delle unità di personale all’interno di missioni appartenenti alla medesima area geografica. Prevedendo in anticipo le possibili «interoperabilità » tra missioni nella stessa area e sottoponendole al vaglio preventivo delle Camere, la modifica consente di rispondere con maggior prontezza nell’eventualità di situazioni di crisi o emergenza, sempre più frequenti nell’attuale scenario internazionale”. Inoltre consentirebbe di “pre-individuare, attraverso le deliberazioni del Governo […] forze ad alta ed altissima prontezza operativa, da impiegare all’estero al verificarsi di crisi o situazioni di emergenza […] nell’ipotesi in cui si renda necessario l’impiego in via di urgenza delle forze ad alta ed altissima prontezza operativa, la deliberazione del Governo venga comunque trasmessa alle Camere, le quali, entro cinque giorni, con appositi atti di indirizzo, secondo i rispettivi regolamenti, ne autorizzano l’impiego o ne negano l’autorizzazione”.

Il primo punto, prevedendo una maggiore flessibilità renderebbe senza dubbio più opaca la politica delle missioni militari all’estero, rendendo più difficile comprendere la portata, le responsabilità e i limiti effettivi delle autorizzazioni. In questo modo si rende più facile al governo mescolare le carte, articolare in modo diverso le operazioni militari sfruttando la copertura di missioni già autorizzate con scopi vaghi e per aree molto vaste. Il secondo punto darebbe mano libera al governo di prendere l’iniziativa per una spedizione militare. Già questo avviene da anni, con missioni autorizzate dal Parlamento a mesi dall’effettivo avvio. Questo provvedimento con la scusa di riportare le procedure entro la norma, conferisce al governo maggiore potere.

Che il governo voglia estendere i poteri del governo, portando gli attuali eccessi nella legalità, e che presenti come effettivamente interoperative missioni che finora erano presentate come puntuali interventi condotti in modo autonomo, rappresenta in modo chiaro dove porti la politica di guerra che il governo sta portando avanti con l’appoggio trasversale delle principali opposizioni. Se le missioni non sono più singoli interventi ma una campagna strategica, se il governo non agisce in deroga, ma assume maggiori poteri, si fanno ulteriori passi verso la guerra aperta. A fermare questa spirale di guerra non saranno leggi e elezioni, ma le lotte sociali e l’antimilitarismo.

Dario Antonelli

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Inaugurazione Biblioteca – Presentazione “Il rovescio della guerra” e mostra antimilitarista

 

Riapre la Biblioteca del Circolo culturale “Errico Malatesta”
Inaugurazione Venerdì 15 marzo

Presso la sede della Federazione Anarchica Livornese
in Via degli Asili 33

Alle 17.30

Presentazione del libro
Il rovescio della guerra,
Psichiatria militare e “terapia elettrica” durante il Primo conflitto mondiale
Con l’autore Marco Rossi e con il Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud

MOSTRA ANTIMILITARISTA
con Vignette, illustrazioni, fumetti, collage, parole
Realizzata dalla Casa editrice LIBERA e SENZA IMPEGNI, Centro Studi CANAJA e Le LAB des CASTANEUX

La mostra sarà visibile negli orari di apertura della biblioteca fino a giovedì 4 aprile

Alle 20.30 aperitivo

Orario di apertura della biblioteca
Lunedì e giovedì dalle 16 alle 20
Giovedì mattina su appuntamento
biblioteca.circoloemalatesta@gmail.com

Circolo Culturale “Errico Malatesta”

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A processo per lo striscione “Verità e giustizia per Fares” – Solidarietà agli imputati

A processo per lo striscione
“Verità e giustizia per Fares”
Solidarietà agli imputati

A quasi tre anni dalla morte di Fares Shgater durante un controllo di polizia a Livorno, l’unico processo – ormai quasi concluso – è quello a carico di chi ha manifestato per la verità e la giustizia.
La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario reclamano l’assoluzione degli imputati e tornano a rivendicare verità e giustizia per Fares Shgater.

Martedì 5 marzo si terrà presso il Tribunale di Livorno l’ultima udienza del processo seguito alla manifestazione del 26 aprile 2021 che chiedeva verità e giustizia per Fares Sghater, morto a Livorno a 25 anni durante un controllo di polizia, annegato nella notte tra il 24 e 25 aprile 2021 nel Fosso Reale di fronte alla Fortezza Nuova. Il processo vede imputati due partecipanti alla manifestazione, tra cui un nostro compagno.

Non si può morire durante un controllo di polizia. In questi tre anni le istituzioni e i media ufficiali non hanno più dato alcuna risposta alla richiesta di verità e giustizia avanzata con forza dalle manifestazioni che si tennero in città subito dopo della morte di questo giovane. Al di là di come siano andati nello specifico i fatti, è chiaro che le politiche razziste instaurate in Italia dai governi che si sono succeduti negli ultimi trenta anni hanno creato una situazione tale per cui un cittadino straniero rischia durante un controllo di polizia che la sua vita precipiti improvvisamente per effetto di un provvedimento di rimpatrio, di un arresto, di una detenzione in un CPR, ma anche di ricatti, vessazioni e violenze da parte degli agenti.

La storia della morte di Fares è stata presto dimenticata e rimossa. L’unica cosa che sembra essere andata avanti in questi anni è il processo nei confronti di chi manifestava per far luce su una morte che aveva scosso la città. Una manifestazione che riuscì a esprimere a livello politico la rabbia che familiari, amici e connazionali di Fares provavano. La destra cittadina, confermando il proprio carattere provocatorio, il proprio razzismo e disprezzo di classe, organizzò, con il solo scopo di alimentare le tensioni, una contromanifestazione a pochi metri da dove si teneva la manifestazione per Fares. Quest’ultima si tenne poi senza particolari incidenti, tanto che una delegazione di manifestanti fu pure ricevuta dal questore.

La risposta delle istituzioni è stata però un processo ai manifestanti. Dopo pochi giorni dalla manifestazione un giovane connazionale di Fares è stato fermato, chiuso in un CPR e rimpatriato nel suo paese natale, la Tunisia. Per quello che sappiamo potrebbe non essere neanche a conoscenza di essere imputato in un processo a Livorno. L’altro imputato è un nostro compagno, accusato di aver collaborato a scrivere uno striscione che riportava “Verità e giustizia per Fares, No razzismo, No violenza della polizia” e, in un angolo, “acab”.

Un processo per oltraggio a pubblico ufficiale con l’accusa di aver collaborato a scrivere uno striscione sembrerebbe quasi una cosa ridicola, se questo processo non mettesse in discussione la libertà di espressione. Una censura inaccettabile che in caso condanna diventerebbe un vero e proprio caso repressivo.

Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario

03/03/24

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Pisa 2 marzo: in piazza con l* student*

Pisa 2 marzo: in piazza con l* student*

Martedì 27 febbraio, in un’assemblea cittadina molto partecipata sulle violenze della polizia del venerdì precedente, il Coordinamento studenti medi ha lanciato una manifestazione per sabato 2 marzo: “Pisa in piazza contro bombe e manganelli”.
Le manifestazioni contro il genocidio a Gaza sono state oggetto di divieti, calunnie ed aggressioni, culminate nelle manganellate di Pisa e Firenze del 23 febbraio. Il governo italiano sostiene apertamente Israele, a cui fornisce armi usate nel massacro degli abitanti di Gaza, e coglie ogni occasione per mettere a tacere le proteste.
Ma il malcontento cresce, sia per la politica di guerra all’estero, sia per quella di miseria e disoccupazione all’interno.
Non sarà la repressione poliziesca a fermare la voglia di scendere in piazza!
La Federazione Anarchica Livornese aderisce alla manifestazione e invita compagni e simpatizzanti, organismi di lotta ad essere presenti
– per denunciare la violenza poliziesca e le montature mediatiche e giudiziarie;
– per sostenere il movimento dell* student*;
– per fermare la politica di guerra del governo italiano, a partire dalle forniture di armi ad Israele e dalla missione militare nel Mar Rosso;
– per costruire un movimento di di lotta unitario e di massa, basato sul federalismo e l’azione diretta, che cominci a cambiare lo stato presente delle cose.

Ci troviamo sabato 2, alle 14.00, a Pisa in piazza Vittorio Emanuele

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