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Norman Atlantic e Moby prince: una tragica continuità figlia del profitto

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Norman Atlantic e Moby prince: una tragica continuità figlia del profitto

Sono passati quasi ventiquattro anni da quella terribile notte nella quale centoquaranta persone vennero assassinate nel rogo del traghetto “Moby prince”. Assassinate è il termine migliore che può essere utilizzato per descrivere le dinamiche che hanno caratterizzato la morte dei nostri familiari.
Un traghetto, il Moby prince, che nella notte del 10 Aprile del 1991, su ordine dell’armatore della Navarma, Onorato, viaggiava con l’impianto splinter spento, con un solo radar funzionante dei tre presenti a bordo e con un’apparecchiatura radio che presentava notevoli problematiche legate a frequenti cali di frequenza; a causa di quest’ultimo difetto, il traghetto non riuscì ad inviare alla capitaneria di porto un may day chiaro, nei tragici momenti della collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Secondo il RINA (Registro Italiano Navale ed Aeronautico), ente predisposto a valutare la sicurezza delle navi ed approvarne l’autorizzazione alla navigazione, il traghetto non presentava problematiche tali da impedirne la partenza. Il tutto nell’ottica del risparmio in materia di sicurezza, per permettere comunque alla Navarma di effettuare la tratta Livorno-Olbia, senza l’onere delle spese sulla manutenzione del traghetto.
Una realtà sconcertante che ha visto, con il passare degli anni, alzarsi in gran coro comune una serie di dichiarazioni da parte di organi istituzionali che hanno affermato la necessità di dover far emergere la verità sulla vicenda. Successivamente è stata promessa, come nelle migliori delle propagande, una maggiore attenzione agli investimenti sulla sicurezza nel mondo del lavoro, in modo che tali vicende non potessero più ripetersi. Ed ecco che negli ultimi anni si è prospettata una realtà ben diversa dalle rappresentazioni di un miglioramento della sicurezza nei luoghi di lavoro millantate dai governi che si sono susseguiti; le condizioni sono piuttosto peggiorate e le tragedie consumate dall’arroganza del profitto hanno caratterizzato la storia degli ultimi anni. E’ bene ricordarsi la tragedia della Costa concordia, nella quale la grande compagnia richiedeva alle proprie navi di prodigarsi in un inchino (un’accostata pericolosa in termini di navigazione) all’Isola del Giglio, con il beneplacito assenso delle istituzioni locali dell’Isola, che avrebbero avuto introiti positivi in materia turistica per il passaggio di migliaia di croceristi a pochi metri dalle “rive paradisiache” della località toscana: trenta morti e tante lacrime di coccodrillo da parte di chi ha sempre permesso che tali manovre continuassero ad esistere per non disturbare la massimizzazione dei profitti della compagnia e del comune di Isola del Giglio. Anni nei quali si è costantemente parlato di una salvaguardia esclusiva degli interessi dell’imprenditoria italiana e nella fattispecie di grandi padroni d’azienda, erogando incentivi e finanziamenti agevolati ad imprese produttive, nei quali difficilmente si fa riferimento alla parola sicurezza. Il tutto a discapito di milioni di lavoratori che vedono diminuirsi sensibilmente una serie di garanzie sul posto di lavoro. Arriviamo così, nelle ultime settimane, all’ennesima notizia di una tragedia consumata nei mari: il rogo del traghetto della Norman Atlantic che ha provocato nel giro di poche ore la morte accertata di 13 persone. Ancora una volta emergono dei fatti che non lasciano alcun dubbio sulle responsabilità dell’armatore del traghetto della Anek e la connivenza con il RINA in materia di concessioni alla navigabilità. Lo stesso RINA torna ad essere per l’ennesima volta un protagonista negativo della vicenda, dato il ruolo cruciale nell’affidare voti sufficienti durante le ispezioni precedenti alla partenza del traghetto, consentendone l’operatività. Inoltre, ad oggi, ispettori del registro navale hanno compiuto numerosi sopralluoghi all’interno del traghetto per poter dare il via libera ad un trasferimento dal porto di Brindisi a quello di Bari, dove risiede la procura competente sul fatto. Un caso? Certamente la questione è passata inosservata grazie a motivazioni burocratiche. Personalmente lo ritengo un atto grave che può sovraintendere l’ennesimo tentativo di intromissione, per la copertura di certe responsabilità dello stesso RINA. Il traghetto della Norman Atlantic aveva dei malfunzionamenti: le porte taglia fuoco non erano conformi per i protocolli d’intesa internazionali ed i sistemi d’emergenza (luci e batterie)erano spariti. La nave inoltre, secondo le testimonianze di alcuni passeggeri che accusano la compagnia, presentava un forte sovraccarico di TIR che, sfregandosi l’un con l’altro per la mareggiata, avrebbero dato adito ad alcune scintille che hanno provocato l’incendio.

Come spesso purtroppo accade nelle tratte di mare che collegano i porti del mediterraneo e dell’ Adriatico, è emersa inoltre la notizia della presenza di un buon numero di clandestini che si trovavano all’interno di alcuni TIR nelle aree garage. Ecco che nel valzer delle dichiarazioni inerenti le cause dell’incendio, si è tentato attraverso canali mediatici importanti e vari apparati istituzionali, di concentrare l’attenzione sulla vicenda dei migranti presenti a bordo, finendo per addossare le cause dell’incendio all’accensione di un fuoco da parte di questi ultimi per difendersi dal freddo nel reparto garage. Così come nel 1991 si tentò da subito di scagionare le responsabilità dell’armatore della Moby Prince, addossando tutte le colpe alla disattenzione dell’equipaggio, oggi si è attuato un tentativo di marginalizzare la problematica delle politiche d’aggressione al mondo dei lavoratori, attaccando la fascia di soggetti più deboli e ben strumentalizzabili, i migranti. E’ bene ricordarsi che a causa di politiche d’ingresso in Europa altamente discriminatorie, che vedono nell’uomo una merce utile solo in materia di fabbisogno di manodopera per diverse aziende, più di 23 mila migranti sono morti davanti agli occhi di chi oggi continua imperterrito a riempirsi la bocca della necessità di operare più attenzione al mondo della sicurezza della navigazione. Quegli attori che, grazie al continuo attacco ai diritti dei lavoratori ed alla conseguente deregolamentazione in materia di sicurezza, salvaguardano il profitto di chi continua ad uccidere con il beneplacito della giustizia italiana.

Giacomo Sini

 

questo articolo sarà pubblicato sul prossimo numero del settimanale anarchico Umanità Nova

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Francia: l’Unione Sacra del terrore

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L’Unione Sacra del terrore

Sulla strage del 7 gennaio a Parigi presso la sede del settimanale satirico Charlie Hebdo, e sui fatti relativi alle sparatorie e ai sequestri dei giorni successivi abbiamo in questi giorni sentito di tutto di più, hanno parlato giornalisti, opinionisti, politici e poliziotti. Adesso parliamo un po’ noi.

Nel corso dell’attacco armato alla sede del giornale francese sono state uccise 12 persone. Il Gruppo Kropotikine di Merlieux della Federazione Anarchica francofona (FAf) nella stessa giornata del 7 gennaio ha redatto un comunicato dal tono molto commosso, nel quale si ricorda come “molti giornalisti del Charlie oggi assassinati, tra cui Charb, Cabu, Tignous, e Wolinski avessero contribuito a diverse edizioni del Salone del Libro Anarchico a Merlieux, o alla sua Festa del libro partecipando a dei dibattiti o disegnandone con grande talento e gentilezza molti manifesti.”

Negli anni le illustrazioni su molti manifesti politici della FAf, così come su quelli di altri raggruppamenti libertari e di sinistra, sono stati firmati anche da loro. In particolare si ricordano le vignette di Cabu che hanno illustrato molti manifesti antimilitaristi negli anni ’80.

Calpestando i loro corpi, il presidente francese Hollande fa appello all’unione del popolo francese contro i nemici della “libertà”, così come i molti politici che vogliono sfruttare la strage per alimentare il razzismo, per promulgare nuove leggi repressive e aumentare il controllo sociale e, chissà, magari per lanciare una nuova avventura militare all’estero.

Certo i disegnatori uccisi non sarebbero mai stati, da vivi, gli “eroi” di questa nuova crociata dello Stato francese. Una crociata che per ora si è concretizzata nella caccia all’arabo e nel dispiegamento di forze repressive, nel nome della lotta al terrorismo islamico e dell’ipocrita difesa della libertà di stampa borghese.

Alcuni, in Francia come in Italia, hanno subito voluto sottolineare che da tempo Charlie Hebdo “non faceva più ridere”, perché avrebbe contribuito “allo sviluppo di un’islamofobia di sinistra”.

In un contesto culturale come quello europeo, in cui negli ultimi anni l’ideologia dello scontro tra occidente cristiano e oriente islamico ha conquistato sempre più spazio, sicuramente il lavoro editoriale di Charlie Hebdo presenta molte contraddizioni, soprattutto in Francia in cui troviamo la tradizione del laicismo repubblicano sempre più vicina allo schieramento islamofobo. Su questo giocano i politici che, da destra a sinistra, vogliono alimentare il razzismo, irrigidire la militarizzazione della società, aumentare la segregazione e lo sfruttamento degli immigrati.

Nel comunicato emesso a livello nazionale dalla Federazione Anarchica francofona emerge, anche se con un tono completamente diverso, questo aspetto: “Alcuni tra le vittime hanno contribuito in passato a le Monde Libertaire, e se le nostre posizioni si sono distanziate in seguito, essi restano nel ricordo di numerosi compagni.”

È chiaro che quindi questo aspetto non può essere trascurato. Ma non si può allo stesso tempo attribuire ad un settimanale satirico, o a singoli disegnatori, la responsabilità dell’incapacità di gran parte della sinistra in Francia di elaborare posizioni radicali sulla questione dell’oppressione religiosa che siano autonome dal laicismo autoritario della tradizione repubblicana francese.

La liberazione da ogni genere di oppressione religiosa, passa sia attaverso la lotta contro ogni istituzione più o meno gerarchica che propagandi la menzogna di una salvezza ultraterrena, sia attraverso l’unità di classe, attraverso l’organizzazione e la lotta che portano i proletari a riconoscersi reciprocamente nelle medesime condizioni di sfruttamento e negli stessi interessi. Non attraverso le imposizioni di un qualche governo. Questo gli anarchici, gli antiautoritari, i rivoluzionari, lo sanno bene.

Chi si appiattisce sul dibattito riguardo all’opportunità o meno delle vignette di Charlie Hebdo, non fa che seguire il filone lanciato dai media ufficiali. Questo è invece il momento di rispondere con determinazione contro l’inasprimento delle misure repressive e di controllo sociale, contro ogni deriva razzista, contro la militarizzazione e la guerra.

Domenica 11 gennaio grandi manifestazioni hanno riempito le piazze delle città francesi. I giornali parlano di due milioni di persone in piazza a Parigi per la “marcia repubblicana”. Indipendentemente da quali siano i numeri reali dei partecipanti, queste parate hanno celebrato una nuova “unità nazionale”, in difesa della Repubblica contro la “barbarie”. Dal Partito Comunista Francese al Fronte Nazionale di Marine Le Pen, tutte le forze politiche hanno manifestato, “fieri di essere francesi”.

A Parigi la manifestazione era aperta dai potenti del mondo, 50 capi di stato e di governo, primi fra tutti il Presidente della Repubblica Hollande ed il Primo Ministro Valls. Una paradossale parata per la “libertà di espressione” per la quale è stato predisposto un apparato di sicurezza da stato d’emergenza, con oltre 5000 poliziotti e 1300 militari. In testa al corteo i professionisti del terrore di Stato, i campioni della repressione, della censura, della guerra, del razzismo, dello sfruttamento.

Le immagini di questi personaggi, “incordonati” alla testa del corteo, per celebrare non solo l’unione del popolo francese contro il nemico comune, ma anche per affermare la volontà comune di procedere ad una sempre più forte militarizzazione della società per attuare politiche autoritarie di attacco alle condizioni di vita e di lavoro di milioni e milioni di proletari, le abbiamo già viste troppe volte.

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Il 31 Luglio del 1914, il socialista Jean Jaurès viene assassinato a Parigi da un nazionalista.

Jaurès nel 1904 aveva creato il giornale L’Humanité ed aveva partecipato, nel 1905, alla fondazione della Sezione Francese dell’Internazionale Operaia (SFIO), che riuniva le principali tendenze socialiste francesi. Dal 1905 si schiera contro la politica coloniale e la guerra, e nel 1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, si impegna per evitare la guerra. Jaurès era un riformista, da sempre ostile ai sindacalisti rivoluzionari e agli anarchici – nel 1896 al Congresso dell’Internazionale socialista a Londra, prese posizione in modo forte per l’espulsione definitiva degli anarchici dall’Internazionale – la storia di Jaurès è la storia del fallimento dell’Internazionale socialista di fronte alla guerra, che ha rivelato la tendenza della socialdemocrazia a perseguire la via parlamentare e di governo a qualsiasi costo, anche del massacro di milioni di proletari. Subito dopo la sua morte infatti la sinistra francese, ed in particolare la SFIO e la CGT (sindacato, Confederazione Generale del Lavoro), si schierarono a sostegno della guerra per difendere la Francia, mentre già alla fine di agosto alcuni socialisti entrarono nel governo di unità nazionale. I funerali di Jaurès, il 4 agosto 1914, all’indomani della dichiarazione di guerra della Germania, che vedono la partecipazione del Presidente del Consiglio, alte cariche dello Stato, e esponenti del governo a fianco dei principali leader sindacali e della sinistra, diventano la prima manifestazione dell’“Union Sacrée”, la sacra unione del popolo francese di fronte alla guerra.

Si tratta di eventi estremamente distanti tra loro, separati da cento anni, che vedono protagonisti personaggi completamente differenti. Ma i metodi impiegati dal potere per serrare le fila sono sempre gli stessi.

Il lavoro editoriale di Charlie Hebdo, come abbiamo già detto, presenta non poche contraddizioni. Tuttavia le vignette fortemente dissacranti nei confronti della religione islamica e dei suoi simboli non bastano a rendere la testata assimilabile né dalla destra razzista di Le Pen né dal socialismo guerrafondaio di Hollande. Il vecchio Jean-Marie Le Pen infatti ha dichiarato di non essere disposto a dare la propria solidarietà ad un giornale dallo “spirito anarco-trotzkista che rimuove la morale”. Charlie Hebdo non era allineabile negli schieramenti imposti dall’ideologia dello scontro tra l’occidente cristiano e l’oriente islamico, anche perché finché si ride di sé stessi e del nemico, lo scontro di civiltà non è credibile, diventa ridicolo. La guerra invece è una cosa seria.

Per questo Charlie Hebdo rappresentava un ostacolo, quanomeno sul piano culturale, per tutti coloro che, in entrambe gli schieramenti, hanno da guadagnare da un ulteriore consolidamento dell’ideologia dello scontro di civiltà. La strage del 7 gennaio non solo ha abbattuto tale ostacolo, ma ha reso possibile la celebrazione di una nuova “Union Sacrée”, nel nome della Repubblica, contro la “barbarie” islamista.

Chi ci guadagna da questi eventi quindi sono non tanto e non solo le formazioni politiche apertamente nostalgiche e xenofobe dell’estrema destra. Sono quei governi che in Europa attraverso politiche fortemente autoritarie e la coesione sociale attorno agli interessi della classe dominante, vogliono imprimere un’accelerazione ai profitti dei capitalisti e vogliono avere mano libera per intraprendere nuove avventure militari. Così come, sull’altra sponda del Mediterraneo, a guadagnarci sono quelle forze, sia di stampo oscurantista religioso sia laiche, che a capo di governi autoritari assicurano la salvaguardia degli interessi delle potenze nei rispettivi paesi; sono quelle forze che in nome della legge di dio o dell’ordine statale combattono ogni potenziale rivoluzionario emerso dalle insurrezioni degli ultimi anni in quei paesi, forze che i compagni laggiù proprio per il loro ruolo controrivoluzionario spesso chiamano “fascisti”.

Per ora però questa nuova unione sacra sembra alquanto scalcinata rispetto a quella del 1914, neanche l’informazione pervasiva e totale dei nostri giorni riesce a mascherare le polemiche tra i partiti sorte a margine della parata di Parigi, e si vedrà cosa resterà di concreto dopo le grandi celebrazioni.

Certo è che da domani il controllo sociale e la militarizzazione saranno rafforzati e questo significherà maggiore repressione per tutti gli sfruttati e per chi lotta al loro fianco. Un aumento della violenza del potere nella società, che corre in parallelo alla banalizzazione della guerra operata dai media ufficiali.

Qualunque siano gli sviluppi della situazione, la foto di gruppo della testa della “marcia repubblicana” di Parigi ci mostra l’urgenza dell’unità di classe, della solidarietà tra gli sfruttati, perché solo in questo modo è possibile sbarrare la strada ad ulteriori attacchi alla classe lavoratrice, a nuove misure repressive, ad una nuova guerra.

Dario Antonelli

 

questo articolo sarà pubblicao sul prossimo numero del settimanale anarchico Umanità Nova

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A 150 anni dalla nascita di Pietro Gori: Perciò siamo ribelli!

La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario a centocinquant’anni dalla nascita del compagno anarchico Pietro Gori, nato il 15 agosto 1865, vogliono ricordarne l’impegno rivoluzionario e affermare l’attualità del suo pensiero e della sua azione.

Segue il testo del volantino che sarà distribuito nei prossimi giorni in occasione di “Perciò fummo ribelli”, le iniziative di celebrazione per Pietro Gori organizzate dal Comune di Rosignano Marittimo.

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Perciò siamo ribelli!
“La realtà è che i governi esistono oggi, col pretesto di garantire l’ordine, perché questo non è l’ordine vero. Se fosse veramente ordine non avrebbe bisogno di armi e di manette, della violenza autoritaria dell’uomo sull’uomo per reggersi! Tutto all’opposto di ciò che credono i più, l’ordine difeso contro di noi, iconoclasti impenitenti, contanta profusione di leggi restrittive della libertà e di gendarmi, è il caos legalizzato, la confusione regolamentata, la iniquità codificata, il disordine economico, politico, intellettuale e morale eretto a sistema. Si dice che le leggi ed i governanti che le eseguono, son là a mantenere l’ordine nell’interesse dei deboli contro i forti. Ma chi è che ci crede sul serio? Chi è che non vede che dappertutto avviene tutto il contrario? Ditemi, per esempio, in quale sciopero, in quale conflitto fra capitale e lavoro, le forze del governo hanno seriamente difeso gli operai, che sono i più deboli, contro i loro padroni che sono i più forti?”

Pietro Gori , Il vostro “ordine” e il nostro “disordine”,1896

 

Le idee anarchiche di Pietro Gori, così lucidamente esposte in una conferenza tenuta a S. Francisco nel 1896, sono ancora oggi attuali. E allora, a chi vorrebbe rinchiudere le sue idee nella bacheca, magari dorata, della storia, poniamo la questione:
Da che parte starebbe oggi Pietro Gori, avvocato in tanti processi a carico di lavoratori che non avevano altra colpa che  quella di battersi per la libertà, la giustizia e l’eguaglianza? Sarebbe dalla parte dei militanti NO TAV che vengono trattati come criminali solo perché difendono la loro terra da chi vuole lucrare su un’opera inutile e dannosa, dalla parte di coloro che rivendicano il diritto ad una casa decente, dalla parte di coloro che difendono l’ambiente dall’assalto di multinazionali che minano territorio e salute, ecc.
Da che parte starebbe oggi Pietro Gori, che il primo maggio1890 fu fra gli organizzatori del primo sciopero generale a Livorno, e per questo fu incarcerato? Sarebbe dalla parte dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati che lottano per un salario e condizioni di lavoro migliori, contro governi e padroni che tengono artificiosamente alto il tasso di disoccupazione per tener bassi i salari, per fare del precariato una normalità, per avere mano libera sui posti di lavoro, sarebbe con chi lotta per l’abolizione della proprietà privata e di ogni forma di sfruttamento.
Da che parte starebbe oggi Pietro Gori, che visse per anni in esilio entrando in contatto da pari a pari con popoli di mezzo mondo? Sarebbe dalla parte di migranti e profughi, i più sfruttati e perseguitati, sulla pelle dei quali i governanti fanno affari d’oro. Sarebbe dalla parte di coloro che in ogni paese lottano per la libertà e l’uguaglianza, per l’abolizione delle frontiere e dei governi, sarebbe al fianco di chi costruisce esperienze di autogoverno e autogestione come quella di Kobane e della Rojava in Kurdistan.
PER QUESTO FUMMO ANARCHICI CENTO ANNI FA, PER QUESTO SIAMO ANARCHICI OGGI!
Federazione Anarchica Livornese
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it
Collettivo Anarchico Libertario
collettivoanarchico@hotmail.it
http://collettivoanarchico.noblogs.org

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Donne Anarchiche: “Lunga vita alla Libertà, Lunga vita all’Anarchismo!”

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Donne Anarchiche: “Lunga vita alla Libertà, Lunga vita all’Anarchismo!”

Recentemente, le Donne Anarchiche partecipando alla Conferenza delle Giovani Donne, nel piccolo villaggio di Amara che è ad Urfa (Kurdistan), hanno fatto un discorso sulla resistenza a Kobane, sull’influenza delle donne su questa resistenza e la lotta per la libertà delle donne.

Nella conferenza in cui varie organizzazioni femmenili da numerose località del Kurdistan, Merve Demir ha fatto un discorso a nome della Donne Anarchiche. Nel suo discorso ha messo in evidenza la violenza dello Stato e degli uomini nella vita quotidiana delle donne. Ha anche fatto alcuni esempi riguardo alla lotta delle donne contro questa violenza. Demir, nel suo discorso in curdo, ha dichiarato che le donne delle YPJ che resistono a Kobane, non stanno solo resistendo all’ISIS ma anche alla violenza degli uomini e del governo che opprime le donne e le tratta come se fossero invisibili.

Nel suo discorso Merve Demir ha detto che la donna può liberarsi solo in un nuovo mondo in cui esse possano organizzare relazioni senza potere e ha concluso il suo discorso con la frase: “Lunga vita alla libertà! Lunga vita all’Anarchismo!”

Dopo la conferenza, le Donne Anarchiche sono andate al piccolo villaggio chiamato Mahser, che è situato vicino il confine di Suruc, ed hanno partecipato alla commemorazione che era stata organizzata in memoria del Massacro di Roboski. Nel corso dell’incontro in cui la popolazione ha commemorato le trentaquattro vittime che furono massacrate dal bombardamento dello Stato, le donne hanno maledetto quel massacro ed hanno detto con forza che andranno avanti con la lotta.

Dopo la commemorazione, le Donne Anarchiche hanno incontrato i loro compagni che sono membri dell’Azione Anarchica Rivoluzionaria (DAF) e sono al villaggio di Mahser sin dai primi giorni della Resistenza di Kobane, e hanno portato dei pacchi che erano stati inviati da luoghi diversi al magazzino locale con lo scopo di estendere la solidarietà.

 

28/12/14

 

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E’ scomparso il compagno Giuseppe Ceccanti, i funerali si terranno mercoledì 24 dicembre alle ore 10

La Federazione Anarchica Livornese comunica la scomparsa del compagno Giuseppe Ceccanti, più conosciuto come Beppino, che si è spento all’età di 84 anni dopo una lunga malattia. Di famiglia antifascista, si avvicinò al movimento anarchico nel 1956, dopo i fatti di Ungheria, partecipando alle iniziative della Federazione Anarchica Livornese finché la salute glielo ha consentito. In ogni lotta, in ogni mobilitazione ha portato il suo contributo attivo e il suo spirito ironico e battagliero al tempo stesso. Gli anarchici lo ricordano con affetto fraterno e si stringono attorno al dolore dei familiari. I funerali si svolgeranno mercoledì 24 dicembre alle ore 10 con partenza dalla Camera mortuaria dell’ospedale di Livorno verso il cimitero dei Lupi, dove avverrà la cremazione. Era sua esplicita volontà che fosse accompagnato dai compagni con le bandiere anarchiche.

Per la commissione di corrispondenza

Tiziano Antonelli

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Grecia: Sugli avvenimenti del 6 dicembre 2014

Pubblichiamo due comunicati sui fatti avvenuti il 6 dicembre 2014 ad Atene, durante le manifestazioni in memoria di Alexis e in solidarietà a Nikos Romanos.

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Sugli avvenimenti del 6 dicembre 2014

Solidarietà con gli anarchici in sciopero della fame

Solidarietà agli arrestati durante i fatti del 6 Dicembre 2014

Ieri, 6 Dicembre 2014, sono passati sei anni dal’assassinio a sangue freddo del sedicenne Alexandros Grigoropoulos da parte dello sbirro Korkoneas.

Questo anniversario coincide con lo sciopero della fame del ventunenne anarchico Nikos Romanos che richiede la licenza d’uscita per frequentare i corsi presso un istituto statale di istruzione superiore.

Il giorno e la notte migliaia di persone hanno manifestato per le strade di molte città della Grecia. Dopo la manifestazione pomeridiana (eccezionalmente massiccia) nel centro di Atene sono seguiti scontri e combattimenti di molte ore, soprattutto nella zona di Exarchia. La polizia ha fatto circa 200 fermi, di cui 43 sono stati convertiti in arresti. Alcune delle persone arrestate sono accusate anche di crimini-delitti gravi, e sono ancora detenute nel palazzo della Direzione Generale di Polizia di Atene.

Scontri tra anarchici/anti-autoritari e le forze di repressione ci sono stati anche in molte altre città, come Salonicco, Patrasso, Volos, Larissa, Ioannina, Agrinio, Mitilini, Heraklion, Chania, Kalamata e altrove. A Patrasso, ci sono stati sei arresti (di cui due pure con accuse di crimini-delitti gravi), a Thessaloniki diciassette, ad Agrinio tre. I fermi, nelle città fuori Atene, sono stati circa un centinaio.

Ancora una volta, lo Stato ha tentato di scatenare il terrore con l’imposizione del cosiddetto regime di “tolleranza zero”, caricando i cortei, fermando manifestanti, addossando imputazioni aggravate e vendicative sugli arrestati.

Ancora una volta, i governanti hanno torto. Non otterranno null’altro con l’imposizione di uno stato poliziesco, che diffondere ed intensificare ancora di più i focolai di resistenza, in tutto il territorio greco. Il loro meccanismo di reppresione non fa altro che provocare l’espansione dell’ondata sovversiva.

La speranza si trova nell’atteggiamento combattente e intransigente degli anarchici in sciopero della fame Nikos Romanos (dal 10/11), Jannis Michailidis (dal 17/11), Andreas Bourzoukos e Dimitris Politis (dal 1/12).

La speranza si trova nelle migliaia di persone che hanno marciato e che manifestano nelle strade di tutto il territorio greco contro lo stato e la barbarie capitalista.

La speranza si trova nelle decine di focolai di resistenza creati nei municipi, università e camere del lavoro occupate.

La speranza si trova nei quartieri di Istanbul, dove compagni turchi hanno marciato e si sono scontrati con la polizia antisommossa locale, per le strade di Ferguson ed altrove, ovunque delle persone si trovino nelle strade della Rivolta.

Gruppo dei Comunisti Libertari, Atene

07/12/2014
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Durante gli eventi del 6 dicembre ad Atene, sono stati arrestati quattro compagni/e del’ Officina Eutopica. I compagni/e sono stati arrestati, insieme ad altri quindici, all’esterno dell’edificio occupato della GSEE [n.d.t. Confederazione nazionale dei sindacati del settore privato].

È importante descrivere i fatti successi fuori dal’edificio occupato della GSEE per evidenziare il modo pesante nel quale ha agito ancora una volta la polizia e la “giustizia”.

Poco dopo le nove di sera e dopo che dei poliziotti in borghese incappucciati hanno subito un attacco nelle vicinanze, orde di poliziotti in moto hanno dato la caccia alla gente presente sul posto ed hanno proceduto indiscriminatamente a fermi ed arresti. Poi hanno tramutato tutti i fermi in arresti ed addossato in concorso a tutti e 19 gli arrestati i delitti di lesioni di persona gravi, rapina (uno dei poliziotti ha sostenuto che gli è stato rubato del denaro che aveva addosso) e il reato di disturbo della quiete pubblica.

Oltre quindi agli arresti completamente ingiustificati e vendicativi dei 19, i quali sono stati perpetrati in una logica di “rappresaglia” mafiosa per il fatto di esser riusciti a cacciare i poliziotti in borghese, è stato costruito un atto d’accusa montato ad arte, che ha come solo obiettivo, dato che ovviamente non reggerà in tribunale, quello di intimidire la gente che si trova in piazza. Già l’accusa di delitto per presunte lesioni di persona gravi è stata dimostrata del tutto infondata ed il delitto è stato per forza declassato a reato, lasciando naturalmente il delitto di rapina in concorso tra i 19 solo per soddisfare la vendetta della polizia e per fare degli arrestati degli ostaggi, dato che ora sono in custodia in attesa di processo.

I tentativi di terrorizzarci, sia per le strade che nei tribunali, come è stato dimostrato tante e tante volte, cadranno sempre nel vuoto.

Da parte nostra, ci troviamo accanto ai nostri compagni e compagne, insieme a tutte le persone arrestate, accanto a coloro che lottano.

Officina Eutopica

07/12/2014

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Solidarietà a Nikos Romanos, dal 9 novembre in sciopero della fame nelle carceri dello stato greco

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Aggiornamento sulla lotta di Nikos Romanos 3/12/2014
Gli ultimi giorni, crescono quotidianamente in numero le dimostrazioni di solidaretà al compagno Nikos Romanos che si trova al 23° giorno di sciopero della fame per difendere il suo diritto all’educazione, ed a Iraklis Kostaris.
Ieri, un grandissimo corteo di solidarieta (foto e video qui: https://athens.indymedia.org/post/1535405/ ) ha sfilato per le strade di Atene e si è scontrato con la polizia (molti feriti, 14 arrestati). Lo stesso in molte città della Grecia. Il politechnico di Atene [comunicato stampa in inglese], la Camera del Commercio a Chania, il Municipio a Iraklio sono state occupate dai solidali. Da notare che il corteo di Atene, si è fermato per poco a Syntagma, davanti ai profughi Siriani in lotta (molti di loro pure in sciopero della fame) per il loro diritto di poter procedere verso il resto del Europa esprimendo con cori la solidarietà alla loro causa.   
Solidarietà a Nikos Romanos, ha espresso anche Syriza (che ha fatto appello al ministro della giustizia per risolvere la situazione dando al compagno la possibilità di frequentare i corsi sotto “licenze d’uscita” a libertà vigilata, ricevendo ovviamente una risposta negativa) e la gioventù del Pasok.
Nikos Romanos, era il ragazzo, al tempo quindicenne, tra le braccia del quale era spirato il suo migliore amico, Alexis Grigoropoulos, sei anni fa, il 6 Dicembre 2008.
Nikos, che è stato ammesso al Istituto Technico di Pireo (TEI Pirea) in teoria avrebbe diritto a licenze d’uscita giornaliere per poter frequentare il corso, il quale prevede presenze obbligatorie per poter partecipare agli esami. Per essere amesso ad un corso universitario in Grecia, bisogna dare degli esami abbastanza difficili, ed è considerato un piccolo miracolo riuscire a prepararsi per tali esami in prigione, tanto che il Presidente della Repubblica Greca Karolos Palulias ha deciso di premiare Nikos ed altri 4 detenuti per esserci riusciti. Nikos ha rifiutato pubblicamente il premio, cosa che, molto probabilmente, ha accresciuto l’ostilita del apparato giudiziario verso di lui; Una settimana dopo, il consiglio giudiziario a rifiutato la sua richiesta di poter frequentare i corsi.
Da notare che, dopo l’ultima riforma legislativa sull’educazione, il tempo per poter laurearsi, dal momento dell’ammisione e limitato, e il Rettore del TEI Pireo ha gia rilasciato una dichiarazione stampa dichiarado che Nikos, anche se comincia a frequentare domani, ha già perso il semestre per mancata presenza ai corsi obbligatori e che comunque la soluzione di frequentare i corsi a distanza via teleconferenza (proposta del ministro della giustizia Athanasiu per poter fermare l’escalation delle manifestazioni di solidarietà) non è attuabile. 
Iraklis Kostaris, membro del gruppo rivoluzionario 17 Novembre, si trova pure lui nella stessa situazione.
Il compagno Nikos, si trova in questo momento sotto la sorveglianza di decine di poliziotti al Ospedale Genimatas di Atene. Secondo il bollettino medico, Nikos ha già serii danni alla salute per via dello sciopero della fame.  Il personale medico del Ospedale ha gia fatto una dichiarazione stampa, nella quale dichiara fermamente che nessun dottore accetterà di collaborare all’ alimentazione forzata di Nikos (come ordinato dal Consiglio Giudiziario).
 
Nikos, ogni giorno che passa, dimostra che la lotta per l’istruzione puo essere un’azione altamente rivoluzionaria, tanto importante che valga la sua vita.
Sosteniamo la lotta di Nikos in ogni modo possibile.
 
gruppo comunisti libertari di atene

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Ovunque Kobanê, Ovunque Resistenza! Resistenza e rivoluzione in Rojava, il ruolo degli anarchici.

Ovunque Kobanê, Ovunque Resistenza!
Resistenza e rivoluzione in Rojava, il ruolo degli anarchici.

Venerdì 12 dicembre
presso la Federazione Anarchica Livornese
Via degli Asili 33

ore 20 aperitivo

ore 21 conferenza e dibattito

sarà proiettato il video “Her yer Kobanê, Her yer Direniş!”

di Giacomo Sini

“Da due anni a questa parte le fondamenta della rivoluzione sociale sono in fase di sviluppo in Rojava, il Kurdistan occidentale. Sostenendo questo, è difficile ignorare il fatto che alla base dell’attacco contro Kobanê ci sono gli interessi politici dello Stato Turco e del capitalismo globale.”

dal giornale anarchico “Meydan”, Novembre 2014

Dallo scorso settembre è sotto assedio la città di Kobanê, nella Rojava, a ridosso del confine con la Turchia. La cità è attaccata dalle forze dello Stato Islamico (ex ISIS) che vuole imporre nella regione un regime autoritario e oscurantista. Lungo il confine l’esercito turco ha dispiegato un’ingente schieramento di truppe e carri armati, chiudendo di fatto l’assedio a Kobanê. In questo modo il governo turco sostiene l’attacco dello Stato Islamico e cerca di isolare la città, impedendo il passaggio dei riformimenti verso la città assediata, bloccando con la violenza quello dei civili in fuga e dei feriti verso il territorio turco e garantendo invece la sicurezza per il passaggio dei rifornimenti destinati allo Stato Islamico. Il governo di Ankara puntava su una rapida vittoria dello Stato Islamico, che avrebbe rafforzato l’influenza dello stato turco, avrebbe messo seriamente in discussione l’autonomia della Rojava, e sarebbe stata un duro colpo per la lotta del popolo curdo per la libertà, non solo in Siria ma anche in Turchia. Negli ultimi due anni infatti nella Rojava la pratica della democrazia radicale nelle assemblee territoriali, il protagonismo delle donne e il riconoscimento della pluralità del movimento, hanno gettato le basi per una rivoluzione che può estendersi ben oltre la Rojava ed il Kurdistan.
La resistenza condotta a Kobanê dalle YPG (Unità di Difesa del Popolo, milizia del partito curdo PYD) ha fatto saltare i piani del governo turco. Ma anche la solidarietà al confine ha giocato un ruolo centrale. Senza le migliaia di persone giunte da tutta l’Anatolia e da molti paesi per organizzare la solidarietà nei villaggi di confine l’esercito turco avrebbe totalmente isolato la città. Tra i solidali, assieme ai gruppi dela sinistra rivoluzionaria turca e ai partiti e movimenti curdi, ci sono anche gli anarchici del gruppo DAF (Azione Anarchica Rivoluzionaria, gruppo anarchico di Istanbul), che oltre a dare un contributo politico specifico a questa lotta, hanno partecipato alle azioni di solidarietà lungo il confine che hanno spezzato l’isolamento di Kobanê, permettendo il passaggio di persone e rifornimenti, nonostante i continui attacchi della polizia militare turca.

Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario

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La resistenza di Kobanê continua. Lo stato turco impiega ogni mezzo contro la rivoluzione

La resistenza di Kobanê continua

Lo stato turco impiega ogni mezzo contro la rivoluzione

Alle prime ore del mattino di sabato 29 novembre, nei pressi di Mürşitpınar un camion carico di esplosivo salta in aria ed alcuni combattenti delle YPG/YPJ restano uccisi, mentre altri sono feriti. Mürşitpınar è la località in cui si trova il valico di frontiera tra la Turchia e la Siria che attualmente collega il territorio turco al cantone di Kobanê della Rojava. Da Mürşitpınar transitano quei pochi aiuti umanitari per Kobanê che l’esercito turco, presente in forze a controllare la frontiera, lascia passare.

Secondo l’Özgür Gündem, quotidiano vicino alla causa curda pubblicato in Turchia, testimoni affermano che l’attacco proveniva dal territorio turco. Il camion carico di esplosivo avrebbe quindi superato al valico di frontiera i rigidi controlli dei militari turchi, che lo avrebbero lasciato passare verso Kobanê come un trasporto di aiuti umanitari. Contemporaneamente ci sono stati attacchi con autobomba anche nella zona occidentale ed in quella orientale della città, mentre da sud le truppe dello Stato Islamico (ISIS) hanno attaccato con mortai ed armi pesanti. Si è quindi trattato di un preciso piano d’attacco in cui lo stato turco ha avuto un ruolo diretto. Nel corso del mese di novembre le forze assedianti hanno perso terreno e adesso lo Stato Islamico controlla solo il 20% della zona, questo spinge il governo turco a intervenire in modo sempre più diretto, come abbiamo visto nelle scorse settimane con i sempre più violenti attacchi alla popolazione nei villaggi di confine e a tutti coloro che organizzano in quelle zone la solidarietà. È in questo contesto che il 6 novembre scorso è stata uccisa Kader Ortkaya dai proiettili della polizia militare turca.

Per denunciare ancora una volta il diretto sostegno del governo di Ankara alle forze dello Stato Islamico si sono tenute il 30 novembre manifestazioni in molte città della Turchia, soprattutto nelle città del Kurdistan. A Diyarbakır ci sono stati duri scontri con la polizia ed un bambino è rimasto gravemente ferito. Lungo il confine hanno manifestato migliaia di persone facendo sentire il loro sostentegno ala resistenza di Kobanê. Ci sono state manifestazioni anche ad Istanbul; nel quartiere di Kadıköy un corteo al quale ha partecipato anche il gruppo anarchico DAF, partito dal mercato scandendo tra gli altri lo slogan “Kobanê sarà la tomba del fascismo!”, è stato attaccato dalla polizia con lacrimogeni e proiettili di gomma, i manifestanti hanno risposto lanciando fuochi d’artificio.

Questi fatti non sono che l’ennesima dimostrazione del sostegno del governo turco allo Stato Islamico.

Agli inizi di ottobre la determinata resistenza di Kobanê aveva fatto saltare i piani dello stato turco, che contava su una rapida caduta della città nelle mani delle truppe dello Stato Islamico per infliggere un duro colpo ai movimenti curdi e al processo rivoluzionario avviato in Rojava che rischia di estendersi anche in Turchia. Tra il 6 e il 9 ottobre scorso in Turchia un’ondata di proteste in solidarietà a Kobanê aveva assunto carattere insurrezionale e, con l’attacco ad edifici pubblici, municipi, sedi del partito di governo AKP, aveva smascherato le responsabilità del governo di Ankara nel supportare lo Stato Islamico, che iniziarono almeno in parte ad emergere pure sui media ufficiali. Nel corso di tali proteste vennero uccisi 46 dimostranti. La maggior parte di essi non fu uccisa dalla polizia ma dai sicari di Hizbullah o da altre formazioni paramilitari religiose protette dal governo turco, che in quei giorni erano spesso in piazza a fianco della polizia.

Già allora era chiaro a tutti che l’ingente schieramento di uomini e mezzi da parte dell’esercito turco lungo la linea di confine vicino a Kobanê non aveva né lo scopo di proteggere i cittadini turchi né tantomeno quello di intervenire militarmente contro lo Stato Islamico. Il governo di Ankara aveva schierato l’esercito per isolare Kobanê, chiudendo di fatto l’assedio della città già condotto su tre fronti dallo Stato Islamico, al fine di impedire il passaggio di aiuti e rifornimenti per i resistenti.

Il governo turco utilizzerà qualsiasi mezzo possibile per impedire che si sviluppi un processo rivoluzionario nell’intera regione. Per questo è importante sostenere la resistenza di Kobanê, affinché la rivoluzione possa estendersi, senza stati né confini, oltre la Rojava ed il Kurdistan.

Dario Antonelli

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 37 di Umanità Nova.

A Livorno puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Garibaldi, Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via della Madonna, il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

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Sabato 29: CONTRO IL DISASTRO SOCIALE ED AMBIENTALE SOLIDARIETA’, AUTOGESTIONE, AZIONE DIRETTA! ASSEMBLEA+APERITIVO

CONTRO IL DISASTRO SOCIALE ED AMBIENTALE
SOLIDARIETA’, AUTOGESTIONE, AZIONE DIRETTA!
FACCIAMO COME A CARRARA!

Assemblea cittadina sabato 29 novembre, alle ore 17,00 presso la sede della Federazione Anarchica Livornese, in Via degli Asili 33.

Interverranno lavoratori e militanti dei sindacati di base, parteciperà un membro dell’Assemblea Permanente di Carrara

A SEGUIRE APERITIVO E BUFFET



CONTRO IL DISASTRO SOCIALE ED AMBIENTALE
SOLIDARIETA’, AUTOGESTIONE, AZIONE DIRETTA!

La disoccupazione a Livorno sta assumendo le dimensioni di un disastro: per migliaia di lavoratori l’insicurezza sta lasciando il posto al licenziamento.
Si tratta di un dramma che si scarica sulle vittime, i lavoratori, mentre i responsabili, politici, amministratori, capitalisti, sono sempre al loro posto. Anche i dirigenti dei sindacati pronta-firma, protagonisti delle vicende più vergognose, dallo smantellamento del Cantiere Navale alla truffa della Delphi, cercano di rifarsi una verginità agli occhi dei lavoratori.

Gli anarchici livornesi sono al loro posto, al fianco degli altri sfruttati, nella lotta contro i ricatti, per mezzo dell’azione diretta e dell’autorganizzazione.
Ci hanno detto che la difesa della salute e dell’ambiente avrebbe portato alla chiusura delle fabbriche, ci hanno detto che la lotta sul posto di lavoro avrebbe fatto scappare gli investitori, ci hanno detto che la precarietà era la strada per difendere l’occupazione: ora che la fabbriche sono chiuse o stanno chiudendo ci troviamo la provincia più inquinata d’Italia, i redditi più bassi, migliaia di livornesi che emigrano per trovare un posto di lavoro.
Questo è il risultato della politica di collaborazione di classe di CGIL, CISL e UIL, dei partiti parlamentari, del Comune e della Provincia. E la soluzione non è certo cercare un nuovo Rossignolo, che farà i bagagli non appena i profitti che estorcerà dagli operai livornesi non saranno all’altezza delle sue aspettative.

A Livorno non c’è solo la distruzione provocata dal capitalismo e dalle istituzioni, locali e nazionali; ci sono lavoratori che si organizzano, delegati di base e sindacati combattivi che non si lasciano travolgere dalla rassegnazione e dalla subordinazione agli interessi del nemico di classe. Noi pensiamo che si debba partire da quelle esperienze, ci voglia un percorso di organizzazione alternativa, ci voglia una rottura del quadro politico che metta il movimento dei lavoratori e le loro organizzazioni al centro della scena.
La soluzione della crisi è nelle mani dei lavoratori: o accettare il ricatto che i padroni e i loro servi politici e sindacali fanno loro, subendo la diminuzione dei diritti, dei salari e l’aumento dell’orario di lavoro, oppure prendere in mano quelle aziende che i padroni hanno portato al fallimento, producendo per se e per la collettività, e non per qualche parassita che non ha mai lavorato.

E’ possibile questo?
A Carrara i cittadini hanno sperimentato sulla loro pelle il disinteresse delle istituzioni: un’alluvione all’anno! Alla fine i cittadini hanno occupato il comune e dato vita all’Assemblea permanente, con lo scopo di trasformare la rabbia e la protesta in un percorso di autogestione che esautori chi governa la città e chi aspira a prenderne il posto.
Anche a Livorno ci troviamo di fronte ad un disastro, un disastro occupazionale, e i protagonisti sono gli stessi! Gli anarchici, lavoratori fra lavoratori, pensano che sia giunto il momento di riprendere il nostro destino nelle nostre mani.

Per la difesa del reddito proletario, messo a rischio dai tagli alla Cassa Integrazione in deroga e alla mobilità previsti dal decreto “Salva Italia”;
per distribuire il lavoro esistente fra occupati e disoccupati;
per sostituire l’autogestione dei lavoratori e dei cittadini della produzione, alla gestione capitalistica e statale, che proprio con la disoccupazione dimostra il suo fallimento.

FACCIAMO COME A CARRARA!

Assemblea cittadina sabato 29 novembre, alle ore 17,00 presso la sede della Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33

Interverranno lavoratori e militanti dei sindacati di base, parteciperà un membro dell’Assemblea Permanente di Carrara

COLLETTIVO ANARCHICO LIBERTARIO
FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE

 

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