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Associazione a delinquere per gli anarchici

da: Umanità Nova, n.9 dell’11 marzo 2012 – www.umanitànova.org

I ferri vecchi della reazione

Incapace di venire a capo della resistenza popolare in Val Susa, e della solidarietà crescente che riceve in ogni parte del paese, il governo Monti penserebbe a nuove misure repressive nei confronti dei ribelli.

Lo annuncia Liana Milella in un articolo pubblicato su “La Repubblica”
(http://www.repubblica.it/politica/2012/03/04/news/e_il_viminale_studia_le_contromosse_associazione_a_delinquere_per_i_ribelli-30907058/?ref=HREC1-2): gli alti papaveri del Governo e della polizia sono preoccupati per l’opposizione popolare al progetto del TAV, e per le conseguenze che l’azione repressiva potrebbe avere nel rinfocolare la resistenza e la solidarietà.
In realtà, per applicare la tradizionale politica del bastone e della carota, manca al Governo qualsiasi carota da offrire al movimento, carota che non si trasformi in una sconfitta per la lobby delle costruzioni ferroviarie legata alla direzione del PD, e in particolare nei legami politici molto stretto tra il presidente del comitato parlamentare di vigilanza sui servizi segreti (Copasir) Massimo D’Alema e Maria Rita Lorenzetti, ex presidente della regione Umbria e attuale presidente dell’Italferr.

La paura che fa Baffo di Ferro per Monti e il suo governo è maggiore di quella che fa il movimento popolare; per questo i dossier che sono sul tavolo del ministro degli Interni l’unica via d’uscita che viene prefigurata è quella
dell’accentuazione della repressione: associazione a delinquere per gli anarchici, l’arresto differito, il reato di blocco ferroviario.

Nell’articolo si afferma che “gli anarchici torinesi, in una scala di pericolosità, si collocano al livello più alto.”, e conclude: “le richieste delle forze di polizia sono ben precise. Innanzitutto un’interpretazione più ampia del 416, l’associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, applicabile anche agli anarchici che pure rifiutano l’etichetta di gruppo associativo. Poi l’arresto differito per chi commette reati in piazza. Infine un ritorno al reato di blocco stradale e ferroviario”.

Se si da un’occhiata alla storia, possiamo vedere che le ondate repressive contro il movimento anarchico hanno prima o poi coinvolto tutte le componenti del movimento operaio e popolare, con morti, arresti, confino e chiusura di organizzazioni.

E’ accaduto nel 1894 con le leggi antianarchiche del governo Crispi, è successo durante il fascismo con il codice Rocco, è successo nel 1969 con la strage di piazza Fontana e l’assassinio di Giuseppe Pinelli. E non si può dire che la
repressione abbia raggiunto il suo scopo: la malapianta dei malfattori è risorta più forte di prima dalle sue ceneri.

Chi sperava di garantirsi un’immunità dissociandosi dagli anarchici ha pagato a caro prezzo la sua illusione: al tempo delle leggi antianarchiche, Filippo Turati,
parlamentare socialista, cercava di stornare la repressione nei confronti del suo partito ricordando i meriti nella lotta contro l’anarchismo. Pochi mesi dopo, il governo scioglieva anche il neonato partito socialista, chiudeva le sedi e proclamava lo stato d’assedio in mezza Italia. Quasi vent’anni dopo, gli stessi dirigenti socialisti tentarono la pacificazione con il partito fascista, riuscendo solo a disorientare i militanti proletari e a dare un nuovo esempio di tradimento.

Stiano attenti, i leader democratici e sindacali, ad avallare la politica antianarchica del Governo: i “normalizzatori” troveranno sicuramente argomenti per colpire altri non allineati.

Da parte nostra, non cesseremo il nostro lavoro di propaganda e di organizzazione: il governo, con la sua politica autoritaria e classista, dimostra ogni giorno la validità delle nostre argomentazioni.

Tiziano Antonelli

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NO TAV: resistenza e solidarietà

Sono state giornate di resistenza e solidarietà.
In Val di Susa sono iniziati da lunedì 27 febbraio gli espropri dei terreni per ampliare il cantiere dell’alta velocità ferroviaria. Per questo la Valle è stata invasa per l’ennesima volta da mezzi e uomini delle forze dell’ordine.
Quella che il Governo propaganda come una azione necessaria per garantire la prosecuzione dei lavori per il TAV, è in realtà un’occupazione militare dallo scopo puramente repressivo, organizzata per difendere gli interessi dei padroni del cemento e del tondino che vedono moltiplicare i propri profitti grazie al TAV.
Il cosiddetto “cantiere”, aperto a colpi di manganelli e gas lacrimogeni questa estate, non è altro che un fortino chiuso da mura, reti, recinzioni e filo spinato. Centinaia di uomini armati a guardia di un cantiere fantasma, in cui nessun lavoro è mai cominciato. Lo stesso avvocato D’Amelio che fa parte del pool di avvocati della LTF (Lyon Turin Ferroviaire), la società incaricata di promuovere la realizzazione de TAV Torino-Lione, afferma: “Il cantiere non esiste, o meglio, esiste un cantiere nel senso della delimitazione territoriale. Non esiste un cantiere attrezzato e operativo.”
Le operazioni di polizia di questi giorni quindi non serviranno a far procedere i lavori, perché i lavori neanche sono cominciati. Perché il cantiere non è neanche attrezzato per lavorare!
E’ chiaro allora che quella che si sta svolgendo in Val di Susa è un’operazione repressiva e nient’altro.
Il movimento popolare NO TAV è infatti un esempio per tutte le lotte popolari contro gli ecomostri, per la salute e la difesa dei territori, ma anche contro la crisi e lo sfruttamento, contro la repressione.
E’ un esempio che fa paura ai potenti.
Per questo, lo scorso 26 gennaio, con un’operazione che ha portato all’arresto di 26 compagne e compagni NO TAV lungo tutta la penisola, si è cercato per l’ennesima volta di criminalizzare il movimento e di dividere la protesta. Ma è stato inutile. La risposta è stata decisa e popolare.
Infatti in Val di Susa sabato 25 febbraio oltre 80000 persone hanno attraversato gli 8 km che separano Bussoleno da Susa, una grande dimostrazione di forza del movimento NO TAV che da anni si oppone al devastante ed inutile progetto di costruzione della linea dell’Alta Velocità ferroviaria.
Una dimostrazione di forza che il Governo e le mafie del TAV non hanno accettato. Per questo già dalla sera di sabato 25, al termine della manifestazione, hanno caricato con violenza ed a freddo i manifestanti all’interno della stazione ferroviaria di Torino Porta Susa, con lanci di lacrimogeni fin dentro i vagoni dei treni.
Gli espropri che sarebbero dovuti cominciare martedì 28, sono partiti già dal lunedì, con un ordine prefettizio che vieta la circolazione e lo stazionamento su quei terreni, in barba alla legalità.
E’ in una delle prime operazioni di occupazione di questi terreni da parte delle forze dell’ordine, che avevano scatenato una vera e propria caccia all’uomo, che Luca Abbà, attivista NO TAV resta gravemente ferito. Luca era salito su un traliccio dell’elettricità per protesta, inseguito dalla polizia fin sul traliccio, è rimasto folgorato ed è caduto. E’ ancora ricoverato in gravi condizioni.
Nonostante questo terribile fatto, quella mattina sono continuate le cariche, i lanci di lacrimogeni, gli espropri. Mentre i NO TAV hanno iniziato i blocchi delle principali vie di comunicazione della zona.
Già il giorno stesso, lunedì 27, in tutte le città d’Italia si sono svolte iniziative di solidarietà e di sostegno a Luca e al movimento NO TAV. Con una forza ed una solidarietà che in questi anni non si era mai espressa.
Questi giorni si sono susseguiti tra resistenza e solidarietà. In Valle la resistenza dei presidi permanenti, delle barricate, delle assemblee popolari gremite, degli scioperi, dei blocchi stradali, autostradali e ferroviari, dei canti e dei fuochi. Nel resto d’Italia la solidarietà. Con le occupazioni delle stazioni, con i cortei spontanei, i presidi, le assemblee, i blocchi, le manifestazioni.
Il Governo, i padroni e le mafie del TAV stanno giocando tutte le proprie carte:
Dall’uso spregiudicato della violenza e della forza militare, alla continua propaganda dei giornali e della televisione, impegnati al massimo nel dar voce a criminalizzazioni, falsità, teoremi repressivi e deliri dei potenti di turno, come quelli di Manganelli e D’Alema.

Napolitano e Monti hanno deciso l’innalzamento del livello di scontro in Val Susa, con lo scopo di mettere a tacere anche le critiche che si sono levate all’interno della stessa maggioranza, e per superare le spaccature nel PD, con un gruppo dirigente legato strettamente agli interessi della lobby delle costruzioni ferroviarie.

 

E’ necessario organizzare la solidarietà, perché la lotta del movimento NO TAV non è la lotta della Val di Susa ma è la lotta di tutti.

Collettivo Anarchico Libertario
Federazione Anarchica Livornese

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Livorno: una settimana di solidarietà

 La settimana appena passata è stata caratterizzata a Livorno, come in molte altre città, da numerose iniziative unitarie di solidarietà con il movimento NO TAV.
Lunedì 27 febbraio, appena giunte dalla Val di Susa le notizie dell’occupazione militare e violenta dei terreni in Val Clarea e del grave ferimento dell’attivista NO TAV Luca Abbà, è stato convocato un presidio sotto la prefettura per le 18. Circa 50 persone hanno partecipato al presidio di solidarietà. Dopo aver appeso uno striscione ai cancelli della prefettura, è partito un corteo che ha attraversato le vie del centro per fermarsi in Piazza Grande. Prima di concludere la manifestazione sono stati fatti interventi al megafono ed è stato distribuito un volantino unitario che riportava i gravi fatti della mattina.
Giovedì 1 marzo, dopo le violenze della polizia che la notte precedente aveva sgomberato il presidio NO TAV che a Chianocco bloccava l’autostrada A32, è stato organizzato in pochissime ore un presidio di solidarietà in Piazza Grande. Il presidio ha visto la partecipazione di alcune decine di persone. In piazza si sono susseguiti interventi a sostegno del movimento NO TAV.
Sabato 3 marzo un altro presidio unitario convocato per le 16 all’incrocio tra Viale Carducci e l’Aurelia, ha visto la presenza di un centinaio di persone. Vista l’alta partecipazione è partito un corteo spontaneo che ha raggiunto la Stazione Centrale di Livorno. Alla stazione sono stati occupati i binari 3 e 4 per circa mezz’ora, bloccando l’arrivo del treno Frecciabianca Milano-Roma, che ha ritardato di 25 minuti. Intanto con interventi al megafono e volantinaggi sono stati informati i viaggiatori presenti sulle banchine, in molti interessati e solidali con la protesta.
Il corteo è poi ripartito bloccando l’Aurelia e raggiungendo la sede del quotidiano locale “Il Tirreno” del gruppo “L’Espresso”. Dopo aver appeso uno striscione sulla porta dell’edificio, un membro della redazione del giornale è sceso al presidio per un confronto. I manifestanti hanno espresso solidarietà alla lotta del movimento NO TAV, che non può essere considerata una lotta locale o periferica. E’ stato anche chiarito che la scelta di portare la protesta sotto alla sede del giornale è stata presa per contestare la linea editoriale de “Il Tirreno” che, come “La Repubblica” e gli altri giornali del gruppo “L’Espresso”, ha un ruolo decisivo nella criminalizzazione del movimento NO TAV e nella disinformazione in atto su quanto sta succedendo in Val di Susa.
Conclusa la settimana l’attenzione resta alta in città, le iniziative di questi giorni sono servite certamente a portare l’attenzione sulla questione a livello locale e a costruire un percorso unitario di solidarietà al movimento NO TAV che sicuramente porterà avanti nuove iniziative.

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Il livello dello scontro lo alza lo Stato

Chiacchiere e Manganelli

Mercoledì 21 febbraio la palude parlamentare è stata inaspettatamente animata da due eventi di routine.

Il primo è stato l’audizione del presidente del consiglio Monti davanti al Copasir, Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, di cui è presidente Massimo D’Alema; il secondo la relazione presentata dal capo della polizia Antonio Manganelli davanti alla Commissione Affari costituzionali della Camera.

Al termine dell’audizione di Monti, D’Alema ha affermato che “l’anarcoinsurrezionalismo è un fenomeno colpevolmente trascurato in questi anni, mediaticamente capito poco anche perché solo per caso non ha portato a dei morti, non sempre compreso nella sua effettiva dimensione anche da una legislatura come la nostra che in alcuni settori come questo denuncia dei ‘buchi'”. I poliziotti, si sa, odiano gli anarchici e appena possono ne parlano male; D’Alema invece dovrebbe sapere che il movimento anarchico è il primo ad essere attaccato quando le classi dominanti decidono di affidarsi ad uno Stato forte, ad una qualche forma di fascismo. E’ un fenomeno che si ripete storicamente, perché il movimento anarchico è, fra le tendenze politiche che si ispirano al socialismo, quella che più decisamente si batte, con coraggio e coerenza, a fianco delle rivendicazioni popolari e proletarie. Una volta liquidato il movimento anarchico, le classi dominanti, i circoli militaristi e clericali si liberano anche di quelle tendenze democratiche e liberali che in un primo tempo avevano appoggiato la reazione. D’Alema conosce bene la storia, ma evidentemente oggi l’interesse delle coop rosse legate al cemento e alla speculazione in Val di Susa è più forte di tutto.

I poliziotti, dicevo, odiano gli anarchici, e i superpoliziotti come Manganelli nutrono un superodio nei confronti degli anarchici. La cosa è facilmente comprensibile: una persona che guadagna 621 mila euro l’anno senza fare nulla vede come il fumo negli occhi una trasformazione sociale che gli offre la prospettiva di guadagnarsi la vita magari raccogliendo pomodori nell’agro nocerino-sarnese. Chi si è messo una divisa perché non aveva voglia di lavorare e vive di prepotenze combatte con tutti i mezzi chi nel popolo alza la testa e diffonde idee e pratiche di libertà, di uguaglianza e di solidarietà.

Il capo del blocco nero-blu dice che gli anarchici vogliono il morto. Sono stati gli anarchici ad uccidere Carlo Giuliani? Sono stati gli anarchici ad uccidere Sole e Baleno? Sono stati gli anarchici ad uccidere Marcello Lonzi, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e gli altri più o meno noti? Chi è che sparge il terrore con queste morti, con le aggressioni alle donne, agli extracomunitari? Chi spende miliardi in aggressioni a popoli pacifici dall’altra parte del mondo che non ci hanno fatto niente; solo per garantire la carriera di qualche macellaio gallonato?

E’ una tattica ben nota della guerra psicologica attribuire all’avversario le proprie intenzioni, giustificando in anticipo le più lampanti violazioni della legalità. La cosa più grave, nelle dichiarazioni congiunte di Manganelli e D’Alema è che entrambi auspicano una legislazione speciale contro gli anarchici, che ci riporta addirittura a Crispi.

Così si afferma che sono gli anarchici a cercare il morto mentre quotidianamente le forze dell’”ordine” si addestrano ad uccidere, così si afferma che le vittime sono i colpevoli della crisi, e si colpiscono i pensionati, i cassaintegrati, i lavoratori e le loro organizzazioni.

Le dichiarazioni congiunte di D’Alema e Manganelli testimoniano che lo Stato è pronto ad innalzare il livello dello scontro: all’odio della classe dominante nei confronti dei ceti popolari si accompagna sempre più la paura che non siamo disposti a tollerare ancora, si accompagna la paura che nei settori più bassi della burocrazia statale, perfino fra poliziotti e carabinieri covi il seme della rivolta sparso a piene mani dalla politica economica del Governo.

I poliziotti permanenti ed occasionali vorrebbero che gli anarchici assomigliassero all’immagine deformata che ne danno i mezzi di comunicazione asserviti: noi siamo orgogliosi di essere anarchici, siamo orgogliosi di batterci per una società di liberi e di uguali, siamo sicuri che le menzogne e l’odio che i nemici del popolo ci vomitano addosso non riusciranno a far impallidire l’ideale per cui ci battiamo, ideale che diviene realtà ogni giorno di più.

 

Tiziano Antonelli

 

da: Umanità Nova, n.8 del 4 marzo 2012

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Livorno, occupati i binari della stazione. Continuano le proteste in tutta Italia

da: senzasoste.it

 

No_Tav_stazione_2Questo pomeriggio a Livorno un centinaio di No Tav sono partiti in corteo in direzione stazione centrale in solidarietà alla lotta dei valsusini. Giunti alla stazione i manifestanti hanno occupato i binari 3 e 4 in prossimità dell’arrivo del Frecciabianca delle 17.16 che a causa della manifestazione ha subito un ritardo di 20 minuti che Trenitalia ha dovuto annunciare ai megafoni.

Nel frattempo sono stati distribuiti volantini e fatti interventi al megafono all’interno della stazione dove i manifestanti hanno trovato interesse e solidarietà da parte delle persone presenti. Dopo pochi minuti dall’occupazione dei binari si è presentata la polizia in assetto antisommossa. Dopo circa 45 minuti i manifestanti hanno lasciato i binari per dirigersi in corteo verso la sede de Il Tirreno (gruppo l’Espresso) dove c’è stato un contronto con i redattori.

In Italia intanto si moltiplicano le iniziative di solidarietà con la Val di Susa e i più presi di mira rimangono Repubblica e il Pd, veri e propri soggetti “embedded” nella propaganda a favore del Tav con punte di ridicolezza come molti hanno potuto constatare sia nella linea del gruppo l’Espresso sia nella presenza di Bersani al programma Servizio Pubblico di Santoro.

Link: Occupata la Sede di Repubblica

Link: Val di Susa chiama, Anonymous risponde. Fuori uso i siti istituzionali del Piemonte

Link: Roma. Notav occupano la sede del Pd

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No Tav. Ancora sull’autostrada

da: http://anarresinfo.noblogs.org/2012/03/02/no-tav-ancora-sullautostrada/

Giovedì 1 marzo. L’appuntamento è in piazza del mercato a Bussoleno. Lungo la A32 scorazzano lunghe colonne carabinieri e poliziotti, blindati e defender. Lo svincolo di Chianocco, in località Vernetto, è ancora chiuso e presidiato da ingenti forze.
A Bussoleno – in un angolo della piazza – ci raduniamo per un’assemblea molto partecipata. La decisione è veloce veloce, si torna a bloccare.
Nonostante la gente abbia ancora addosso i segni delle manganellate la voglia di riscossa immediata è forte.
Un corteo imbocca la statale in direzione Torino, poi si ferma. A migliaia attraversano il pratone alle spalle della A32. Le recinzioni non sono un problema. Presto i No Tav invadono la prima corsia e, dopo poco, anche la seconda è occupata. All’ingresso della galleria di Prapontin una barricata improvvisata prende fuoco.
La polizia c’è ma non si muove. Una carica nel mezzo del paese potrebbe essere un boccone troppo grosso anche per loro
In contemporanea altri No Tav salgono verso l’alta valle: l’autostrada è chiusa da una barricata anche allo svincolo di Venaus.
Da tutta Italia arrivano le notizie dei blocchi, delle manifestazioni, che inceppano strade, autostrade, ferrovie. A Torino un corteo paralizza il traffico del centro per ore e si conclude sui binari di Porta Nuova.
In tarda serata i blocchi si sciolgono. Nonostante un apparato repressivo impressionante, siamo riusciti a fargliela in barba, bloccando l’autostrada in ben due punti per diverse ore.
La scelta del’occupazione dell’autostrada, delle iniziative che improvvisano il luogo e il tempo, per la prima volta da diversi mesi, sta davvero mettendo in difficoltà un governo convinto che i No Tav si sarebbero lasciati serrare nel catino militarizzato della Maddalena.
Giorno dopo giorno il movimento cresce.
Questa mattina è arrivata la buona notizia che Luca è fuori pericolo di vita: i medici hanno sciolto la prognosi.

L’appuntamento per oggi è alle 21 al Polivalente di Bussoleno.
Un’assemblea popolare per fare il punto. E già di parla di sciopero generale.

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No Tav. Una lunga giornata di resistenza, tra botte, gas, insulti

da: http://anarresinfo.noblogs.org/2012/03/01/no-tav-una-lunga-giornata-di-resistenza-tra-botte-gas-insulti/

Giovedì 1 marzo, ore 3,46. Si è appena conclusa una lunga giornata di resistenza. Una di quelle che resteranno impresse nella memoria. Per oltre quattro ore i No Tav hanno resistito sull’autostrada e sulle rampe di accesso. Seduti in terra, tra slogan e canti.

Il più gettonato, pressati dai poliziotti in tenuta ninja, è stato “Vamos alla playa”. Poi la polizia porta via di peso, uno ad uno, i No Tav seduti sul’autostrada. Guarda il video Anche i giornalisti vengono allontanati con modi un po’ bruschi dalla polizia. Guarda il video. Il dispiegamento di polizia era impressionante, le luci blu dei blindati rompevano la notte.

Il fronteggiamento è andato avanti per ore e ore. Intorno alle nove di sera era tutto un brulicare di bandiere e persone. Poi hanno piazzato gli idranti, calato le visiere, indossato le maschere antigas. Hanno bagnato e picchiato e ancora picchiato. Si sono accaniti su tutti con determinata ferocia. Poi hanno sparato i gas: la notte si è fatta densa di fumo bianco, acre, velenoso. Hanno sospinto la gente giù dalla rampa, sino al bivio con la statale 25.

Una marea di uomini blu. Non paghi hanno sparato i lacrimogeni nella case della frazione Vernetto: in una di quelle case c’era un anziano che si stava spegnendo. Come vere truppe di occupazione hanno proceduto sin dentro il paese, dando la caccia a chi cercava rifugio. Tante case e tanti cortili si sono aperti ad ospitare la gente. Diversi No Tav sono stati rastrellati lungo il percorso, malmenati e caricati a forza su un furgone. In sei verranno poi condotti in questura a Torino.

Alcuni No Tav avevano trovato rifugio in un bar ristorante lungo la strada: una ventina di uomini dell’antisommossa spaccano a calci e manganellate la vetrata di ingresso ed irrompono urlando con il volto mascherato da passamontagna.Sbattono la gente contro il muro, la tirano fuori dal bagno, mentre una bambina scoppia a piangere. Le auto lungo il percorso vengono danneggiate a colpi di manganello, le gomme vengono tagliate.

Intorno alle 10,30 alla rotonda che immette sull’autostrada la polizia carica ancora un ultimo gruppo che si stava radunando in zona. Bussoleno sembra un paese in guerra. È un paese in guerra. Intorno alle 11 i resistenti No Tav si ritrovano al Polivalente, la sala che ha ospitato tante assemblee popolari, quelle della rabbia e quelle della festa, quelle della riflessione pacata e quelle del tempo che si accelera. Tanti zoppicano, si massaggiano un braccio, un’anca, la testa. Parecchi sono fradici dopo la doccia fredda al peperoncino sparata dagli idranti montati sui blindo della polizia. Si intrecciano i racconti, si contano i feriti, si mettono insieme i frammenti di una serata di guerra. Si discute sul da farsi. Non ci sono dubbi: domani si torna a mettersi di mezzo.

Le botte, la caccia all’uomo, gli insulti – vecchia ubriacona ad un’anziana compagna da sempre in primissima fila – il veleno bianco del gas non ci fermano.

Anzi! Dall’assemblea parte un appello all’Italia, perché domani – ormai da lunghe ore è già oggi – in ogni dove ci siano blocchi, azioni, iniziative.

L’appuntamento qui è per le 18 a Bussoleno.

La Valsusa paura non ne ha.

video:

la polizia fa irruzione in un bar di Chianocco: http://www.youtube.com/watch?v=akakIPUV4G0&feature=youtu.be

la polizia sfonda la vetrata di un bar a caccia di NO TAV:  http://www.youreporter.it/video_Polizia_sfonda_vetrate_bar_a_caccia_dei_NoTav

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LA VALSUSA PAURA NON NE HA

da: http://anarresinfo.noblogs.org/2012/02/28/val-susa-la-resistenza-continua/

Lunedì 27 febbraio ore 8. La polizia in assetto antisommossa esce dalle reti e circonda la baita Clarea, la baita dei No Tav, il simbolo della resistenza alla violenza dello Stato.
Un compagno dell’alta valle, Luca Abbà del Cels, riesce a eludere la sorveglianza della polizia e si arrampica su un traliccio dell’alta tensione a trenta metri dalla Baita. Da lì fa una diretta con Radio Blackout annunciando l’intenzione di resistere per rallentare lo sgombero dell’area.
Un carabiniere rocciatore comincia a salire per bloccarlo: Luca grida di non proseguire altrimenti sarebbe salito ancora. Con criminale determinazione gli uomini dello Stato vanno avanti. Luca viene folgorato da una scarica elettrica e cade sulle pietre da sei /sette metri d’altezza. Lì rimarrà per oltre tre quarti d’ora. Nonostante all’interno del fortino ci siano ambulanze, nonostante l’evidente gravità dell’episodio, i soccorsi tardano a venire. La quindicina di compagni che sono alla Baita cercano di avvicinarsi, ma vengono fermati con la forza. Una compagna medico di Roma, chiamata per dare soccorso a Luca, non viene fatta passare.

Solo dopo 45 interminabili minuti di rabbia e dolore Luca viene portato via.
Le sue condizioni sono gravissime
. Mentre scriviamo si trova in rianimazione al CTO di Torino. Ha avuto un versamento ai polmoni, emorragie interne, costole rotte, trauma cranico, una lesione al rene. I medici non sono ancora in grado di valutare le conseguenze della folgorazione sul cuore.
La prognosi è riservata, anche se le sue condizioni sono lievemente migliorate.

Il teorema Manganelli e i No Tav
Il 22 febbraio il capo della polizia, il questore Antonio Manganelli, il funzionario pubblico meglio pagato d’Italia, nella sua relazione alla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, aveva dichiarato esplicitamente che i No Tav e, in particolare, gli anarchici cercavano il morto tra le forze dell’ordine. Luca è anarchico e No Tav. Nemmeno cinque giorni dopo, con un’azione criminale gli uomini in divisa agli ordini di Antonio Manganelli hanno quasi ammazzato un anarchico e No Tav.
Quello capitato a Luca non è un incidente. In casi analoghi – l’anarchico e nonviolento Turi salito su un albero quest’estate – vengono chiamati i vigili del fuoco, che non intervengono se la loro azione rischia di minare l’incolumità di chi, volontariamente, attua un’azione di protesta.
La guerra dichiarata dal governo Berlusconi alla popolazione della Val Susa e a tutti quelli che resistono alle politiche di rapina delle risorse e devastazione del territorio, ha fatto un salto di qualità con il governo Monti, che, specie su questo terreno, gode del sostegno bipartisan del centro destra e del centro sinistra. Gli uni e gli altri stanno facendo fare il lavoro sporco al tecnocrate voluto dalle banche per normalizzare – con le buone o con le cattive – il paese.
Quella che si sta giocando in Val Susa è una partita cruciale per il futuro di noi tutti.
Non è più solo una questione di ambiente: oggi più che in passato è diventata la sfida di chi si batte per l’interesse generale contro l’arroganza di chi vuole imporre con la forza un’opera inutile, dannosa, costosissima.
La partita sulla linea ad alta velocità tra Torino e Lyon è diventata di giorno in giorno più pesante. È in ballo un intero sistema, un sistema elaborato e oliato per anni, per garantire agli amici degli amici di destra e sinistra, un bottino sicuro e legale.
Le linee ad alta velocità costruite nel nostro paese sono state l’ossatura del dopo tangentopoli: un sistema raffinato e semplice per dribblare tutti gli ostacoli, senza rischiare che un giudice troppo intraprendente mettesse nei guai l’intera cricca di amiconi. Leggi obiettivo, siti di interesse strategico, general contractor sono stati alcuni degli strumenti adottati per cementare un sistema sicuro di drenaggio di denaro pubblico a fini privatissimi. Un sistema che funziona perché va bene a tutti, per tutti c’è un posticino a tavola.
Un sistema che nessuno può permettersi di far saltare. Un sistema che il movimento contro la Torino Lyon ha reso trasparente, mostrandone i meccanismi, aprendo crepe, costruendo una resistenza popolare alla quale guardano in tanti.
La strategia del governo è chiarissima: celare le ragioni della lotta No Tav, declinando nella categoria dell’ordine pubblico un movimento che non riescono a piegare a suon di botte e gas.
La posta in gioco va ben al di là dell’affare Tav. Sul piatto è il disciplinamento di un movimento che è divenuto punto di riferimento per i tanti che si battono per la salvaguardia del territorio, contro lo sperpero di denaro pubblico per fini privatissimi. Un movimento radicato e insieme radicale, capace di autogovernarsi, resistere, mantenendo salda negli anni la propria sfida.
Un movimento che ha saputo intrecciare la lotta concreta contro l’imposizione violenta di scelte non condivise con la spinta a costruire relazioni politiche e sociali all’insegna della partecipazione della solidarietà della giustizia sociale.
Un affronto intollerabile per padroni e governanti, impegnati a trasformare i lavoratori in schiavi docili e sottomessi, impegnati a far pagare a noi tutti il prezzo della loro crisi, un governo che taglia sulla salute, sull’istruzione, sui trasporti pubblici e spende per la guerra, la guerra globale contro i poveri e i ribelli. Compresi quelli di casa propria.
La decisione di allargare il cantiere, a due giorni dalla grande manifestazione del 25 febbraio da Bussoleno a Susa, la dice lunga sull’arroganza del governo, deciso a calpestare la volontà di un popolo che in un sabato di primavera anticipata ha marciato compatto in solidarietà ai No Tav arrestati il 26 gennaio per le giornate di resistenza del 27 giugno e il 3 luglio.

Il corteo del 25 febbraio e le cariche a Porta Nuova
Quella del 25 febbraio è stata una delle più grandi manifestazioni della storia del movimento No Tav. Una manifestazione popolare, acefala, forte delle ragioni di chi lotta contro il supertreno, come emblema di un sistema di relazioni sociali ingiusto e predatorio. Lo striscione di apertura di sindaci e amministratori resta indietro, saltato dal passo veloce di centinaia di No Tav.
Una risposta forte, corale alla repressione e al tentativo di dividere i buoni dai cattivi, i valligiani da quelli venuti da fuori. Se, dopo dieci mesi di occupazione militare, dopo la decisione di Monti di dichiarare la zona del “cantiere/fortino” luogo di interesse strategico militare, speravano di aver fiaccato e logorato il movimento, si sono sbagliati.
Alla conclusione del corteo pochi ascoltano la passerella della triste sinistra senza lotta e senza poltrone, all’inseguimento di voti, nella promessa inutile di tutele, nella speranza vana che la gente abbia la memoria corta sulle giravolte fatte nel convulso valzer del potere.
Bello e partecipato lo spezzone dell’anarchismo sociale, aperto dallo storico striscione di tante manifestazioni: azione diretta autogestione.
Una manifestazione che era difficile criminalizzare, se la feroce fantasia del potere non fosse sempre all’opera.
Alla stazione di Porta Nuova la polizia in assetto antisommossa – centinaia di uomini e una quarantina di blindati – aspetta al binario 20 i manifestanti provenienti dalla Val Susa. Quando scendono li blocca sulla banchina e, con il pretesto del biglietto a prezzo politico pagato all’andata, carica e apre la testa a due No Tav. Parte una trattativa per un nuovo prezzo del biglietto. Quando tutto pare concluso, la polizia apre un corridoio per far passare i No Tav diretti a Milano. È una trappola. Gli agenti caricano con grande violenza. Quando i No Tav riescono a guadagnare le carrozze del treno per Milano hanno sul corpo i segni delle manganellate.

Il giorno dopo, come prevedibile, i quotidiani – in prima fila Repubblica – aprono gli editoriali con la notizia degli scontri a Porta Nuova, con l’immancabile poliziotto ferito da una sassata partita durante le cariche.

 

L’assemblea di Villarfocchiardo

Il giorno successivo, è domenica 26 gennaio, il Polivalente di Villarfocchiardo è affollatissimo. Le notizie sull’arrivo di truppe ormai sono più che sicure: gli alberghi sono pieni, le caserme anche, il tam tam del movimento ne racconta i movimenti. Da alcuni giorni la polizia è nervosa ed aggressiva, un No Tav di Casellette, di turno con il suo comitato alla Baita, si guadagna un pugno in faccia da un agente per aver osato fotografare la perquisizione di un ragazzo. Nel fortino della Maddalena, dopo il lungo sonno invernale, c’è gran movimento di uomini e mezzi. Tutto sembra pronto per martedì notte.

Si discute a lungo ma la scelta è chiara a tutti: bisogna resistere. In prima fila si offrono gli anziani, disposti a legarsi ad un albero e a farsi portar via di peso. I giornali diffondono la notizia.

Il governo decide di anticipare l’attacco.

La mattina successiva viene resa nota una nuova ordinanza prefettizia che vieta le strade, i sentieri, i boschi, i prati. Centinaia di poliziotti escono dal recinto e circondano la Baita. Luca sguscia davanti ai poliziotti e sale sul traliccio. La criminalità del potere non ha limiti. Luca viene folgorato e cade. Mentre il suo corpo esamine giace a terra per quasi 50 minuti, gli operai si mettono al “lavoro”: spianano il terreno, abbattono alberi, fanno i buchi per le palificazioni. Una scena che colpisce duro allo stomaco. Da sempre c’è chi, servo sciocco e brutale, si mette al servizio degli interessi dei suoi stessi sfruttatori.
Quello stesso giorno nelle scuole elementari della Val Susa le lezioni si sono interrotte più volte, perché i bambini vogliono notizie di Luca, perché sono bambini cresciuti bene, respirando l’aria dei presidi, delle manifestazioni, l’aria di un movimento che lotta perché il futuro di chi viene dopo sia migliore del presente terribile in cui siamo forzati a vivere.

Il blocco dell’autostrada
Il tam tam di movimento suona veloce. Alla Azimut di Avigliana gli operai entrano in sciopero e bloccano la produzione. Cub e Cobas proclamano lo sciopero ad oltranza: l’adesione è alta in numerose fabbriche della Valle.
Alle 11,30 i No Tav cominciano a radunarsi alla rotonda di Vernetto, sulla statale 25. Dopo nemmeno una mezzora l’autostrada è occupata. Per l’intera giornata vengono erette barricate, sbarramenti, mentre si allestiscono punti ristoro sia sulla A32 sia sulla statale 24, che è bloccata per impedire il passaggio alle truppe di occupazione, mentre le auto sono dirottate sulla ciclabile. La 25 resta aperta ma è presidiata da manifestanti pronti a chiuderla.
Alle 18 all’assemblea popolare la tensione si taglia con il coltello. Le notizie dall’ospedale confermano la gravità delle condizioni di Luca.

Si decide di mantenere l’occupazione ad oltranza sulla A32 e di provare a bloccare il cambio turno anche in alta valle. Con il blocco dell’autostrada i blindati della polizia sono obbligati a fare il giro dalla Val Chisone e dal Sestriere impiegando un paio d’ore in più per arrivare allo svincolo di polizia di Chiomonte.
In tarda serata la statale 24 e l’autostrada sono bloccate a Salbertrand. Intorno all’1,30 parte l’attacco da oltre quaranta blindati della polizia. Hanno usato idranti e sparato gas sino a saturare l’aria, inseguendo i No Tav anche dentro il paese. Non hanno però fermato nessuno: le porte delle case si sono aperte per dare rifugio ai resistenti. Una tazza di the e il calore di una casa, che si apre di fronte ai partigiani della Val Susa, a quelli del paese e della bassa valle come a quelli venuti da lontano.

Sgombero e nuova occupazione

Martedì 28 febbraio. Intorno a mezzogiorno decine e decine di blindati raggiungono il blocco sulla A32: entrano in azione le ruspe, gli idranti i lacrimogeni. La solita canzone. Ma la gente non scappa. Tanti si siedono a terra, un gruppo musicale suona canzoni popolari. La polizia va avanti, fronteggia i No Tav sulla rampa. Il canto ritmato di quest’ultimo anno si lotta si leva forte e chiaro: “la Val Susa paura non ne ha” Dopo un paio d’ore passano con i blindati.
Nemmeno un’ora dopo l’autostrada è nuovamente occupata.
Di fronte alle ragioni della forza si erge la forza delle ragioni. Le ragioni di tanti uomini, donne, ragazzi, anziani che hanno deciso che la misura è ormai colma.

Maria Matteo (questo articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale anarchico Umanità Nova)

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LIVORNO: PRESIDIO NO TAV ORE 18

OGGI IN PREFETTURA

PRESIDIO UNITARIO NO TAV!

ORE 18

SIAMO TUTT* NO TAV!

 

 

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200 in piazza a Livorno contro i veleni

Sabato 18 febbraio oltre 200 persone sono scese in piazza a Livorno per dire che il mare non può essere una discarica per rifiuti tossici, né un sito industriale.

Lo scorso 17 dicembre, durante una violenta libecciata, due semirimorchi contenenti 198 fusti tossici vengono “persi”, al largo dell’Isola di Gorgona, dal cargo “Venezia” della compagnia armatrice Grimaldi. Questa vicenda è stata caratterizzata da due mesi di silenzi, omissioni e notizie contrastanti da parte delle istituzioni e della compagnia armatrice. Queste hanno avviato le operazioni di recupero dei fusti tossici ormai con un grave e colpevole ritardo, sotto la pressione della protesta popolare che si stava organizzando.

È una notizia della scorsa settimana, che siano stati individuati i semirimorchi ad una profondità di circa 500 metri, a nord-ovest della Gorgona. Nei giorni immediatamente precedenti alla manifestazione, l’ARPAT (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana) emette un comunicato sul proprio sito in cui afferma che i fusti tossici si sarebbero aperti a causa della pressione, e che quindi le acque marine già sarebbero contaminate. Subito scatta la reazione da parte di Vertenza Livorno (rete per la difesa della salute e dell’ambiente) che, la mattina di sabato 18, denuncia in una nota i ritardi delle autorità competenti e della Grimaldi ed invita a partecipare alla manifestazione organizzata per il pomeriggio. A quel punto l’ARPAT ritratta, aggiungendo un “forse” alle dichiarazioni fatte poche ore prima.

La manifestazione di sabato è stata importante e significativa. Si è rotto il silenzio e la disinformazione, portando nelle strade della città la ferma protesta contro l’ennesimo disastro ecologico. Sono stati affissi striscioni in luoghi simbolici, sulle scale monumentali del Municipio e di fronte alla sede in città della compagnia Grimaldi. Tra gli altri, nella manifestazione, presente anche uno striscione di solidarietà per il movimento NO TAV: “Libertà per i/le NO TAV – le lotte ambientali non si arrestano!”. Nutrita la presenza anarchica al corteo, anche se poco visibile, vista l’indicazione di manifestare senza bandiere data dagli organizzatori.

Dopo aver attraversato il centro cittadino, la manifestazione si è conclusa al porto, di fronte alla lapide che ricorda le vittime della tragedia del Moby Prince. Tra gli interventi anche quello di Loris Rispoli, presidente dell’Associazione 140 dei familiari delle vittime del Moby Prince.

Con gli interventi si è chiuso il corteo, ma non si è certo conclusa la lotta. Una lotta che, se per ora ha ottenuto il risultato di rompere il muro di silenzio che si era creato attorno alla vicenda, dovrà essere capace di mettere di fronte alle proprie responsabilità le autorità e la compagnia armatrice.

Chi si assume a parole la responsabilità di tutelare la sicurezza e la salute pubblica (Capitaneria di Porto, Prefettura, Enti locali) privilegia sempre la tutela degli interessi capitalistici, sia degli armatori che dei produttori dei rifiuti.

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