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Rompere le gabbie aprire le frontiere

da: http://senzafrontiere.noblogs.org/

 

Parma 14 e 15 maggio 2011
Rompere le gabbie aprire le frontiere
Incontro su immigrazione, lavoro, CIE

L’immigrazione dal sud al nord del pianeta ha allargato e reso più feroce il fronte della guerra ai poveri. L’arrivo di lavoratori stranieri è la leva potente con cui è stato sferrato un attacco senza precedenti ai “diritti” acquisiti dai lavoratori in decenni di lotte durissime.
Chi emigra, sia coloro che fuggono da paesi dove la sopravvivenza è una sorta di roulette russa, sia chi si mette in viaggio nella speranza di migliorare la propria condizione, è costantemente sotto ricatto.
Il disciplinamento dei lavoratori immigrati, indispensabile a mantenerli sottomessi perché ricattabili, si è articolato in una lunga teoria di provvedimenti legislativi e conseguenti pratiche repressive, che passo dopo passo, hanno posto le basi per un diritto diseguale nel nostro paese come nel resto d’Europa.
Se la disuguaglianza è sancita per legge, se l’accesso alla cittadinanza e finanche a quella sublime astrazione chiamata “diritti umani” diviene carta straccia, l’universalità della norma – sia pure meramente formale – si infrange.
È un viaggio senza ritorno. Un parziale accesso ai diritti è subordinato a condizioni quasi impossibili per i più. Una corsa ad ostacoli piena di trucchi ed inganni. In questi anni, l’incrudirsi della crisi e il peggiorare dei rapporti di forza tra capitale e lavoro, oltre ad una martellante campagna di criminalizzazione degli stranieri ha reso più difficile la solidarietà tra chi mantiene qualche tutela e chi non ne ha mai avute, rendendo più duro il fronte della guerra di classe. Non sono mancate tuttavia importanti esperienze di lotta comune tra lavoratori immigrati e lavoratori italiani: piccoli ma importanti segnali che occorre amplificare.

L’universalità delle libertà formali è oggi più che mai la maschera grottesca della democrazia reale.
Fatta di muri. Sempre più spessi, sempre più alti. Su questi muri si infrangono le vite di chi fugge la guerra, le persecuzioni, la miseria. C’è chi muore in viaggio, chi in un cantiere senza protezioni, chi si impicca per evitare la deportazione. Una lunga strage di Stato.
Il diritto legale di vivere nel nostro paese è riservato solo a chi ha un contratto di lavoro, a chi accetta di lavorare come qui nessuno più era obbligato a fare. Oggi i migranti, con permesso o in nero, sono i nuovi schiavi di quest’Europa fatta di confini e filo spinato.

I CIE, Centri di Identificazione ed espulsione, sono le galere che lo Stato italiano riserva a quelli che non servono più. Sono posti dove finisci per quello che sei, non per quello che fai. Come nei lager nazisti. Nei CIE rinchiudono chi ha perso il lavoro e, quindi, anche le carte, oppure chi un lavoro regolare non l’ha mai avuto e quindi nemmeno i documenti.
Chi resta, dopo aver ricevuto un decreto di espulsione, rischia la galera perché – da un anno in Italia – l’immigrazione clandestina è un reato penale.
Da sempre nei CIE soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi nel cibo sono pane quotidiano. Le lotte degli immigrati rinchiusi nei CIE hanno segnato l’ultimo decennio. Una lunga resistenza, spesso disperata, fatta di braccia tagliate, bocche cucite, lamette o pile ingoiate. Qualcuno ha preferito la morte alla deportazione e l’ha fatta finita. In tanti si sono ribellati, bruciando materassi, distruggendo suppellettili, salendo sul tetto. Un po’ ovunque ci sono stati tentativi di fuga.

Nell’ultimo anno sono andate in fumo camerate, stanze e anche interi CIE: la protesta degli immigrati sta mettendo in seria difficoltà il governo. Il ministro dell’Interno, il leghista Maroni, si vanta di aver “fermato l’invasione”. In realtà non ci sono barriere, filo spinato, uomini in armi che possano fermare chi si mette in viaggio per fuggire guerre, miseria, oppressione. Gli accordi italo-libici per i respingimenti in mare hanno fatto sì che si aprissero altre rotte.
Il governo vuole costruire quattro nuovi CIE ma non ha nemmeno i soldi per ristrutturare quelli danneggiati durante le rivolte dell’ultima estate.
Le reti di solidarietà con gli immigrati si sono moltiplicate. In alcuni casi le lotte sono riuscite a mettere in difficoltà il governo.

Siamo convinti che oggi ci siano le condizioni per mettere in crisi il sistema delle deportazioni: dai respingimenti in mare e alle frontiere, al sostegno di chi lotta nei CIE, all’apertura di crepe nel consenso verso le leggi razziste.

Nell’ultimo anno si sono moltiplicate ed estese le lotte dei lavoratori immigrati contro la sanatoria truffa, il permesso a punti, il contratto di soggiorno, la schiavitù del lavoro nero, i soprusi della polizia.

Il governo ha risposto con botte, denunce, deportazioni.

Siamo convinti che il mostruoso apparato repressivo che tiene sotto scacco la vita degli immigrati non basterà a fermare le lotte. Anzi. La crisi che pure morde la vita di tutti ha colpito in modo durissimo gli immigrati.

Siamo convinti che le lotte comuni tra lavoratori immigrati e lavoratori italiani possano dare dei bei grattacapi a chi lucra sulle vite di tutti, scommettendo sulla guerra tra poveri.

A Parma il 14 e 15 maggio vogliamo ripercorrere la rotta degli schiavi, il loro cammino attraverso il deserto, i mercanti d’uomini, il lavoro nero, i caporali, i CIE, la deportazione.
Vogliamo altresì mettere a confronto esperienze, idee e proposte di chi, giorno dopo giorno, lotta contro il razzismo di stato e la guerra ai poveri.

Nell’auspicio che si possano tessere reti sempre più solide.

Sabato 19 marzo a Milano incontro del Coordinamento Antirazzista della FAI.
Dalle 11 in viale Monza 255

La commissione antirazzista della FAI
Per contatti:
fai-antiracism@libero.it
faiantirazzisti@autistici.org

Posted in Anarchismo, Antirazzismo, Antisessismo, Carcere, Generale, Iniziative, Internazionale, Lavoro, Repressione.

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