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I referendum del 12 giugno Non al voto. Alla piazza!

Da Umanità Nova, settimanale anarchico, n.20 del 12 giugno 2011

 

Non abbiamo nessuna fiducia negli strumenti adottati dalle istituzioni. Nemmeno nei confronti dei referendum che potrebbero andare oltre la nostra critica al principio di delega ma non superano il criterio “democratico” della maggioranza che impone le sue volontà alle numerose minoranze.

Del resto anche nel meccanismo referendario le maggioranze politiche sono delle minoranze sociali.

Il sistema “democratico rappresentativo” dimostra, giorno dopo giorno, la sua incapacità di rappresentare la composita realtà sociale ed in essa misconosce, per definizione e costitutivamente, le istanze degli oppressi e degli sfruttati. Oppressione e sfruttamento che sono politici, economici, sociali, di genere, religiosi, etc.

Agire dentro i gangli del sistema si è dimostrato fallimentare – parafrasando un recente articolo della Rivista Anarchica – perché il sistema non può negarsi e quindi è alieno a qualsiasi istanza di reale libertà, giustizia sociale e solidarietà.

Fatte queste premesse metodologiche e di merito possiamo commentare il movimento di opinione che si è sviluppato attorno ai referendum; commentarne i contenuti, gli eventuali esiti ma, cosa che ci importa di più, vedere le inferenze che queste manifestazioni politico-istituzionali producono nel corpo sociale anche in quei contesti che, dal basso, contestano l’ordine presente delle cose.

Noi siamo sempre stati parte attiva nelle manifestazioni che hanno detto no al nucleare. Non da oggi.

Altrettanto dicasi per le rivendicazioni di un’acqua pubblica (ma non statale), gratuita, pulita.

Sulla questione del così detto “legittimo impedimento” non abbiamo mancato di sottolineare il carattere autocratico delle leggi ad-personam; le derive autoritarie (tendenzialmente totalitarie) apportate dalle politiche e dalla cultura del centro-destra. Ma, a parte il fatto che anche il così detto centro-sinistra non ha mancato (e non manca) di segnalarsi per un programma classista (in difesa della borghesia, of course), segregazionista (chi ha inventato i CPT?), autoritario (i sindaci sceriffi ve li ricordate?), come si fa, da libertari, a voler abrogare una norma che intralcia la giustizia?

Anche in questo caso, con la logica del male “minore”, ci si dovrebbe schierare a favore di quei magistrati che firmano fogli di via, arresti, perquisizioni, intercettazioni, che riempono le galere (amministrative e penali) di immigrati, di diseredati, di quella parte più sfruttata e oppressa della società, che perseguitano l’opposizione sociale, quella reale.

Che si viva in uno stato di polizia non c’è bisogno che lo dica il presidente del consiglio. Da che pulpito?!? Se ne fosse convinto sarebbe logico che si dimettesse o che facesse quanto in suo potere per abrogare il 90% del codice di procedura penale e altrettanto delle leggi in vigore.

Ma, è evidente, egli preserva gli interessi (anche i più inconfessabili) delle classi dirigenti e lascia in vigore o promulga le leggi che servono a mantenere in piedi questo sistema.

Segnalavamo, in tempi non sospetti (vedi http://www.umanitanova.org/n-27-anno-90/non-siamo-illusionisti), il carattere “nuovo” e “di base” del movimento che ha promosso i referendum sull’acqua. Spesso ci siamo trovati a condividere delle iniziative e delle lotte con i soggetti che hanno costituito questi comitati. Sempre abbiamo chiarito la nostra posizione di “scetticismo” circa la possibilità di raggiungere un qualche scopo con la via referendaria. Anche se è giusto, come obiettivo “intermedio” sottrarre la gestione dell’acqua, l’oro blu, agli aguzzi denti dei pescecani di turno, non si risolve il problema lasciando la gestione dell’acqua pubblica in mano ai carrozzoni lottizzati e clientelari. Pur immaginando che l’esito positivo dell’abrogazione degli articoli “Servizi pubblici di rilevanza economica” e “Tariffa del servizio idrico integrato” (vi risparmio i commi successivi, roba da mal di testa) possa fermare la speculazione delle aziende private sull’acqua (ma i produttori di acque minerali che sfruttano le concessioni demaniali dove li mettiamo?) questo no risolverebbe gli alti costi “di servizio” e gli sprechi “colabrodo” della gestione statale (nelle sue articolazioni) dell’acqua.

D’altra parte se parliamo di “ Servizi pubblici di rilevanza economica” cosa diciamo della gestione della scuola (le private, le confessionali), della sanità (il processo di esternalizzazione ha coperto il 70% delle risorse della sanità, per non parlare di tutto il giro delle cliniche private “convenzionate”), dell’assistenza e della previdenza sociale?

Così come per la gestione dell’energia e dei rifiuti è evidente come questo modello sociale sia indirizzato al collasso. Non basta quindi, evidentemente, fermare la costruzione delle centrali

nucleari (obiettivo necessario ma non sufficiente) ma immaginare una società completamente diversa che non vuole affatto dire una società più povera o più parca ma una società che utilizzi in modalità eco-sociali le risorse e sviluppi le attività in questo contesto con l’unica finalità di garantire un benessere diffuso senza altri vincoli come quelli oggi presenti, tutti tesi a garantire la piramide sociale. Uno dei settori nei quali maggiori sono gli sprechi di energia è quello dei trasporti. Giusto per fare un esempio, se anziché moltiplicare i viaggi delle merci ai fini delle logiche della produzione flessibile si utilizzassero pianificazioni intelligenti di stock “a chilometro zero” si risparmierebbero miliardi di barili di petrolio equivalenti; o se anziché avere lavoratori che devono fare 50-60 km per raggiungere il posto di lavoro (quando altrettanti lavoratori fanno il percorso contrario) si avessero delle regole di collocamento “rigide” anche in questo caso il risparmio energetico sarebbe enorme. Infine anche quand’anche fosse messa al bando la produzione di energia tramite la fissione nucleare se non cambia il modello di produzione basandosi su “piccole” fonti che producono tanto perché in rete fra loro, la concentrazione della produzione di energia riprodurrebbe i costi di gestione, sicurezza, trasporto, etc, non risolvendo ancora una volta il problema.

Abbiamo cercato di dialogare con i problemi che i quesiti referendari pongono. Giusto per non essere tacciati di voler il “tanto peggio”. Ma, com’è evidente, non abbiamo trovato ragioni sufficienti per appassionarci alla partecipazione “democratica” indicando, ancora una volta come non ci siano alternative, reali, a questo sistema se non in una prospettiva rivoluzionaria.

E, rifacendoci a quanto di più vivo e vivace si sta manifestando nel contemporaneo, prendendo spunto dal nord-Africa ma anche dalla Spagna, dalla Grecia e, perché no, dalla “libera repubblica della Maddalena”, diciamo: non al voto. Andiamo in piazza.

WS

Posted in Anarchismo, Generale, Nocività-Salute.

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