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È il momento di attaccare

Oltre lo sciopero del 6 settembre

Quando scriviamo è già passata quasi una settimana, quando leggerete forse 2. Eppure un passaggio per il 6 settembre 2011 è imprescindibile. Erano mesi che veniva chiesto alla CGIL di dichiarare lo sciopero generale ed alla fine Susanna Camusso s’è decisa. Con ogni probabilità, al di là della protervia governativa, la decisione dello sciopero è stata presa per evitare che la situazione sfuggisse di mano.
Se non ora quando? Scrivevamo in un opuscolo diffuso allo sciopero della FIOM del 27 gennaio scorso.
Questo ritornello, prodotto dalla mobilitazione per la difesa della dignità delle donne, dev’essere risuonato più e più volte nella stanze di Corso d’Italia.
I frutti di uno sciopero, per certi versi inevitabile, non si sono ancora potuti raccogliere.
Vuoi perché la mobilitazione non è stata imponente, vuoi perché il quadro politico e sociale non è oggi riformabile. E l’obiettivo della CGIL non era  quello di voltare pagina ma di “incidere” sulla manovra finanziaria (la seconda – e forse nemmeno l’ultima – in pochi mesi), cercando di attenuare alcuni aspetti e, soprattutto, di mantenere i suoi privilegi e il diritto d’interdizione. La difesa dei patti del 28 giugno veniva prima delle critiche all’articolo 8 della manovra.
Vuoi, inoltre, per una debolezza evidente dell’opposizione sociale che non si è dimostrata capace di prendere la situazione in mano. Lo sciopero “autoorganizzato” del 6 ha visto solo alcuni dei sindacati di base impegnati mentre molti altri hanno dato risposte locali o “diverse” puntando su presidi davanti al Senato ed alla Camera.

Al di là del 6 settembre vale la pena tornare sulla questione generale della fase che stiamo vivendo. Sulle pagine di Umanità Nova abbiamo seguito passo passo gli eventi. Il carattere strutturale della crisi; le politiche da “flebo” che i vari governi (tutto il G20) e le agenzie internazionali (FMI, BM, BCE, FED, OCSE, …) hanno somministrato a un sistema al collasso per metterlo al riparo da un’inevitabile bancarotta; le risposte, per quanto episodiche ed insufficienti che si sono prodotte (dalle rivolte in Grecia alle imponenti manifestazioni in Spagna, dalla primavera Araba alle rivolte di Londra e Philadelphia, …); le crisi dei “derivati”; le politiche monetariste; la guerra che insanguina metà del globo dal 1991. Quindi non starò a riprendere gli argomenti e le analisi.
La crisi è mondiale, la crisi è strutturale, anche il capo dello Stato lo dice: “niente sarà più come prima”.
Questo significa non solo che continuerà l’erosione dei salari (50% rispetto al 1980) e delle libertà (emergenza dopo emergenza) ma che la guerra, quella sociale, ce l’avremo in casa.
Come faranno le donne a lavorare (quelle che se lo possono permettere) fino a 65 anni. Impossibile! A meno di avere una colf ed una badante ed una baby sitter. Chi se lo potrà permettere?
Gli asili, quando ci sono, assorbono quasi la metà di un salario, poi c’è l’affitto o la rata del mutuo (pari ad un salario), poi ci sono le utenze (anche qui, sommando il tutto, quasi metà di un salario); quindi per mangiare e per vestirsi si deve rubare.
L’elenco dei casi e delle combinazione potrebbe proseguire a lungo.
Dalla valanga di tabelle pubblicate in questi mesi per illustrare la manovra finanziaria emerge un dato incontestabile: l’80% della popolazione italiana è “poco o per nulla abbiente”. E con i 100 miliardi delle 2 manovre estive questa “miseria” si aggraverà ulteriormente. Dai ticket all’IVA, dalle addizionali alle accise ulteriori tasse (circa 25 miliardi); dai tagli (circa 45 miliardi) ancora scarico sulle famiglie (ed  in particolare sulle donne che, secondo il governo, sono antropologicamente adatte al lavoro di cura) dei servizi sociali che non ci sono più. E’ inoltre attesa una spinta inflazionistica (bestia nera della BCE) che aumenterà ulteriormente il costo delle utenze, in un “combinato disposto” con le privatizzazioni delle municipalizzate, imposte dal governo che faranno aumentare ulteriormente le tariffe (dai trasporti urbani ai parcheggi, dall’acqua al gas, dai rifiuti urbani all’elettricità).
Oggi invocare una “difesa” delle conquiste sociali non è più sufficiente. La vicenda “pensioni” ha fatto piazza pulita di ogni diritto acquisito.
Per noi anarchici questo non desta meraviglia, consapevoli come siamo che lo stato non è un “bene comune” ma l’attore principale dell’oppressione e dello sfruttamento,  ma molti settori dell’opposizione sociale sono ancorati a schemi interpretativi che vedono nella “legge” un baluardo alla barbarie sociale.
Il nostro ruolo, ancora una volta, è quello di indicare una via d’uscita rivoluzionaria. L’attacco ai privilegi deve partire dai territori così come emerge non solo dalla vicende del nostro paese (dalla TAV ai rifiuti) ma anche dalle altre parti d’Europa (in Grecia le assemblee “indignate” hanno assunto i connotati di spazi di autogoverno, in Spagna le indicazioni della CNT vanno nella stessa direzione).
Sostenere le lotte quotidiane, partecipare alle manifestazioni (il 15 ottobre è annunciata una manifestazione nazionale a Roma, in occasione della giornata internazionale di mobilitazione “indignata”) è doveroso, solidalmente al movimento dei lavoratori, degli immigrati, dei precari ma è necessario che la lotta si sposti dal piano politico-mediatico a quello sociale.
La lotta contro le tariffe potrebbe essere un buon terreno di risposta immediata ed un momento di costruzione di assemblee popolari che prendano in mano le questioni sociali e costruiscano un welfare dal basso (anche in questo senso le indicazioni che vengono dalla Grecia sono molto interessanti).
Di fronte alla crisi potremmo trovarci, inaspettatamente, nelle condizioni di assumere responsabilità che rischiano di essere al di sopra delle nostre possibilità. Su questo, nei mesi scorsi, abbiamo riflettuto circa  le effettive condizioni oggettive delle rivolte e la mancanza di condizioni soggettive di prospettive rivoluzionarie. Ma se non saremo all’altezza delle questioni che si pongono rischiamo con altrettanta evidenza che a prendere in mano le cose siano le destre estreme con la riedizione di quelle dittature che si sono sempre imposte quando il gioco si faceva duro.

WS

 

da: Umanità Nova n. 25 del 18 settembre 2011

http://www.umanitanova.org/

Posted in Anarchismo, Generale, Lavoro.

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