da Umanità Nova del 13 gennaio 2013
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La carnevalata elettorale
Non cadere nella trappola
Sta girando su un blog la trama di un remake dal titolo Full Monti. La trama la conoscono tutti: Mario M e Mario D, due europeisti, si ingegnano per trovare degli espedienti per tirare avanti. Provano tra l’altro ad abbassare i salari, disintegrare i diritti dei lavoratori e le pensioni, prosciugare i redditi più bassi per continuare la politica delle aggressioni militari all’estero, salvaguardando i privilegi della Chiesa e dell’oligarchia finanziaria, senza accorgersi che tutto è stato già fatto.
Ma quando Mario M rischia di perdere il lavoro poiché è in arretrato con le riforme “ce lo chiede l’Europa”, pensa ad una soluzione un po’ drastica per tirarsi fuori da quel problema, e distrarre i cittadini che cominciano a protestare massicciamente.
Ispirato da un gruppo di europeisti professionisti che si esibiscono in Italia, ha l’idea di dar vita ad uno spettacolo pro-euro coinvolgendoli tutti (Bersani, Vendola, Casini, Cgil, Berlusconi ecc.). Lo spettacolo sarà un successo.”
Non è mia intenzione fare della facile ironia su chi crede che le prossime elezioni politiche siano un’occasione per fermare l’attacco che il governo porta alle condizioni di vita del proletariato e dei ceti popolari. La situazione è talmente tragica che l’ironia può persino sembrare offensiva per chi non ha la prospettiva di un lavoro, di un reddito, di una vecchiaia serena.
Sono molti, nonostante l’aumento dell’astensionismo, quelli che continuano a credere che, comunque, anche il voto dia il suo piccolo contributo a cambiare qualcosa, e sono molti, anche fra quelli con cui abbiamo condiviso le lotte contro le scelte di guerra, di miseria e di repressione del governo, a credere che il 24 e 25 febbraio, giorni delle prossime elezioni politiche, sia una scadenza importante anche per i movimenti di lotta.
Le delusioni di questi ultimi anni non hanno evidentemente insegnato nulla, come non ha insegnato nulla la parabola del socialismo legalitario, con il definitivo tramonto della presenza in parlamento dei partiti di ispirazione marxista: l’evoluzione parallela dei partiti socialdemocratici e di quelli che hanno usurpato il nome di comunista dovrebbero aver dimostrato che la lotta di emancipazione del proletariato si può svolgere solo al di fuori e contro le istituzioni statali, che ogni “lunga marcia” all’interno delle istituzioni termina con la subordinazione agli interessi della borghesia. Allo stesso modo dovrebbe aver insegnato qualcosa il fatto che la borghesia, di fronte ad una minaccia reale od immaginaria al suo capitale, non ha esitato a cacciare a calci nel sedere quanti credevano di poter attuare il socialismo pacificamente, dai banchi del parlamento. E li ha cacciati con al violenza fascista o con quella dell’esercito, anche se i socialisti legalitari disponevano della metà più uno dei voti!
Ma tant’è, la storia insegna solo che la storia non insegna niente a nessuno, così che ancora una volta ci troviamo a combattere questo tarlo elettorale, che mina le impalcature gettate per costruire, attraverso l’autogestione delle lotte, l’autogestione della società.
Ebbene, una obiezione sottile è quella che sostiene che qualcuno degli eletti in Parlamento tornerà comodo per la lotta contro la TAV e le vertenze sindacali; quindi tanto vale votarli. In realtà la questione non si pone in termini così semplici.
Innanzi tutto, ancora una volta, torna utile uno sguardo al passato: anche in anni recenti, ci sono stati eletti che si sono adoperati per questa o quel problema sollevato dai movimenti di lotta. Ma, o al di fuori del Parlamento c’era un movimento di lotta che faceva sentire la propria voce, che faceva capire al Governo e alla maggioranza che lo sosteneva che i cittadini sarebbero stati capaci di prendersi da soli quello che il Parlamento era indeciso a concedere, e allora anche i parlamentari di maggioranza hanno ceduto; oppure i cittadini si sono affidati completamente ai meccanismi istituzionali, e allora la maggioranza ha fatto orecchie da mercante. Un esempio clamoroso della protervia delle istituzioni, quando non sono incalzate da un movimento deciso, radicato, antiistituzionale, è dato dai referendum sull’acqua pubblica. E non si contano poi le volte che dai parlamentari è venuto solo l’appello ad avere fiducia nelle istituzioni, ad isolare i “violenti”, e così via.
Allora, riepilogando, per ottenere dei risultati è necessario costruire un movimento radicato, basato sull’autogestione e che usa lo strumento dell’azione diretta, solo sotto la minaccia di un movimento di questo tipo i parlamentari di opposizione potranno fare qualcosa di più che semplice tappezzeria. Ora, dobbiamo chiederci se, nella prospettiva della costruzione di un movimento di questo tipo, è utile o meno la partecipazione alle elezioni.
In queste settimane centinaia e centinaia di militanti, che abbiamo visto nelle lotte sindacali, nelle mobilitazioni ambientaliste o pacifiste, sono stati impegnati nelle complesse trattative per la formazione di cartelli elettorali, per l’elaborazione delle liste, per la definizione dei programmi. Il risultato è che la possibilità per ogni lista di entrare in Parlamento è inversamente proporzionale alla sua rappresentatività dei movimenti: cioè quanto più le liste cercano di esprimere i contenuti dei movimenti di massa, l’opposizione sociale alla politica dei governi che si sono succeduti in questi anni, tanto meno hanno possibilità di far eleggere qualche candidato. Ogni militante sincero che, pieno di buona volontà, abbia partecipato a qualcuna di queste riunioni dovrà ammettere di aver dovuto rinunciare, in tutto o in pare, a quello per cui ha lottato in questi anni.
Una volta definito il programma, c’è da definire le liste, c’è la lotta fra i vari gruppi, le varie correnti, i singoli candidati per spuntare un posto migliore: sono elementi di polemica, di divisione che si ripercuoteranno pesantemente sui movimenti di lotta.
La tattica elettorale, fin dal primo momento, porta con sé la rinuncia agli obiettivi condivisi e la divisione al nostro interno
Per chi si batte per l’unità e l’autonomia dei movimenti di lotta, per l’autorganizzazione e l’azione diretta, non resta altra scelta che l’opposizione alla tattica elettorale, che si esprime nell’astensionismo.
Bene ha fatto il movimento No TAV a diffidare ancora una volta chi vorrebbe strumentalizzare il movimento per la propria campagna elettorale.
Il popolo fa paura ai governanti quando si batte fuori e conto istituzioni, fuori e contro il parlamento, fuori e contro il governo, ma quando accetta la farsa del “popolo sovrano” fa la fine dei re del carnevale: viene portato in giro con una corona di cartapesta in testa per un giorno, e gabbato tutto l’anno! E proprio questo spera di ottenere Monti con le elezioni anticipate. Sta a noi non cadere nella trappola.
Tiziano Antonelli