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La proprietà è il problema, l’anarchia la soluzione

Da “Umanità Nova” n.33, del 3 novembre 2013

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La proprietà è il problema,

l’anarchia la soluzione

La questione delle abitazioni

Gli sfratti esecutivi, il dramma dei senza casa, le occupazioni abitative sono i temi portati in piazza a Roma sabato 19 ottobre.

In piazza sono sfilati donne e uomini che vivono situazioni al limite della sopravvivenza, gettati fuori dalle proprie case, dai posti di lavoro, per i quali è un’offesa l’esibizione dell’opulenza fatta dai privilegiati, dalle classi dominanti, da chi continua ad arricchirsi alle loro spalle con la scusa della crisi. Su ognuna di queste persone il capitale stampa il timbro di insolvibile, improduttivo, non occupabile. E, attorno a loro, una pletora di politici, sindacalisti, uomini di governo che cercano di usare la loro rabbia per i propri fini di organizzazione.
L’incontro che ne è seguito, fra i movimenti per la casa e il ministro Lupi, dopo un’”acampada” che è stata definita a scadenza, come una mozzarella, ha mostrato ancora una volta l’incapacità delle trattative non dico a risolvere, ma neanche a mettere in piedi quei palliativi richiesti dai movimenti. L’incontro ha nuovamente mostrato l’assoluta sordità del Governo ad ogni sofferenza che vivono i ceti popolari; una sordità che stride se messa a confronto con la rapidità con cui si mette mano al pubblico erario per soddisfare gli appetiti della Chiesa, dei militari, delle grandi aziende e delle banche.
In realtà, la pratica di ogni giorno dimostra come sarebbe possibile, e facile, risolvere il problema della casa. Le occupazioni mostrano una realtà di immobili pubblici e privati abbandonati al degrado che, con le occupazioni e l’autogestione, tornano ad ospitare i cittadini sfrattati dalla società dello Stato e della proprietà privata.
La questione delle abitazioni dimostra che è la proprietà privata la principale causa del dramma delle abitazioni. Lo dimostra sia quando l’inquilino viene sfrattato dal padrone di casa, sia quando la rendita fondiaria e immobiliare assegna alle abitazioni un valore artificiale a seconda della loro localizzazione.
Il fatto che la classe operaia viva per lo più in abitazioni scadenti, strapiene e malsane è una condizione comune a tutte le classi oppresse d’ogni tempo. Per mettere fine a questa penuria di abitazioni, non vi è che un mezzo: abolire la proprietà privata e così eliminare lo sfruttamento e l’oppressione della classe lavoratrice da parte della classe dominante, e mettere le abitazioni a disposizione della collettività. Oggi assistiamo ad un particolare acutizzarsi delle già cattive condizioni abitative dei lavoratori, provocato dall’impossibilità di pagare i mutui delle proprie abitazioni, dall’improvviso afflusso demografico verso le grandi città; da qui l’aumento degli sfratti (gli sfratti esecutivi sono 125 mila in tutta Italia) e la penuria di case popolari.
Dove fallisce lo Stato, subentra l’azione diretta. Gli anarchici sono presenti in questo movimento, come in ogni realtà in lotta contro le sofferenze prodotte dalla società attuale, ma quello che voglio metter in evidenza è l’anarchia messa in pratica anche da chi anarchico non è, perché non la conosce o perché la combatte, perché rimane ancorato ad un’ideologia autoritaria.
C’è un bel dire, ma oggi le occupazioni rappresentano la soluzione immediata, possibile, facile appunto, di un dramma che vivono centinaia di migliaia di famiglie. E’ una soluzione che nega la proprietà privata dell’abitazione, è una soluzione che nega il compromesso, che nega la trattativa con il governo, locale o nazionale. E’ una soluzione che nega il metodo democratico, nella misura in cui la democrazia si basa appunto sulla proprietà privata, e nella misura in cui chi vive i drammi provocati dalla divisione in classi della società, non aspetta il pronunciamento di una maggioranza.
Uno dei tormentoni che i post-anarchici usano per criticare l’anarchismo è che sarebbe ideologico, incapace di confrontarsi con la realtà. Proprio la realtà del dramma della casa dimostra che i bersagli dell’anarchismo, la proprietà privata, il governo, sono le cause di questo dramma, mentre l’azione spontanea delle occupazioni dimostra che la pratica dell’anarchismo è l’unica capace di risolvere i problemi delle masse popolari. Ancora una volta i loro sofismi dottrinari vengono sconfitti dall’azione spontanea delle masse, che si orienta spontaneamente verso l’anarchismo comunista e rivoluzionario.
Ma questa lotta non è confinata solo nei libri o nell’azione spontanea delle masse. Gli anarchici da sempre si sono battuti per risolvere concretamente i problemi degli sfruttati, a partire dal problema della casa.
In ogni paese gli anarchici si sono organizzati per combattere gli sfratti, per rispondere con le occupazioni alla violenza della proprietà privata e dei suoi guardiani in divisa.
Un esempio significativo è quanto è avvenuto in Russia all’indomani della rivoluzione: mentre le altre sette socialiste, bolscevichi compresi, si preoccupavano di difendere la proprietà privata e raccomandavano ai soviet di attendere le decisioni di un futuro governo, più o meno rivoluzionario, gli anarchici mettevano in pratica i principi della rivoluzione, occupando le abitazioni sfitte, espropriando le ville e i grandi appartamenti dell’aristocrazia, dei capitalisti e dell’alta burocrazia zarista, e dividendoli fra i senza casa e chi abitava in condizioni disagiate. Di fronte al diffondersi delle occupazioni, e alla simpatia che ne veniva agli anarchici, il governo provvisorio bolscevico, dopo aver tentato invano di fare appello alla disciplina, è stato costretto a far propria questa pratica, ingabbiandola poi in una ragnatela burocratica. Questo atteggiamento dei bolscevichi non nasceva da una particolare cattiveria, da un particolare autoritarismo di quella formazione politica, ma era già scritto nei principi dei fondatori del marxismo.
Federico Engels si è occupato più volte della questione delle abitazioni; a lui si deve sia la descrizione delle condizioni materiali in cui viveva la classe operaia dell’Ottocento, sia l’analisi della cause capitalistiche della penuria delle abitazioni, sia la critica dei palliativi piccolo-borghesi; ma quando dalla critica si tratta di scendere alla soluzione pratica, tutta la sua scienza si risolve in queste semplici frasi: “già fin d’ora nelle grandi città esistono edifici destinati ad abitazioni in numero sufficiente per rimediare, con un uso razionale delle medesime, ad ogni reale “penuria” d’abitazioni. Ciò, naturalmente, può avvenire solo mediante l’esproprio dei proprietari attuali, ovvero assegnando le loro case ai lavoratori senza tetto o oltremodo sovraffollati nelle loro abitazioni attuali; non appena il proletariato avrà conquistato il potere politico, un simile provvedimento, imposto dal pubblico bene, sarà facilmente attuato, al pari di altri espropri e di altre assegnazioni compiute dallo Stato medesimo.” (F. Engels “La questione delle abitazioni”).
Il nostro teorico individua sì che “già fin d’ora” esistono abitazioni sufficienti; riconosce necessario l’esproprio dei proprietari attuali, ma lo rimanda a “non appena” il proletariato avrà conquistato il potere politico; e scrive queste cose nel 1872! Quanto è lungo questo “non appena”? Chi se la sente di proporre agli sfrattati, ai senza casa di aspettare la conquista del potere politico e ai mirabolanti decreti del governo operaio, per dar corso alle occupazioni, all’esproprio di fatto degli attuali proprietari, alla messa in discussione della proprietà privata?

Tiziano Antonelli

Posted in Anarchismo, Casa, Generale.

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