riceviamo e pubblichiamo volentieri
Sabato 1° marzo, alle ore 16, presso la sala Granai di Villa Mimbelli,
via San Jacopo Acquaviva 63, l’Anppia organizza la presentazione del
libro di Ubaldo Baldi e Giuseppe Mannucci, “Varcando un sentiero che
costeggia il mare. L’avventurosa vita di Danilo Mannucci” (Editrice
Gaia). Partecipano gli Autori; al termine canti antifascisti e
rivoluzionari, a cura della Brigata Garibaldi d’assalto.
Varcando un sentiero che costeggia il mare. L’avventurosa vita di
Danilo Mannucci
Nessuno, o quasi, oggi si ricorda del livornese – ma anche salernitano
e francese – Danilo Mannucci. Eppure è stato uno degli incorrotti che
hanno pagato duramente la scelta di aver dedicato la propria esistenza
alla classe lavoratrice e alla libertà dei popoli oppressi: attivo
militante del movimento operaio, ha attraversato tutte le burrasche
dell’organizzazione della sinistra nel Novecento.
Nato a Livorno da Anna Peruzzi e da Gastone, detto “Libeccino”, segue
ben presto le orme del padre, schedato come “repubblicano
intransigente” in quanto militante mazziniano e anticlericale. Danilo
si iscrive alla gioventù socialista alla fine del 1915. Viene
richiamato alle armi, ed è dall’esperienza del primo macello mondiale
che in realtà inizia la sua vita politica. Congedato nel 1920, nel
1921 aderisce al neonato PCdI e fa parte del Direttorio segreto degli
Arditi del Popolo di Livorno, assumendo il comando di una compagnia.
Prende parte a parecchie iniziative contro i fascisti, ma deve, a
malincuore, lasciare il movimento a causa delle ingiunzioni della
direzione del partito. Dopo numerosi fermi e arresti, dopo il 1923 è
denunciato assieme ad altri “sovversivi” per complotto contro la
sicurezza dello Stato. Passa tre mesi in carcere ed è in seguito
assolto. Continuamente oggetto di aggressioni squadristiche e di
provvedimenti polizieschi, decide di emigrare in Francia, come tanti
antifascisti in quegli anni, per chiedere asilo politico. Stabilitosi
in Provenza, è attivo nel movimento operaio della provincia. Fa parte
delle Centurie proletarie e diviene dirigente del sindacato “rosso”
Cgtu, avendo un ruolo di primo piano nelle agitazioni dei minatori del
bacino carbonifero del Rodano. Dopo il grande sciopero del 1935,
durata cinquanta giorni, a cui partecipano ottomila lavoratori, il
governo francese decide la sua espulsione come “indesiderabile”. Viene
quindi condotto alla frontiera italiana e consegnato alla polizia
fascista. Trasferito nel carcere di Livorno, dopo tre mesi di
reclusione, viene rimesso in libertà vigilata e sottoposto per due
anni alla misura dell’ammonizione. Pure in queste condizioni
proibitive, il Mannucci riesce a trasmettere alla stampa comunista
francese dei resoconti sulla situazione italiana. Denunziato per tale
attività clandestina di fronte al Tribunale speciale, il 24 giugno del
1936 è assegnato al confino di polizia per la durata di 5 anni. Dopo
aver scontato il confino, prima in Calabria e poi a Ponza e Ventotene,
giudicato ancora “elemento pericoloso” gli vengono comminati altri due
anni. Lì passa prima alle Tremiti e poi a Baronissi, vicino Salerno.
Tornato in libertà dopo la caduta del fascismo, diviene il primo
segretario della risorta Camera del Lavoro di Salerno, su posizioni
classiste. Nel 1944, in seguito alla “svolta di Salerno”, lui e molti
altri quadri e militanti comunisti di vecchia data vengono calunniati
ed espulsi dal Pci per “deviazionismo” a causa della loro
intransigenza nei confronti della “linea” togliattiana. Assieme ad
altri “dissidenti”, costituisce quindi la “Frazione di sinistra dei
comunisti e socialisti italiani” di Salerno, mantenendo relazioni
politiche e amicali con bordighisti e anarchici; ma la situazione
economica e le pressioni politiche lo costringono ad un nuovo esilio.
Tornato in Francia nel 1949, muore a Marsiglia nel 1971, testimone e
protagonista di primo piano di oltre mezzo secolo di storia
proletaria.