Questo documento sarà disponibile in forma di opuscolo al presidio astensionista che si terrà oggi, sabato 17 Maggio, in Via Grande (angolo Via Cogorano). Si potrà trovare ovviamente anche presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dale 18 alle 20).
SI CAMBIA CON LA LOTTA, NON COL VOTO!
DOCUMENTO ASTENSIONISTA PER LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2014
A cura della Federazione Anarchica Livornese e del Collettivo Anarchico Libertario
LE CIFRE DEL DISASTRO
La crisi economica iniziata nel 2008 e di cui ancora non si vede la fine ha colpito duramente il territorio livornese. L’argomento richiederebbe molto spazio. Limiteremo quindi la nostra attenzione ad alcuni aspetti socialmente rilevanti.
Riferimento: la provincia di Livorno ha una popolazione complessiva di 335mila persone di cui 174mila vivono nei comuni di Livorno e Collesalvetti (area livornese). Pertanto, con una certa approssimazione si può dire che il peso di questa area è determinante nella valutazione dei dati anche quando non sono riferiti specificatamente alla zona Livorno-Collesalvetti ma più genericamente a tutta la provincia.
Disoccupazione
Secondo i dati ISTAT la disoccupazione nella provincia di Livorno era nel 2013 pari all’8,6%, con una progressione di quasi il 100% rispetto al 2007, quando era del 4,5%. Nel 2013 la media toscana era del 7,8%.
In realtà secondo quanto riportato dall’Osservatorio della Provincia di Livorno, alla fine del 2012 il tasso di disoccupazione provinciale era pari al 14,2% (21754 disoccupati censiti), molto superiore alla media nazionale ISTAT: 11,7%. A Livorno città il tasso di disoccupazione era pari al 15,1%. Secondo gli ultimi rilevamenti dell’Osservatorio la disoccupazione avrebbe raggiunto nel 2013 il 16,1% rispetto ad una media toscana del 7,9%: più del doppio!
Drammatica la situazione giovanile: alla fine del 2012, l’Osservatorio calcolava che nella fascia 15/24 anni (al netto di chi studia) la disoccupazione toccava il 59% (la media regionale era del 28,9%) mentre nella fascia 25/34 era del 22,9%. La disoccupazione giovanile è al livello delle peggiori realtà del sud Italia. Pesante anche la situazione degli “scoraggiati”, cioè di coloro che non studiano non lavorano ma non cercano neppure più un lavoro: nella provincia di Livorno sono 9.700 i giovani fra i 15 e i 29 anni in questa condizione, pari al 22% del totale, contro una media regionale del 16%.
Cassa integrazione
Si tratta di dati pesantissimi: le ore di cassa integrazione ordinarie erano 319mila nel 2006, 993mila nel 2007, 1.191mila nel 2008 ma sono schizzate a 6.235mila nel 2009, 7.757mila nel 2010, 4.230mila nel 2011, 7.100mila nel 2012 e 6.629mila nel 2013.
Liste di mobilità
In cinque anni gli iscritti alle liste di mobilità sono aumentati del 59%: dai 1413 del 2008 ai 2389 del 2012.
Indennità di disoccupazione
In quattro anni coloro che “godono” di questa indennità sono aumentati del 65%, passando da 6525 a 10822.
Emergenza abitativa: gli sfratti
Gli sfratti erano 245 nel 2007 ma sono diventati 909 nel 2011 e 645 nel 2012. Impressionante, in tale contesto disastrato, l’aumento dei provvedimenti di sfratto per morosità: erano 183 nel 2007 sono diventati 809 nel 2011 . Nel resto della regione sono aumentati ma in misura molto minore: da 3637 a 4879.
Salute: aumentano gli anziani
Nella provincia di Livorno ci sono due anziani (over 65 anni) per ogni giovane (sotto i 14 anni).
Salute: i non autosufficienti
Nell’area livornese ci sono 3381 non autosufficienti e 3685 fragili, cioè a rischio di divenire non autosufficienti. Secondo dati del 2010, i posti letto per non autosufficienti ogni 100 autosufficienti erano 30,4 nell’area livornese, contro i 39,9 della media toscana. Gli anziani assistiti con assistenza domiciliare integrata erano 1,59 (ogni 100 anziani) nell’AUSL 6, contro 2,31 della media toscana e i 4,12 della media italiana.
Spesa sociale
Cioè quello che i Comuni spendono per l’erogazione di servizi e degli intervento socio-sanitari. Nell’area livornese era di 123 € per residente, contro i 133 dell’AUSL6 e i 137 della media toscana. Da segnalare che la spesa nell’area livornese è in costante declino dal 2006.
Emigrati
Secondo il rapporto della Fondazione Migrantes (riconducibile alla Caritas) il Comune di Livorno con 11.033 residenti all’estero (il 7% della popolazione residente) si trova in 11^ posizione fra i comuni italiani. Livorno è preceduta solo da Palma di Montechiaro, Favara, Corigliano Calabro, Aragona, Lamezia Terme, Licata, Adfrano, Roma, Lucca e Trieste. Secondo uno studio di Adriana Dadà sull’emigrazione italiana fra l’unità d’Italia e la prima guerra mondiale, la provincia di Livorno (che a quel tempo comprendeva solo Livorno e l’isola d’Elba) aveva all’epoca un tasso di emigrazione pari al 13% della popolazione residente.
Riassumendo: la disoccupazione a Livorno e nella sua provincia è quasi il doppio di quella media toscana e molto superiore alla media nazionale. La disoccupazione giovanile è a livelli da profondo sud. La cassa integrazione è aumentata vertiginosamente: poiché la CIG è l’anticamera del licenziamento è probabile che nei prossimi anni la situazione della disoccupazione peggiorerà ancora. “Si perde il lavoro e si perde anche la casa” non è uno slogan ma una amara realtà come dimostrano gli sfratti in continuo aumento, specie per morosità. La popolazione diventa sempre più anziana, quindi non autosufficiente ma nell’area livornese i servizi sono minori che nel resto della Toscana e perfino che nel resto del territorio servito dall’AUSL6. In una situazione talmente degradata il Comune di Livorno spende per servizi e interventi socio-sanitari meno di quanto non facciano, in media, gli altri comuni dell’AUSL6 e della Toscana. Il risultato è che tanti livornesi fuggono all’estero: Livorno sta diventando terra di emigranti!
Conclusioni
La risposta delle amministrazioni locali a questa situazione devastata e devastante si è centrata su alcune scelte di fondo:
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Immissione nel territorio di denaro pubblico e privato (come nel caso del nuovo ospedale) senza riguardo al peggioramento dei servizi (leggi: privatizzazioni) e al danno ambientale;
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Sostegno a progetti inutili e dannosi come il rigassificatore e il megainceneritore;
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Incentivi per favorire l’arrivo di nuove imprese impegnate nel settore delle produzioni tossiche e nocive (progetto del Puntone del Vallino), proseguendo nella fallimentare scelta di fare di Livorno il “polo delle nocività” che tanto piace al governatore Rossi;
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Lancio di nuove cementificazioni a fini commerciali (porta a terra e poi porta a mare, nuovo centro e chissà cos’altro).
Queste le scelte di fondo delle amministrazioni PD che si sono succedute negli anni. Scelte sia ben chiaro condivise, di fatto, non solo dalla insulsa destra cittadina, sempre attenta a ritagliarsi una fetta di potere che il sistema gli concede ben volentieri in cambio di una finta opposizione, ma anche dai cosiddetti “alternativi”. Di consiglieri più o meno di sinistra ne abbiamo visti passare tanti: dai demoproletari, ai piddiuppini, ai verdi, ai rifondaroli, alle liste civiche. Nessuno però che abbia saputo uscire dalle logiche istituzionali affrontando il problema centrale del vero ruolo dell’istituzione comunale come cerniera fra i gruppi che vorrebbero fare il bello e il cattivo tempo in città, gruppi che non trovano resistenza fra i mummificati consiglieri comunali ma nei comitati, nelle associazioni, nei singoli cittadini autorganizzati per difendere salute e territorio.
L’opposizione consiliare si è limitata al piccolo cabotaggio delle lamentele, limitandosi, nel migliore dei casi, a registrare quello che avveniva in città. Mai un programma di radicale cambiamento dell’esistente, quello che una volta si sarebbe detto “riformista” o “socialdemocratico”.
D’altra parte non poteva e non può essere diversamente: accettando le regole del sistema gli “alternativi” si sono legati le mani e non hanno potuto far altro che partorire programmi raccogliticci, se non contraddittori, spesso slegati dalla realtà delle lotte.
Quello che colpisce in tutta la sarabanda elettorale, piuttosto dimessa quest’anno, è che mentre tutto quello che è accaduto di positivo nel territorio in questi anni avveniva sistematicamente fuori e spesso contro il consiglio comunale, prima delle elezioni si assiste ad una folle rincorsa a creare liste e listine in cui ognuno è più interessato ad avere una autorappresentazione che non a cambiare la realtà; questo cambiamento non passa certo dal consiglio comunale ma dai rapporti di forza nello scontro sociale. Rapporti di forza che – sia detto per inciso – a Livorno non sono poi così sfavorevoli alle forze del cambiamento: perché se a Livorno le cose vanno male anzi malissimo, esse andrebbero anche peggio senza l’impegno, il sacrificio, la costanza di tanti che si sono battuti giorno dopo giorno, contro l’arroganza del potere economico e politico.
IL CAMBIAMENTO NON PASSA PER LE URNE ELETTORALI
Quest’anno, rispetto alle elezioni amministrative del 2009, assieme al moltiplicarsi dei candidati a sindaco, c’è un maggior numero di queste liste elettorali “alternative” che tentano di catalizzare il diffuso malcontento proponendosi come elemento di rottura e cambiamento. Spendiamo quindi qualche parola in più su di esse.
Non stiamo ovviamente parlando della sparuta destra cittadina, attualmente frammentata in ben quattro liste differenti: una segmentazione che da una parte ricalca le divisioni politiche a livello nazionale, ma che dall’altra risponde anche agli interessi della stessa destra locale, ridotta ad un comitato di affari ben integrato nella gestione politica ed economica della città.
Sono le liste che si pongono in alternativa al PD più o meno “non da destra” a cavalcare in questa campagna elettorale il mito della scossa alla città, del grande cambiamento attraverso il voto del 25 maggio. Non ci interessa entrare nel merito di programmi e promesse elettorali, lasciamo questi argomenti a chi cerca in campagna elettorale di strappare voti all’avversario.
Poniamo invece la questione sul piano concreto dei processi politici che dovrebbero condurre a questo cambiamento. Per questi candidati il problema sta essenzialmente nella gestione della città da parte del PD, e la soluzione sta quindi nel cambiare la maggioranza di governo della città.
Qualcuno potrebbe pensare che questo sia già molto. Ma poi? Chi cerca esempi concreti può guardare a quello che è avvenuto nei molti comuni italiani che con le tornate elettorali degli scorsi anni hanno cambiato giunta. Non c’è alcuna prospettiva di cambiamento senza mettere veramente in discussione i processi decisionali che oggi impongono sui lavoratori ed in genere sulla popolazione le scelte politiche di governo del territorio, senza scardinare questo sistema politico partendo dalla sua base, ossia del meccanismo della delega. Non chiediamo certo ai candidati a sindaco di affrontare questo problema, dopotutto hanno scelto di correre sul piano delle elezioni; ma non ci vengano allora a parlare di cambiamento! Nella prospettiva elettorale il malcontento diffuso, la disillusione di molti, viene così manipolata con la creazione di una vana idea di trasformazione che non può mai passare per pratiche diverse da quelle della delega. Una delega, quella elettorale, che significa affidare a qualcuno il nostro voto perché siano i professionisti della politica a risolvere i nostri problemi, standocene buoni fino alle prossime elezioni; confidare nell’uomo della provvidenza e nell’efficienza degli apparati di partito.
La stessa struttura di queste liste elettorali “alternative” non lascia alcun margine ai dubbi. Molte di queste infatti sono organizzate secondo uno schema verticistico in tutto simile a quello dei partiti, con direttivi ed organismi decisionali più o meno aperti ma sempre centralizzati.
Oltre al consueto verticismo connaturato al mondo dei partiti ed ai personalismi che si impongono nelle liste civiche, un esempio fra tutti quello di Cannito, in queste elezioni abbiamo visto addirittura un raro caso di “direttivo” senza partito, come quello che guida la lista Buongiorno Livorno, attorno alla quale si sono aggregate altre tre liste di “sinistra”.
Un discorso a parte merita il Movimento 5 Stelle che dopo grandi liti interne a livello locale è riuscito ad presentare una lista per le amministrative. La spregiudicata caccia al consenso condotta dal movimento fondato da Grillo non ha niente da invidiare alla propaganda dei partiti più navigati. Le promesse agli imprenditori, la retorica razzista e anti-immigrati, il ritornello della sicurezza e della legalità sono parte importante della propaganda del Movimento 5 Stelle. Non di rado infatti a livello locale gli esponenti dei 5 Stelle sono stati costretti a ridimensionare o addirittura a prendere le distanze dalle affermazioni del proprio leader per evitare di perdere consensi.
Ma il problema non sta in questo o quel candidato, in questa o in quella lista, il problema sta nella via elettorale, il problema sta nella delega in bianco che con il voto si consegna a chi pretende di volerci rappresentare. Attraverso quella strada, quella del potere politico, non c’è margine per un reale cambiamento.
TRASFORMAZIONE POLITICA E CAMBIAMENTO SOCIALE
Quello di cui le persone hanno bisogno è un reale cambiamento sociale, e non un cambiamento di sindaco o della maggioranza al parlamento europeo.
Il Comune, oggi, dovrebbe provvedere a moltissimi servizi pubblici, ma lo fa male, perché la lotta fra i gruppi di potere altera anche le cose più semplici, ed è la popolazione a pagarne le tragiche conseguenze. Dovrebbe essere facile mettersi d’accordo sulle questioni urbanistiche, sui trasporti, sull’assistenza, sulla sanità, sulle cose che rientrano nell’ambito di gestione dell’ente locale, ma non è così.
La divisione in classi della società è un primo ostacolo; in tali condizioni, il Comune è tale solo di nome. Non vi è nulla in comune tra l’operaio ed il capitalista, tra il disoccupato ed il manager che impone straordinari a chi già lavora. Non vi è nulla in comune tra sfrattato e proprietario di case, tra chi si ammala perché è vittima dell’inquinamento e chi installa produzioni nocive per la salute e per l’ambiente.
L’interesse dei partiti che hanno in mano l’amministrazione è un altro elemento di divisione: il governo locale è pur sempre un governo, e chi è al potere ha bisogno di una classe economicamente potente che lo appoggi in cambio della protezione che ne riceve. Infatti ogni gruppo consiliare è a capo di una clientela che cerca di soddisfare i propri appetiti a danno delle altre e soprattutto a danno dell’insieme dei cittadini.
Ecco allora che il governo locale, in modo più o meno legale, amministra quei servizi di cui detiene il monopolio a vantaggio della classe economicamente dominante: abbiamo visto come è stato portato alla rovina il trasporto pubblico locale, per poi consegnare ATL alla società CTT che ha imposto una riduzione dello stipendio ai lavoratori. Lo sfacelo del sistema sanitario nazionale è funzionale a cliniche e laboratori privati, case farmaceutiche, speculatori di ogni risma. Questo a Livorno si è tradotto con l’abbandono dell’Ospedale di Viale Alfieri per lanciare il progetto del “nuovo ospedale” che vedrà una gestione pubblico-privato e che porterà ad una ulteriore riduzione del servizio sanitario a Livorno. L’inadeguatezza del servizio di scuole per l’infanzia, su cui gli investimenti sono assai inferiori alle esigenze della popolazione, favorisce soprattutto gli istituti religiosi, che attorno a questa attività hanno un giro di affari vertiginoso, presentato ancora una volta dall’amministrazione comunale come esempio di governance, di sistema integrato pubblico-privato.
Anche nelle principali crisi occupazionali che ci sono state a Livorno, il ruolo del Comune è sempre stato negativo per i lavoratori, mentre ha favorito padroni e speculatori. Negli ultimi venti anni i casi del Cantiere e della Delphi sono soltanto i più noti. La dismissione del Cantiere è stata accompagnata dal cambio di destinazione del terreno e dalla speculazione sulle aree con la costruzione del complesso commerciale e residenziale di Porta a Mare, un’operazione in cui il Comune ha avuto un ruolo centrale. Il Comune nella chiusura della Delphi ha avuto un ruolo importante come mediatore nella ricerca di soluzioni per i lavoratori. Il risultato? Anni di cassa integrazione, “tavoli” e promesse per tenere buoni gli operai, fino alla truffa di Rossignolo: il manager che secondo il Comune avrebbe dovuto “salvare” 134 operai ex Delphi, ma che venne arrestato mentre la sua società, la De Tomaso, si rivelava una grande farsa per far soldi.
Ma il Comune diviene anche magicamente paladino della “difesa dell’occupazione”. Infatti anche pochi posti di lavoro diventano strumento di propaganda se si devono difendere progetti sostenuti dall’amministrazione locale, soprattutto se nocivi ed inquinanti, come nel caso del rigassificatore e della discarica del Limoncino.
E se per caso un Comune volesse soddisfare i bisogni dei propri cittadini non avrebbe in realtà gli strumenti per farlo. Infatti le leggi dello Stato e il taglio dei finanziamenti, fino a ricorrere al commissariamento, costringerebbero gli amministratori a rispettare la volontà del Governo. D’altra parte è la macchina burocratica stessa che distrugge i servizi resi dagli enti locali: il contratto di lavoro dei dirigenti egli enti locali prevede che la parte variabile della loro retribuzione, il “premio incentivante”, sia legata ai risultati economici della loro dirigenza. E, visto che le entrate da parte dello Stato sono bloccate o ridotte, gli unici risultati economici si possono ottenere riducendo i servizi e peggiorando le condizioni dei dipendenti.
Ecco che cosa ci si può aspettare dal Comune, nella società divisa in classi e all’interno della struttura autoritaria dello Stato!
La pratica di ogni giorno dimostra come sarebbe possibile, e facile, risolvere i problemi dei cittadini. Ad esempio le occupazioni di case, o delle aree abbandonate, sia in città che in campagna, oltre a trovare una soluzione a un problema immediato, mostrano una realtà di immobili pubblici e privati abbandonati al degrado che, con le occupazioni e l’autogestione, tornano ad ospitare i cittadini sfrattati dalla società dello Stato e della proprietà privata; mostrano che, di fronte a milioni di disoccupati, di persone che non riescono più a combinare il pranzo con la cena, che non riescono a trovare un tetto sotto cui dormire esistono mezzi di produzione che rimangono improduttivi, nel fatto specifico il terreno, esistono mezzi di sussistenza che non trovano acquirenti, esistono case sfitte ed abbandonate.
Le misure che il governo centrale impone agli enti locali, possono essere bloccate solo da un movimento di massa che si basi sull’azione diretta, che non si affidi alle istituzioni o al mito della legalità.
Gli anarchici sono presenti nelle lotte sociali, a fianco di tutti coloro che lottano per la salute, per la casa, per il salario, per l’ambiente, per la libertà sessuale e l’autodeterminazione delle scelte. A Livorno vi sono molte persone che quotidianamente, senza rincorrere poltrone o benefici economici, fanno parte di strutture, comitati, sindacati di base, portando avanti lotte che entrano in contrasto con il governo locale come con il governo nazionale. Loro azione svela la responsabilità anche degli enti locali nel saccheggio del territorio, nella devastazione ambientale, nell’attacco alla salute e alla vita stessa degli abitanti; la loro azione mette in discussione la proprietà privata e l’ordinamento giuridico che la legittima.
Nella prospettiva anarchica, l’impegno quotidiano rivolto ad obiettivi immediati deve essere unito ad una più generale e radicale lotta contro il governo, contro ogni gerarchia, contro ogni apparato istituzionale. Gli anarchici si battono per una società diversa, una società senza classi, senza sfruttamento, senza carceri e senza gendarmi. L’anarchia non è disordine o confusione, ma è una forma di società organizzata, una volta abolite la poprietà privata e l’oppressione del Governo, per opera di libere associazioni e federazioni di produttori e consumatori, fatte e modificate secondo la volontà dei componenti. Saranno i lavoratori a prendere in mano la produzione, saranno i cittadini a risolvere i problemi dell’inquinamento, della sanità, della casa ecc. che le istituzioni hanno creato. L’anarchia non è un’utopia; è una prospettiva sociale che si costruisce con metodi e pratiche: l’azione diretta, l’autoorganizzazione, il modello assembleare, la costruzione di mobilitazioni dal basso, il rifiuto della prevalenza della maggioranza sulla minoranza, il rifiuto della delega e del meccanismo elettorale. Gli anarchici non votano perchè la delega è un ostacolo al loro progetto politico, che non è utopia. Utopico è credere che la ripetizione del rituale del voto porti un reale cambiamento.
Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario