Questo articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale anarchico Umanità Nova.
Turchia: Capitalismo assassino
Il 13 maggio a Soma, centro minerario della Turchia a poco più di cento chilometri da Izmir, un’esplosione di gas all’interno di una miniera di lignite ha sprigionato un incendio che ha ucciso centinaia di minatori. Sabato 17 maggio è stato estratto dalla miniera il corpo della trecentounesima vittima. Il Ministro turco dell’Energia ha dichiarato che non risultano dispersi altri lavoratori, fissando a 301 il numero definitivo dei minatori rimasti uccisi nel disastro. Le squadre di soccorso hanno quindi lasciato la miniera, il cui ingresso è stato chiuso da un muro di mattoni, mentre i lavori nel complesso minerario sono stati sospesi. Se non fosse stato per le proteste che in questi giorni si sono diffuse in tutto il paese, se non fosse stato per la determinazione dei familiari dei minatori e per la rabbia della popolazione di Soma che ha contestato duramente il Primo Ministro Erdoğan durante la sua visita al centro minerario, probabilmente sarebbero ancora molti i “dispersi”, sarebbero stati molti i minatori lasciati sepolti nella miniera. Fin da subito infatti il governo turco ha cercato di banalizzare e minimizzare la portata del disastro, arrivando a diffondere dati sul numero delle vittime consapevolmente sottostimati, allo scopo di coprire il più possibile le responsabilità del governo e della proprietà della miniera in questa strage.
La Turchia non ha mai firmato dall’anno in cui è stato promosso, nel 1995, l’Accordo n. 176 sulla sicurezza delle miniere dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia specializzata dell’ ONU per il lavoro. Il 29 aprile scorso veniva discussa nel parlamento turco una mozione presentata nell’ottobre 2013 dai parlamentari del CHP, il partito dell’opposizione “kemalista” repubblicana, autoritaria e laica, in cui si chiedeva la creazione di una commissione d’inchiesta sulla sicurezza nel sito minerario di Soma. In quel sito si verificavano continue esplosioni ed incidenti, con frequenti vittime. La compagnia mineraria citata nella mozione non era quella nella cui miniera si è consumata la strage degli ultimi giorni. Ma l’alto tasso di incidenti e la stretta relazione con il partito di governo, l’AKP, sono caratteristiche comuni a tutte le aziende che gestiscono le miniere di Soma. Nella mozione si parla anche di 3000 minatori che sarebbero stati forzati durante l’orario di lavoro a partecipare, sotto minaccia di licenziamento, ad un comizio elettorale di Erdoğan nella città di Manisa, prima del voto amministrativo del 30 marzo scorso. La maggioranza in parlamento ha bocciato la proposta di creare una commissione d’inchiesta, 15 giorni dopo c’è stata l’esplosione che ha provocato una strage tra i minatori. Il gioco parlamentare non è riuscito ad impedire il massacro.
Per raggiungere le massime quote di profitto la sicurezza nelle miniere di Soma ed in generale della Turchia è ridotta ai minimi livelli. Mancanza di camere di isolamento per mettere in sicurezza i lavoratori in caso di incidente, scarsa manutenzione dei macchinari, tempi di lavoro massacranti, condizioni di lavoro prossime alla schiavitù. Il salario medio mensile di un minatore è di 500 dollari, spesso nelle miniere lavorano aziende in subappalto, molti sono i minatori “illegali”, anche minori, sottopagati, che restano fuori dalle statistiche. Sono questi i minatori che il governo e la proprietà hanno inizialmente provato a lasciare sepolti nella miniera, sottostimando il numero dei lavoratori in attività nelle gallerie al momento dell’esplosione, per nascondere le proprie responsabilità.
Sappiamo bene che nessun incidente sul lavoro è casuale o accidentale, e che ogni lavoratore morto sul posto di lavoro è ucciso per assicurare più alti profitti a pochi padroni. La strage di Soma ne è un ulteriore, tragico esempio.
Il 18 maggio sono state arrestate 24 persone in relazione all’indagine sul disastro minerario di Soma, tra cui alcuni funzionari di alto livello della compagnia che gestisce la miniera come il presidente del consiglio di amministrazione della Soma Holding Can Gürkan, figlio del proprietario, e l’ingegnere capo Akın Çelik. Il proprietario della compagnia Alp Gürkan, come anche il suo manager operativo Ramazan Doğru, non risultano per ora essere tra gli indagati. A carico di Alp Gürkan è stata al contempo aperta ad Istanbul un’indagine per bancarotta fraudolenta che tuttavia sembrerebbe slegata dall’inchiesta sul disastro minerario.
Nella stessa giornata del 18 maggio la cittadina di Soma è stata isolata e militarizzata. La polizia e la gendarmeria hanno stabilito posti di blocco su tutte le strade che portano a Soma, lungo un raggio di 30 km dal luogo del disastro. Solo funzionari, personale dei soccorsi, familiari dei minatori e pochi giornalisti possono passare i checkpoints. Da Istanbul, Ankara, Izmir e Denizli sono state inviate di rinforzo truppe delle forze speciali. Nel centro minerario è stata vietata ogni forma di protesta e manifestazione, mentre l’ufficio del governatore del distretto di Manisa, dove si trova Soma, ha affermato che le proteste nella cittadina sono state in gran parte inscenate da provocatori venuti da fuori per alimentare la tensione. Sabato 17 a Soma erano cresciute le proteste, la polizia aveva risposto brutalmente e il tentativo di arresto di un bambino di 10 anni avrebbe scatenato una decisa reazione della piazza. Molte le persone fermate dalla polizia, tra cui anche otto legali dell’Associazione degli Avvocati Progressisti, ÇHD, giunti a Soma per assistere i familiari delle vittime ed i superstiti. Alla fine della giornata 20 persone sono rimaste in stato d’arresto. Dopo aver dichiarato concluse le operazioni di soccorso, il governo ha quindi deciso di non tollerare più alcuna contestazione, mettendo di fatto la zona sotto controllo militare.
Il governo Erdoğan, messo ancora una volta a dura prova dalle proteste scoppiate in tutto il paese in seguito al disastro, cerca una via d’uscita sicura da questa situazione di crisi, per fermare l’emorragia di consensi nei confronti del governo anche in vista delle elezioni presidenziali di agosto. Per questo da una parte scattano i primi arresti per alcuni quadri della compagnia mineraria, ma allo stesso tempo si impone manu militari la cessazione di ogni protesta, si chiude ogni spazio di espressione del dissenso.
Ma sarà difficile silenziare l’ondata di proteste che si era diffusa in tutto il paese nei giorni scorsi. Già dal giorno in cui si è verificata l’esplosione nella miniera, in molte città si sono tenute manifestazioni spontanee di solidarietà, alle quali hanno partecipato anche gli anarchici. La polizia ha cercato fin da subito di disperdere i dimostranti con idranti, proiettili di gomma e candelotti lacrimogeni, scontrandosi però con la resistenza di chi era sceso in piazza. Il 15 maggio le sigle sindacali DISK e KESK avevano proclamato uno sciopero, ed in quella giornata numerose manifesazioni si sono tenute nelle principali città. In questi giorni anche gli studenti delle università tecniche di Istanbul (İTÜ) e di Ankara (ODTÜ) si sono mobilitati con cortei e iniziative di protesta scontrandosi anch’essi con la repressione della polizia. Inoltre, ad Istanbul, dopo giorni di manifestazioni e scontri con la polizia, la Piattaforma Solidale di Taksim, protagonista del movimento di Gezi Park dello scorso anno, aveva convocato sabato 17 una nuova manifestazione che è stata attaccata con violenza dalla polizia nella centrale Istiklal Caddesi. Vedremo nelle prossime settimane cosa resterà di queste giornate di lotta. Certo questa ennesima strage di lavoratori, accompagnata dalle arroganti dichiarazioni dei potenti, ci mostra l’urgenza della rivoluzione sociale, della liberazione dallo sfruttamento capitalista e dall’oppressione dello Stato. Ci mostra come solo con l’azione diretta, solo con la propria forza i lavoratori possano ottenere dei risultati concreti.
Dario Antonelli
aggiornamento: il 19 maggio nell’ambito dell’inchiesta sul disastro è stato arrestato anche il manager operativo della compagnia mineraria Ramazan Doğru.