PER LO SCIOPERO GENERALE DEL 18 MARZO,
CONTRO LA GUERRA,
CON L’AUTOGOVERNO DEI KURDI DELLA ROJAVA
Sabato 12 marzo PISA
h 16 Presidio in Piazza Garibaldi
h 18 Assemblea pubblica – Polo Carmignani, Aula 1, Piazza dei Cavalieri
Venerdì 18 marzo FIRENZE ore 9,30 Piazza Dalmazia Corteo per lo Sciopero Generale
Precarietà, sfruttamento e disoccupazione segnano in modo sempre più forte la vita della maggior parte delle persone.
Negli ultimi anni, agitando lo spettro della crisi economica, i governi che si sono succeduti hanno imposto politiche di austerità e sacrifici, che hanno portato ad un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro della maggior parte della popolazione.
Di fronte alla crescente disoccupazione, padroni e governanti, per accrescere i propri profitti e difendere i propri privilegi, cercano di imporre sempre peggiori condizioni di lavoro, salari sempre più bassi, meno sicurezza sul lavoro, tagli alla sanità, più inquinamento, restrizione della libertà sindacale.
Con mezzi diversi ma con i medesimi interessi sia la destra xenofoba e fascista sia i partiti di governo tentano di dividere i lavoratori tra più garantiti e meno garantiti, tra italiani e stranieri, tra disciplinati e fannulloni, tra sottomessi e combattivi, spianando così la strada alle politiche del governo.
Il governo Renzi sta conducendo una vera e propria guerra interna contro i lavoratori e gli strati popolari. Gli effetti di questa guerra li possiamo vedere quotidianamente sulla nostra pelle: ticket sanitari alle stelle che costringono milioni di persone a rinunciare alle cure; scuole fatiscenti con classi sempre più numerose; riduzione dei salari e delle pensioni; grandi opere e produzioni nocive, che devastano i territori e avvelenano abitanti e lavoratori; estrema precarizzazione del lavoro, dalle esternalizzazioni al lavoro interinale, dai tirocini alle prestazioni gratuite; quasi totale licenziabilità con il Jobs Act ed in ultimo restrizione della libertà di associazione e di sciopero, grazie all’infame accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 firmato dai sindacati concertativi.
Questo attacco viene condotto dal governo con un approccio militare e autoritario.
Alle proteste popolari si risponde a suon di manganellate, denunce e licenziamenti.
Con la giustificazione del contrasto del terrorismo e della criminalità il governo ha riempito di soldati le città italiane, mentre in alcuni casi i militari sono già stati impiegati per la repressione interna, come ad esempio in Val di Susa contro il movimento NO TAV.
La militarizzazione della società e dei rapporti sociali corre parallela alle politiche di guerra condotte dal governo. Miliardi di euro vengono sottratti ai servizi pubblici per finanziare il settore militare, alla faccia della crisi si continua ad investire nella ricerca militare e l’industria bellica continua a fare affari d’oro. L’adesione alla NATO e la presenza di basi statunitensi nel paese coinvolge automaticamente l’Italia in molti dei conflitti in corso. Inoltre lo Stato italiano si prepara anche a nuovi interventi diretti in zone di guerra, come dimostra la creazione di nuove unità d’intervento rapido. Alle missioni di guerra “ufficiali” si aggiunge la presenza di militari italiani in Iraq, e il supporto logistico al militarismo degli USA, mentre per la prossima missione di morte in Libia, Renzi ora dice che l’Italia non parteciperà all’attacco, ma come si sa con lui non c’è da star “sereni”.
La politiche economiche e sociali del governo sono dunque strettamente connesse alle politiche di guerra, per questo come Anarchici Toscani parteciperemo alla manifestazione del 18 marzo a Firenze e sosteniamo lo sciopero generale indetto per quella giornata.
Riteniamo che iniziative di lotta come queste siano importanti e che necessiterebbero, per avere una maggiore efficacia, per sviluppare un effettivo radicamento nei territori legare le iniziative di lotta anche a problemi locali che affliggono i lavoratori e le popolazioni in genere.
Come Anarchici Toscani riteniamo importante che nella giornata di lotta del 18 marzo si manifesti anche la solidarietà internazionalista verso chi lotta in Kurdistan e in Rojava, il Kurdistan occidentale in territorio siriano.
La guerra così come le politiche di austerità si determinano in campo internazionale, nello scontro tra potenze capitalistiche e statali che competono tra loro per il dominio e per il controllo delle risorse.
In questo quadro fosco che minaccia l’umanità c’è una piccola luce rappresentata dalle popolazioni della Rojava, dal movimento kurdo e dai rivoluzionari, tra cui anche gli anarchici, che lottando e combattendo per la propria libertà cercano anche di sperimentare forme di vita sociale alternativa alla logica della gerarchia, della sopraffazione e del profitto.
Quanto avviene in Turchia, ed in particolare nel Bakûr, il Kurdistan settentrionale in territorio turco, ci mostra il vero volto dello Stato e del suo apparato militare. Coprifuoco, rastrellamenti, bombardamenti, omicidi, arresti e torture, carri armati nelle strade e assedio di quartieri e villaggi insorti. Le vittime tra la popolazione civile, i militanti politici e gli attivisti sindacali sono migliaia solo negli ultimi mesi. Quanto avviene in Rojava, il Kurdistan occidentale in territorio siriano, ci mostra un’esperienza alternativa e rivoluzionaria. Sotto la spinta del movimento curdo la popolazione ha cercato di darsi nuove forme di organizzazione politica e sociale. Per difendere queste forme di sperimentazione sociale e di autogoverno territoriale le forze di autodifesa popolari della Rojava (YPG/YPJ) hanno dovuto combattere le truppe di Al-Nusra e dello Stato Islamico, hanno dovuto anche scontrarsi con le truppe siriane fedeli ad Assad e vengono quotidianamente attaccate dall’esercito turco. Le potenze come USA e Russia che intervengono nella regione cercano invece di conquistarsi, anche sulla pelle delle popolazioni della Rojava, posizioni favorevoli di influenza per l’accesso alle risorse e la futura gestione politica della pacificazione.
La lotta in Kurdistan ci mostra dove possa arrivare la repressione militare messa in atto da un governo ed allo stesso tempo quali siano le potenzialità rivoluzionarie del processo di sperimentazione sociale in atto in Rojava e quali siano le forze che tentano di bloccare tale processo. Sosteniamo la lotta per la libertà del popolo Kurdo l’esperienza rivoluzionaria della Rojava. Lottiamo contro la guerra e il militarismo, contro tutti gli Stati e tutti i padroni.
VENERDI’ 18 MARZO SCIOPERO GENERALE
MANIFESTAZIONE A FIRENZE
ORE 9:30 IN PIAZZA DALMAZIA
ANARCHICI TOSCANI
Per contatti: anarchicitoscani@autistiche.org
http://www.umanitanova.org/tag/gianni-sartori/
segnalo, ciao
GS
LA TURCHIA VERSO IL FASCISMO? PER ORA ERDOGAN E L’OLIGARCHIA TURCA STANNO ANCORA MUOVENDO I PRIMI PASSI, MA LA DIREZIONE E’ QUELLA…
(Gianni Sartori, 22 maggio 2016)
Mentre l’oligarchia turca, colonialista e fascista, prosegue nella sua politica di distruzione e saccheggio in Kurdistan, lo Stato turco e il Presidente Erdogan si stanno indirizzando verso un modello sempre più autoritario .
La nuova guerra contro i curdi era cominciata nel luglio del 2015, dopo la sospensione del processo di pace e con l’isolamento completo imposto al dirigente curdo Abdullah Ocalan.
Poi erano cominciate le azioni suicide contro i civili, quelle che UIKI aveva stigmatizzato come “un’operazione congiunta AKP-ISIS”. Cinque persone erano rimaste uccise a Diyarbakir, 33 a Suruc e un centinaio ad Ankara. Negli stessi attacchi oltre 900 persone erano rimaste ferite.
In una seconda fase dell’operazione, erano entrati in azione esercito e polizia turchi.
Da mesi in molte città del Kurdistan è stato dichiarato il coprifuoco.
Cizre, Silopi e Sur sono stata quasi completamente distrutte e solo a Cizre 120 civili sono stati bruciati vivi in una cantina. Un massacro documentato anche da ONU, HRW e Amnesty International.
Nusaybin, Yuksekova e Sirnak stanno ora vivendo tragedie analoghe e ormai tutte le città curde sono quotidianamente sotto attacco. Oltre 800 civili, in maggioranza donne e bambini, sono stati uccisi dall’esercito turco.
Chiunque abbia osato esprimere critiche alla guerra voluta da Erdogan è stato pesantemente minacciato, compresi i 1028 accademici che avevano firmato l’appello: “non vi seguiremo in questo crimine” (molti di loro sono già stati licenziati). Messi a tacere anche i media con la minaccia di azioni legali. Centinaia di giornalisti restano in prigione e chiunque abbia il coraggio di opporsi al delirio di onnipotenza di Erdogan viene etichettato come “terrorista”.
Presumibilmente lo scopo di Erdogan con la sua annunciata “riforma
dello stato in senso presidenziale” (bonapartismo?) è quello di svuotare il sistema parlamentare. Un importante passo in direzione di questo obiettivo è stato compiuto revocando l’immunità parlamentare dei deputati dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli, all’opposizione) accusati di fiancheggiamento al PKK per aver sostenuto il processo di pace.
Complici dell’AKP (il partito di governo, privato recentemente del presidente
e primo ministro Davutoğlu), il MHP (i “lupi grigi”, fascisti) e il CHP (Partito Repubblicano del Popolo, kemalista e soidisant “socialdemocratico”). Confermando ancora una volta che l’unica cosa che accomuna quei partiti che rappresentano il nazionalismo di Stato (AKP, MHP e CHP) è l’ostilità nei confronti del popolo curdo,
L’UE, gli USA e la NATO si sono limitati a qualche blanda dichiarazione (del tipo: “la democrazia è in pericolo”; o anche: “la qualità della democrazia sta scadendo”) minimizzando la gravità di quanto sta accadendo e rendendosi di fatto corresponsabili di questo atto dittatoriale compiuto da un loro alleato strategico. Mentre il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, osava parlare di “colpo alla democrazia turca e alla libertà politica”, la cancelliera Angela Merkel (che si era spesa per firmare l’accordo con la Turchia per bloccare i profughi) ha dichiarato che in futuro “solleverà il problema”. Un comportamento sicuramente gradito da Erdogan che così non deve preoccuparsi di interferenze esterne.
Ma dal punto di vista dei curdi: “La democrazia in Turchia è finita!”.
Se davvero (per ipotesi, puramente accademica) volessero salvaguardare la democrazia e la stabilità nella regione, le potenze occidentali (invece di collaborare con uno Stato che, mentre sostiene l’ISIS, fa la guerra al popolo curdo) dovrebbero applicare sanzioni economiche, militari e politiche nei confronti di Ankara.
Quanto all’obiezione che in fondo Erdogan è stato eletto, basti ricordare che lo era stato anche Hitler.
E’ cosa nota che quando un regime vuole togliersi di torno le opposizioni in Parlamento, non deve far altro che privarle dell’immunità (per poi magari incarcerare qualche deputato). E queste sembrano essere le intenzioni di Erdogan. Nel frattempo prosegue l’opera di eliminazione fisica dei semplici militanti nelle strade, nelle prigioni e sulle montagne.
Gianni Sartori