articolo pubblicato sul settimanale anarchico Umanità Nova n. 3 del 2018
Truppe in Libia, Niger e Tunisia
Ribelliamoci alla guerra!
Il 17 gennaio la Camera ha approvato il rinnovo delle missioni militari all’estero. Oltre al rinnovo di quelle già in atto, è stato deciso un nuovo impegno strategico in Africa per la difesa della sicurezza degli interessi nazionali. Libia, Niger (con intervento anche in Nigeria, Mauritania, Mali e Benin), Tunisia, Sahara Occidentale, Repubblica Centrafricana, sono questi i paesi dove saranno inviate le truppe. Prima di votare le nuove missioni di guerra i deputati hanno osservato un minuto di silenzio per gli operai morti a Milano nella fabbrica Lamina. Questo rende chiaro a coloro che ancora non lo avessero capito, chi pagherà in termini di servizi, sicurezza sul lavoro, salute e condizioni di vita il maggiore tributo per sostenere l’espansione della politica di guerra italiana.
Siamo di fronte all’avvio ufficiale di una strategia militare complessiva in Africa da parte dell’Italia.
Fino ad ora le forze armate della Repubblica che “ripudia la guerra” avevano già una presenza relativamente consistente in Africa. In particolare negli ultimi anni si è rafforzata la presenza nel Corno d’Africa; dall’intervento in Somalia nel 1993, venticinque anni fa, infatti i militari italiani non hanno più lasciato l’ex colonia. Attualmente sono presenti in modo significativo militari italiani per le missioni UE in Somalia e per la missione navale antipirateria tra il Golfo di Aden, il Bacino Somalo e l’Oceano Indiano. In Gibuti inoltre, dove tutte le potenze che hanno interessi imperialistici in Africa, compresa la Cina, hanno basi militari, anche l’Italia ha una base militare nazionale, dove è dislocato un contingente militare. L’Italia già partecipava con un contributo rilevante anche alla missione MFO in Egitto, che avrebbe l’obiettivo di vigilare sul rispetto degli accordi di Camp David e dei trattati di pace tra Egitto e Israele. Anche nell’area saheliana l’Italia aveva stabilito negli ultimi anni una presenza con la partecipazione di poche decine di militari alle missioni UE e UN in Mali e alla missione UE in Niger. Per quanto riguarda la Libia, oltre alla Missione UE di supporto al governo libico detto di Accordo Nazionale, guidato da Sarraj, e alla missione “Ippocrate” che con l’espediente dell’assistenza medica aveva portato i primi soldati sul campo, dal marzo 2015 è stata avviata l’operazione Mare Sicuro (che dalla scorsa estate comprende una missione di supporto alla guardia costiera libica), con l’impiego di 700 militari, 5 mezzi navali e mezzi aerei. Erede dell’operazione Mare Nostrum, il cui nome tristemente evocativo non poteva non preannunciare il rigurgito colonialista, Mare Sicuro è nato come una sorta di blocco navale antimigranti e si è di fatto configurato come un’operazione militare a difesa degli interessi ENI, specie a protezione del complesso di Mellitah, che ha segnato l’avvio della strategia su terra della guerra italiana in Libia iniziata con i bombardamenti del 2011.
In Libia la nuova missione con comando a Tunisi sostituirà due precedenti missioni, quella di supporto alla guardia costiera libica e la missione “Ippocrate” che con 300 militari sul campo, nel 2016 era stata presentata come una missione di mera assistenza medica con la costruzione di un ospedale da campo a Misurata. Ora saranno schierati 400 militari e 130 mezzi terrestri, obiettivo della missione, secondo il Governo è «rendere l’azione di assistenza e supporto in Libia maggiormente incisiva ed efficace, sostenendo le autorità libiche nell’azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento delle attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale, dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza.» Saranno mantenute la missione UE a sostegno del governo Sarraj e la missione Mare Sicuro, dunque con la nuova missione a terra dagli obiettivi pienamente militari si consolida la presenza di occupazione militare italiana in Libia partecipando alla razzia del paese. In Libia sono presenti tra gli altri anche statunitensi, francesi, russi, qatarini, mentre altri stati come la Germania pur senza inviare forze sul terreno partecipano, non meno direttamente, al confronto tra potenze per garantirsi interessi economici e influenza politica nella regione.
In Niger saranno invece inviati 470 militari per una missione i cui compiti principali saranno secondo il Governo «supportare, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area e il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel (Niger, Mali, Mauritania, Chad e Burkina Faso), lo sviluppo delle Forze di sicurezza nigerine (Forze armate, Gendarmeria Nazionale, Guardia Nazionale e Forze speciali della Repubblica del Niger) per l’incremento di capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza; concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio e di sviluppo della componente aerea della Repubblica del Niger.» Come già con Mare Sicuro e con la Libia, ora con il Niger la sorveglianza delle frontiere, il contrasto ai “trafficanti di esseri umani” diviene pretesto per giustificare l’invio di truppe e mezzi militari.
In Tunisia saranno inviati 60 militari per una operazione finalizzata all’addestramento delle forze militari e di sicurezza tunisine per la costituzione del Quartier Generale di un Nuovo Comando di Brigata della NATO. Questa che appare come la missione meno consistente sul piano delle unità militari coinvolte è quella più grave e preoccupante.
Gli interessi economici sono enormi. Il più noti sono certo l’uranio in Niger, gli interessi ENI in Libia e Nigeria, ma anche il mercato ampio e appetibile delle ex-colonie francesi (e non solo), un mercato che ha pure una moneta unica, il franco CFA, erede e continuatore della politica coloniale francese. Dalla Tunisia inoltre passa il gasdotto che porta in Italia il gas algerino. Tuttavia per indagare la trama di interessi internazionali che si giocano in Africa e che vedono confrontarsi tra gli altri Francia, UE, Cina e USA, e considerare come l’intervento dell’Italia si inserisca in questo quadro, sarebbe necessaria una specifica trattazione.
Gli interessi politici sono altrettanto forti. Basti pensare al ruolo politico della presenza di un numero consistente di militari italiani in Tunisia finalizzato alla costituzione di un Quartier generale per un Comando di Brigata NATO. Da una parte si può fare una considerazione di carattere globale, dal momento che la costituzione di un Comando di Brigata NATO in Tunisia risulta molto preoccupante perché rappresenterebbe una base di proiezione in Africa dell’alleanza atlantica. Dall’altra va considerato il grave atto di ingerenza politica interna in un paese come la Tunisia, dove è ancora vivo l’insegnamento dell’insurrezione vittoriosa contro Ben Ali, dove le generazioni che hanno animato la “rivoluzione interrotta” non sono state schiacciate dalla repressione come in Egitto, dove ancora esistono le organizzazioni di base di donne e giovani disoccupati, dove attualmente sono in corso grandi proteste contro il carovita e le misure di austerità, represse nel sangue, dove ancora c’è la possibilità di un rovesciamento del governo sotto la pressione delle proteste popolari, inviare delle truppe costituisce un atto politico. Il Governo Italiano con le sue truppe addestrerà chi spara sulla folla e farà da garante al Fondo Monetario Internazionale sulla stabilità politica interna della Tunisia, la quale dovrebbe varare nuove riforme strutturali su richiesta del FMI che porteranno ad un peggioramento delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione.
È importante notare come una delle principali giustificazioni ideologiche di queste nuove missioni cerchi di costruire un piano di consenso pubblico tentando di comprendere in modo trasversale uno dei principali temi del dibattito politico, quello sull’immigrazione. La lotta contro i trafficanti di uomini è un pretesto valido sia in salsa umanitaria sia in salsa xenofoba, dopotutto è stata la strage di Lampedusa, voluta e preparata dalla classe politica italiana, ad aprire la strada a Mare Nostrum e poi a Mare Sicuro. Allo stesso modo i lager libici, voluti e difesi militarmente dal governo italiano, divengono pretesto, per quello stesso governo, per inviare truppe in Niger e fermare “prima” i “trafficanti di uomini”.
Chiaramente le mire neocoloniali e gli interessi italiani in Africa non sono mai finiti. Ma il consolidamento della presenza in Libia, l’invio di un contingente in Niger e la presenza in Tunisia per conto della NATO, assieme al riconoscimento di una “strategia africana”, segnano l’ingresso in una nuova fase. Infatti con l’invio delle truppe e l’avvio di una strategia militare ci troviamo di fronte ad una nuova pericolosa e criminale impresa, un punto di non ritorno per una politica militare aggressiva. Il Parlamento repubblicano ha deciso di intraprendere ufficialmente una strada già percorsa dalla monarchia e dal fascismo, e che ha gettato l’Italia in due guerre mondiali, nella dittatura, nella distruzione. Anche questa volta, come nel passato monarchico e fascista, non ci sarà nessun “posto al sole”. La “salvaguardia degli interessi nazionali” non può far sperare in alcun effetto positivo diretto o indiretto per la grande maggioranza della popolazione, non ci saranno aumenti di salari, riduzioni dei canoni d’affitto o delle bollette, non ci sarà un aumento dei posti di lavoro, o dei servizi sociali, si continuerà ad andare in pensione sempre più tardi e si continuerà ad emigrare o a morire prima per colpa dei tagli alla sanità. Chi ci guadagnerà veramente, se ha fatto bene i propri calcoli, sarà la classe dirigente, gli industriali, i finanzieri, i generali. Se i calcoli risulteranno sbagliati saremo comunque noi a dover pagare, con ulteriori sacrifici e privazioni. Intanto le prime stime di spesa, solo per le nuove missioni africane, parlano di 118.798.581 euro. Che vanno ad aggiungersi al resto della spesa militare, per il 2017 64 milioni al giorno, per un totale di oltre 23 miliardi. A noi dunque resteranno solo tasche vuote, peggiori condizioni di vita e di lavoro e un aumento dei rischi e delle restrizioni connesse alla guerra: maggiore controllo sociale, restrizione delle libertà, militarizzazione del territorio, gerarchizzazione della società, repressione del dissenso, aumento della propaganda paranoide sul rischio terrorismo, coinvolgimento più o meno diretto nella guerra e nei suoi più tragici effetti.
Chi alla Camera ha votato a favore dell’avvio delle nuove missioni, è certo responsabile dell’avvio ufficiale della nuova fase di ingerenza militare italiana in Africa, ma questa decisione non è un’improvvisata. Questa decisione è stata preparata negli anni, in modo definito quantomeno dalla partecipazione dell’Italia alla guerra d’aggressione alla Libia nel 2011, quando il governo tenne segreto il ruolo italiano nei bombardamenti aerei sul territorio libico. Quindi non è responsabilità del solo governo Gentiloni, ma di quei partiti che con fasi alterne hanno governato il paese negli ultimi 25 anni. Le politiche di guerra che hanno dato un nuovo “protagonismo internazionale” all’Italia tra anni ‘90 e 2000, hanno avuto come fautori e sostenitori personaggi che ora si presentano alle prossime elezioni arruolati in liste “alternative”, anche se fino a ieri erano arruolati nelle file del governo. Tra questi D’Alema, oggi esponente del Movimento Democratico Progressista, è il più noto, ma vi sono anche alcuni dei relitti di Rifondazione Comunista. Chi prima ha voluto e votato la guerra contro la Federazione Jugoslava nel 1999 e chi ha sostenuto poi col voto parlamentare l’occupazione dell’Afghanistan, ha contribuito a preparare la nuova avventura coloniale dell’Italia e ne è dunque corresponsabile. Il fatto che il voto parlamentare su questioni di tale rilevanza sia avvenuto con una convocazione straordinaria della Camera dopo lo scioglimento del Parlamento in vista delle elezioni di marzo, in piena campagna elettorale, mostra quanto siano illusorie le pretese di rappresentanza diretta o di potere popolare, specie all’interno di queste istituzioni. Il Movimento 5 Stelle e Liberi Uguali, che avrebbero avuto per alcuni il “merito” di ottenere che la questione venisse sottoposta al voto parlamentare, hanno utilizzato il Parlamento come semplice tribuna di campagna elettorale.
Nel 2015 a Tunisi si tenne un incontro anarchico del Mediterraneo, convocato dai gruppi libertari e anarchici tunisini che sono sorti nel periodo rivoluzionario del 2011. Durante tale incontro, anche su spinta delle delegazioni della Federazione Anarchica Italiana e della Federazione Anarchica Siciliana, venne considerato il rischio di ingerenza militare e politica europea nel paese, che avrebbe potuto aggravare il rischio segnalato dai compagni tunisini di una chiusura autoritaria e repressiva degli spazi di agibilità e libertà apertisi con l’insurrezione del 2011. Al termine dell’incontro venne per questo pubblicato un breve comunicato in cui si affermava il comune impegno di solidarietà internazionalista contro ogni involuzione autoritaria e contro ogni guerra. Dobbiamo sostenere i nostri compagni e tutti gli sfruttati che subiscono l’ingerenza coloniale e la prepotenza politica e militare dello Stato italiano in altri paesi.
L’urgenza di oggi, ora più che mai di fronte alle nuove missioni in Africa, è quella di partire dalle situazioni di lotta, dagli organismi di base, dalle realtà autogestite e solidali in cui siamo presenti per rilanciare un intervento antimilitarista nuovo, ancorato alle più calde questioni sociali, in una prospettiva rivoluzionaria e internazionalista di liberazione sociale. L’urgenza è opporsi alla guerra, alle varie forme in cui essa si riproduce a livello interno, specie in termini di militarizzazione e controllo sociale, così come alle missioni di guerra all’estero di cui le nuove missioni colonialiste in Africa sono l’ultimo e più grave sviluppo.
Dario Antonelli
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