Casa dolce casa?
Restare a casa: da quando sono scattate le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, la parola d’ordine è stata questa. Il Governo è stato solo capace di intimare comportamenti individuali, quasi che, invece che una norma di prudenza, stare a casa fosse la cura, quella che non si trova, come non si trova il posto letto, il respiratore, la banale mascherina, addirittura il flacone di amuchina.
Per il resto, il Governo si è mostrato solo incapace di gestire una situazione determinata da anni di tagli alla sanità pubblica, colpevole di non aver riconosciuto tempestivamente le necessità e i provvedimenti da adottare, divorato dalla smania di mantenere il ritmo produttivo per non scontentare imprenditori e confindustria.
Per imporre le restrizioni pazzesche che sono state adottate, quelle con cui tutt+ dobbiamo fare i conti, è stata creata fin da subito la comunicazione retorica della casa come luogo sicuro. I più squallidi guru televisivi hanno fatto a gara fin dai primi giorni ad esaltare la bellezza dello stare a casa e le gioie della famiglia. Casa e famiglia come luogo sicuro e protetto.
Ma è proprio così?
In Italia ci sono oltre 50000 persone che non hanno casa, 360000 persone vivono senza servizi igienici di base nelle proprie abitazioni, mentre il disagio abitativo nelle città italiane è all’11,3% (dati del 2015). Anche a Livorno, l’emergenza abitativa è una questione centrale, a fronte di persone prive di casa, sfrattate, collocate in sistemazioni precarie o costrette a risolvere il problema con le occupazioni.
Con che coraggio si intima di stare a casa a chi la casa non ce l’ha? E non ha nemmeno il comodo divano dove leggere un buon libro, il soffice tappeto dove accoccolarsi con i figli, la cucina attrezzatissima dove dilettarsi da chef? Sono questi i buoni consigli che vengono propinati, anche a tutti coloro che lo sfruttamento ha precipitato nella povertà e nel disagio.
Stare a casa, stare in famiglia, al sicuro.
Ma la casa e la famiglia non sono un luogo sicuro; è proprio tra le mura domestiche che si consuma l’80% delle violenze sulle donne. Perchè il violento, lo stupratore, l’assassino ha le chiavi di casa e la maggior parte delle violenze avviene proprio in contesto domestico per mano di qualcuno di famiglia. Con che coraggio si intima di stare a casa a tutte quelle donne e a quei minori che si trovano murate vive in casa insieme ai loro aguzzini? Tra il 9 e il 31 marzo ci sono stati 8 femminicidi compiuti in casa.
Ed anche in situazioni meno drammatiche la retorica della casa diventa grottesca per coloro che (soprattutto le donne) nello spazio domestico sono sottoposte ad uno sfruttamento ancora maggiore del solito, costrette al telelavoro, oltre al carico di bambini e anziani in un periodo in cui le scuole sono chiuse e i servizi sono ancora più ridotti di sempre. Oppure le badanti, costrette a non abbandonare mai il posto di lavoro, che per loro è, appunto, la casa.
Gli avvisi ufficiali che passano costantemente su ogni canale di comunicazione invitano a restare a casa e spesso non danno altre indicazioni di carattere igienico o sanitario. Ma la casa non può certo garantire alcuna miracolosa immunità dal virus, anzi essa può diventare, specie nelle ultime settimane di isolamento, uno dei principali luoghi di contagio, insieme ad ospedali e RSA. Anche perché le ASL cercano di evitare il più possibile i ricoveri ospedalieri, e gran parte dei malati positivi al covid-19 spesso restano nelle abitazioni a meno che non necessitino di un ricovero in terapia intensiva. Senza un servizio sanitario effettivamente diffuso sul territorio in grado di provvedere alla vigilanza dei singoli casi, e senza una cultura della salute anche le case rischiano di essere pericolosi luoghi di contagio.
Infine c’è la disastrosa situazione delle carceri, dove 63000 persone vivono già in terribili condizioni igieniche e di sovraffollamento aggravate dalla pandemia che si sta diffondendo negli istituti penitenziari. Queste condizioni hanno portato tra il 9 e il 12 marzo a rivolte nelle carceri. Le parole scritte sugli striscioni erano chiare: “indulto”, “amnistia” e “libertà”. Lo Stato ha risposto facendo intervenire l’antisommossa, i GOM, l’esercito. Ci sono stati 14 morti tra i detenuti. La propaganda di polizia parla di 14 casi di overdose, ma è sicuro che alcuni detenuti in gravi condizioni non sono stati curati e sono morti durante o dopo il trasferimento in carceri di altre città. Mentre continuano le proteste tra i detenuti ci sono agitazioni in corso anche nei CPR, i lager per migranti, come a Gradisca dove i reclusi avevano messo in atto uno sciopero della fame chiedendo libertà. Questa è la situazione nelle “case” di reclusione.
Con la retorica della casa come luogo sicuro si è tentato di mascherare la disorganizzazione, l’incapacità, il fallimento della classe dirigente, del Governo, dell’organizzazione capitalista della società. Una retorica condita con tricolori, droni, mitra spianati e rinnovati appelli alla fede e alla superstizione. Una retorica che ha coniugato il nulla della gestione sanitaria con una formidabile operazione repressiva delle libertà individuali e collettive a cui dobbiamo rispondere con tutte le nostre risorse.
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