L’emergenza sanitaria ha reso evidenti tendenze già presenti nella scuola e che sono accelerate nella didattica a distanza.
La contrapposizione tra dirigenti, legati a filo doppio all’apparato burocratico e particolarmente ascoltati dal ministero, da una parte e dall’altra parte lavoratori della scuola e studenti è emersa in modo lampante: con arroganza e superficialità sono stati imposti al personale ATA compiti non previsti dal contratto e senza adeguata preparazione e protezione. Il lavoro agile, per il personale non docente, è stato in un primo tempo una misura di protezione, ma l’emergenza ha fatto sì che venisse applicato in deroga al testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e al contratto.
La didattica a distanza ha ridefinito anche la modalità lavorativa dei docenti: lo strumento informatico di per sé porta alla standardizzazione delle procedure, dalle modalità di insegnamento alla valutazione; se a questo si aggiungono le possibilità di controllo delle videolezioni da parte degli animatori informatici e dei dirigenti, l’invadenza di molti dirigenti, si capisce che la didattica a distanza è una campana a morto per la professionalità dei docenti e la libertà di insegnamento.
La tecnologia non è neutra, ma si è rivelata un potente strumento per normalizzare una delle categorie più refrattarie a trasmettere le narrazioni del capitalismo trionfante o sedicente tale.
Anche per la riapertura a settembre il governo e il ministro procedono nello stesso modo cialtronesco e autoritario, prevedendo in nome della sicurezza il prolungamento della didattica a distanza, che già molti istituti hanno messo nel piano dell’offerta formativa, lezioni itineranti dai parchi ai musei, riduzione dell’ora di lezione a 40 minuti e un probabile prolungamento dell’orario di lavoro per i docenti. Intanto nell’organico di diritto si è continuato con l’accorpamento delle classi, sempre più affollate, e l’assunzione di nuovo personale slitta alle calende greche.
L’unica soluzione, sia per i problemi dell’emergenza sanitaria, sia per i tradizionali problemi dell’istruzione, è l’abbattimento del numero di alunni per classe. Secondo fonti giornalistiche, sono 160.000 su 400.000 le aule che evidenziano problemi di sicurezza: un governo che avesse a cuore i problemi della scuola e intendesse risolverli avrebbe uno strumento a disposizione: la requisizione immediata, in attesa che l’edilizia scolastica fornisca le aule mancanti, magari utilizzando le strutture occupate dai militari che potrebbero andare in campi prolungati, visto che questo rientra nel loro addestramento, mentre le lezioni all’aperto non fanno parte del programma ministeriale.
Una volta ridotto il numero di alunni per classe e trovate le aule, assume un senso diverso e più concreto la richiesta di nuove assunzioni nel settore.
Se si vuole che a settembre la scuola riapra in sicurezza e senza didattica a distanza, bisogna muoversi subito: quello che è stato perso con l’organico di diritto può essere recuperato con l’organico di fatto, che viene definito nel mese di luglio. Per questo non servono tavoli istituzionali e accordi: perché governo e ministero smettano di fiancheggiare Confindustria e i grandi gruppi informatici bisogna creare un movimento di massa basato sull’autorganizzazione e sulla pratica dell’azione diretta, che faccia esplodere le contraddizioni di questa operazione. Gli Stati Uniti insegnano.
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