CARRARA, Primo maggio anarchico
ore 9.30 concentramento in piazza Battisti
ore 10 intervento dal palco di Federico Ferretti della Federazione Anarchica Italiana
ore 11 corteo per le strade del centro
Collettivo Anarchico Libertario – Livorno
CARRARA, Primo maggio anarchico
ore 9.30 concentramento in piazza Battisti
ore 10 intervento dal palco di Federico Ferretti della Federazione Anarchica Italiana
ore 11 corteo per le strade del centro
Posted in Anarchismo, Generale, Iniziative, Internazionale, Lavoro, Repressione.
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– Aprile 27, 2019
articolo pubblicato su Umanità Nova (umanitanova.org)
Varie centinaia di persone hanno attraversato il centro di Livorno lo scorso 10 aprile dietro allo striscione “Moby Prince: 140 morti, nessun colpevole”.
Il 10 aprile 1991, ventotto anni fa, appena uscito dal porto di Livorno, dopo aver mollato gli ormeggi alle 22:03, il traghetto Moby Prince diretto ad Olbia in Sardegna entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo. In seguito allo scontro si scatena un incendio in cui muoiono tutti i passeggeri e l’equipaggio, con un solo superstite. Le pessime condizioni di sicurezza in cui viaggiava la nave traghetto, di proprietà della Nav.Ar.Ma dell’armatore Onorato, la “non gestione” dei soccorsi da parte della Capitaneria di Porto di Livorno ebbero certo un ruolo determinante nella strage del Moby Prince, una delle più gravi stragi in mare e sul lavoro.
I familiari delle vittime in questi anni hanno lottato per la verità e la giustizia, contro insabbiamenti, manomissioni del relitto, depistaggi e minacce. La giustizia dello Stato in questi anni non solo non ha riconosciuto le responsabilità dell’armatore e delle autorità che avrebbero dovuto gestire i soccorsi, ma le ha coperte e tutelate. La commissione parlamentare d’inchiesta creata nel 2015 ha pubblicato nel gennaio 2018 una relazione finale che conferma quanto già emerso come verità nel corso degli anni dalla lotta condotta dai familiari delle vittime.
In occasione delle commemorazioni della scorsa settimana le associazioni dei familiari delle vittime hanno annunciato di aver presentato un esposto alla Procura di Livorno al fine di citare in giudizio i ministeri delle Infrastrutture e dei trasporti, della Difesa e la presidenza del Consiglio per omicidio plurimo aggravato con dolo eventuale e riaprire il caso.
Come ogni anno prima del corteo si è tenuta una cerimonia nella Sala consiliare del Municipio di Livorno, durante la quale sono intervenuti oltre ai rappresentanti delle associazioni, pure singoli familiari delle vittime del Moby Prince. Presenti anche con un intervento in sala gli esponenti dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Viareggio, ed è intervenuto anche Riccardo Antonini, ferroviere licenziato a causa del suo impegno per la sicurezza sul lavoro, proprio come consulente per i familiari di Viareggio.
Di seguito riportiamo l’intervento di Giacomo Sini, figlio di una delle vittime del Moby Prince e compagno del Collettivo Anarchico Libertario di Livorno.
“Sono passati 28 anni dall’ immane tragedia della Moby Prince che vide l’assassinio di mio padre ed altre 139 persone davanti alle coste della città di Livorno. Si, assassinio, perché le parole assumono un valore importante con il passare degli anni. Come “strage” al posto di “incidente”, “Negligenze e mancanze strutturali” al posto di “tragico errore umano”. “Coperture e depistaggi” al posto di “tragici errori della magistratura livornese” ed infine, ma non meno importante “Sicurezza” al posto di “distrazione dell’equipaggio”.
Quegli stessi anni nei quali le uniche verità trapelate ufficialmente dalla vicenda sono da riscontrarsi nei processi farsa, nelle manomissioni impunite del relitto del traghetto (ordinate chiaramente dallo stesso armatore della compagnia) ed un progressivo insabbiamento della tragedia. Anni nei quali abbiamo dovuto subire continui schiaffi ed offese da chi ha permesso che tale vicenda finisse nel dimenticatoio delle ufficialità, relegata in un angolo buio dei “non misteri italiani” lasciando che le parole “il fatto non sussiste” ed il “destino cinico e baro” mettessero un lucchetto definitivo alla vicenda.
Anni nei quali lo stato italiano, attraverso i suoi organi giudiziari ed in particolare nel processo in I°grado, ha voluto difendere a spada tratta gli interessi imprenditoriali di un armatore per quasi 30 anni, senza inserire la sua persona e le sue responsabilità tra i soggetti colpevoli diretti della vicenda. Anni nei quali lo stato non ha mai voluto permettersi il lusso di puntare il dito contro una sua istituzione di prim’ordine come la capitaneria di porto ed il suo apparato istituzionale, difendendone anzi l’operato e lasciando che questa potesse aprire, mediante plausibili responsabili del disastro, una commissione d’inchiesta sommaria che avrebbe influito su successivi accertamenti.
Anni nei quali chi voleva che non si facesse luce sulla strage del Moby Prince ha provato in ogni modo ad ostacolare chi ancora oggi continua a portare avanti la battaglia per la verità e la giustizia. Sono metodi ben noti, gli stessi usati per coprire le responsabilità delle stragi di stato e delle bombe fasciste. Sono gli stessi metodi usati per coprire le responsabilità di industriali e speculatori che per fare affari avvelenano ed uccidono la popolazione.
Anni nei quali si è costantemente parlato di una salvaguardia degli interessi dell’imprenditoria italiana e nella fattispecie di grandi padroni d’azienda, erogando incentivi e finanziamenti agevolati ad imprese produttive, menzionando poco la sicurezza sul posto di lavoro.
Anni nei quali sono stato assente durante svariate ricorrenze poiché per lavoro come fotogiornalista ho visto con i miei occhi e documentato il percorso di vita di chi fugge da conflitti, fame e cerca sicurezza altrove tentando spesso la via del mare. Proprio con loro e con chi ha perso amici e parenti nelle acque del mediterraneo o tra le reti di confine, ho condiviso paure, incertezze, dolori. Ho condiviso quel timore personale dell’orizzonte scuro tra le spiagge isolate della Turchia e della Grecia, comprendendo meglio quanta importanza abbia quella parola menzionata precedentemente, “sicurezza” ; perché è inconcepibile che ancora oggi si continui a morire in mare.
E’ bene ricordarsi che a causa di politiche d’ingresso in Europa altamente discriminatorie, che vedono nella “sicurezza” la propria base ideologica, migliaia di migranti sono morti davanti agli occhi di chi oggi continua imperterrito a riempirsi la bocca della necessità, ad esempio, di operare più attenzione a tale tema nei contesti di lavoro proprio all’interno dei porti ed in mare aperto. Quegli attori che con il susseguirsi dei governi grazie al continuo attacco ai diritti dei lavoratori ed ai conseguenti tagli in materia di sicurezza, strizzano sempre un occhio a chi continua ad uccidere per la salvaguardia del profitto con il beneplacito della giustizia italiana. Coloro che fanno un utilizzo criminale della frase “porti sicuri”. I porti sicuri sono solo quelli dove non si muore mentre si lavora, dove non si viene rinchiusi in un centro d’identificazione e d’espulsione o si viene torturati con la sola colpa di avere tentato un’odissea via mare cercando un qualsiasi approdo sicuro per potersi salvare la vita.
Argomentazione, quella intorno alla “sicurezza” che in Italia è divenuta centrale all’interno di un circolo propagandistico di ipocrisia che assume come suo punto significativo l’antitesi della propria essenza, come ad esempio la violenza dei respingimenti in mare, assumendo così un significato di morte. Una millantata sicurezza che per chi è riuscito a superare la barriera del mare diviene comunque secondaria, sopraffatta dal piombo dei razzisti che uccidono a sangue freddo nelle strade delle nostre città fomentati da una continua propaganda “d’odio securitario” istituzionalizzata. La sicurezza dei porti chiusi e delle responsabilità, che come nel 1991, oggi vengono invece rimbalzate tra Europa e governi nazionali sulle spalle di chi non è mai stato tratto in salvo.
Quella stessa sicurezza che attraverso vie giudiziarie tenta l’arresto e criminalizzazione di chi solidarizza attivamente con chi ha bisogno di un lido tranquillo dove potersi fermare, di chi va a salvare chi sta annegando, di chi gestisce spazi di libertà aperti a tutti, reprimendo così nella pratica coloro i quali ne manifestano un’idea reale ed universale.
Questi ultimi 28 anni sono anche quelli nei quali non è mai stata data una risposta concreta alle esigenze di verità arrivate con forza prorompente dalle nostre istanze e dalle nostre parole d’ordine supportate con solidarietà attiva da chi si è avvicinato al nostro dolore, da chi lo ha tramutato in lotta e solidarietà attiva. Una battaglia comune a difesa di chi il 10 Aprile venne ucciso dalla negligenza di vari apparati che trovarono successivamente rifugio in quel malato concetto di giustizia. Una mobilitazione continua a difesa di una ben precisa idea di giustizia e verità, affiche queste due parole non rimanessero solo slogan isolati, ma divenissero la battuta d’arresto per chi non ha a cuore la vita delle persone.
Battuta d’arresto che è arrivata infatti negli ultimi anni nei quali vi è stata una forte pressione per la costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta. A mio avviso, a commissione parlamentare chiusa (e desidero ringraziare chi ne ha permesso la costituzione), credo sia quindi importante sottolineare un fattore. Dopo anni d’indifferenza da parte del governo centrale e dei suoi organi parlamentari silenti e dopo continue dichiarazioni ufficiali di rammarico per la vicenda lanciate nel vuoto, qualcosa negli ambienti istituzionali si è dovuto muovere. Come ogni battaglia storica per la conquista di determinati diritti sociali, è proprio grazie a quella costante pressione e quella determinazione nel portare avanti determinate battaglie, che possiamo dire d’essere arrivati a compiere un passo avanti rispetto alle vicende degli ultimi 28 anni. Ed oggi non ci fermiamo solamente alla commissione d’inchiesta. Come Loris Rispoli ricordava agli amici e parenti delle vittime di vigilare sui “resti” del treno per evitare manomissioni, oggi dobbiamo vigilare per non permettere a coloro che della sicurezza ne fanno un termine strumentale per promuovere politiche assassine che lasciano morire esseri umani davanti ai nostri occhi o non li permettono un attracco sicuro, di mettere i bastoni tra le ruote a chi del raggiungimento di una verità importante, della giustizia e della sicurezza di tutti ne fa un principio basilare per le lotte quotidiane.”
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– Aprile 27, 2019
articolo pubblicato su Umanità Nova n. 11 del 31 marzo 2019
Il 23 marzo è caduta l’ultima roccaforte dello Stato Islamico in Siria, Baghouz, lungo il vecchio confine con l’Iraq. Una vittoria costata molte vite, per cui sono cadute molte compagne e molti compagni. Solo pochi giorni prima, il 18 marzo, è stato ucciso proprio a Baghouz Lorenzo Orsetti, anarchico fiorentino di 33 anni, caduto con un’unità araba in un’imboscata durante un’operazione. Era membro della formazione Tekoşîna Anarşîst (Lotta Anarchica) sotto il nome di Tekoşer Piling.
Domenica 31 marzo ci sarà una manifestazione nazionale a Firenze, con ritrovo alle ore 15 in Piazza Leopoldo, a Rifredi. Gli anarchici saranno presenti per commemorare Lorenzo, anarchico, combattente per la libertà.
Lorenzo non è il primo internazionalista italiano caduto in questo conflitto, già Giovanni Francesco Asperti, 53 anni di Bergamo, combattente nelle YPG con il nome di Hîwa Bosco, era morto in Rojava per un incidente il 7 dicembre 2018. Tuttavia è il primo ucciso in combattimento, come giovane partigiano e rivoluzionario. L’assemblea che il 19 marzo si è tenuta al circolo Le Panche di Rifredi, a Firenze, era carica di tutta la forza e la gravità di questa morte, che pone nella quotidianità della nostra vita e nella nostra azione collettiva una vicenda e una prospettiva che normalmente appare lontanissima nel tempo e nello spazio ma che è invece presente qui e ora. Come con migliori parole durante l’assemblea ha detto anche suo padre, Lorenzo non combatteva per i curdi, non ha cercato una causa lontana da sostenere. Lottava perché aveva degli ideali, perché voleva una rivoluzione profonda della società in cui viviamo, e nell’esperienza rivoluzionaria avviata tra l’Anatolia e la Mesopotamia aveva riconosciuto i propri ideali di giustizia, eguaglianza e libertà, lottava quindi per la rivoluzione in tutto il mondo, anche qui.
Non conoscevo purtroppo Lorenzo, non lo ho mai incrociato nonostante fossimo quasi coetanei e non vivessimo neanche a cento di chilometri di distanza, anche per questo non descriverò il carattere umano e politico di questo compagno, perché sicuramente potranno farlo meglio coloro che hanno avuto la gioia di conoscerlo.
In molti però possiamo riconoscerci nelle sue parole, nei suoi ideali, nell’aspirazione comune alla libertà. Dobbiamo però essere coscienti che il suo esempio ci pone di fronte alla necessità di mettere tutto in discussione. La rivoluzione sociale è l’unica alternativa alla guerra fratricida, al fascismo, alla schiavitù e all’oppressione, in Kurdistan come in Europa e nel resto del mondo. Non deve essere la morte di un compagno a ricordarcelo.
Per quello che ho saputo Lorenzo prima di partire non era militante di un gruppo, non faceva attività politica all’interno del movimento. Aveva degli ideali. Nel suo impegno in Rojava e in Siria si dichiarava apertamente anarchico, e faceva parte di una formazione anarchica, per questo è importante che sia ricordato anche per le idee che rivendicava nella sua lotta.
L’internazionalismo non è sostenere una causa lontana, ma è solidarietà rivoluzionaria. L’internazionalismo si pratica in molte maniere, a vari livelli, la scelta di Lorenzo è uno dei modi in cui si può praticare la solidarietà internazionalista. Internazionalismo significa riconoscere che in un mondo governato da proprietari e privilegiati le cause materiali dello sfruttamento e dell’oppressione ovunque sono le stesse, e per questo solo con la solidarietà globale è possibile la liberazione. Con questo spirito in molti hanno scelto di contribuire alla lotta condotta dalle popolazioni del Rojava e dalle YPG/YPJ. Lorenzo era giunto là “nell’autunno del 2017 – si legge nel comunicato della Rojava Internationalist Commune – per unirsi inizialmente alle YPG, combattendo con valore dal primo all’ultimo giorno nella difesa di Afrin, aggredita dallo stato fascista turco e dalle loro bande jihadiste. Ha anche preso parte alle unità internazionaliste di TKP / ML-TİKKO e infine è stato membro di Tekoşîna Anarşîst (Lotta Anarchica) inquadrata nelle forze democratiche siriane, durante l’offensiva contro lo Stato islamico culminata in questi giorni nella sconfitta militare del Califfato.” Sono infatti usciti comunicati sia di Tekoşîna Anarşîst, sia di TİKKO e sia di YPG che ne omaggiano la memoria.
Tra numerosi militanti di varie tendenze politiche sono molti i nomi delle compagne e dei compagni anarchici che hanno pagato con la vita il loro impegno in questa lotta. Anna Campbell Hêlîn Qereçox, Haukur Hilmarsson Sahin Husseini, Olivier François Le Clainche Kendal Breizh, Robert Grodt Demhat Goldman. Sono solo alcuni di questi.
Sono storie diverse, sul piano personale e politico, le loro scelte sono maturate in contesti diversi e in alcuni casi facevano riferimento a differenti correnti dell’anarchismo. Su molte cose sarebbero stati in disaccordo forse, ma certamente hanno tutti scelto di partire non solo e non tanto per combattere lo Stato Islamico, quanto per dare il proprio contributo ad un processo rivoluzionario.
Con l’assedio di Kobanê da parte dello Stato Islamico nel 2014 l’attenzione del mondo si è rivolta a quanto stava succedendo in Rojava. Un esperimento di autogoverno guidato dal Movimento di liberazione curdo, indirizzato dal Confederalismo democratico, contro la modernità capitalista, la guerra, gli stati-nazione, per una società libera, femminista ed ecologica in cui avessero spazio le diverse popolazioni che abitano la regione. Si iniziò a parlare molto della svolta del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan passato dal maoismo al confederalismo democratico. Si paragonò la lotta per la difesa di Kobanê alla guerra per la difesa della Rivoluzione Spagnola nel 1936, dopotutto avvenne proprio nella data simbolica del 19 luglio l’insurrezione che portò le YPG/YPJ a controllare il Kurdistan occidentale in territorio siriano. La solidarietà a Kobanê dalla Turchia creò una situazione eccezionale. Quel confine, che come tutti gli altri non era altro che una convenzione tra stati per tenere divisi i popoli, stava crollando, era ormai evidente nonostante la massiccia presenza di soldati e carri armati turchi. Grazie alla mobilitazione di massa venivano forzati i blocchi imposti dalla Turchia, passavano profughi e volontari, passavano aiuti e delegazioni politiche. In quei giorni di settembre-ottobre del 2014 sembrava che la rivoluzione potesse estendersi a tutta la regione, contagiando innanzitutto la Turchia.
In questa fase divenne evidente il sostegno della Turchia, membro della NATO, allo Stato Islamico. Si avvia in Turchia una nuova stagione di terrorismo di stato, con le stragi di Suruç e Ankara, con la guerra e i bombardamenti portati nelle stesse città in territorio turco e il definitivo consolidamento di una dittatura informale. Nel 2017 si inasprisce la guerra in Siria. La Turchia invade il cantone di Afrin con l’appoggio di tutte le potenze mondiali e regionali, dimostrazione che il processo rivoluzionario è combattuto da tutti gli stati. In questo contesto la lotta diviene anche una guerra per la sopravvivenza.
La guerra è da sempre una delle principali armi degli stati contro i processi rivoluzionari. Le esigenze militari spesso divengono prioritarie rispetto al processo di trasformazione sociale e politica, e possono bloccarlo. Anche per questo molti anarchici e rivoluzionari di altre tendenze hanno cercato in Rojava di dare il proprio contributo specifico, per sostenere la rivoluzione di fronte al rischio di disorientamenti.
Gli anarchici, in modi diversi, sono stati presenti in questo processo fin dall’inizio. In Kurdistan, in Turchia e in Siria, così come nella solidarietà a livello globale. Spesso anche con posizioni autonome, in certi casi critiche. Consapevoli che lottare contro lo Stato Islamico significa lottare contro il fascismo, inteso come forza controrivoluzionaria, come regime che attraverso la violenza reazionaria assicura la penetrazione degli interessi capitalistici e imperialisti nella regione. Convinti che il contributo anarchico avrebbe favorito lo sviluppo del processo rivoluzionario.
Ora si apre una nuova fase dopo che il 23 marzo il comandante delle SDF (Forze Democratiche Siriane) Mazlum Ebdi ha annunciato la fine del dominio dello Stato Islamico in Siria. Gli USA che hanno opportunisticamente sostenuto le SDF in alcune fasi del conflitto hanno annunciato che abbandoneranno la Siria, mentre la Turchia minaccia di invadere dopo Afrin anche Kobanê e Qamişlo. Il rischio è che si riapra un conflitto ancora più duro, ma anche che accada come da noi dopo il 1945, che il sacrificio di Lorenzo Orsetti sia come quello di Lanciotto Ballerini. Ossia che nonostante l’alto prezzo pagato da compagne e compagni la prospettiva rivoluzionaria sia bloccata dalle forze imperialiste, dalle lotte per il potere e il controllo della regione, e che si riaffaccino sotto altre forme le medesime strutture oppressive.
Credo che la storia di Lorenzo ci ponga queste domande, ci chiede di prendere in mano la fiaccola e di continuare la sua lotta, che è anche la nostra, per la libertà, la giustizia, l’eguaglianza ovunque nel mondo.
Dario Antonelli
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– Marzo 27, 2019
ore 15 Piazza Leopoldo
In ricordo di Lorenzo Tekoşer Orsetti, anarchico, combattente per la libertà, gli anarchici saranno presenti al corteo che si terrà a Firenze il 31 marzo, con partenza alle ore 15 da Piazza Leopoldo, per la Giornata nazionale in memoria di Orso Tekoşer e per chi lotta per la libertà.
Lorenzo aveva scelto di unirsi alla lotta condotta dalle popolazioni del Rojava e dalle YPG/YPJ nel 2017, era membro della formazione Tekoşîna Anarşîst (Lotta Anarchica) sotto il nome di Tekoşer.
Nel suo impegno in Rojava si dichiarava apertamente anarchico, per questo importante che sia ricordato anche per le idee che rivendicava nella sua lotta.
Anarchici Toscani
Posted in Anarchismo, Internazionale.
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– Marzo 26, 2019
Venerdì 29 marzo – ore 17
Lapide del partigiano
Via Ernesto Rossi, Livorno
Presidio per ricordare il compagno anarchico Lorenzo Orsetti, ucciso a Baghouz il 18 marzo in un’imboscata dello Stato Islamico. Seguendo ideali di giustizia, libertà ed eguaglianza aveva deciso di unirsi alla lotta delle popolazioni del Rojava, prima nelle YPG, poi a fianco del TIKKO, infine nella formazione Tekoşîna Anarşîst (Lotta anarchica) con il nome di Tekoşer Piling.
Invitiamo a partecipare tutte e tutti coloro che vogliono ricordare il partigiano Lorenzo, il suo impegno internazionalista e rivoluzionario, la sua lotta per la libertà.
Vogliamo lanciare con questa iniziativa la manifestazione nazionale per Lorenzo Orsetti del 31 marzo a Firenze, con ritrovo in Piazza Leopoldo alle ore 15.
BSA Livorno, Collettivo Anarchico Libertario, Ex Caserma Occupata, Federazione Anarchica Livornese, Fdca Livorno
Posted in Anarchismo, Antifascismo, Generale, Iniziative, Internazionale.
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– Marzo 26, 2019
Posted in Anarchismo, Generale, Internazionale.
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– Marzo 21, 2019
Posted in Anarchismo, Generale, Iniziative, Nocività-Salute.
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– Marzo 21, 2019
La Federazione Anarchica Livornese esprime cordoglio per la scomparsa di Renato Spagnoli.
Negli anni sessanta Renato dette vita, all’interno della sede della Federazione Anarchica Livornese, ad una interessante esperienza di avanguardia artistica, il gruppo Atoma, insieme, fra gli altri, a Mario Lido Graziani, Renzo Izzi, Giorgio Bartoli e Renato Lacquaniti. Nel corso degli anni Renato ha sempre rappresentato un punto di riferimento artistico importante e innovativo ed ha mantenuto un rapporto di affetto con gli anarchici livornesi.
Negli anni ’70 del secolo scorso mise a disposizione il suo talento artistico per la solidarietà ai compagni ingiustamente incarcerati per la Strage di Stato, partecipando alla mostra “Gli artisti contro la Strage di Stato”, organizzata dai Gruppi Anarchici Toscani.
Ricordiamo l’artista e la persona che ha saputo mostrare con le sue scelte, spesso operate in modo collettivo, il forte legame tra creatività, pensiero rivoluzionario e spirito di libertà.
Federazione Anarchica Livornese
[immagine di Flavio Costantini, utilizzata per l’opuscolo della mostra “Gli artisti contro la Strage di Stato”]
Posted in General.
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– Marzo 15, 2019
documento del Gruppo di lavoro 8 marzo della FAI
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– Marzo 7, 2019
Siamo le donne dell’Anatolia e della Mesopotamia;
Abbiamo vissuto nei giorni bui della storia. Per decenni la gente di queste terre è stata sempre più oppressa. Abbiamo visto la povertà, abbiamo visto la guerra, abbiamo visto quelli che sono fuggiti e sopravvissuti alla guerra degli stati; ma uccise nella guerra del capitalismo o del patriarcato. Abbiamo visto le nostre sorelle torturate, accoltellate, uccise, trascinate nude, fatte a pezzi, bruciate vive … Abbiamo visto i nostri bambini, schiacciati e investiti, abbiamo visto le Madri del sabato chiedere giustizia e abbiamo visto gli assassini che cercavano di mettere a tacere le nostre madri, attaccandole o arrestandole. Abbiamo affrontato molte crudeltà e abbiamo resistito a tutti, e resisteremo fino alla fine.
Siamo le donne di queste terre, abbiamo assistito alla caduta di molti stati, molti re e molti sultani … Mentre la storia dell’ “uomo” si ripete, stiamo scoprendo e scrivendo un’altra storia, la nostra storia, la storia della ribellione e della resistenza. Conosciamo le donne che hanno combattuto contro il patriarcato, conosciamo le donne con le mani sui fianchi, che sono pronte a stringere i pugni. Perché noi siamo tutte queste donne e mentre stiamo creando un’altra storia, creiamo cultura. È una cultura di empatia, comprensione e solidarietà. Escludendo i rapporti di autorità e obbedienza, questa è una cultura di responsabilità, per avere le nostre vite nelle nostre mani, avere la nostra lotta per la nostra libertà.
Sorelle, compagne, la nostra lotta è la lotta degli oppressi contro l’oppressore. Ogni luogo in cui appare la gerarchia del potere, diventa una zona di combattimento. Ogni volta che l’oppressore usa gli strumenti della violenza, non esitiamo a resistere e a contrattaccare. Combattendo con i modelli “visti” e “invisibili” dell’autorità e del patriarcato, saremo in grado di attualizzare la rivoluzione da ora e da qui.
Ovunque siamo, ci conosciamo e ci capiamo, perché è la stessa luce che ci illumina, è lo stesso grido nella nostra voce.
La nostra lotta e solidarietà ci dà ispirazione e forza.
Resistiamo con la lotta, così vinceremo!
Donne Anarchiche – Turchia
Anarşist Kadınlar
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– Marzo 7, 2019