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Carrara: con l’Assemblea Permanente, per l’autogestione popolare

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riceviamo e pubblichiamo:

Carrara: con l’Assemblea Permanente, per l’autogestione popolare

Dall’8 di novembre del 2014, a seguito dell’alluvione che ha investito il territorio di Carrara e della constatazione dei danni causati dalla rottura dell’argine del Carrione, in cui evidenti risultano essere le responsabilità degli amministratori con a capo il sindaco Zubbani, un’Assemblea Permanente di cittadini ha presidiato la Sala di Rappresentanza del Comune, e con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica intorno all’accaduto ha organizzato una serie di incontri e dibattiti rivendicando fra l’altro a gran voce le dimissioni del sindaco e dell’intera giunta comunale.
Il 27 di gennaio 2015 il sindaco, che ha mal digerito sin dal primo momento la “intrusione” dei cittadini nella controinformazione sugli affari amministrativi, servendosi di un atto di mera forza “giustificato” con l’emanazione e l’esecuzione di un’ordinanza, ha imposto lo sgombero della Sala.
L’esperienza singolare di partecipazione diretta dal basso vissuta da Carrara con gli incontri ed i dibattiti pubblici organizzati dall’Assemblea Permanente in questi circa tre mesi non potrà di certo essere fermata da un’ordinanza di sgombero.
La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana manifesta tutta la sua piena solidarietà a questa singolare esperienza ed auspica che si possa nel tempo consolidare con l’obiettivo di creare le basi per un’autogoverno del territorio che stimoli sempre di più i cittadini a rifiutare le decisioni dall’alto ed a lottare e mobilitarsi in prima persona per una risoluzione alternativa delle problematiche di natura sociale.
Commissione di Corrispondenza della FAI

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Abbiamo vinto oggi a Kobane, vinceremo domani in tutto il Kurdistan!

azadi

riportiamo il comunicato del gruppo anarchico DAF di Istanbul tradotto dalla Commissione Relazioni internazionali della FAI.

Abbiamo vinto oggi a Kobane, vinceremo domani in tutto il Kurdistan!

Per 130 giorni, il cuore della Rivoluzione del Rojava ha continuato a battere a Kobane.
Per 130 giorni, la gente ha resistito per la sua vita attraverso l’autorganizzazione e la volontà.
Per 130 giorni, le donne hanno portato avanti la lotta per la libertà.
Per 130 giorni, e non solo a Kobane e a Suruc, ma ovunque e chiunque in questa regione si è sollevato. I confini sono stati demoliti e la solidarietà ha unito tutti.
Per 130 giorni, Kobane ha accresciuto la speranza, non solo contro l’ISIS ma anche contro Assad, l’UE e la Repubblica Turca, contro i media che ripetavano “Kobane cadrà”, contro il capitalismo e lo stato.
Dopo 130 giorni, il popolo resistente è libero.
Kobane ha resistito per 130 giorni contro confini che dividevano le vite, contro assassini che distruggevano le vite, bande create dagli stati. Le terre libere di Kobane hanno fatto nascere la resistenza, fiorire la speranza, iniziare una nuova vita.
La vittoria della resistenza è sorta oggi dalla collina di Mistenur, Mekteba Res e Memite, e Kania Kurda.

Oggi le bande che gli stati hanno creato per i loro interessi scappano via dalle rovine che loro stessi si sono lasciate dietro a Kobane.
Mentre l’eco della vittoria della resistenza rieccheggia per le strade libere di Kobane, la convinzione della libertà sorge dalle stesse rovine nelle strade.
Come diceva il compagno Durruti ” Non abbiamo paura delle rovine”. Oggi e domani, a Kobane e in ogni altro luogo, noi sappiamo che una nuova vita può sorgere dalle rovine.

Biji Serketina Kobane!
Lunga vita alla vittoria di Kobane!

DAF-Devrimci Anarsist Faaliyet

(Azione Anarchica Rivoluzionaria)

 

qui sotto foto dalle manifestazioni di oggi a Istanbul

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Lunga vita alla vittoria di Kobane!

LUNGA VITA ALLA VITTORIA DI KOBANE

Le forze delle YPG e YPJ hanno preso il controllo della zona di 
Kaniya Kurda, dopo duri e lunghi scontri. Kaniya era l'unica zona 
di cui l'ISIS aveva assunto il controllo. Le forze dell'ISIS sono 
circondate dalle forze delle YPG-YPJ nella zona di Miktel, 
stando alle notizie che arrivano da Kobane

L'annuncio della vittoria sarà dichiarato domani.


azadi

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Norman Atlantic e Moby prince: una tragica continuità figlia del profitto

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Norman Atlantic e Moby prince: una tragica continuità figlia del profitto

Sono passati quasi ventiquattro anni da quella terribile notte nella quale centoquaranta persone vennero assassinate nel rogo del traghetto “Moby prince”. Assassinate è il termine migliore che può essere utilizzato per descrivere le dinamiche che hanno caratterizzato la morte dei nostri familiari.
Un traghetto, il Moby prince, che nella notte del 10 Aprile del 1991, su ordine dell’armatore della Navarma, Onorato, viaggiava con l’impianto splinter spento, con un solo radar funzionante dei tre presenti a bordo e con un’apparecchiatura radio che presentava notevoli problematiche legate a frequenti cali di frequenza; a causa di quest’ultimo difetto, il traghetto non riuscì ad inviare alla capitaneria di porto un may day chiaro, nei tragici momenti della collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Secondo il RINA (Registro Italiano Navale ed Aeronautico), ente predisposto a valutare la sicurezza delle navi ed approvarne l’autorizzazione alla navigazione, il traghetto non presentava problematiche tali da impedirne la partenza. Il tutto nell’ottica del risparmio in materia di sicurezza, per permettere comunque alla Navarma di effettuare la tratta Livorno-Olbia, senza l’onere delle spese sulla manutenzione del traghetto.
Una realtà sconcertante che ha visto, con il passare degli anni, alzarsi in gran coro comune una serie di dichiarazioni da parte di organi istituzionali che hanno affermato la necessità di dover far emergere la verità sulla vicenda. Successivamente è stata promessa, come nelle migliori delle propagande, una maggiore attenzione agli investimenti sulla sicurezza nel mondo del lavoro, in modo che tali vicende non potessero più ripetersi. Ed ecco che negli ultimi anni si è prospettata una realtà ben diversa dalle rappresentazioni di un miglioramento della sicurezza nei luoghi di lavoro millantate dai governi che si sono susseguiti; le condizioni sono piuttosto peggiorate e le tragedie consumate dall’arroganza del profitto hanno caratterizzato la storia degli ultimi anni. E’ bene ricordarsi la tragedia della Costa concordia, nella quale la grande compagnia richiedeva alle proprie navi di prodigarsi in un inchino (un’accostata pericolosa in termini di navigazione) all’Isola del Giglio, con il beneplacito assenso delle istituzioni locali dell’Isola, che avrebbero avuto introiti positivi in materia turistica per il passaggio di migliaia di croceristi a pochi metri dalle “rive paradisiache” della località toscana: trenta morti e tante lacrime di coccodrillo da parte di chi ha sempre permesso che tali manovre continuassero ad esistere per non disturbare la massimizzazione dei profitti della compagnia e del comune di Isola del Giglio. Anni nei quali si è costantemente parlato di una salvaguardia esclusiva degli interessi dell’imprenditoria italiana e nella fattispecie di grandi padroni d’azienda, erogando incentivi e finanziamenti agevolati ad imprese produttive, nei quali difficilmente si fa riferimento alla parola sicurezza. Il tutto a discapito di milioni di lavoratori che vedono diminuirsi sensibilmente una serie di garanzie sul posto di lavoro. Arriviamo così, nelle ultime settimane, all’ennesima notizia di una tragedia consumata nei mari: il rogo del traghetto della Norman Atlantic che ha provocato nel giro di poche ore la morte accertata di 13 persone. Ancora una volta emergono dei fatti che non lasciano alcun dubbio sulle responsabilità dell’armatore del traghetto della Anek e la connivenza con il RINA in materia di concessioni alla navigabilità. Lo stesso RINA torna ad essere per l’ennesima volta un protagonista negativo della vicenda, dato il ruolo cruciale nell’affidare voti sufficienti durante le ispezioni precedenti alla partenza del traghetto, consentendone l’operatività. Inoltre, ad oggi, ispettori del registro navale hanno compiuto numerosi sopralluoghi all’interno del traghetto per poter dare il via libera ad un trasferimento dal porto di Brindisi a quello di Bari, dove risiede la procura competente sul fatto. Un caso? Certamente la questione è passata inosservata grazie a motivazioni burocratiche. Personalmente lo ritengo un atto grave che può sovraintendere l’ennesimo tentativo di intromissione, per la copertura di certe responsabilità dello stesso RINA. Il traghetto della Norman Atlantic aveva dei malfunzionamenti: le porte taglia fuoco non erano conformi per i protocolli d’intesa internazionali ed i sistemi d’emergenza (luci e batterie)erano spariti. La nave inoltre, secondo le testimonianze di alcuni passeggeri che accusano la compagnia, presentava un forte sovraccarico di TIR che, sfregandosi l’un con l’altro per la mareggiata, avrebbero dato adito ad alcune scintille che hanno provocato l’incendio.

Come spesso purtroppo accade nelle tratte di mare che collegano i porti del mediterraneo e dell’ Adriatico, è emersa inoltre la notizia della presenza di un buon numero di clandestini che si trovavano all’interno di alcuni TIR nelle aree garage. Ecco che nel valzer delle dichiarazioni inerenti le cause dell’incendio, si è tentato attraverso canali mediatici importanti e vari apparati istituzionali, di concentrare l’attenzione sulla vicenda dei migranti presenti a bordo, finendo per addossare le cause dell’incendio all’accensione di un fuoco da parte di questi ultimi per difendersi dal freddo nel reparto garage. Così come nel 1991 si tentò da subito di scagionare le responsabilità dell’armatore della Moby Prince, addossando tutte le colpe alla disattenzione dell’equipaggio, oggi si è attuato un tentativo di marginalizzare la problematica delle politiche d’aggressione al mondo dei lavoratori, attaccando la fascia di soggetti più deboli e ben strumentalizzabili, i migranti. E’ bene ricordarsi che a causa di politiche d’ingresso in Europa altamente discriminatorie, che vedono nell’uomo una merce utile solo in materia di fabbisogno di manodopera per diverse aziende, più di 23 mila migranti sono morti davanti agli occhi di chi oggi continua imperterrito a riempirsi la bocca della necessità di operare più attenzione al mondo della sicurezza della navigazione. Quegli attori che, grazie al continuo attacco ai diritti dei lavoratori ed alla conseguente deregolamentazione in materia di sicurezza, salvaguardano il profitto di chi continua ad uccidere con il beneplacito della giustizia italiana.

Giacomo Sini

 

questo articolo sarà pubblicato sul prossimo numero del settimanale anarchico Umanità Nova

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Francia: l’Unione Sacra del terrore

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L’Unione Sacra del terrore

Sulla strage del 7 gennaio a Parigi presso la sede del settimanale satirico Charlie Hebdo, e sui fatti relativi alle sparatorie e ai sequestri dei giorni successivi abbiamo in questi giorni sentito di tutto di più, hanno parlato giornalisti, opinionisti, politici e poliziotti. Adesso parliamo un po’ noi.

Nel corso dell’attacco armato alla sede del giornale francese sono state uccise 12 persone. Il Gruppo Kropotikine di Merlieux della Federazione Anarchica francofona (FAf) nella stessa giornata del 7 gennaio ha redatto un comunicato dal tono molto commosso, nel quale si ricorda come “molti giornalisti del Charlie oggi assassinati, tra cui Charb, Cabu, Tignous, e Wolinski avessero contribuito a diverse edizioni del Salone del Libro Anarchico a Merlieux, o alla sua Festa del libro partecipando a dei dibattiti o disegnandone con grande talento e gentilezza molti manifesti.”

Negli anni le illustrazioni su molti manifesti politici della FAf, così come su quelli di altri raggruppamenti libertari e di sinistra, sono stati firmati anche da loro. In particolare si ricordano le vignette di Cabu che hanno illustrato molti manifesti antimilitaristi negli anni ’80.

Calpestando i loro corpi, il presidente francese Hollande fa appello all’unione del popolo francese contro i nemici della “libertà”, così come i molti politici che vogliono sfruttare la strage per alimentare il razzismo, per promulgare nuove leggi repressive e aumentare il controllo sociale e, chissà, magari per lanciare una nuova avventura militare all’estero.

Certo i disegnatori uccisi non sarebbero mai stati, da vivi, gli “eroi” di questa nuova crociata dello Stato francese. Una crociata che per ora si è concretizzata nella caccia all’arabo e nel dispiegamento di forze repressive, nel nome della lotta al terrorismo islamico e dell’ipocrita difesa della libertà di stampa borghese.

Alcuni, in Francia come in Italia, hanno subito voluto sottolineare che da tempo Charlie Hebdo “non faceva più ridere”, perché avrebbe contribuito “allo sviluppo di un’islamofobia di sinistra”.

In un contesto culturale come quello europeo, in cui negli ultimi anni l’ideologia dello scontro tra occidente cristiano e oriente islamico ha conquistato sempre più spazio, sicuramente il lavoro editoriale di Charlie Hebdo presenta molte contraddizioni, soprattutto in Francia in cui troviamo la tradizione del laicismo repubblicano sempre più vicina allo schieramento islamofobo. Su questo giocano i politici che, da destra a sinistra, vogliono alimentare il razzismo, irrigidire la militarizzazione della società, aumentare la segregazione e lo sfruttamento degli immigrati.

Nel comunicato emesso a livello nazionale dalla Federazione Anarchica francofona emerge, anche se con un tono completamente diverso, questo aspetto: “Alcuni tra le vittime hanno contribuito in passato a le Monde Libertaire, e se le nostre posizioni si sono distanziate in seguito, essi restano nel ricordo di numerosi compagni.”

È chiaro che quindi questo aspetto non può essere trascurato. Ma non si può allo stesso tempo attribuire ad un settimanale satirico, o a singoli disegnatori, la responsabilità dell’incapacità di gran parte della sinistra in Francia di elaborare posizioni radicali sulla questione dell’oppressione religiosa che siano autonome dal laicismo autoritario della tradizione repubblicana francese.

La liberazione da ogni genere di oppressione religiosa, passa sia attaverso la lotta contro ogni istituzione più o meno gerarchica che propagandi la menzogna di una salvezza ultraterrena, sia attraverso l’unità di classe, attraverso l’organizzazione e la lotta che portano i proletari a riconoscersi reciprocamente nelle medesime condizioni di sfruttamento e negli stessi interessi. Non attraverso le imposizioni di un qualche governo. Questo gli anarchici, gli antiautoritari, i rivoluzionari, lo sanno bene.

Chi si appiattisce sul dibattito riguardo all’opportunità o meno delle vignette di Charlie Hebdo, non fa che seguire il filone lanciato dai media ufficiali. Questo è invece il momento di rispondere con determinazione contro l’inasprimento delle misure repressive e di controllo sociale, contro ogni deriva razzista, contro la militarizzazione e la guerra.

Domenica 11 gennaio grandi manifestazioni hanno riempito le piazze delle città francesi. I giornali parlano di due milioni di persone in piazza a Parigi per la “marcia repubblicana”. Indipendentemente da quali siano i numeri reali dei partecipanti, queste parate hanno celebrato una nuova “unità nazionale”, in difesa della Repubblica contro la “barbarie”. Dal Partito Comunista Francese al Fronte Nazionale di Marine Le Pen, tutte le forze politiche hanno manifestato, “fieri di essere francesi”.

A Parigi la manifestazione era aperta dai potenti del mondo, 50 capi di stato e di governo, primi fra tutti il Presidente della Repubblica Hollande ed il Primo Ministro Valls. Una paradossale parata per la “libertà di espressione” per la quale è stato predisposto un apparato di sicurezza da stato d’emergenza, con oltre 5000 poliziotti e 1300 militari. In testa al corteo i professionisti del terrore di Stato, i campioni della repressione, della censura, della guerra, del razzismo, dello sfruttamento.

Le immagini di questi personaggi, “incordonati” alla testa del corteo, per celebrare non solo l’unione del popolo francese contro il nemico comune, ma anche per affermare la volontà comune di procedere ad una sempre più forte militarizzazione della società per attuare politiche autoritarie di attacco alle condizioni di vita e di lavoro di milioni e milioni di proletari, le abbiamo già viste troppe volte.

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Il 31 Luglio del 1914, il socialista Jean Jaurès viene assassinato a Parigi da un nazionalista.

Jaurès nel 1904 aveva creato il giornale L’Humanité ed aveva partecipato, nel 1905, alla fondazione della Sezione Francese dell’Internazionale Operaia (SFIO), che riuniva le principali tendenze socialiste francesi. Dal 1905 si schiera contro la politica coloniale e la guerra, e nel 1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, si impegna per evitare la guerra. Jaurès era un riformista, da sempre ostile ai sindacalisti rivoluzionari e agli anarchici – nel 1896 al Congresso dell’Internazionale socialista a Londra, prese posizione in modo forte per l’espulsione definitiva degli anarchici dall’Internazionale – la storia di Jaurès è la storia del fallimento dell’Internazionale socialista di fronte alla guerra, che ha rivelato la tendenza della socialdemocrazia a perseguire la via parlamentare e di governo a qualsiasi costo, anche del massacro di milioni di proletari. Subito dopo la sua morte infatti la sinistra francese, ed in particolare la SFIO e la CGT (sindacato, Confederazione Generale del Lavoro), si schierarono a sostegno della guerra per difendere la Francia, mentre già alla fine di agosto alcuni socialisti entrarono nel governo di unità nazionale. I funerali di Jaurès, il 4 agosto 1914, all’indomani della dichiarazione di guerra della Germania, che vedono la partecipazione del Presidente del Consiglio, alte cariche dello Stato, e esponenti del governo a fianco dei principali leader sindacali e della sinistra, diventano la prima manifestazione dell’“Union Sacrée”, la sacra unione del popolo francese di fronte alla guerra.

Si tratta di eventi estremamente distanti tra loro, separati da cento anni, che vedono protagonisti personaggi completamente differenti. Ma i metodi impiegati dal potere per serrare le fila sono sempre gli stessi.

Il lavoro editoriale di Charlie Hebdo, come abbiamo già detto, presenta non poche contraddizioni. Tuttavia le vignette fortemente dissacranti nei confronti della religione islamica e dei suoi simboli non bastano a rendere la testata assimilabile né dalla destra razzista di Le Pen né dal socialismo guerrafondaio di Hollande. Il vecchio Jean-Marie Le Pen infatti ha dichiarato di non essere disposto a dare la propria solidarietà ad un giornale dallo “spirito anarco-trotzkista che rimuove la morale”. Charlie Hebdo non era allineabile negli schieramenti imposti dall’ideologia dello scontro tra l’occidente cristiano e l’oriente islamico, anche perché finché si ride di sé stessi e del nemico, lo scontro di civiltà non è credibile, diventa ridicolo. La guerra invece è una cosa seria.

Per questo Charlie Hebdo rappresentava un ostacolo, quanomeno sul piano culturale, per tutti coloro che, in entrambe gli schieramenti, hanno da guadagnare da un ulteriore consolidamento dell’ideologia dello scontro di civiltà. La strage del 7 gennaio non solo ha abbattuto tale ostacolo, ma ha reso possibile la celebrazione di una nuova “Union Sacrée”, nel nome della Repubblica, contro la “barbarie” islamista.

Chi ci guadagna da questi eventi quindi sono non tanto e non solo le formazioni politiche apertamente nostalgiche e xenofobe dell’estrema destra. Sono quei governi che in Europa attraverso politiche fortemente autoritarie e la coesione sociale attorno agli interessi della classe dominante, vogliono imprimere un’accelerazione ai profitti dei capitalisti e vogliono avere mano libera per intraprendere nuove avventure militari. Così come, sull’altra sponda del Mediterraneo, a guadagnarci sono quelle forze, sia di stampo oscurantista religioso sia laiche, che a capo di governi autoritari assicurano la salvaguardia degli interessi delle potenze nei rispettivi paesi; sono quelle forze che in nome della legge di dio o dell’ordine statale combattono ogni potenziale rivoluzionario emerso dalle insurrezioni degli ultimi anni in quei paesi, forze che i compagni laggiù proprio per il loro ruolo controrivoluzionario spesso chiamano “fascisti”.

Per ora però questa nuova unione sacra sembra alquanto scalcinata rispetto a quella del 1914, neanche l’informazione pervasiva e totale dei nostri giorni riesce a mascherare le polemiche tra i partiti sorte a margine della parata di Parigi, e si vedrà cosa resterà di concreto dopo le grandi celebrazioni.

Certo è che da domani il controllo sociale e la militarizzazione saranno rafforzati e questo significherà maggiore repressione per tutti gli sfruttati e per chi lotta al loro fianco. Un aumento della violenza del potere nella società, che corre in parallelo alla banalizzazione della guerra operata dai media ufficiali.

Qualunque siano gli sviluppi della situazione, la foto di gruppo della testa della “marcia repubblicana” di Parigi ci mostra l’urgenza dell’unità di classe, della solidarietà tra gli sfruttati, perché solo in questo modo è possibile sbarrare la strada ad ulteriori attacchi alla classe lavoratrice, a nuove misure repressive, ad una nuova guerra.

Dario Antonelli

 

questo articolo sarà pubblicao sul prossimo numero del settimanale anarchico Umanità Nova

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A 150 anni dalla nascita di Pietro Gori: Perciò siamo ribelli!

La Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico Libertario a centocinquant’anni dalla nascita del compagno anarchico Pietro Gori, nato il 15 agosto 1865, vogliono ricordarne l’impegno rivoluzionario e affermare l’attualità del suo pensiero e della sua azione.

Segue il testo del volantino che sarà distribuito nei prossimi giorni in occasione di “Perciò fummo ribelli”, le iniziative di celebrazione per Pietro Gori organizzate dal Comune di Rosignano Marittimo.

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Perciò siamo ribelli!
“La realtà è che i governi esistono oggi, col pretesto di garantire l’ordine, perché questo non è l’ordine vero. Se fosse veramente ordine non avrebbe bisogno di armi e di manette, della violenza autoritaria dell’uomo sull’uomo per reggersi! Tutto all’opposto di ciò che credono i più, l’ordine difeso contro di noi, iconoclasti impenitenti, contanta profusione di leggi restrittive della libertà e di gendarmi, è il caos legalizzato, la confusione regolamentata, la iniquità codificata, il disordine economico, politico, intellettuale e morale eretto a sistema. Si dice che le leggi ed i governanti che le eseguono, son là a mantenere l’ordine nell’interesse dei deboli contro i forti. Ma chi è che ci crede sul serio? Chi è che non vede che dappertutto avviene tutto il contrario? Ditemi, per esempio, in quale sciopero, in quale conflitto fra capitale e lavoro, le forze del governo hanno seriamente difeso gli operai, che sono i più deboli, contro i loro padroni che sono i più forti?”

Pietro Gori , Il vostro “ordine” e il nostro “disordine”,1896

 

Le idee anarchiche di Pietro Gori, così lucidamente esposte in una conferenza tenuta a S. Francisco nel 1896, sono ancora oggi attuali. E allora, a chi vorrebbe rinchiudere le sue idee nella bacheca, magari dorata, della storia, poniamo la questione:
Da che parte starebbe oggi Pietro Gori, avvocato in tanti processi a carico di lavoratori che non avevano altra colpa che  quella di battersi per la libertà, la giustizia e l’eguaglianza? Sarebbe dalla parte dei militanti NO TAV che vengono trattati come criminali solo perché difendono la loro terra da chi vuole lucrare su un’opera inutile e dannosa, dalla parte di coloro che rivendicano il diritto ad una casa decente, dalla parte di coloro che difendono l’ambiente dall’assalto di multinazionali che minano territorio e salute, ecc.
Da che parte starebbe oggi Pietro Gori, che il primo maggio1890 fu fra gli organizzatori del primo sciopero generale a Livorno, e per questo fu incarcerato? Sarebbe dalla parte dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati che lottano per un salario e condizioni di lavoro migliori, contro governi e padroni che tengono artificiosamente alto il tasso di disoccupazione per tener bassi i salari, per fare del precariato una normalità, per avere mano libera sui posti di lavoro, sarebbe con chi lotta per l’abolizione della proprietà privata e di ogni forma di sfruttamento.
Da che parte starebbe oggi Pietro Gori, che visse per anni in esilio entrando in contatto da pari a pari con popoli di mezzo mondo? Sarebbe dalla parte di migranti e profughi, i più sfruttati e perseguitati, sulla pelle dei quali i governanti fanno affari d’oro. Sarebbe dalla parte di coloro che in ogni paese lottano per la libertà e l’uguaglianza, per l’abolizione delle frontiere e dei governi, sarebbe al fianco di chi costruisce esperienze di autogoverno e autogestione come quella di Kobane e della Rojava in Kurdistan.
PER QUESTO FUMMO ANARCHICI CENTO ANNI FA, PER QUESTO SIAMO ANARCHICI OGGI!
Federazione Anarchica Livornese
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it
Collettivo Anarchico Libertario
collettivoanarchico@hotmail.it
http://collettivoanarchico.noblogs.org

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Donne Anarchiche: “Lunga vita alla Libertà, Lunga vita all’Anarchismo!”

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Donne Anarchiche: “Lunga vita alla Libertà, Lunga vita all’Anarchismo!”

Recentemente, le Donne Anarchiche partecipando alla Conferenza delle Giovani Donne, nel piccolo villaggio di Amara che è ad Urfa (Kurdistan), hanno fatto un discorso sulla resistenza a Kobane, sull’influenza delle donne su questa resistenza e la lotta per la libertà delle donne.

Nella conferenza in cui varie organizzazioni femmenili da numerose località del Kurdistan, Merve Demir ha fatto un discorso a nome della Donne Anarchiche. Nel suo discorso ha messo in evidenza la violenza dello Stato e degli uomini nella vita quotidiana delle donne. Ha anche fatto alcuni esempi riguardo alla lotta delle donne contro questa violenza. Demir, nel suo discorso in curdo, ha dichiarato che le donne delle YPJ che resistono a Kobane, non stanno solo resistendo all’ISIS ma anche alla violenza degli uomini e del governo che opprime le donne e le tratta come se fossero invisibili.

Nel suo discorso Merve Demir ha detto che la donna può liberarsi solo in un nuovo mondo in cui esse possano organizzare relazioni senza potere e ha concluso il suo discorso con la frase: “Lunga vita alla libertà! Lunga vita all’Anarchismo!”

Dopo la conferenza, le Donne Anarchiche sono andate al piccolo villaggio chiamato Mahser, che è situato vicino il confine di Suruc, ed hanno partecipato alla commemorazione che era stata organizzata in memoria del Massacro di Roboski. Nel corso dell’incontro in cui la popolazione ha commemorato le trentaquattro vittime che furono massacrate dal bombardamento dello Stato, le donne hanno maledetto quel massacro ed hanno detto con forza che andranno avanti con la lotta.

Dopo la commemorazione, le Donne Anarchiche hanno incontrato i loro compagni che sono membri dell’Azione Anarchica Rivoluzionaria (DAF) e sono al villaggio di Mahser sin dai primi giorni della Resistenza di Kobane, e hanno portato dei pacchi che erano stati inviati da luoghi diversi al magazzino locale con lo scopo di estendere la solidarietà.

 

28/12/14

 

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E’ scomparso il compagno Giuseppe Ceccanti, i funerali si terranno mercoledì 24 dicembre alle ore 10

La Federazione Anarchica Livornese comunica la scomparsa del compagno Giuseppe Ceccanti, più conosciuto come Beppino, che si è spento all’età di 84 anni dopo una lunga malattia. Di famiglia antifascista, si avvicinò al movimento anarchico nel 1956, dopo i fatti di Ungheria, partecipando alle iniziative della Federazione Anarchica Livornese finché la salute glielo ha consentito. In ogni lotta, in ogni mobilitazione ha portato il suo contributo attivo e il suo spirito ironico e battagliero al tempo stesso. Gli anarchici lo ricordano con affetto fraterno e si stringono attorno al dolore dei familiari. I funerali si svolgeranno mercoledì 24 dicembre alle ore 10 con partenza dalla Camera mortuaria dell’ospedale di Livorno verso il cimitero dei Lupi, dove avverrà la cremazione. Era sua esplicita volontà che fosse accompagnato dai compagni con le bandiere anarchiche.

Per la commissione di corrispondenza

Tiziano Antonelli

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Grecia: Sugli avvenimenti del 6 dicembre 2014

Pubblichiamo due comunicati sui fatti avvenuti il 6 dicembre 2014 ad Atene, durante le manifestazioni in memoria di Alexis e in solidarietà a Nikos Romanos.

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Sugli avvenimenti del 6 dicembre 2014

Solidarietà con gli anarchici in sciopero della fame

Solidarietà agli arrestati durante i fatti del 6 Dicembre 2014

Ieri, 6 Dicembre 2014, sono passati sei anni dal’assassinio a sangue freddo del sedicenne Alexandros Grigoropoulos da parte dello sbirro Korkoneas.

Questo anniversario coincide con lo sciopero della fame del ventunenne anarchico Nikos Romanos che richiede la licenza d’uscita per frequentare i corsi presso un istituto statale di istruzione superiore.

Il giorno e la notte migliaia di persone hanno manifestato per le strade di molte città della Grecia. Dopo la manifestazione pomeridiana (eccezionalmente massiccia) nel centro di Atene sono seguiti scontri e combattimenti di molte ore, soprattutto nella zona di Exarchia. La polizia ha fatto circa 200 fermi, di cui 43 sono stati convertiti in arresti. Alcune delle persone arrestate sono accusate anche di crimini-delitti gravi, e sono ancora detenute nel palazzo della Direzione Generale di Polizia di Atene.

Scontri tra anarchici/anti-autoritari e le forze di repressione ci sono stati anche in molte altre città, come Salonicco, Patrasso, Volos, Larissa, Ioannina, Agrinio, Mitilini, Heraklion, Chania, Kalamata e altrove. A Patrasso, ci sono stati sei arresti (di cui due pure con accuse di crimini-delitti gravi), a Thessaloniki diciassette, ad Agrinio tre. I fermi, nelle città fuori Atene, sono stati circa un centinaio.

Ancora una volta, lo Stato ha tentato di scatenare il terrore con l’imposizione del cosiddetto regime di “tolleranza zero”, caricando i cortei, fermando manifestanti, addossando imputazioni aggravate e vendicative sugli arrestati.

Ancora una volta, i governanti hanno torto. Non otterranno null’altro con l’imposizione di uno stato poliziesco, che diffondere ed intensificare ancora di più i focolai di resistenza, in tutto il territorio greco. Il loro meccanismo di reppresione non fa altro che provocare l’espansione dell’ondata sovversiva.

La speranza si trova nell’atteggiamento combattente e intransigente degli anarchici in sciopero della fame Nikos Romanos (dal 10/11), Jannis Michailidis (dal 17/11), Andreas Bourzoukos e Dimitris Politis (dal 1/12).

La speranza si trova nelle migliaia di persone che hanno marciato e che manifestano nelle strade di tutto il territorio greco contro lo stato e la barbarie capitalista.

La speranza si trova nelle decine di focolai di resistenza creati nei municipi, università e camere del lavoro occupate.

La speranza si trova nei quartieri di Istanbul, dove compagni turchi hanno marciato e si sono scontrati con la polizia antisommossa locale, per le strade di Ferguson ed altrove, ovunque delle persone si trovino nelle strade della Rivolta.

Gruppo dei Comunisti Libertari, Atene

07/12/2014
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Durante gli eventi del 6 dicembre ad Atene, sono stati arrestati quattro compagni/e del’ Officina Eutopica. I compagni/e sono stati arrestati, insieme ad altri quindici, all’esterno dell’edificio occupato della GSEE [n.d.t. Confederazione nazionale dei sindacati del settore privato].

È importante descrivere i fatti successi fuori dal’edificio occupato della GSEE per evidenziare il modo pesante nel quale ha agito ancora una volta la polizia e la “giustizia”.

Poco dopo le nove di sera e dopo che dei poliziotti in borghese incappucciati hanno subito un attacco nelle vicinanze, orde di poliziotti in moto hanno dato la caccia alla gente presente sul posto ed hanno proceduto indiscriminatamente a fermi ed arresti. Poi hanno tramutato tutti i fermi in arresti ed addossato in concorso a tutti e 19 gli arrestati i delitti di lesioni di persona gravi, rapina (uno dei poliziotti ha sostenuto che gli è stato rubato del denaro che aveva addosso) e il reato di disturbo della quiete pubblica.

Oltre quindi agli arresti completamente ingiustificati e vendicativi dei 19, i quali sono stati perpetrati in una logica di “rappresaglia” mafiosa per il fatto di esser riusciti a cacciare i poliziotti in borghese, è stato costruito un atto d’accusa montato ad arte, che ha come solo obiettivo, dato che ovviamente non reggerà in tribunale, quello di intimidire la gente che si trova in piazza. Già l’accusa di delitto per presunte lesioni di persona gravi è stata dimostrata del tutto infondata ed il delitto è stato per forza declassato a reato, lasciando naturalmente il delitto di rapina in concorso tra i 19 solo per soddisfare la vendetta della polizia e per fare degli arrestati degli ostaggi, dato che ora sono in custodia in attesa di processo.

I tentativi di terrorizzarci, sia per le strade che nei tribunali, come è stato dimostrato tante e tante volte, cadranno sempre nel vuoto.

Da parte nostra, ci troviamo accanto ai nostri compagni e compagne, insieme a tutte le persone arrestate, accanto a coloro che lottano.

Officina Eutopica

07/12/2014

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Solidarietà a Nikos Romanos, dal 9 novembre in sciopero della fame nelle carceri dello stato greco

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Aggiornamento sulla lotta di Nikos Romanos 3/12/2014
Gli ultimi giorni, crescono quotidianamente in numero le dimostrazioni di solidaretà al compagno Nikos Romanos che si trova al 23° giorno di sciopero della fame per difendere il suo diritto all’educazione, ed a Iraklis Kostaris.
Ieri, un grandissimo corteo di solidarieta (foto e video qui: https://athens.indymedia.org/post/1535405/ ) ha sfilato per le strade di Atene e si è scontrato con la polizia (molti feriti, 14 arrestati). Lo stesso in molte città della Grecia. Il politechnico di Atene [comunicato stampa in inglese], la Camera del Commercio a Chania, il Municipio a Iraklio sono state occupate dai solidali. Da notare che il corteo di Atene, si è fermato per poco a Syntagma, davanti ai profughi Siriani in lotta (molti di loro pure in sciopero della fame) per il loro diritto di poter procedere verso il resto del Europa esprimendo con cori la solidarietà alla loro causa.   
Solidarietà a Nikos Romanos, ha espresso anche Syriza (che ha fatto appello al ministro della giustizia per risolvere la situazione dando al compagno la possibilità di frequentare i corsi sotto “licenze d’uscita” a libertà vigilata, ricevendo ovviamente una risposta negativa) e la gioventù del Pasok.
Nikos Romanos, era il ragazzo, al tempo quindicenne, tra le braccia del quale era spirato il suo migliore amico, Alexis Grigoropoulos, sei anni fa, il 6 Dicembre 2008.
Nikos, che è stato ammesso al Istituto Technico di Pireo (TEI Pirea) in teoria avrebbe diritto a licenze d’uscita giornaliere per poter frequentare il corso, il quale prevede presenze obbligatorie per poter partecipare agli esami. Per essere amesso ad un corso universitario in Grecia, bisogna dare degli esami abbastanza difficili, ed è considerato un piccolo miracolo riuscire a prepararsi per tali esami in prigione, tanto che il Presidente della Repubblica Greca Karolos Palulias ha deciso di premiare Nikos ed altri 4 detenuti per esserci riusciti. Nikos ha rifiutato pubblicamente il premio, cosa che, molto probabilmente, ha accresciuto l’ostilita del apparato giudiziario verso di lui; Una settimana dopo, il consiglio giudiziario a rifiutato la sua richiesta di poter frequentare i corsi.
Da notare che, dopo l’ultima riforma legislativa sull’educazione, il tempo per poter laurearsi, dal momento dell’ammisione e limitato, e il Rettore del TEI Pireo ha gia rilasciato una dichiarazione stampa dichiarado che Nikos, anche se comincia a frequentare domani, ha già perso il semestre per mancata presenza ai corsi obbligatori e che comunque la soluzione di frequentare i corsi a distanza via teleconferenza (proposta del ministro della giustizia Athanasiu per poter fermare l’escalation delle manifestazioni di solidarietà) non è attuabile. 
Iraklis Kostaris, membro del gruppo rivoluzionario 17 Novembre, si trova pure lui nella stessa situazione.
Il compagno Nikos, si trova in questo momento sotto la sorveglianza di decine di poliziotti al Ospedale Genimatas di Atene. Secondo il bollettino medico, Nikos ha già serii danni alla salute per via dello sciopero della fame.  Il personale medico del Ospedale ha gia fatto una dichiarazione stampa, nella quale dichiara fermamente che nessun dottore accetterà di collaborare all’ alimentazione forzata di Nikos (come ordinato dal Consiglio Giudiziario).
 
Nikos, ogni giorno che passa, dimostra che la lotta per l’istruzione puo essere un’azione altamente rivoluzionaria, tanto importante che valga la sua vita.
Sosteniamo la lotta di Nikos in ogni modo possibile.
 
gruppo comunisti libertari di atene

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