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PRESIDIO PER SURUÇ h 19 in Terrazza Mascagni

STRAGE IN TURCHIA

LE BOMBE DI STATO FANNO 32 MORTI E 100 FERITI

Martedì 21 luglio

h 19:00 Terrazza Mascagni-Viale Italia

PRESIDIO per Suruç

Lunedì 20 luglio a Suruç, cittadina curda in territorio turco, un attentato esplosivo provoca una strage ad una conferenza stampa della Federazione delle Associazioni di Giovani Socialisti (SGDF).

Suruç si trova a pochi chilometri dal confine con il territorio siriano controllato dai curdi, vicino alla città di Kobanê, completamente distrutta dopo l’assedio dello Stato Islamico. I militanti della SGDF, che avrebbero dovuto partecipare a dei progetti di ricostruzione della città di Kobanê, si trovavano a Suruç perché questa cittadina è base per ogni attività di aiuto oltre il confine. Lo stato turco però aveva impedito domenica 19 il passaggio del confine ai militanti della SGDF, e la bomba esplode proprio durante la conferenza stampa organizzata per denunciare la repressione del governo turco.

Secondo i numeri ufficiali sono 32 le vittime della strage, sembra però che i morti siano già 50. La maggior parte sono giovani socialisti, ma vi sono anche due anarchici di 19 anni. Oltre 100 i feriti di cui molti gravemente.

Non si tratta di un atto di terrorismo indiscriminato ma di un massacro mirato che punta ad eliminare fisicamente giovani militanti così come ad intimidire quelle forze che sostengono la resistenza della Rojava (Kurdistan occidentale in territorio siriano) e in particolare la ricostruzione di Kobanê. La responsabilità della strage è del governo turco che in Siria foraggia lo Stato Islamico e nello stesso territorio turco supporta gruppi paramilitari fascisti e religiosi per eliminare ogni potenzialità rivoluzionaria in Rojava così come in Turchia.

Il governo turco attraverso i suoi sicari attacca chi lavora alla ricostruzione di Kobanê perché è attraverso la ricostruzione, che non serve solo a costruire strade e edifici ma anche a gettare le basi della nuova società libera che può avviarsi un processo rivoluzionario.

Scendiamo in piazza anche a Livorno. Partecipiamo alla manifestazione a Pisa di giovedì 23 luglio (ore 17 piazza vittorio emanuele – Pisa)

SOSTENIAMO LA RICOSTRUZIONE DI KOBANÊ

SOSTENIAMO LA RESISTENZA E LA RIVOLUZIONE IN ROJAVA

CON LE COMPAGNE E I COMPAGNI COLPITI DAL TERRORISMO DELLO STATO TURCO

Collettivo Anarchico Libertario

Communia Livorno

Federazione Anarchica Livornese

Partito Comunista dei Lavoratori

[il testo è aperto alle adesioni]

 

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Turchia: Bombe di Stato e elezioni

questo articolo sarà pubblicato su Umanità Nova

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Turchia: Bombe di Stato e elezioni

Lo scorso 5 giugno a Diyarbakir (Amed in lingua curda), la città principale del Kurdistan in territorio statale turco, un grave attentato esplosivo ha provocato morti e feriti durante un comizio elettorale del Partito Democratico dei Popoli (HDP) che sostiene i diritti del popolo curdo.
Due bombe piazzate rispettivamente in un cestino dell’immondizia e vicino alla cabina di un trasformatore elettrico sono esplose nella piazza gremita di sostenitori dell’HDP, facendo 4 morti e 243 feriti di cui alcuni molto gravi. Gli ordigni erano fatti per uccidere, erano infatti pieni di sfere di metallo che al momento dell’esplosione hanno avuto un effetto devastante. Subito dopo le esplosioni è intervenuta la polizia con mezzi blindati e idranti per attaccare i manifestanti, durante il violento intervento della polizia sono stati colpiti anche alcuni che erano stati feriti nell’esplosione mentre i soccorritori venivano bersagliati con i lacrimogeni. La responsabilità, anche materiale, dell’attentato è da attribuire allo Stato e alla polizia. Infatti la polizia aveva comunicato agli ospedali di prepararsi a ricevere morti e aveva dato indicazioni affinché un liceo islamico che si affaccia sulla piazza in cui è avvenuto l’attentato fosse evacuato attraverso l’ingresso posto su un’altra strada. Inoltre dopo l’attentato un mezzo dell’HDP che stava raggiungendo l’ospedale Veni Vedi di Diyarbakir dove erano stati condotti alcuni feriti, è stato colpito da nove proiettili sparati dalla polizia proprio di fronte alla struttura sanitaria, per fortuna in questo caso non ci sono state vittime. Questa strage di Stato aveva lo scopo di terrorizzare la popolazione e di provocare uno stato d’emergenza che avrebbe impedito lo svolgimento delle elezioni. La strage di Diyarbakir è solo l’atto di violenza più brutale degli ultimi mesi, nel corso della campagna elettorale infatti la repressione della polizia è aumentata e i gruppi fascisti e paramilitari, che negli ultimi anni avevano moderato la propria violenza, sono tornati ad attaccare anche con armi i militati di sinistra e rivoluzionari, ma soprattutto i sostenitori dell’HDP.

In un contesto di forte tensione, domenica 7 giugno si sono tenute in Turchia le elezioni legislative. Già da molte settimane questo voto veniva annunciato come “storico” per la possibilità per l’HDP di entrare in parlamento, e perché determinante per la prosecuzione del progetto di riforma della costituzione portato avanti dal Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan e dal suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) fino ad oggi al governo. Nel momento in cui scriviamo, ad un giorno dalle consultazioni, l’unica certezza sembra per adesso costitutita dagli esiti del voto, anche se non ancora ufficializzati dal Consiglio Elettorale Supremo (YSK). I risultati delle elezioni hanno segnato un brusco arresto nell’ascesa dell’AKP e quindi dello stesso Erdoğan, il partito conservatore religioso ha infatti raggiunto solo il 40,93% dei consensi, registrando un forte calo rispetto alle precedenti elezioni legislative del 2011 in cui aveva raggiunto il 49,83%. Il Partito Popolare Repubblicano (CHP), erede del nazionalismo kemalista, che rappresenta un centro-sinistra autoritario e laico, resta più o meno stabile rispetto alle elezioni precedenti, attestandosi attorno al 25%. Il Partito del Movimento Nazionalista (MHP), ultranazionalista e fascista, è cresciuto sensibilmente passando dal 13,01% del 2011 al 16, 34%. L’HDP è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 10%, entrando per la prima volta in parlamento con il 13,15% dei voti. L’affluenza alle urne è stata dell’86,49%, più alta di quella registrata per le elezioni legislative del 2011, quando andarono a votare l’83,16% degli elettori. Dal rinnovo del parlamento turco non emerge quindi una maggioranza di governo, ed anche il maggior partito, l’AKP, potrà governare solo in coalizione con altri partiti.

Per molti questo risultato, segnato dall’arretramento dell’AKP, già costituisce una vittoria, e l’ingresso dell’HDP in parlamento viene definito da alcuni come una “rivoluzione”. L’HDP in effetti nasce con l’intento di riunire i partiti rivoluzionari e le associazioni democratiche sia turchi, sia curdi, sia di altre minoranze, attorno alla lotta del popolo curdo. Per questo durante il periodo pre elettorale anche alcuni partiti rivoluzionari hanno dato indicazione di votare per l’HDP, pure alcune personalità intellettuali che si definiscono anarchiche hanno dichiarato che avrebbero votato per quel partito. Il fatto che il parlamentarismo non può essere considerato un mezzo per la rivoluzione, e la componente di borghesia curda presente nell’HDP mostrano la contedditorietà di queste posizioni. Il movimento anarchico turco ha invece avuto di fronte alle elezioni una posizione chiara e coerente. Il gruppo Azione Anarchica Rivoluzionaria (DAF) di Istanbul ha mantenuto una posizione antielettorale ed è restato al fianco dei lavoratori e di tutti gli oppressi, in particolare del popolo curdo che in questi mesi ha subito ancora di più la violenza assassina dello Stato.

Certo non può essere ignorato il rilievo storico dell’ingresso di un partito come l’HDP nel parlamento turco. Ma è chiaro che questo risultato elettorale registra una situazione politica e sociale che si è sviluppata fuori dal parlamento, in cui lo Stato spesso è intervenuto violando le sue stesse leggi. Il movimento nato da Gezi Park represso con il terrore dal governo; la lotta nei territori curdi contro le basi militari e lo sviluppo in Turchia di un movimento di solidarietà con la resistenza e la rivoluzione della Rojava; la strage della miniera a Soma e le lotte operaie degli ultimi mesi. Sono lotte che anche quando si sono limitate a chiedere piccoli miglioramenti interni al sistema, si sono scontrate con la repressione violenta dello Stato. Sono tutti processi che hanno indebolito il consenso nei confronti del governo e che hanno spesso portato i lavoratori e il popolo a scontrarsi con il terrore di Stato imposto dal governo, suscitando una profonda volontà di cambiamento. Ma la strage di Diyarbakir ci mostra come lo Stato sia disposto ad utilizzare ogni mezzo per fermare questa volontà di cambiamento, non c’è legalità e non c’è pietà quando le strutture del potere e i privilegi acquisiti vengono messi seriamente in discussione. I risultati elettorali quindi, pur testimoniando il consenso nei confronti dei diversi partiti di una larga maggioranza della popolazione, fotografano una situazione politica che è frutto di un processo che non avrà soluzione attraverso le vie parlamentari, attraverso la costituzione di un nuovo governo o la promulgazione di nuove leggi, perché la posta in gioco è troppo alta e il conflitto scatenato dal potere e dal privilegio contro la volontà di libertà e giustizia si combatte al di fuori delle regole della democrazia parlamentare. Questo processo potrà trovare soluzione solo attraverso delle reali conquiste sociali, che saranno possibili unicamente con l’abbattimento di quel gigantesco apparato militare-repressivo che in Turchia è sempre stato un micidiale strumento, spesso difficilmente controllabile, di repressione e sopraffazione, prima per i governi “laici” e poi per i governi “religiosi”.

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A due anni da Gezi Park, la rivolta non è finita

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A due anni da Gezi Park, la rivolta non è finita

Due anni fa iniziava in Turchia il movimento antigovernativo passato ormai alla storia come “rivolta di Gezi Park”, dal nome del parco nel centro della città di Istanbul che fu l’epicentro della protesta. Il 31 maggio del 2013, all’alba, le poche decine di manifestanti che avevano occupato il parco da due giorni per protestare contro un progetto di costruzione che avrebbe distrutto l’intera area verde, vengono sgomberati con la violenza dalla polizia che, accompagnata dalle ruspe, fa largo uso di lacrimogeni e idranti. Questa brutale aggressione poliziesca scatenerà una reazione di massa, una vera e propria rivolta, con manifestazioni in tutta la Turchia per oltre due settimane, dando uno sbocco sia alla rabbia contro la brutalità e l’arroganza della polizia, sia al malcontento contro le politiche del governo conservatore-religioso dell’AKP.

La rivolta del 2013 ha costituito un punto di svolta per la storia della Turchia.
Una nuova generazione di giovani ha trovato nel movimento di protesta spazi di partecipazione e di azione diretta, questo è accaduto sia nei grandi centri come Istanbul, Ankara e Izmir, sia nelle città della provincia. Il movimento ha portato nel dibattito pubblico temi forti come l’ecologia, la democrazia radicale, la questione lgbt; temi maturati negli anni precedenti in Turchia grazie soprattutto al contributo del movimento anarchico e che sono stati cardini del movimento di Gezi Park.
Il movimento inoltre ha creato nuovi equilibri tra le diverse forze di opposizione al governo, ridisegnando di fatto il complesso delle relazioni tra partiti, gruppi e movimenti, creando nuovi obiettivi comuni attorno ai quali aggregare le forze e creando nuove discriminanti politiche. In effetti il movimento nato a Gezi ha visto la partecipazione di componenti assai diverse tra loro: organizzazioni sindacali, ordini professionali, associazioni della società civile, gruppi e partiti della sinistra rivoluzionaria e radicale, gruppi anarchici e organizzazioni studentesche, partiti parlamentari di matrici anche molto diverse, come ad esempio i nazionalisti turchi kemalisti del CHP ed il partito HDP che sostiene i diritti dei curdi.

Negli articoli scritti nei giorni della rivolta e nelle analisi immediatamente successive alle settimane segnate dalle proteste più dure, molti indicavano due grossi limiti del movimento di Gezi, l’assenza della classe operaia e l’assenza dei curdi dalle proteste, bollandolo quasi come un semplice movimento giovanile di contestazione.
Questa lettura era in gran parte superficiale.

Se da una parte è vero che molti dei giovani che occupavano i parchi nel centro di Istanbul e Ankara fossero appartenenti alla classe media o studenti, non può essere negata la complessità della composizione sociale del movimento. La protesta infatti era radicata anche nei principali quartieri proletari di Istanbul, da cui partivano imponenti cortei per raggiungere il centro, che la polizia cercava di bloccare con ogni mezzo. È vero che i lavoratori non hanno partecipato come classe organizzata a questo movimento, anche perché possono farlo solo attraverso lo sciopero. Lo sciopero è ammesso in Turchia solo per motivi vertenziali, non è legalmente possibile lo sciopero generale, tantomeno di carattere politico. L’unico sciopero di supporto alle proteste si è avuto nel settore pubblico, in cui è ammesso lo sciopero “di solidarietà”. Certo è un limite il fatto che le organizzazioni sindacali abbiano scelto di restare nei paletti imposti dalla legge, ma va considerato che in un contesto simile uno sciopero illegale avrebbe assunto probabilente carattere insurrezionale.

Riguardo a quanto è stato scritto sull’assenza dei curdi dalle proteste si può dire che questo è vero solo in parte. Se da un lato è vero che nelle città del Kurdistan in territorio statale turco le manifestazioni sono state poche e con partecipazione scarsa, vanno al contempo ricordati i grandi numeri della diaspora curda interna alla Turchia e la partecipazione attiva del HDP alle proteste. La rivolta di massa ha visto infatti il parziale coinvolgimento dei milioni curdi che vivono nelle regioni non tradizionalmente curde della Turchia, e che in particolare ad Istanbul, Ankara, Izmir, abitano nei quartieri proletari delle metropoli e sono tra i lavoratori che subiscono maggiori condizioni di sfruttamento. Se gran parte del movimento curdo organizzato ha in effetti mantenuto inizialmente una posizione di tiepido appoggio alle proteste, probabilmente a causa della trattativa per il processo di pace, all’epoca ancora aperta tra i servizi turchi del MIT e d il leader incarcerato del PKK Abdullah Ocalan, è stato invece chiaro l’appoggio del partito HDP, nato nel 2012 per riunire forze politiche e sociali radicali sia turche che curde in appoggio al popolo curdo, che ha partecipato attivamente alle diverse fasi della protesta, soprattutto ad Istanbul.

Certo il movimento del 2013 presentava grossi limiti, ma non era solo espressione di una rivolta generazionale, si trattava invece del primo cortocircuito delle contraddizioni generate dal regime politico ed economico instaurato dall’AKP di Recep Tayyip Erdoğan.

In questi due anni infatti le premesse date dalla rivolta del 2013 si sono sviluppate, superando in parte i limiti iniziali, attraverso passaggi che proviamo a ricostruire:
Il fallimento del tentativo governativo di pacificare il Primo Maggio; le forti proteste dopo strage di Soma nel maggio 2014 in cui morirono oltre 300 minatori; il riaccendersi della conflittualità operaia tra la fine del 2014 e i primi mesi del 2015, che ha raggiunto il culmine con gli scioperi dei metalmeccanici di Bursa lo scorso maggio, caratterizzata da agitazioni e scioperi per aumenti salariali, spesso entrando in aperto contrasto con Turk-İş o comunque con le organizzazioni sindacali più vicine agli interessi padronali
Le dure proteste contro l’installazione di nuove postazioni militari nelle regioni curde, in cui sono stati uccisi alcuni giovanidai proiettili della Jandarma (polizia militare); il fallimento del processo di pace tra lo Stato turco ed il PKK; lo sviluppo di un processo rivoluzionario nella Rojava, il Kurdistan in territorio statale siriano, che può estendersi al di là dei confini imposti dagli stati, coinvolgendo anche regioni dello stato turco; l’ampio movimento di solidarietà con la resistenza curda assediata a Kobanê; l’insurrezione dei primi di ottobre del 2014 contro l’appoggio del governo turco alle truppe dello Stato Islamico in Rojava.

Il secondo anniversario di Gezi Park inoltre assume un forte significato in un contesto di dura tensione politica causata dall’inasprirsi della violenza repressiva della polizia e, con l’approssimarsi delle elezioni legislative del 7 giugno, da un considerevole aumento degli attacchi da parte di membri del partito di governo AKP, di sicari o gruppi fascisti contro sedi e attivisti del HDP.

La rivolta non è finita, per questo lo scorso 31 maggio il governo è tornato ancora una volta a sospendere i trasporti pubblici ad Istanbul e a chiudere tutta l’area vicina a Gezi Park con uno schieramento imponente di agenti e mezzi della polizia per impedire che le manifestazioni si avvicinassero al parco.
La rivolta del 2013 ha quindi aperto una fase che, ben lontana dall’essersi conclusa, forse giunge a maturazione proprio in questi mesi.

DA

Articolo pubblicato su Umanità Nova

A Livorno puoi acquistare il settimanale anarchico Umanità Nova presso le edicole di Via Garibaldi 7, Piazza Damiano Chiesa, di Piazza Grande (angolo Bar Sole) e di Piazza G. Micheli (lato 4 Mori), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via Roma 69, il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20)

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Elezioni regionali: renzi, ora si viene!

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La tabella mostra i risultati elettorali, divisi per regione, dei due più importanti fenomeni delle ultime elezioni. Entrambe le fomazioni si sono proposte esplicitamente per raccogliere il malcontento provocato dalle politiche dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Il risultato della Lega Nord è calcolato rispetto alle precedenti regionali (2010), e per le regioni in cui è possibile fare un raffornto. Particolarmente significativo il dato del Veneto, dove la Lega Nord ha perso quasi quattrocentosessantamila voti. Il raffronto, per il M5S, è con le elezioni per la camera dei deputati (nelle stesse circoscrizioni) del 2013. Questi dati testimoniano che l’operazione di convogliare il malcontento popolare nelle liste dell’opposizione è fallito, anzi si può dire che questo malcontento si è rivolto sia contro le liste che a vario titolo hanno partecipato o sostenuto i governi di questi ultimi anni, sia contro quelle di opposizione. Forse per questo, dopo i risultati elettorali, Renzi è fuggito ad Herat, forse si sentiva più sicuro lì.

 

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NON VOTATE!

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“Lo sciopero armato” presentazione del terzo volume delle Opere Complete di Errico Malatesta

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Venerdì 5 giugno, alle ore 18,00
presso la Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33

Presentazione del terzo volume delle Opere Complete di Errico Malatesta
“LO SCIOPERO ARMATO”
parteciperà il curatore Davide Turcato

L’alba del ventesimo secolo, dopo che si era chiuso quello precedente con l’atto di Gaetano Bresci, l’eliminazione del re d’Italia Umberto I responsabile dei massacri e degli stati d’assedio, segna l’inizio del più lungo periodo di ininterrotta assenza di Malatesta dal suolo italiano. Sulle colonne della “Rivoluzione Sociale” così come in tante altre pubblicazioni e nei discorsi, egli riafferma e sviluppa con coerenza in questi anni i due pilastri fondamentali della sua tattica: il movimento operaio come base irrinunciabile dell’anarchismo; e l’insurrezione come ineludibile passo, a cui è necessario prepararsi, verso l’emancipazione. Mentre nel decennio precedente era stato sul primo punto che Malatesta aveva dovuto insistere, in contrapposizione all’anarchismo amorfo e confusionario, l’ascesa del sindacalismo rivoluzionario, con la sua affermazione dell’autosufficienza del movimento operaio, rende ora necessario accentuare il secondo punto. In contrapposizione al concetto dello sciopero generale come arma rivoluzionaria, Malatesta compendia efficacemente la sua tattica nel concetto di “sciopero armato”. In questa fase di estraniamento dal movimento anarchico in patria, da una parte Malatesta elabora le idee-guida che informeranno i suoi successivi ritorni in Italia, e dall’altra si afferma indiscutibilmente come la figura di maggior spicco del movimento anarchico internazionale, sia, suo malgrado, agli occhi della stampa mondiale, che lo bersaglia di interviste ad ogni evento di cronaca che abbia a che fare con l’anarchismo, sia soprattutto all’interno del movimento, con lo storico congresso internazionale anarchico di Amsterdam del 1907.

A seguire aperitivo, buffet e musica

Durante l’iniziativa
LIVE PAINTING
con asta benefit
per i compagni sotto processo

COLLETTIVO ANARCHICO LIBERTARIO
FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE

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Turchia: aumenta la violenza del governo contro ogni forma di opposizione Aggrediti e fermati dalla polizia anche i compagni del DAF

questo articolo sara pubblicato sul prossimo numero di Umanità Nova

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Turchia: aumenta la violenza del governo contro ogni forma di opposizione
Aggrediti e fermati dalla polizia anche i compagni del DAF

Domenica 24 maggio ad Istanbul si è tenuta una manifestazione per l’apertura di un corridoio umanitario per Kobanê. La polizia utilizzando le nuove leggi sulla sicurezza in occasione di manifestazioni pubbliche ha utilizzato quanta più violenza ha potuto contro i manfestanti.
Infatti non appena la manifestazione è iniziata, la polizia ha cominciato a intervenire contro chi provava ad unirsi al corteo. Di fronte al tentativo della polizia di bloccarli, alcuni manifestanti hanno provato ad andare avanti, la polizia è intervenuta colpendo i manifestanti, ci sono stati degli scontri e sono stati arrestati due compagni del gruppo anarchico DAF (Azione Anarchica Rivoluzionaria) che partecipa al corteo con i lavoratori del sindacato İnşaat İşçileri Sendikası, altri sono rimasti contusi. I due compagni del gruppo DAF sono stati rilasciati nel pomeriggio di lunedì 25 dopo che il tribunale non ha confermato il loro arresto.

La richiesta di apertura di un corridoio umanitario viene portata avanti sin dallo scorso ottobre dal movimento curdo e da chi lo sostiene, permetterebbe l’arrivo di aiuti a Kobanê e porrebbe fine all’isolamento della città, attorno alla quale continuano i combattimenti. Il governo turco in questi mesi, nonostante le promesse mai rispettate, ha sempre risposto nello stesso modo: carri armati, blindati e decine di migliaia di soldati dislocati sul confine per isolare ulteriormente la città di Kobanê. La violenza dello Stato turco che con arresti, torture ed assassinii colpisce coloro che provano ad attraversare illegalmente il confine e che ha fatto negli ultimi mesi numerosi morti, ha portato anche all’arresto nelle scorse settimane di due torinesi che stavano portando aiuti umanitari a Kobanê. Questa politica del governo turco ha portato di fatto ad un punto di rottura il processo di pace in atto dal 2013 tra il PKK e la Repubblica di Turchia.

La manifestazione di domenica 24 maggio si è svolta in un contesto particolare. Infatti se la violenza della polizia e dei fascisti aveva già registrato nei mesi scorsi un forte aumento ai danni di tutte le forze d’opposizione, dai partiti parlamentari ai gruppi rivoluzionari, nell’ultimo mese, con l’approssimarsi della scadenza del voto per le elezioni parlamentari del prossimo 7 giugno, si sono intensificate la azioni violente da parte di membri del partito di governo AKP contro sedi e membri del partito HDP che sostiene i diritti dei curdi. Una situazione di alta tesione politica e sociale esasperata da un governo che tenta di soffocare ogni opposizione, che dopo le elezioni potrebbe inasprirsi ulteriormente.
Quindi la manifestazione è stata anche una risposta ai fatti delle ultime settimane, in solidarietà al movimento curdo e contro la repressione dello Stato, sia essa esercitata attraverso la polizia o attraverso gli sgherri di alcuni partiti. Una manifestazione che ha cercato di mostrare l’unità tra forze che seppur molto diverse tra loro e divise sulla questione elettorale, visto che gli anarchici e altri rivoluzionari rifiutano la via parlamentare, sono però parte dello stesso movimento di cambiamento sociale.

Dario Antonelli

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“Gli ammutinati delle trincee” – Presentazione libro e proiezione video

“Gli ammutinati delle trincee” – Presentazione libro e proiezione video

SABATO 30 MAGGIO

Presso la Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33

h 18 presentazione del libro con l’autore Marco Rossi

Gli Ammutinati delle trincee”

dalla guerra in Libia al primo conflitto mondiale 1911-1918 (BFS, 2014)

h 20.30 aperitivo/buffet

h 21.30 proiezione del fi lmatoNon c’è solo la vittoria”, regia ed edizione Federico Cataldi, regia episodio Giovanna Massimetti (durata 51 min.)

 

La Prima guerra mondiale, spesso defi nita il tragico atto di nascita del Ventesimo secolo, rimane l’evento storico che ha determinato i traumi, i confl itti, le trasformazioni non solo nella società, ma nella coscienza collettiva e nell’esperienza umana di milioni di persone e, in particolare, dei ceti popolari e delle classi subalterne di ogni paese. Furono infatti queste ultime a pagare maggiormente gli effetti laceranti di quella guerra, voluta dal potere economico, dai governi e dai rispettivi nazionalismi, per affermare un’egemonia imperialista, conquistare territori e incrementare i profi tti dell’industria bellica. La Grande guerra rappresenta il naufragio della civiltà moderna, nella quale è coinvolta pienamente l’Italia liberale che già con la spedizione in Libia (1911-12) aveva anticipato eventi, strategie e temi che troveranno un’altra conferma negli anni 1914-18. Non tutti i contadini e gli operai travolti dalla guerra accettarono passivamente di morire – da Tripoli a Caporetto – per interessi e logiche non loro. Prigionieri delle trincee, questi non-sottomessi combatterono una loro guerra dentro la guerra, ammutinandosi agli ordini criminosi dei generali, disertando, dandosi alla macchia, animando rivolte per difendersi da una patria che li mandava al massacro e li voleva assassini di altri sfruttati. Questa ricerca al rovescio vuole dare voce al loro coraggio di restare umani, anche a rischio della fucilazione per disfattismo.

Federazione Anarchica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

 

vol 300515

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1915-2015: “Guerra alla guerra!”

riceviamo e volentieri pubblichiamo

1915-2015: “Guerra alla guerra!”

“Né gulasch né amatriciana, né birra né vino per questo centenario di disgrazia. O banchetto con tutti e quattro. Qui si viaggia in terra di nessuno. E chi se ne frega delle nazioni”.

Paolo Rumiz, Come cavalli che dormono in piedi.

Il 24 maggio la retorica nazionalista “festeggia” l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale.
Le fanfare patriottarde dei media e dei politici celebrano l’inizio di quella carneficina mondiale, proprio mentre si inneggia all’uso della forza e dell’esercito per fermare l’arrivo dal sud del mediterraneo di profughi e di migranti, di povera gente in fuga dalla guerra, dalla miseria e dallo sfruttamento, e destinata a trovare una morte anonima in mare, la segregazione in campi di internamento o un futuro di nuove schiavitù e razzismo.
Povera gente come lo furono le vittime della Prima guerra mondiale: lavoratori, operai e contadini di ogni paese, strappati alle proprie famiglie e alle proprie case per essere gettati in un insensato carnaio per gli interessi dei fabbricanti di armi, delle monarchie e dei governi, costretti – sotto la minaccia della fucilazione – ad uccidere altri operai e contadini solo perché nati al di là di un confine.
Noi vorremo ricordare proprio questi milioni di giovani, contadini e operai vittime del militarismo ed anche quanti si rivoltarono e disertarono la guerra. Intendiamo così rinnovare le ragioni dell’opposizione attiva ai nazionalismi e all’imperialismo, rivendicando le esperienze internazionaliste e antimilitariste che hanno attraversato tutti i conflitti.
Per questo, domenica 24 maggio, nel centenario dell’entrata in guerra dello Stato italiano, vogliamo rendere omaggio al “nemico” di allora, portando un ricordo floreale ai 94 soldati austro-ungheresi, morti in prigionia nel campo di Coltano, sepolti presso il Cimitero monumentale dei Lupi (vicino al Quadrato dei Francesi).
L’appuntamento, per quanti continuano a rifiutare la logica della guerra, è alle ore 11 all’entrata del cimitero.

ANTIMILITARISTE E ANTIMILITARISTI CONTRO OGNI FRONTIERA

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Comunicato FAI: Solidarietà a Luca e Silvano! Basta con i razzisti e il governo che li protegge!

Solidarietà a Luca e Silvano! Basta con i razzisti e il governo che li protegge!

Il Convegno Nazionale della Federazione Anarchica Italiana, riunito a Livorno il 16 e 17 maggio 2015, esprime la propria solidarietà a Luca e Silvano, e agli altri compagni feriti a freddo dopo una violenta carica di polizia e carabinieri, schierati per impedire le contestazioni popolari in occasione di un comizio del leader razzista e fascista Matteo Salvini a Massa sabato 16 maggio, come nei giorni precedenti ad Ancona, come a Foggia, come in tante altre località.

Salvini è l’esponente di un’alleanza elettorale di estrema destra che comprende forze che hanno come portavoce esponenti neofascisti; in Toscana e nelle Marche attorno alla lega si è coalizzato il museo degli orrori neofascisti; in Toscana in particolare la Lega ha riciclato vecchi missini e ha avuto un’impostazione marcatamente fascista. I comizi di Salvini sono l’occasione per i fascisti di tornare in piazza.

Un governo violento, che si rifiuta di restituire il maltolto ai pensionati e di assumere i precari della scuola, protegge il razzista Salvini che esprime, in forme brutali e provocatorie, il razzismo che fa parte integrante della politica sociale ed estera del governo Renzi.

La storia ci insegna che i governi della repubblica non hanno esitato ad usare i fascisti, uccidere i compagni nelle piazze, fare le stragi di Stato, ricorrere insomma alla guerra civile strisciante per imporre la politica antipopolare. Questo governo non è da meno, e l’esibizione di Salvini nelle piazze è un’occasione per cariche, pestaggi e denunce contro gli elementi più attivi. Il governo spera così di indebolire la reazione popolare alla politica di miseria e di guerra che porta avanti.

Gli anarchici sono a fianco di Luca e Silvano, gli anarchici continueranno a mettersi di traverso alle iniziative dei razzisti e dei fascisti, assieme a tanti altri che in questi giorni sono scesi in piazza dovunque, convinti che il fascismo sarà definitivamente sconfitto quando saranno eliminati dalla società le sue principali fonti: l’apparato militare, la gerarchia ecclesiastica, l’intreccio fra grande capitale ed aristocrazia finanziaria.

Il Convegno Nazionale della Federazione Anarchica Italiana

16 maggio 2015

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