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Ovunque Kobanê, Ovunque Resistenza! Resistenza e rivoluzione in Rojava, il ruolo degli anarchici.

Ovunque Kobanê, Ovunque Resistenza!
Resistenza e rivoluzione in Rojava, il ruolo degli anarchici.

Venerdì 12 dicembre
presso la Federazione Anarchica Livornese
Via degli Asili 33

ore 20 aperitivo

ore 21 conferenza e dibattito

sarà proiettato il video “Her yer Kobanê, Her yer Direniş!”

di Giacomo Sini

“Da due anni a questa parte le fondamenta della rivoluzione sociale sono in fase di sviluppo in Rojava, il Kurdistan occidentale. Sostenendo questo, è difficile ignorare il fatto che alla base dell’attacco contro Kobanê ci sono gli interessi politici dello Stato Turco e del capitalismo globale.”

dal giornale anarchico “Meydan”, Novembre 2014

Dallo scorso settembre è sotto assedio la città di Kobanê, nella Rojava, a ridosso del confine con la Turchia. La cità è attaccata dalle forze dello Stato Islamico (ex ISIS) che vuole imporre nella regione un regime autoritario e oscurantista. Lungo il confine l’esercito turco ha dispiegato un’ingente schieramento di truppe e carri armati, chiudendo di fatto l’assedio a Kobanê. In questo modo il governo turco sostiene l’attacco dello Stato Islamico e cerca di isolare la città, impedendo il passaggio dei riformimenti verso la città assediata, bloccando con la violenza quello dei civili in fuga e dei feriti verso il territorio turco e garantendo invece la sicurezza per il passaggio dei rifornimenti destinati allo Stato Islamico. Il governo di Ankara puntava su una rapida vittoria dello Stato Islamico, che avrebbe rafforzato l’influenza dello stato turco, avrebbe messo seriamente in discussione l’autonomia della Rojava, e sarebbe stata un duro colpo per la lotta del popolo curdo per la libertà, non solo in Siria ma anche in Turchia. Negli ultimi due anni infatti nella Rojava la pratica della democrazia radicale nelle assemblee territoriali, il protagonismo delle donne e il riconoscimento della pluralità del movimento, hanno gettato le basi per una rivoluzione che può estendersi ben oltre la Rojava ed il Kurdistan.
La resistenza condotta a Kobanê dalle YPG (Unità di Difesa del Popolo, milizia del partito curdo PYD) ha fatto saltare i piani del governo turco. Ma anche la solidarietà al confine ha giocato un ruolo centrale. Senza le migliaia di persone giunte da tutta l’Anatolia e da molti paesi per organizzare la solidarietà nei villaggi di confine l’esercito turco avrebbe totalmente isolato la città. Tra i solidali, assieme ai gruppi dela sinistra rivoluzionaria turca e ai partiti e movimenti curdi, ci sono anche gli anarchici del gruppo DAF (Azione Anarchica Rivoluzionaria, gruppo anarchico di Istanbul), che oltre a dare un contributo politico specifico a questa lotta, hanno partecipato alle azioni di solidarietà lungo il confine che hanno spezzato l’isolamento di Kobanê, permettendo il passaggio di persone e rifornimenti, nonostante i continui attacchi della polizia militare turca.

Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario

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La resistenza di Kobanê continua. Lo stato turco impiega ogni mezzo contro la rivoluzione

La resistenza di Kobanê continua

Lo stato turco impiega ogni mezzo contro la rivoluzione

Alle prime ore del mattino di sabato 29 novembre, nei pressi di Mürşitpınar un camion carico di esplosivo salta in aria ed alcuni combattenti delle YPG/YPJ restano uccisi, mentre altri sono feriti. Mürşitpınar è la località in cui si trova il valico di frontiera tra la Turchia e la Siria che attualmente collega il territorio turco al cantone di Kobanê della Rojava. Da Mürşitpınar transitano quei pochi aiuti umanitari per Kobanê che l’esercito turco, presente in forze a controllare la frontiera, lascia passare.

Secondo l’Özgür Gündem, quotidiano vicino alla causa curda pubblicato in Turchia, testimoni affermano che l’attacco proveniva dal territorio turco. Il camion carico di esplosivo avrebbe quindi superato al valico di frontiera i rigidi controlli dei militari turchi, che lo avrebbero lasciato passare verso Kobanê come un trasporto di aiuti umanitari. Contemporaneamente ci sono stati attacchi con autobomba anche nella zona occidentale ed in quella orientale della città, mentre da sud le truppe dello Stato Islamico (ISIS) hanno attaccato con mortai ed armi pesanti. Si è quindi trattato di un preciso piano d’attacco in cui lo stato turco ha avuto un ruolo diretto. Nel corso del mese di novembre le forze assedianti hanno perso terreno e adesso lo Stato Islamico controlla solo il 20% della zona, questo spinge il governo turco a intervenire in modo sempre più diretto, come abbiamo visto nelle scorse settimane con i sempre più violenti attacchi alla popolazione nei villaggi di confine e a tutti coloro che organizzano in quelle zone la solidarietà. È in questo contesto che il 6 novembre scorso è stata uccisa Kader Ortkaya dai proiettili della polizia militare turca.

Per denunciare ancora una volta il diretto sostegno del governo di Ankara alle forze dello Stato Islamico si sono tenute il 30 novembre manifestazioni in molte città della Turchia, soprattutto nelle città del Kurdistan. A Diyarbakır ci sono stati duri scontri con la polizia ed un bambino è rimasto gravemente ferito. Lungo il confine hanno manifestato migliaia di persone facendo sentire il loro sostentegno ala resistenza di Kobanê. Ci sono state manifestazioni anche ad Istanbul; nel quartiere di Kadıköy un corteo al quale ha partecipato anche il gruppo anarchico DAF, partito dal mercato scandendo tra gli altri lo slogan “Kobanê sarà la tomba del fascismo!”, è stato attaccato dalla polizia con lacrimogeni e proiettili di gomma, i manifestanti hanno risposto lanciando fuochi d’artificio.

Questi fatti non sono che l’ennesima dimostrazione del sostegno del governo turco allo Stato Islamico.

Agli inizi di ottobre la determinata resistenza di Kobanê aveva fatto saltare i piani dello stato turco, che contava su una rapida caduta della città nelle mani delle truppe dello Stato Islamico per infliggere un duro colpo ai movimenti curdi e al processo rivoluzionario avviato in Rojava che rischia di estendersi anche in Turchia. Tra il 6 e il 9 ottobre scorso in Turchia un’ondata di proteste in solidarietà a Kobanê aveva assunto carattere insurrezionale e, con l’attacco ad edifici pubblici, municipi, sedi del partito di governo AKP, aveva smascherato le responsabilità del governo di Ankara nel supportare lo Stato Islamico, che iniziarono almeno in parte ad emergere pure sui media ufficiali. Nel corso di tali proteste vennero uccisi 46 dimostranti. La maggior parte di essi non fu uccisa dalla polizia ma dai sicari di Hizbullah o da altre formazioni paramilitari religiose protette dal governo turco, che in quei giorni erano spesso in piazza a fianco della polizia.

Già allora era chiaro a tutti che l’ingente schieramento di uomini e mezzi da parte dell’esercito turco lungo la linea di confine vicino a Kobanê non aveva né lo scopo di proteggere i cittadini turchi né tantomeno quello di intervenire militarmente contro lo Stato Islamico. Il governo di Ankara aveva schierato l’esercito per isolare Kobanê, chiudendo di fatto l’assedio della città già condotto su tre fronti dallo Stato Islamico, al fine di impedire il passaggio di aiuti e rifornimenti per i resistenti.

Il governo turco utilizzerà qualsiasi mezzo possibile per impedire che si sviluppi un processo rivoluzionario nell’intera regione. Per questo è importante sostenere la resistenza di Kobanê, affinché la rivoluzione possa estendersi, senza stati né confini, oltre la Rojava ed il Kurdistan.

Dario Antonelli

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 37 di Umanità Nova.

A Livorno puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Garibaldi, Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via della Madonna, il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

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Sabato 29: CONTRO IL DISASTRO SOCIALE ED AMBIENTALE SOLIDARIETA’, AUTOGESTIONE, AZIONE DIRETTA! ASSEMBLEA+APERITIVO

CONTRO IL DISASTRO SOCIALE ED AMBIENTALE
SOLIDARIETA’, AUTOGESTIONE, AZIONE DIRETTA!
FACCIAMO COME A CARRARA!

Assemblea cittadina sabato 29 novembre, alle ore 17,00 presso la sede della Federazione Anarchica Livornese, in Via degli Asili 33.

Interverranno lavoratori e militanti dei sindacati di base, parteciperà un membro dell’Assemblea Permanente di Carrara

A SEGUIRE APERITIVO E BUFFET



CONTRO IL DISASTRO SOCIALE ED AMBIENTALE
SOLIDARIETA’, AUTOGESTIONE, AZIONE DIRETTA!

La disoccupazione a Livorno sta assumendo le dimensioni di un disastro: per migliaia di lavoratori l’insicurezza sta lasciando il posto al licenziamento.
Si tratta di un dramma che si scarica sulle vittime, i lavoratori, mentre i responsabili, politici, amministratori, capitalisti, sono sempre al loro posto. Anche i dirigenti dei sindacati pronta-firma, protagonisti delle vicende più vergognose, dallo smantellamento del Cantiere Navale alla truffa della Delphi, cercano di rifarsi una verginità agli occhi dei lavoratori.

Gli anarchici livornesi sono al loro posto, al fianco degli altri sfruttati, nella lotta contro i ricatti, per mezzo dell’azione diretta e dell’autorganizzazione.
Ci hanno detto che la difesa della salute e dell’ambiente avrebbe portato alla chiusura delle fabbriche, ci hanno detto che la lotta sul posto di lavoro avrebbe fatto scappare gli investitori, ci hanno detto che la precarietà era la strada per difendere l’occupazione: ora che la fabbriche sono chiuse o stanno chiudendo ci troviamo la provincia più inquinata d’Italia, i redditi più bassi, migliaia di livornesi che emigrano per trovare un posto di lavoro.
Questo è il risultato della politica di collaborazione di classe di CGIL, CISL e UIL, dei partiti parlamentari, del Comune e della Provincia. E la soluzione non è certo cercare un nuovo Rossignolo, che farà i bagagli non appena i profitti che estorcerà dagli operai livornesi non saranno all’altezza delle sue aspettative.

A Livorno non c’è solo la distruzione provocata dal capitalismo e dalle istituzioni, locali e nazionali; ci sono lavoratori che si organizzano, delegati di base e sindacati combattivi che non si lasciano travolgere dalla rassegnazione e dalla subordinazione agli interessi del nemico di classe. Noi pensiamo che si debba partire da quelle esperienze, ci voglia un percorso di organizzazione alternativa, ci voglia una rottura del quadro politico che metta il movimento dei lavoratori e le loro organizzazioni al centro della scena.
La soluzione della crisi è nelle mani dei lavoratori: o accettare il ricatto che i padroni e i loro servi politici e sindacali fanno loro, subendo la diminuzione dei diritti, dei salari e l’aumento dell’orario di lavoro, oppure prendere in mano quelle aziende che i padroni hanno portato al fallimento, producendo per se e per la collettività, e non per qualche parassita che non ha mai lavorato.

E’ possibile questo?
A Carrara i cittadini hanno sperimentato sulla loro pelle il disinteresse delle istituzioni: un’alluvione all’anno! Alla fine i cittadini hanno occupato il comune e dato vita all’Assemblea permanente, con lo scopo di trasformare la rabbia e la protesta in un percorso di autogestione che esautori chi governa la città e chi aspira a prenderne il posto.
Anche a Livorno ci troviamo di fronte ad un disastro, un disastro occupazionale, e i protagonisti sono gli stessi! Gli anarchici, lavoratori fra lavoratori, pensano che sia giunto il momento di riprendere il nostro destino nelle nostre mani.

Per la difesa del reddito proletario, messo a rischio dai tagli alla Cassa Integrazione in deroga e alla mobilità previsti dal decreto “Salva Italia”;
per distribuire il lavoro esistente fra occupati e disoccupati;
per sostituire l’autogestione dei lavoratori e dei cittadini della produzione, alla gestione capitalistica e statale, che proprio con la disoccupazione dimostra il suo fallimento.

FACCIAMO COME A CARRARA!

Assemblea cittadina sabato 29 novembre, alle ore 17,00 presso la sede della Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33

Interverranno lavoratori e militanti dei sindacati di base, parteciperà un membro dell’Assemblea Permanente di Carrara

COLLETTIVO ANARCHICO LIBERTARIO
FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE

 

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Assemblea: Facciamo come a Carrara!

FACCIAMO COME A CARRARA!

Assemblea cittadina sabato 29 novembre, alle ore 17,00 presso la sede della Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33

parteciperà un membro dell’Assemblea Permanente di Carrara

 

LAVORATORI, SOTTOCCUPATI, PRECARI, DISOCCUPATI

L’UNIONE È LA NOSTRA FORZA!

 

La disoccupazione a Livorno sta assumendo le dimensioni di un disastro: per migliaia di lavoratori l’insicurezza sta lasciando il posto al licenziamento.

Si tratta di un dramma che si scarica sulle vittime, i lavoratori, mentre i responsabili, amministratori, politici, capitalisti, sono sempre al loro posto. Anche i dirigenti dei sindacati pronta-firma, protagonisti delle vicende più vergognose, dallo smantellamento del Cantiere Navale alla truffa della Delphi, cercano di rifarsi una verginità agli occhi dei lavoratori.

Gli anarchici livornesi sono al loro posto, al fianco degli altri sfruttati, nella lotta contro i ricatti, per mezzo dell’azione diretta e dell’autorganizzazione.

La soluzione della crisi è nelle mani dei lavoratori: o accettare il ricatto che i padroni e i loro servi politici e sindacali fanno loro, subendo la diminuzione dei diritti, dei salari e l’aumento dell’orario di lavoro, oppure prendendo in mano quelle aziende che i padroni hanno portato al fallimento, producendo per se e per la colettività, e non per qualche parassita che non ha mai lavorato.

E’ possibile questo?

A Carrara i cittadini hanno sperimentato sulla loro pelle il disinteresse delle istituzioni: un’alluvione all’anno! Alla fine i cittadini hanno occupato il comune e dato vita all’Assemblea permanente, con lo scopo di trasformare la rabbia e la protesta in un percorso di autogestione che esautori chi governa la città e chi aspira a prenderne il posto.

Anche a Livorno ci troviamo di fronte ad un disastro, un disastro occupazionale, e i protagonisti sono gli stessi! Per anni si è detto ai lavoratori di farsi carico dell’economia cittadina, di sacrificarsi per difendere l’occupazione, di rinunciare a questo o quel diritto, a questa o quella conquista, mentre capitalisti, politici dirigenti dei sindacati di stato facevano solo i loro porci interessi; e ora la soluzione alla crisi di oggi sarebbe che i lavoratori contnuino a fare gli interessi di qualcun altro.

Gli anarchici, lavoratori fra lavoratori, pensano che sia giunto il momento di riprendere il nostro destino nelle nostre mani.

Per la difesa del reddito proletario, messo a rischio dai tagli alla Cassa Integrazione in deroga e alla mobilità previsti dal decreto “Salva Italia”;

per distribuire il lavoro esistente fra occupati e disoccupati;

per sostituire l’autogestione dei lavoratori e dei cittadini della produzione, alla gestione capitalistica e statale, che proprio con la disoccupazione dimostra il suo fallimento.

 

Federazione Anarcica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

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Chiesa Cattolica e conflitto sociale

Chiesa Cattolica e conflitto sociale

Ci fa piacere che anche Simone Giusti, il pisano a capo della diocesi
livornese della Chiesa cattolica, si sia accorto che a Livorno sia in
corso un drammatico conflitto sociale.

Sono anni che a Livorno, come in tutta Italia, è in corso una guerra
contro i lavoratori, gli sfruttati, i ceti popolari.  I licenziamenti,
gli sfratti, i tagli ai servizi sociali, l’aumento delle tasse, la
miseria crescente e il peggioramento del tenore di vita sono tutti
segnali di questa guerra.

Chi vive nei quartieri popolari se ne è accorto da anni, come si è
accorto da anni della repressione crescente: licenziamenti
discriminatori, diminuzione dei diritti sul posto di lavoro, denunce,
manganelli, fogli di via, denunce e arresti per chi non si rassegna
alle scelte delle istituzioni, locali e nazionali.

Ma le classi privilegiate si accorgono di questa guerra solo quando le
vittime si organizzano pèer resistere alla violenza, quando i
lavoratori della TRW prendono iniziative non concordate con i
sindacati pronta-firma, quando migliaia di livornesi scendono
pacificamente in strada, senza l’imprimatur di organizzaizoni
ufficiali.
Allora i capitalisti hanno paura, e i loro servi parlano del rischio di
conflitto sociale. Ecco cosa dimostrano le parole di Simone Giusti:
se gli operai vogliono che si parli di loro, devono fare paura.
Devono fare paura perché si organizzano da soli, senza pastori
addomesticati, perché rompono le regole del gioco con l’azione
diretta e l’autorganizzazione.
E la soluzione dei problemi dei lavoratori non sarà certo la minestra
riscaldata della Caritas. Il conflitto sociale avrà fine solo quando
scomparirà la divisione in classi della società.

La Commissione di Corrispondenza
della Federazione Anarchica Livornese

 

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De-industrializzazione e comunismo anarchico

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De-industrializzazione e comunismo anarchico

La de-industrializzazione è un fenomeno ormai caratteristico dei paesi capitalistici avanzati, in questo scritto chiarirò innanzi tutto l’impatto della de-industrializzazione su tutti i paesi capitalistici, in secondo luogo cercherò di definire le implicazioni di questo fenomeno sul superamento del capitalismo, sulla trasformazione della società in senso comunista libertario. Questo tema non ha solo implicazioni di analisi e di dibattito torico, ma ha un impatto molto duro su milioni di proletari, su cui incombe lo spettro della disoccupazione.

Ci farà da guida in questa riflessione un intervento di Michael Roberts, un economista marxista, sul proprio blog, dal titolo “De-industrialisation and socialism”. Il lavoro di Roberts pare dalla constatazione dell’evidente declino del settore industriale come produzione e forza lavoro occupata nelle econimie capitalistiche mature nel XX secolo.

Ciò nonostante, il mondo non si sta “de-industrializzando”. E’ possibile usare le statistiche dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), con l’avvertenza che i lavoratori industriali sono molto sottostimati, in quanto i trasporti, le comunicazioni e molti lavoratori in settori ad alta tecnologia sono inseriti nel settore dei servizi. Secondo quest statistiche, in tutto il mondo nel 1991 c’erano 2 miliardi e 200 milioni di persone impiegate nella produzione, oggi sono 3 miliardi e 200 milioni: la forza lavoro globale, quindi, è cresciuta di un miliardo di unità negli ultimi 20 anni.

In particolare la forza lavoro occupata nel settore industriale è cresciuta del 46%, da 490 milioni nel 1991 a 715 milioni nel 2012, e si prevede che raggiungerà gli 800 milioni alla fine del decennio. Se noi consideriamo gli anni dal 1991 al 2012, la forza lavoro industriale è cresciuta dell’1,8% all’anno, mentre se consideriamo gli anni dal 2004 al 2012 la crescita è stata del 2,7%!

Ma se questa è la tendenza globale, per quanto riguarda le cosiddette economie capitalistiche sviluppate la froza lavoro industriale è diminuita da 130 milioni nel 1991 a 107 milioni nel 2012. Possiamo quindi affermare che la deindustrializzazione è un fenomeno delle economie capitalistiche mature, ma non di quelle “emergenti” e sottosviluppate.

In tutto il mondo, la percentuale delle forza lavoro impiegata nel settore industriale sul totle della forza lavoro è cresciuta dal 22 al 23%, mentre nello stesso periodo la percentuale della forza lavoro occupata in agricoltura è crollata dal 44 al 32%; possiamo dire che il processo di produzione capitalistico succhia contadini e lavoratori agricoli dalle zone rurali e li trasforma in lavoratori industriali nelle grandi città, e questo è un processo che continua. Il settore dei servizi che, come abbiamo visto, è così mal definito, è diventato il più importante, occupando da 34% nel 1991 al 45% nel 2012 della forza lavoro globale.

Esistono quindi delle ragioni di fondo che spingono le società capitaliste mature verso la de-industrializzazione. La principale è senza dubbio il mantenimento del saggio di profitto del capitale: ormai non è più conveniente per il capitale investire nelle economie sviluppate, così il capitle contrasta la caduta del saggio di profitto con la globalizzazione e cercando forza lavoro più a buon mercato da sfruttare. C’è da tener presente che le economie più avanzate dal punto di vista capitalistico sono quelle dei paesi imperialisti: nelle metropoli imperialiste l’esportazione di capitali prende il sopravvento sull’esportazione di merci, e quindi le funzioni legate al comando e al controllo dei flussi finanziari prendono il sopravvento sulla produzione immediata. Questo porta al declino dell’industria manifatturiera, se si toglie la produzione di lusso; e ha delle conseguenze anche sulla composizione di classe, con l’aumento dei lavoratori che erogano servizi personali, e con la nascita di un’aristocrazia operaia, beneficiaria di una piccola parte dei sovraprofitti dell’imperialismo, e legata mani e piedi ai destini di questo. Da questa frazione della classe operaia escono i quadri dei partiti parlamentari di sinistra e dei sindacati di Stato, è in questa origine di classe, oltre che nella struttura verticistica e autoritaria, la spiegazione dei continui tradimenti dei riformisti, e come non si possa avere fiducia nelle promesse di questi signori, anche quando vengono fatte in buona fede.

A questo punto Michael Roberts si pone due domande: il futuro del capitalismo sarà la scomparsa del proletariato quale soggetto del cambiamento, sarà una società senza industrie, dole la gente potrà aspettare la riduzione dell’orario di lavoro per vivere e potrà avere crescenti periodi di tempo libero? E ancora, se nel futuro non ci saranno né industria né classe operaia, che senso ha proporre il ritorno alla manifattura e all’industria come la strada per raggiungere una società migliore?

Già J. M. Keynes negli anni ’30 del secolo scorso aveva fatto previsioni di questo tipo, di un “postcapitalismo” basato sul tempo libero e senza povertà. Queste previsioni sono state costantemente smentite, e anche su questo giornale segnaliamo dati ed episodi che dimostrano la crescente miseria, morale e materiale, delle classi popolari. Ma tutto questo ovviamente non basta: l’ideologia borghese periodicamente propone il paradiso del capitalismo al termine del periodo di sacrifici, dobbiamo sacrificarci oggi per stare meglio domani, ma questo meglio non viene mai.

Come Michael Roberts, anch’io sono convinto che non sia possibile un cambiamento graduale del capitalismo, ma che per passare ad una società post capitalista di benessere e tempo libero per tutti sia necessaria una rottura radicale, uno slancio rivoluzionario.

Le domande che si pone Roberts meritano comunque una risposta, innanzi tutto perché oggi migliaia di lavoratori vengono spinti a mobilitarsi contro la disoccupazione, chiedendo una politica industriale che forse è irrealizzabile, poi perché bisogna capire quale strada deve prendere la trasformazione sociale, e quale ruolo in essa gioca l’industria e i lavoratori occupati in quel settore.

Per sintetizzare: milioni di persone, nei paesi capitalistici avanzati, sono senza lavoro, mentre i mezzi di produzione, macchine, impianti, materie prime, terreni agricoli rimangono inutilizzati. D’altra parte i ceti popolari mancano di beni e servizi necessari alla vita, alla salute, alla cultura. Sembrerebbe quindi che basti un’iniziativa politca, un’iniziativa di programmazione economica che rilanci l’economia per mettere a posto le cose. In realtà questo è meno facile del previsto, perché si scontra con il profitto di ogni singolo capitalista, con la proprietà privata dei mezzi di produzione, con il governo che protegge le classi priilegiate. L’iniziativa sindacale da sola, la solidarietà fra gli sfruttati non è sufficiente a cambire le cose, se non si cambia tutta la società.

Quale può essere il ruolo dei lavoratori industriali in questo cambiamento? Chi cerca un soggtto rivoluzionario, indicando con questo nome una massa di manovra da utilizzare nei propri piani politici, può farsi guidare dalle oscillazioni numeriche delle varie componenti della forza lavoro. Il movimento anarchico sostiene che l’emancipazione dei lavoratori dev’essere opera dei lavoratori stessi, non può essere delegata ad un partito o ad un governo. Se i lavoratori vogliono emanciparsi, devono togliere ai capitalisti il possesso dei mezzi di produzione, e usarli a vantaggio di tutti, anziché del profitto individuale. Questo è vero tanto se i lavoratori industriali sono il 30% della forza lavoro, quanto se sono il 20%! Il percorso di emancipazione è tale se i lavoratori si danno forme di organizzazione che aumentano la loro libertà, non se c’è un governo che, per mezzo di decreti, pone fine al dominio dei capitalisti.

Accanto alla diminuzione della forza lavoro industriale, nei paesi capitalitici sviluppati, assistiamo alla crescita dei settori destinati alle produzioni di lusso, degli armamenti e così via. E’ ovvio che per questi settori non si pone solo il problema della autogestione ma anche quello della riconversione. Inoltre, la miseria delle classi popolari non deriva solo dall’accaparramento di certi beni da parte degli speculatori, ma dal fatto che la produzione non è organizzata per soddisfare i bisogni delle grandi masse; occorre quindi accompagnare l’esproprio dei capitalisti e l’autogestione della produzione con un piano destinato a migliorare il tenore di vita degli sfruttati. Si tratta di spostare risorse, forza lavoro impianti e tutto quanto è necessario dai settori che producono beni di lusso, o lavorano esenzialmente per beni d’investimento, ai settori produttivi destinati a soddisfare i bisogni popolari. Si tratta di un piano che va in direzione contraria al meccanismo del capitalismo, basato sulla crescita esponenziale della produzione, e quindi sulla produzione di mezzi di produzione, e sulla produzione di beni di lusso.

In quest’ottica tutta una serie di settori oggi fiorenti scompariranno, o saranno ridimensionati; si arriverà così ad una vera de-industrializzazione, anche nell’ottica del superamento della divisione tra città e campagna. Se la prospettiva in cui ci muoviamo è questa, non possiamo che arrivare alla conclusione che l’autogestione della produzione è solo un aspetto della rivoluzione sociale: essa si deve integrare con la gestione sociale della produzione, perché essa non coinvolge solo i lavoratori, ma i consumatori, i cittadini che vivono intorno, come le lotte ambientali ci hanno insegnato, e che un governo centrale è incapace di comprendere.

Ecco che allora la lotta per una politica industriale appare per quello che è un modo per ingannare i lavoratori, spoingerli a nuovi sacrifici, affidarsi agli sfruttatori di turno e perdere di vista la prospettiva della trasformazione sociale, che sola può metter fine a questa vita di incertezza, di disoccupazione, di miseria.

Tiziano Antonelli

 

Questo articolo è stato pubblicato sull’ultimo numero di Umanità Nova.

A Livorno puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Garibaldi, Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via della Madonna, il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

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Turchia, Intervista ai/le compagn* del DAF

DAF in Kobane

Da due anni a questa parte le fondamenta della rivoluzione sociale sono in fase di sviluppo in Rojava, il Kurdistan occidentale. Sostenendo questo, è difficile ignorare il fatto che alla base dell’attacco contro Kobanê ci sono gli interessi politici dello Stato Turco e del capitalismo globale. Abdülmelik Yalcin e Merve Dilber di Azione Anarchica Rivoluzionaria, erano nella regione di Suruc, al confine con Kobanê, sin dal primo giorno della resistenza contro i tentativi di oscurare la rivoluzione del popolo, in solidarietà con il popolo della regione. Noi li abbiamo intervistati riguardo alla Resistenza di Kobanê e alla Rivoluzione della Rojava.

 

Fin dall’inizio della Resistenza di Kobanê, avete organizzato molte proteste e fatto volantini e manifesti. Avete anche partecipato alla “catena umana di guardia del confine” che era organizzata nel villaggio di Suruc, vicino al confine con Kobanê. Con qule scopo siete andati laggiù? Potete dirci quello che avete vissuto là?
M. D.: A causa della Rivoluzione della Rojava i confini tra le parti del Kurdistan che si trovavano all’interno del territorio della Siria e della Turchia hanno iniziato a dissolversi. Lo Stato Turco ha pure provato a costruire un muro per distruggere questo effetto della rivoluzione. Nel bel mezzo della guerra e degli interessi del capitalismo globale e degli stati nella regione, il popolo curdo in Siria ha fatto un passo lungo il sentiero che porta alla rivoluzione sociale. Grazie a questo passo è emerso un fronte reale che porta alla libertà del popolo e, a Kobanê, un attacco totale contro la rivoluzione è iniziato per mano dell’ISIS, l’orda violenta prodotta dal capitalismo globale. Quando noi, come anarchici rivoluzionari, abbiamo valutato la situazione a Kobanê e nella Rojava, è stato impossible per noi non essere direttamente coinvolti in essa. Considerando che i confini tra gli stati sono stati aboliti, è vitale essere solidali con coloro che resistono a Kobanê. Noi siamo al quindicesimo mese della Rivoluzione della Rojava. In questi quindici mesi, abbiamo organizzato molte proteste unitarie ed abbiamo fatto volantinaggi e attacchinaggi. Allo stesso modo, durante l’ultima ondata di attacchi contro la rivoluzione a Kobanê, abbiamo fatto molti volantinaggi e attacchinaggi ed abbiamo anche organizzato molte proteste in strada. Dovevamo comunque andare al confine di Kobanê per salutare la lotta del popolo curdo per la libertà, contro gli attacchi dell’orda dell’ISIS. Nella notte del 24 settembre siamo partiti da Istanbul per il confine di Kobanê. Abbiamo incontrato i nostri compagni che sono arrivati un poco prima e insieme abbiamo iniziato la nostra catena umana a guardia del confine nel villaggio di Boydê, ad ovest di Kobanê. C’erano cetinaia di volontari come noi che venivano al confine da diverse parti dell’Anatolia e della Mesopotamia, formando una catena umana lungo i 25 km della linea di confine nei villaggi di Boydê, Bethê, Etmankê e Dewşan.

Uno degli obiettivi della catena umana era fermare il supporto di uomini, armi e logistica per l’ISIS da parte dello Stato Turco, il cui appoggio all’ISIS è conosciuto da tutti. Nei villaggi di confine la stessavita si è trasformata in vita comune, nonostante le condizioni di guerra. Un altro obiettivo della nostra attività di guardia del confine era intervenire in solidarietà con la popolazione di Kobanê, che era dovuta fuggire dall’attacco contro Kobanê, e che era trattenuta al confine per settimane e che veniva pure attaccata dalla polizia militare turca (jandarma). Nei primi giorni delle nostre azioni di guardia del confine, abbiamo tagliato le recinzioni e abbiamo raggiunto Kobanê insieme alle persone venute da Istanbul.

 

Potete dirci cosa è successo dopo che avete attraversato il confine verso Kobanê?

A.Y.: Nel momento in cui abbiamo passato il confine, siamo stati salutati con enorme entusiasmo. Nei villaggi di confine di Kobanê, tutti, giovani e anziani, erano nelle strade. I guerriglieri delle YPG e YPJ hanno salutato sparando in aria la nostra eliminazione dei confini. Abbiamo manifestato per le strade di Kobanê. Più tardi abbiamo avuto una conversazione con la popolazione di Kobanê e con i guerriglieri delle YPG/YPJ che difendono la rivoluzione. È molto importante che i confini che gli stati hanno eretto tra i popoli siano distrutti in questo modo. Questa azione che è avvenuta in condizioni di guerra mostra una volta di più che le sollevazioni e le rivoluzioni non possono essere fermate dai confini degli stati.

 

Sono circolate molte notizie riguardo ad attacchi da parte della polizia militare e di poliziotti regolari contro le persone che hanno partecipato alla “catena umana di guardia del confine” e contro la popolazione rurale vicino al confine. Cosa cerca di ottenere lo Stato Turco con queste prepotenze sul confine? Cosa pensate di questo?


A.Y.:
Sì, è vero che la politica dello Stato Turco è quella di attaccare tutti coloro che sono coinvolti nella guardia de confine e che vivono nei villaggi di confine, e tutti coloro che da Kobanê provano ad attraversare il confine. Qualche volta gli attacchi accadono frequentemente e a volte durano per giorni. È ovvio che ogni attacco ha una propria giustificazione come ha un proprio scopo. Abbiamo osservato che durante quasi tutti gli attacchi dei militari (gendarmeria), i camion traspotrano qualche cosa dall’altra parte del confine. Non siamo sicuri dell’esatto contenuto di questi trasporti verso l’ISIS. Comunque, abbiamo potuto capire dalla potenza degli attacchi che a volte si trattava di lasciar attraversare il confine a persone che volevano unirsi all’ISIS, a volte si trattava di inviare armi e altre volte ancora di fornire all’ISIS le sue necessità quotidiane.Questi trasporti spesso sono caricati su veicoli con numeri di targa riconducibili alle autorità e altre volte da bande che fanno “traffici” protetti dallo stato. Inoltre queste bande protette dallo stato hanno usurpato le proprietà delle persone di Kobanê che aspettano al confine. La polizia militare d’altra parte lascia le persone attraversare il confine con una tariffa di commissione del 30%. Le politiche dello stato contro la popolazione locale sono rimaste le stesse negli anni. A causa delle condizioni di guerra, questa politica è diventata ora molto più visibile. Gli attacchi al confine sono condotti con il proposito di intimidire le persone che prendono parte alle azioni di guardia del confine e la popolazione dei villaggi di confine.

 

Nonostante lo Stato Turco lo neghi, è abbastanza noto il suo supporto all’ISIS. In ogni caso voi dite che adesso, pure le persone che attraversano il confine per unirsi all’ISIS possono essere viste facilmente. Quindi in questa regione non è un segreto che lo Stato Turco supporti l’ISIS. Come funziona questo supporto al confine?


M. D.:
Lo Stato Turco ha insistentemente negato il suo supporto all’ISIS. Ad ogni modo, ironicamente, ogni qual volta ha fatto una dichiarazione di smentita, un nuovo trasporto veniva organizzato al confine. Molti di questi trasporti sono abbastanza grandi da essere osservati facilmente. Per esempio: diversi veicoli portavano “pacchi di aiuti” al confine.Siamo stati testimoni del fatto che decine di “veicoli di servizio” con vetri oscurati attraversavano il confine. Nessuno si domanda seriamente cosa ci sia in questi veicoli. Noi tutti sappiamo che le necessità dell’ISIS sono soddisfatte attraverso questo canale.

 

Potresti per favore spiegarci quale sia, sul piano storico come su quello contemporaneo, l’importanza per gli anarchici rivoluzionari di abbracciare la Resistenza di Kobanê e la rivoluzione di Rojava, soprattutto in un periodo come questo?


A.Y.:
La Resistenza di Kobanê e la Rivoluzione della Rojava non deve essere considerata in modo separato dalla lunga storia della lotta del popolo curdo per la libertà. Nella terra in cui viviamo, la lotta del popolo curdo per la libertà è chiamata “il problema curdo”. Per anni è stato rappresentato in modo errato come un problema causato dal popolo e non dallo stato. Noi lo diciamo ancora: questa è la lotta del popolo curdo per la libertà. L’unico problema qui è lo stato. Il popolo curdo ha combattuto una lotta di esistenza contro la politica di distruzione e di negazione della Repubblica Turca per anni, e per centinaia di anni contro altri poteri politici in queste terre. Questa lotta contro lo stato e il capitalismo è espressa dal potere organizzato del popolo. Nello slogan “il PKK è il popolo, il popolo è qui”, è chiaro chi sia questo agente politico, che si definisce in ciascuno individuo, e dunque chi sia questo potere organizzato. Da quando abbiamo fondato nella lotta la nostra analisi, in differenti contesti, la nostra relazione con individui curdi, la società e le organizzazioni del popolo curdo, è stata di solidarietà reciproca. Noi basiamo questa relazione sulla prospettiva della lotta dei popoli per la libertà. Nella lotta del popolo per la libertà, i movimenti anarchici sono sempre stati dei catalizzatori. Nell’epoca in cui il Socialismo non poteva uscire dall’Europa, quando non esistevano teorie sul “Diritto della nazioni a scegliere il proprio destino”, il movimento anarchico ha assunto forme diverse in diverse regioni del mondo, come la lotta del popolo per la libertà. Per capire questo, è sufficiente vedere l’influenza dell’anarchismo sulle lotte popolari in un’ampia gamma dall’Indonesia al Messico. Inoltre, né la rivoluzione in Rojava, né la lotta degli Zapatisti in Chiapas si adatta alla definizione della classica lotta di liberazione nazionale. La Nazione come termine politico per sua definizione chiaramente comprende lo stato. Quindi mentre si considera la lotta popolare per l’autorganizzazione senza stato, dobbiamo prendere le distanze dal concetto di nazione. D’altra parte il nostro approccio non comprende paragoni e similitudini tra la Resistenza di Kobanê ed altri esempi storici. Attualmente differenti gruppi citano differenti periodi storici e paragonano la Resistenza di Kobanê a questi esempi. Tuttavia, bisogna sapere che la Resistenza di Kobanê è la Resistenza di Kobanê stessa, che la Rivoluzione della Rojava è la Rivoluzione della Rojava stessa. Se qualcuno vuole associare a qualcosa la Rivoluzione della Rojava, che ha creato le basi per la rivoluzione sociale, può studiare la rivoluzione sociale che venne realizzata nella Penisola Iberica.

 

Nonostante la resitenza a Kobanê stia avvenendo al di fuori dei confini dello Stato Turco, manifestazioni di solidarietà hanno luogo in ogni angolo del mondo. Qual’è la vosta valutazione degli effetti della Resistenza di Kobanê – pure della Rivoluzione della Rojava – in particolare nell’Anatolia ma anche nel Medio Oriente e anche a livello globale? Quali sono le vostre previsioni in relazione a questi effetti?
M. D.: Gli appelli alla serhildan (parola curda che significa rivolta) hanno trovato risposta in Anatolia, in particolare in città del Kurdistan. Sin dalla prima notte (di manifestazioni) tutti nelle strade hanno salutato la Resistenza di Kobanê e la rivoluzione della Rojava contro le bande dell’ISIS e lo Stato Turco che le sostiene. Specialmente nelle città del Kurdistan, lo stato ha attaccato la serhildan del popolo con la sue forze di polizia e con sicari paramilitari. Lo stato ha terrorizzato il Kurdistan uccidendo 43 dei nostri fratelli attraverso i sicari di Hizbulkontra (un gioco di parole che unisce i termini Hizbullah, organizzazione paramilitare turca sunnita, e Contra, in riferimento alle tattiche di contro-insorgenza. Quindi se Hizbullah significa “partito di dio” Hizbulkontra significa “partito del contra”). Questi massacri stanno indicando quanto lo Stato Turco tema la rivoluzione della Rojava e la possibilità che tale rivoluzione possa anche generalizzarsi nel suo territorio. Attaccando con la disperazione generata dalla paura, lo Stato Turco e il capitalismo globale hanno un’altra paura, che è ovviamente legata alla regione del Medio Oriente. Nel Medio Oriente, nonostante tutti i piani, il saccheggio e la violenza prodotta: la rivoluzione riesce ancora ad emergere. Questo ha fatto saltare tutti i piani del capitalismo globale e degli stati della regione. Questo è un cambiamento radicale tale che, nonostante tutte le efferatezze, la rivoluzione sociale potrebbe emergere nella Rojava. Questa rivoluzione è la risposta a tutti i dubbi riguardo alla possibilità di una rivoluzione in questa regione e su scala globale. Ha rafforzato la fiducia nella rivoluzione, in particolare per le persone di questa regione ma anche a livello globale. Il proposito di tutte le rivoluzioni sociali nella storia è stato quello di raggiungere una rivoluzione socializzata su scala globale.

In questa prospettiva noi facciamo appello ai gruppi anarchici a livello internazionale ad agire in solidarietà con la Resistenza di Kobanê e la Rivoluzione della Rojava. Con il nostro appello alla solidarietà, anarchici da diverse parti del mondo in Germania, come ad Atente, a Bruxelles, a Amsterdam, a Parigi e a New York hanno tenuto manifestazioni. Noi salutiamo ancora una volta ogni organizzazione anarchica che ha recepito il nostro appello, che ha organizzato manifestazioni a partire dal nostro appello, e coloro che sono stati qui con noi nella catena umana di guardia del confine.

 

Fin dai primi giorni dell’attacco dell’ISIS, i media sostenuti dallo Stato Turco hanno prodotto un sacco di notizie che affermavano che Kobanê stava per cadere. Comunque, dopo più di un mese hanno capito questo: Kobanê non cadrà! Sì, Kobanê non è caduta e non cadrà. Noi, come giornale Meydan, salutiamo la vostra solidarietà con Kobanê. C’è qualcos’altro che volete aggiungere?


M. D.:
Noi, come anarchici rivoluzionari, abbiamo visto, abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo l’invincibilità della fiducia nella rivoluzione, pure nelle circostanze di guerra nella nostra regione. Quello che sta accadendo nella Rojava è una rivoluzione sociale! Questa rivoluzione sociale, dove i confini sono aboliti, gli stati vengono resi impotenti, i piani del capitalismo globale sono stati messi in difficoltà, si generalizzerà anche nella nostra regione. Noi invitiamo ogni individuo oppresso a vedere le cose dal punto di vista degli oppressi. Con questa coscienza noi li invitiamo anche a sostenere la lotta organizzata per la rivoluzione sociale. Questa è la sola strada per rendere fertili i semi che sono stati piantati nella Rojava e per far vivere la rivoluzione sociale in più ampie regioni. Viva la Resistenza di Kobanê! Viva la Rivoluzione della Rojava!

Questo articolo è stato pubblicato nel numero 22 del giornale Meydan
Fonte: http://meydangazetesi.org/gundem/2014/10/devrimci-anarsist-faaliyet-ile-kobane-uzerine-roportaj-dehaklara-karsi-kawayiz/

 

La traduzione di questo articolo è stata pubblicata sull’ultimo numero di Umanità Nova.

A Livorno puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Garibaldi, Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via della Madonna, il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

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NO TAV: Presidio/dibattito QUELLE NOTTI E QUEI GIORNI C’ERAVAMO TUTT*

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QUEI GIORNI E QUELLE NOTTI C’ERAVAMO TUTTI
TUTTI LIBERI!

Presidio e Dibattito pubblico

ore 17:30 in Piazza Cavour

sabato 22 novembre


Per quattro NO TAV, Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, l’accusa ha chiesto nell’udienza del 14 novembre una pesantissima condanna a 9 anni e 6 mesi ciascuno.Gli altri tre, Graziano, Lucio e Francesco, sono ormai da mesi incarcerati e non sanno ancora quando inizierà il processo.
L’opposizione alla devastante ed inutile linea ferroviaria ad alta velocità in Val di Susa ha saputo diventare negli anni un forte movimento popolare, per questo il movimento NO TAV deve confrontarsi con una durissima repressione statale.

Centinaia di imputati, oltre mille indagati, decine di persone sottoposte a varie restrizioni della libertà (obbligo o divieto di dimora, foglio di via), multe da centinaia di migliaia di euro, diversi compagni da mesi agli arresti domiciliari, un processo contro 53 no tav condotto in un’aula bunker, per i quali l’accusa ha chiesto quasi 200 anni complessivi di pena. A questi si aggiungono i sette attivist* attualmente imputati in due diversi processi per aver danneggiato un compressore. Ma il danneggiamento di alcune attrezzature del cantiere, come talvolta è avvenuto in questa lotta ventennale di resistenza, condotta da un movimento popolare che riconosce come propria la pratica del sabotaggio, viene considerata dall’accusa un atto di terrorismo. Secondo il teorema della procura di Torino, un’ opposizione concreta a decisioni prese in sede istituzionale implica una finalità di terrorismo. In questo modo, qualsiasi lotta sociale che si ponga in contrasto con decisioni assunte in sede politica o economica può essere non solo criminalizzata mediaticamente, ma anche incriminata con imputazioni gravissime.
A gennaio verrà emessa la sentenza del Maxiprocesso ai 53 NOTAV per i fatti del 27 giugno e 3 luglio 2011, in cui sono stati richieste condanne per un totale di quasi 200 anni di reclusione e più di due milione di euro per danni a persone, cose e d’immagine.
La Procura di Torino con questi processi è in prima fila per creare un grave precedente in modo che tutte le lotte sociali vengano indagate come ipotesi criminali e diventi legale schiacciare le popolazioni.

– Chi dissente e si oppone verrà accusato di “ricattare” amministrazioni ed istituzioni
– Un danno alla proprietà privata sarà equiparato a ledere la salute e l’incolumità delle popolazioni.
– Resistere all’ingiustizia di fronte ai gravissimi costi della crisi comporterà il venire fermati, perseguitati,indagati ,condannati.

Attaccare alcuni di noi vuol dire attaccare tutti! Nessuno dovrà essere lasciato solo davanti alla repressione!

Prossima udienza il 26 novembre, parola alle difese. E poi il 17, per le sentenze.uol dire attaccare tutti! Nessuno dovrà essere lasciato solo davanti alla repressione!
Si parte,si torna PER FORZA insieme….
No Tav Livorno

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LAVORATORI, SOTTOCCUPATI, PRECARI, DISOCCUPATI L’UNIONE È LA NOSTRA FORZA!

LAVORATORI, SOTTOCCUPATI, PRECARI, DISOCCUPATI

L’UNIONE È LA NOSTRA FORZA!

 

La disoccupazione a Livorno sta assumendo le dimensioni di un disastro: per migliaia di lavoratori l’insicurezza sta lasciando il posto al licenziamento.

Si tratta di un dramma che si scrica sulle vittime, i lavoratori, mentre i responsabili, amministratori, politici, capitalisti, sono sempre al loro posto. Anche i dirigenti dei sindacati pronta-firma, protagonisti delle vicende più vergognose, dallo smantellamento del Cantiere Navale alla truffa della Delphi, cercano di rifarsi una verginità agli occhi dei lavoratori.

Gli anarchici livornesi sono al loro posto, al fianco degli altri sfruttati, nella lotta contro i ricatti, per mezzo dell’azione diretta e dell’autorganizzazione.

La soluzione della crisi è nelle mani dei lavoratori: o accettare il ricatto che i padroni e i loro servi politici e sindacali fanno loro, subendo la diminuzione dei diritti, dei salari e l’aumento dell’orario di lavoro, oppure prendendo in mano quelle aziende che i padroni hanno portato al fallimento, producendo per se e per la colettività, e non per qualche parassita che non ha mai lavorato.

E’ possibile questo?

A Carrara i cittadini hanno sperimentato sulla loro pelle il disinteresse delle istituzioni: un’alluvione all’anno! Alla fine i cittadini hanno occupato il comune e dato vita all’Assemblea permanente, con lo scopo di trasformare la rabbia e la protesta in un percorso di autogestione che esautori chi governa la città e chi aspira a prenderne il posto.

Anche a Livorno ci troviamo di fronte ad un disastro, un disastro occupazionale, e i protagonisti sono gli stessi! Per anni si è detto ai lavoratori di farsi carico dell’economia cittadina, di sacrificarsi per difendere l’occupazione, di rinunciare a questo o quel diritto, a questa o quella conquista, mentre capitalisti, politici dirigenti dei sindacati di stato facevano solo i loro porci interessi; e ora la soluzione alla crisi di oggi sarebbe che i lavoratori contnuino a fare gli interessi di qualcun altro.

Gli anarchici, lavoratori fra lavoratori, pensano che sia giunto il momento di riprendere il nostro destino nelle nostre mani.

Per la difesa del reddito proletario, messo a rischio dai tagli alla Cassa Integrazione in deroga e alla mobilità previsti dal decreto “Salva Italia”;

per distribuire il lavoro esistente fra occupati e disoccupati;

per sostituire l’autogestione dei lavoratori e dei cittadini della produzione, alla gestione capitalistica e statale, che proprio con la disoccupazione dimostra il suo fallimento.

 

FACCIAMO COME A CARRARA!

Assemblea cittadina sabato 29 novembre, alle ore 17,00 presso la sede della Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33

parteciperà un membro dell’Assemblea Permanente di Carrara

 

Federazione Anarcica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

 

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Carrara. Occupato il comune, nata l’assemblea permanente

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Carrara. Occupato il comune, nata l’assemblea permanente

11 novembre. L’occupazione del Comune di Carrara è arrivata al suo quarto giorno. Tanti cittadini, esasperati dall’ultima alluvione, sabato scorso avevano dato vita ad una manifestazione davanti al comune. Sin dal mattino qualche manifestante aveva occupato la sala consiliare. L’occupazione di massa è scattata intorno all’una, quando il sindaco ha deciso di affacciarsi alla finestra, dichiarando che sia lui sia la sua giunta non si consideravano responsabili dell’accaduto.
I pochi carabinieri di guardia alla scalinata d’accesso al comune hanno capito al volo e, dopo aver messo al sicuro il sindaco, se ne sono andati.

Diverse centinaia di persone fanno a turno nella sala occupata. Qualche politico sperava che la protesta facesse da volano per la nascita di una lista civica, ma si è presto disilluso di fronte alla determinazione dell’assemblea popolare ad autogestire la lotta e la gestione dell’emergenza. E’ nata l’assemblea permanente dei cittadini di Carrara, con riunioni quotidiane ogni giorno alle 18. I partecipanti hanno dato vita a vari gruppi di lavoro e si sono dotati di un ufficio di comunicazione, con il compito di trasmettere all’esterno le decisioni dell’assemblea.

A Carrara ci sono state 4 alluvioni in undici anni che, sommate a quelle dei paesi vicini, arrivano ad un’alluvione all’anno. Al di là di qualche intervento tampone è stato fatto poco o nulla. Questa volta, grazie all’abbassamento dell’alveo del fiume Carriona e all’innalzamento degli argini, il centro storico si è salvato dall’inondazione, ma la frazione a mare di Marina è stata investita in pieno. I tanti volontari che sono immediatamente accorsi per dare una mano cercando di salvare qualcosa, si sono trovati di fronte scene di grande desolazione: in numerose case poco o nulla era sfuggito alla furia delle acque.

La rabbia è tanta, perché è forte la consapevolezza che il dissesto idrogeologico non può essere affrontato con provvedimenti tampone, ma servirebbero interventi strutturali, che potrebbero mettere in discussione interessi molto forti. In primis quelli dei padroni delle cave che ad uno sfruttamento intensivo uniscono la vendita degli scarti di lavorazione, un tempo lasciati sul fianco della montagna ed oggi venduti per il mercato dei carbonati di calcio.
La tradizione libertaria di Carrara, una radicata attitudine a fare da se, hanno innescato una risposta forte, che al di là della protesta e della rabbia, sta costruendo un percorso di autonomia, che mette in difficoltà il governo della città e chi ambirebbe a prenderne il posto.
Ne abbiamo parlato con Donato, un compagno che, come tanti, sin da giovedì scorso ha spalato fango a Marina, e, da sabato, partecipa all’occupazione e all’assemblea permanente.
Il nome scelto non è casuale. E’ lo stesso che i cittadini di questi territori si diedero per la lotta contro la Framoplant, impianto chimico che ha avvelenato per decenni l’ambiente e chi ci abitava. Dopo 12 anni di lotte la Farmoplant chiuse i battenti.

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