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1915-2015: “Guerra alla guerra!”

riceviamo e volentieri pubblichiamo

1915-2015: “Guerra alla guerra!”

“Né gulasch né amatriciana, né birra né vino per questo centenario di disgrazia. O banchetto con tutti e quattro. Qui si viaggia in terra di nessuno. E chi se ne frega delle nazioni”.

Paolo Rumiz, Come cavalli che dormono in piedi.

Il 24 maggio la retorica nazionalista “festeggia” l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale.
Le fanfare patriottarde dei media e dei politici celebrano l’inizio di quella carneficina mondiale, proprio mentre si inneggia all’uso della forza e dell’esercito per fermare l’arrivo dal sud del mediterraneo di profughi e di migranti, di povera gente in fuga dalla guerra, dalla miseria e dallo sfruttamento, e destinata a trovare una morte anonima in mare, la segregazione in campi di internamento o un futuro di nuove schiavitù e razzismo.
Povera gente come lo furono le vittime della Prima guerra mondiale: lavoratori, operai e contadini di ogni paese, strappati alle proprie famiglie e alle proprie case per essere gettati in un insensato carnaio per gli interessi dei fabbricanti di armi, delle monarchie e dei governi, costretti – sotto la minaccia della fucilazione – ad uccidere altri operai e contadini solo perché nati al di là di un confine.
Noi vorremo ricordare proprio questi milioni di giovani, contadini e operai vittime del militarismo ed anche quanti si rivoltarono e disertarono la guerra. Intendiamo così rinnovare le ragioni dell’opposizione attiva ai nazionalismi e all’imperialismo, rivendicando le esperienze internazionaliste e antimilitariste che hanno attraversato tutti i conflitti.
Per questo, domenica 24 maggio, nel centenario dell’entrata in guerra dello Stato italiano, vogliamo rendere omaggio al “nemico” di allora, portando un ricordo floreale ai 94 soldati austro-ungheresi, morti in prigionia nel campo di Coltano, sepolti presso il Cimitero monumentale dei Lupi (vicino al Quadrato dei Francesi).
L’appuntamento, per quanti continuano a rifiutare la logica della guerra, è alle ore 11 all’entrata del cimitero.

ANTIMILITARISTE E ANTIMILITARISTI CONTRO OGNI FRONTIERA

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Comunicato FAI: Solidarietà a Luca e Silvano! Basta con i razzisti e il governo che li protegge!

Solidarietà a Luca e Silvano! Basta con i razzisti e il governo che li protegge!

Il Convegno Nazionale della Federazione Anarchica Italiana, riunito a Livorno il 16 e 17 maggio 2015, esprime la propria solidarietà a Luca e Silvano, e agli altri compagni feriti a freddo dopo una violenta carica di polizia e carabinieri, schierati per impedire le contestazioni popolari in occasione di un comizio del leader razzista e fascista Matteo Salvini a Massa sabato 16 maggio, come nei giorni precedenti ad Ancona, come a Foggia, come in tante altre località.

Salvini è l’esponente di un’alleanza elettorale di estrema destra che comprende forze che hanno come portavoce esponenti neofascisti; in Toscana e nelle Marche attorno alla lega si è coalizzato il museo degli orrori neofascisti; in Toscana in particolare la Lega ha riciclato vecchi missini e ha avuto un’impostazione marcatamente fascista. I comizi di Salvini sono l’occasione per i fascisti di tornare in piazza.

Un governo violento, che si rifiuta di restituire il maltolto ai pensionati e di assumere i precari della scuola, protegge il razzista Salvini che esprime, in forme brutali e provocatorie, il razzismo che fa parte integrante della politica sociale ed estera del governo Renzi.

La storia ci insegna che i governi della repubblica non hanno esitato ad usare i fascisti, uccidere i compagni nelle piazze, fare le stragi di Stato, ricorrere insomma alla guerra civile strisciante per imporre la politica antipopolare. Questo governo non è da meno, e l’esibizione di Salvini nelle piazze è un’occasione per cariche, pestaggi e denunce contro gli elementi più attivi. Il governo spera così di indebolire la reazione popolare alla politica di miseria e di guerra che porta avanti.

Gli anarchici sono a fianco di Luca e Silvano, gli anarchici continueranno a mettersi di traverso alle iniziative dei razzisti e dei fascisti, assieme a tanti altri che in questi giorni sono scesi in piazza dovunque, convinti che il fascismo sarà definitivamente sconfitto quando saranno eliminati dalla società le sue principali fonti: l’apparato militare, la gerarchia ecclesiastica, l’intreccio fra grande capitale ed aristocrazia finanziaria.

Il Convegno Nazionale della Federazione Anarchica Italiana

16 maggio 2015

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Primo Maggio in Turchia: sfida alla repressione statale

questo articolo comparirà sul numero 16 di Umanità Nova, in diffusione da domani.

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Primo Maggio in Turchia: sfida alla repressione statale

Anche in Turchia le manifestazioni del Primo Maggio quest’anno avranno un’importanza particolare.
Infatti la giornata internazionale dei lavoratori, che già in Turchia vede ogni anno grandi manifestazioni sfidare la repressione e i divieti imposti dallo Stato, acquisisce nell’attuale contesto politico e sociale del paese un significato ancora più forte. Ad oggi (27 aprile) non vi sono notizie chiare su come si svolgeranno le manifestazioni ad Istanbul e nelle altre città e sulle misure repressive che saranno messe in atto dal governo, possiamo però provare a delineare il complesso contesto in cui si terrà quest’anno il Primo Maggio in Turchia.

Lo Stato turco continua a fare la guerra, fuori ma soprattutto dentro i propri confini.
La forte militarizzazione del confine tra il territorio statale turco e quello siriano, in atto dallo scorso settembre per isolare la Rojava e sostenere lo Stato Islamico contro il processo rivoluzionario in corso nella Rojava, continua a fare strage. L’esercito turco ha ucciso nelle ultime settimane 4 persone che tentavano di attraversare il confine, gli arrestati sono invece 32. Alcuni episodi delle ultime settimane ci mostrano la brutalità dell’esercito turco, lo scorso 20 aprile ad esempio 5 giovani di origine araba sono stati torturati dopo essere stati arrestati mentre tentavano di entrare in territorio turco dalla zona di Cezire, nella Rojava – il kurdistan occidentale in territorio statale siriano. Un altro caso grave è quello avvenuto a Uludere, distretto della provincia di Şirnak, dove le truppe hanno aperto il fuoco su un gruppo di persone che svolgono attività di commercio transfrontaliero, ferendone 4.

La lotta contro le centrali nucleari in Turchia ha conosciuto nell’ultimo mese un certo sviluppo. Lo scorso 14 aprile durante la cerimonia di inaugurazione dei lavori per la costruzione della prima centrale nucleare turca ad Akkuyu, nel distretto di Mersin, un folto gruppo di contestatori ha bloccato i cancelli del sito di costruzione per impedire la cerimonia. La polizia è intervenuta con gli idranti per disperdere i manifestanti e aprire i cancelli. Il 25 aprile a Sinop, sul Mar Nero, dove è in programma la costruzione di un’altra centrale nucleare, si è tenuta una manifestazione alla quale ha partecipato, con uno striscione che riportava “Il nucleare è morte, il capitalismo è disastro”, anche Patika Ekoloji Kolektifi, collettivo anarchico ecologista legato al gruppo anarchico DAF (Azione Anarchica Rivoluzionaria) di Istanbul.

Tra il 24 e il 25 aprile, mentre la Repubblica Turca ha celebrato il centenario della battaglia di Gallipoli, la polizia ha represso molte delle manifestazioni che negli stessi giorni si tenevano per commemorare il centenario del genocidio degli armeni, perpetrato proprio nel 1915 dall’Impero ottomano. Ad Istanbul la polizia ha disperso una manifestazione di studenti all’interno dell’Università Tecnica ITU, ed ha attaccato la manifestazione che si è tenuta a Kadikoy, sulla sponda asiatica, arrestando sette persone.

Il 25 aprile scorso a Istanbul di fronte al consolato francese in Istiklal Caddesi, a poche decine di metri da Piazza Taksim, si è tenuta una conferenza stampa nella quale un ampio cartello di forze politiche e sindacali hanno dichiarato “Il Primo Maggio saremo in piazza Taksim”. Dichiarazione molto significativa se pensiamo che Piazza Taksim, oltre ad essere teatro della dura lotta contro la distuzione di Gezi Park nel 2013, è la piazza in cui il Primo Maggio del 1977 furono uccisi 34 lavoratori che partecipavano alla manifestazione, in una strage di stato che aprì la strado alla dittatura militare. Da allora, con l’unica eccezione di una parziale apertura della piazza ai manifestanti tra il 2010 ed il 2012, il Primo Maggio in Piazza Taksim è proibito e la polizia ogni anno scioglie con ogni mezzo i cortei che provano ad entrare nella piazza. La conferenza stampa era stata convocata da organizzazioni sindacali come DISK e KESK, dall’Ordine degli ingegneri e degli architetti, dall’ordine dei medici, da alcuni dei principali partiti d’opposizione, tra cui CHP e HDP, dai gruppi anarchici DAF e İstanbul Anarşİ İnİsİyatİfİ, e dagli altri gruppi della sinistra rivoluzionaria.

L’organizzazione studentesca LAF (Lise Anarşist Faaliyet) legata al gruppo anarchico DAF ha lanciato un appello agli studenti in vista del Primo Maggio, ricordando i giovani uccisi dallo Stato durante scontri e manifestazioni negli ultimi anni, e ricordando Ceylan Ozalp, combattente curda. Ecco il documento del LAF:

“C’è una lotta il Primo Maggio!

Questa lotta è la lotta di Ali Ismail che è stato picchiato ed ucciso, è la lotta di Berkin che fu colpito in testa da un candelotto lacrimogeno sparato dalla polizia, è la lotta di Ceylan che fu colpita dalle bombe di mortaio, è la lotta di Uğur a cui ha sparato l’esercito, è la lotta dei nostri fratelli che sono stati assassinati dagli stati.

Questa lotta è la lotta del Primo Maggio vietato nel sangue.
Questa lotta è la lotta della gente che ciononostante per anni è scesa in piazza per il Primo Maggio vietato.
Questa lotta è la lotta degli studenti delle scuole superiori, che rifiutano ogni autorità e scendono in strada.

Questa lotta è la lotta degli oppressi contro gli oppressori in ogni ambito della vita.

Il Primo Maggio saremo nelle strade per rifiutare ogni tipo di autorità, contro lo Stato e contro gli omicidi di stato e chiamiamo tutti gli studenti delle scuole superiori a “la lotta”.

C’è una lotta il Primo Maggio. Partecipa anche tu alla lotta!

Lise Anarşist Faaliyet
(Azione Anarchica delle scuole superiori)”

Ma sul Primo Maggio di quest’anno pesano in Turchia anche le prossime elezioni legislative, per il rinnovo del parlamento e dell’esecutivo, che si terranno ad inizio giugno. Dopo la vittoria alle presidenziali Erdoğan e il suo partito islamista-conservatore AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), anche se sembrano perdere un po’ di consenso, puntano ad una conferma del loro ruolo alla guida del paese, in modo da procedere con la revisione della costituzione. Ma chi sembra puntare di più su queste elezioni è l’HDP (Partito Democratico dei Popoli) il partito di opposizione che sostiene i diritti dei curdi, e che punta a superare la soglia di sbarramento – altissima – del 10% per entrare in parlamento. Sono già presenti in parlamento 29 deputati eletti nel 2011 come indipendenti e che costituiscono ora il gruppo parlamentare dell’HDP che è stato fondato nel 2013. Con le prossime elezioni l’HDP punta quindi a essere presente in parlamento come partito, per questo ha ottenuto il sostegno per le elezioni anche da altri partiti di sinistra. Anche il partito di opposizione CHP (Partito Repubblicano del Popolo) della sinistra autoritaria, laica e nazionalista di tradizione kemalista tende a vedere favorevolmente l’elezione di deputati HDP.
La tensione politica in Turchia sta crescendo con l’approssimarsi delle elezioni, i cui risultati potrebbero inasprire i conflitti in corso nella regione o aprirne di nuovi anche all’interno della Turchia.

Certo per molti questo Primo Maggio in Turchia sarà una partita da giocare sul piano della contesa elettorale, per gli anarchici invece il Primo Maggio sarà una giornata di lotta e di azione diretta, contro lo Stato e il Capitale, fuori e contro ogni inganno elettorale. Nella giornata del Primo Maggio gli Anarchici ad Istanbul come a Milano ed in centinaia di altre città del mondo saranno nelle strade con gli oppressi e gli sfruttati, per una società di liberi e di eguali.

Dario Antonelli

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Federazione Anarchica Livornese, comunicato per la scomparsa di Garibaldo Benifei

La Federazione Anarchica Livornese è vicina all’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti in lutto per la scomparsa di Garibaldo Benifei. Ricorda la comune battaglia contro il regime fascista, che riunì persone di diverse tendenze politiche, e la tenace e lucida opera di testimonianza e divulgazione delle ragioni dell’antifascismo che lo ha visto impegnato fino all’ultimo. Esprime le proprie condoglianze alla moglie Osmana e alla famiglia tutta.

La Commissione di Corrispondenza
della Federazione Anarchica Livornese

Livorno, 25 aprile 2015

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Salvini, fascista! Livorno non ti vuole!

Salvini, fascista! Livorno non ti vuole!

Dopo la provocatoria presenza del nazileghista Borghezio, a Livorno mercoledì 22 aprile è arrivato anche Salvini, per una tappa del suo tour elettorale in vista delle elezioni regionali.
Stando alle notizie date nei giorni precedenti dalla stampa locale, il leader leghista sarebbe dovuto arrivare alle 9:30 al gazebo della Lega Nord in Via Grande, vicino alla zona del mercato, per poi passeggiare tra le strade del centro, tra i negozi e i banchi degli ambulanti.

La mattina di mercoledì 22 però, tra i banchi del mercato la tensione è alta, nessuno vuole essere strumentalizzato dalla Lega e i commenti della gente sono tutti contro Salvini. Le camionette di polizia e carabinieri presidiano tutti gli accessi alle strade del mercato e gli agenti in borghese controllano in forze la zona.
Già venti minuti prima dell’orario previsto per il suo arrivo, un centinaio persone si raccolgono dove la Lega avrebbe dovuto montare il proprio gazebo.
Ci sono donne e uomini, giovani e meno giovani, operai, facchini e muratori, ambulanti del mercato, pensionati, studenti e disoccupati, facce di ogni paese, tutti livornesi. Tutti là per impedire a Salvini di venire al mercato di piazza Cavallotti per il suo solito spot razzista.
La Lega non ha montato nessun gazebo, è riuscita solo ad aprire un banchino dall’altra parte della strada, protetta su ogni lato da cordoni di agenti in assetto antisommossa.
Quando da dietro i caschi blu si alzano una bandiera leghista ed una bandiera del Granducato di toscana con i colori degli Asburgo-Lorena, parte la contestazione vera e propria, viene aperto uno striscione e tutti cantano Bella Ciao, da una finestra qualcuno sventola una bandiera rossa. La folla dei contestatori cresce, i passanti si uniscono alla manifestazione spontanea e partono i primi slogan: “Salvini, fascista! Livorno non ti vuole!”, “siamo tutti clandestini!”, “Se ci sono i disoccupati, la colpa è dei padroni e non degli immigrati!”.

Quando, in ritardo, arriva Salvini passando da una strada laterale per evitare le contestazioni, i manifestanti sono ormai più di 200. Allora la protesta si fa più intensa e molti riescono, aggirando il primo cordone di polizia in borghese, ad arrivare di fronte agli scudi dell’antisommossa, a pochi metri dal gruppetto di leghisti che si fanno selfie con il proprio capo. Gli slogan e i cori coprono completamente le parole di Salvini, che quando sale in piedi su una panchina per parlare al microfono, da bravo collezionista di felpe, indossa una maglia con su scritto “Livorno” che accende ancora di più la contestazione. A quel punto una fitta pioggia di pomodori e uova lo costringe a scendere dalla panchina e a passare la parola ad un altro leghista. È ormai chiaro che Salvini non farà nessuna passeggiata per il mercato.
Dopo pochi minuti, i leghisti concludono il breve comizio, e Salvini per rispondere alle domande dei giornalisti senza essere sovrastato dagli slogan dei dimostranti deve allontanarsi di circa un centinaio di metri, in una Via della Madonna deserta e blindata. La visita dello showman padano dura poco più di mezzora, un corteo di mezzi della polizia lo scorta verso la prossima tappa del suo tour elettorale.

Lo sparuto gruppo di leghisti, protetto dai cordoni delle forze del disordine, resta per una ventina di minuti circondato dai manifestanti, che continuano a scandire slogan e bruciano una bandiera della Lega che qualche timido padano aveva probabilmente abbandonato a terra allontanandosi. Quando alla fine i sostenitori di Salvini se ne vanno via in macchina scortati dalla polizia, la folla dei contestatori si dirada e la manifestazione si scioglie.

Il fascista Salvini non è riuscito a fare un passo nel centro di Livorno e non ha neanche visto il mercato, di cui ha potuto però apprezzare “al volo” alcuni prodotti ortofrutticoli. La mattina del 22 aprile a Livorno è stato dimostrato che la propaganda della Lega può essere spezzata. La foto del giorno di Salvini non è quella di un “capitano” che dispensa strette di mano tra la gente, ma quella di un politico che mostra uno dei pomodori che la gente gli ha lanciato contro. Lo spot non è riuscito, il pubblico stavolta ha fatto irruzione sulla scena, senza preoccuparsi delle conseguenze mediatiche della contestazione.
La risposta della città, di chi a Livorno rifiuta il razzismo e il fascismo, di chi respinge la propaganda della Lega, è stata un segnale importante, che si intreccia con le contestazioni che ci sono state anche in altre città Toscane in questi giorni, con il grande corteo contro il comizio di Salvini a Roma il 28 febbraio scorso, con la contestazione a Torino di un mese fa, e con tutte le altre manifestazioni di protesta contro la propaganda della Lega. Ma la contestazione di Salvini a Livorno si salda anche con la manifestazione dei lavoratori di sabato 18 aprile, che ha portato in piazza anche la lotta contro le politiche del governo che cercano di spezzare la solidarietà tra gli sfruttati.
Salvini ha promesso che tornerà a Livorno, speriamo che da bravo politico non mantenga le promesse, ma nel caso dovesse tornare speriamo che torni in estate, in modo che possa assaggiare gli ottimi cocomeri del mercato.

Un* che c’era

Segue il volantino unitario diffuso nel corso mattinata al mercato:

Fuori Salvini!

Abbiamo appreso che la mattina di mercoledi 22 dalle ore 9:30, in via Grande, all’angolo con via del Giglio nella zona del mercato, sarà presente il razzista Matteo Salvini per un tour elettorale (da noi pagato).
Riteniamo che tale presenza sia una chiara e forte provocazione (iniziata con la presenza di Borghezio sabato 18) verso l’intera città di Livorno. Riteniamo indispensabile far capire in modo determinato che tale presenza è da ripudiare senza se e senza ma, soprattutto in questo tragico momento in cui, cercando la libertà, si muore a causa di politiche migratorie assassine, che Salvini vorrebbe ancora più restrittive. La propaganda vile e bugiarda della Lega prova in questi giorni anche a strumentalizzare l’ennesima strage in mare dello scorso 19 aprile. Centinaia di persone che cercavano di raggiungere le coste italiane sono state uccise dalle politiche migratorie dell’UE e dell’Italia di cui la stessa Lega è protagonista. Salvini in questa occasione torna a parlare di “invasione”, sciacallando sulla morte dei profughi e negando di fatto la realtà, perché il numero di italiani emigrati all’estero per lavoro ormai supera il numero di immigrati.

Cosa cerca Salvini? Sappiamo bene che la disoccupazione, così come gli sfratti, che raggiungono a Livorno livelli altissimi, sono causate dalle politiche dei governi, di cui anche la Lega Nord nel corso degli anni si è resa complice. Ma Salvini cerca tramite spot populisti di strumentalizzare l’impoverimento della gente gettando ogni responsabilità sui migranti, accusandoli di “rubare” case e lavoro.
Inoltre la Lega di Salvini si posta sempre più verso la destra fascista, creando alleanze con gruppi e partitini razzisti, xefonobi e fascisti, come casapound e alba dorata.
La giornata di sabato 18 Aprile ha lasciato un impronta chiara per quello che e legato alla questione del lavoro; tutte le nuove leggi sul lavoro (ad es. jobs act) hanno l’obiettivo di dividere i lavoratori, peggiorare tutte le condizioni lavorative e creare conflitti, all’interno della stessa classe sociale, tra i soggetti più deboli e ricattabili.
Noi sappiamo che la ricchezza nel nostro paese c’è ma è detenuta da soggetti speculativi come banche, capitalisti, e soggetti appartenenti alla casta politica. Mafia capitale ne è l’esempio più evidente: nella “Roma ladrona” i fascisti e i razzisti fanno affari gestendo l’emergenza immigrati, così come gli imprenditori della Lega fanno soldi a palate sfruttando i lavoratori immigrati.
Il futuro dei lavoratori nella regione governata dalla Lega è: lavoro gratis all’EXPO, la nuova frontiera della schiavitù.
I soldi necessari per avere garantite tutte le esigenze della popolazione, istruzione, sanità e servizi pubblici, ci sono. Lo dimostrano i miliardi destinati alle spese militari, all’EXPO, o a fallimentari investimenti in inutili grandi opere come la Tav.
Chiudiamo facendo un appello a tutte le realtà che ripudiano soggetti che minano alle libertà e propagano odio razziale a essere presenti in piazza per far capire che a Livorno non c’è spazio per loro.

“Salvini Livorno non ti vuole”

 

questo resoconto uscirà sul prossimo numero di Umanità Nova

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CONTRO PADRONI, GOVERNANTI E SPECULATORI RESPINGERE IL RICATTO OCCUPAZIONALE ORGANIZZARSI PER LOTTARE

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(foto di Giacomo Bazzi)

Pubblichiamo il testo del volantino diffuso durante il corteo di sabato 18 aprile organizzato da Coordinamento Lavoratori Livornesi

CONTRO PADRONI, GOVERNANTI E SPECULATORI

RESPINGERE IL RICATTO OCCUPAZIONALE

ORGANIZZARSI PER LOTTARE

Gli Anarchici Livornesi partecipano alla manifestazione del 18 Aprile indetta dal Coordinamento dei Lavoratori e delle Lavoratrici Livornesi ribadendo che la crisi economica è stata l’occasione per un gigantesco sabotaggio della produzione e della distribuzione, sabotaggio operato dai capitalisti con l’appoggio del governo e delle banche, allo scopo di distruggere il movimento operaio e 50 anni di conquiste e i miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari.

Livorno è un esempio di questa catastrofe: la disoccupazione giovanile è altissima, la cassaintegrazione è aumentata vertiginosamente. Il risultato è che tanti livornesi fuggono all’estero.

Anche nella nostra città, come altrove, vengono proposte “Grandi Opere”, vedi il Nuovo Ospedale e la Darsena Europa (come se non bastasse l’esperienza dell’inutile e dannoso Rigassificatore), che richiedono investimenti di miliardi di euro. Questi progetti sono presentati come soluzione per risolvere il problema della disoccupazione, in realtà sono solo l’ennesima occasione per fare affari sulla pelle dei lavoratori. Infatti queste opere invece di rispondere ai nostri bisogni, sono destinate a creare solo gigantesche speculazioni, favorire gruppi economici e di potere, a creare consensi elettorali attorno ai partiti che promuovono politiche contrarie agli interessi dei lavoratori.

Alla politica del degrado ambientale, del saccheggio dei territori, della speculazione edilizia e finanziaria, della estorsione di risorse e reddito ai danni dei lavoratori si devono opporre scelte che vengono dal basso e che devono essere controllate dal basso.

Un esempio lo dà “Vertenza Livorno”, rete per la difesa dell’ambiente e della salute, che ha individuato alcune proposte concrete (polo per la gestione dei rifiuti urbani e per le energie rinnovabili, bonifica delle aree dismesse a carico dei proprietari) per uscire dalla crisi senza l’uso delle grandi opere.

I lavoratori organizzati, anche in collegamento con lavoratori di altre località, devono vigilare per la difesa dell’occupazione fuori da ogni ricatto, per il rispetto dei regolamenti, contro lo straordinario, il lavoro nero e le nuove forme di precarizzazione, con la volontà di superare il modo di produzione capitalistico.

Per questo è importante sostenere tutte le lotte che si svolgono a livello locale. Altrettanto importante è agganciarsi ad una dimensione più vasta e sostenere le mobilitazioni che sono in atto nel paese, a partire dallo sciopero indetto nella scuola contro il piano Renzi e dalle manifestazioni previste a Milano (30 aprile, 1,2,3 maggio) contro l’Expo, evento che si configura come occasione di speculazione, corruzione e sfruttamento massiccio dei lavoratori addetti, nei confronti dei quali sono sospese le più elementari tutele e garanzie.

AZIONE DIRETTA

AUTOGESTIONE

Federazione Anarchica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

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PISA: occupata scienze politiche contro l’EXPO, tre giorni di iniziative

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riceviamo e pubblichiamo:

COMUNICATO OCCUPAZIONE DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

L’Assemblea dell’Aula R ha deciso di occupare simbolicamente il dipartimento nei giorni 17, 18 e 19 aprile 2015 per una serie di iniziative su Expo 2015.
Come Aula R riteniamo necessario sensibilizzare sul tema di Expo e sull’impronta culturale che l’esposizione universale lascerà in eredità.
Expo 2015 renderà Milano la grande vetrina del capitalismo e di tutte le contraddizioni che esso rappresenta. Pertanto riteniamo fondamentale che venga svolto nei locali dell’Università un momento di riflessione critica e sensibilizzazione in merito a questo tema, per non fermarsi all’immagine positiva che Istituzioni e media vogliono diffondere.
No a Expo perchè sinonimo di grandi opere finanziate con denaro pubblico a profitto di pochi e già ricchi.
A partire dalle grandi opere finanziate con denaro pubblico che porteranno profitto solamente ai noti Impregilo e CMC, per quanto riguarda costruzione e smantellamento dell’area espositiva, e alle multinazionali in merito a sponsorizzazione e partecipazione, quali McDonald’s, Monsanto, Nestlè, San Pellegrino, gruppo Finmeccanica, Eni. Ricordiamo infatti, dati alla mano, che circa il 90% dei finanziamenti per Expo 2015 sono pubblici1 ma che chi trarrà profitto dall’evento saranno solo enti privati.
Expo 2015 consacra l’ arricchimento delle multinazionali a discapito dei territori e delle comunità sempre più impoverite.
No a Expo, perché Expo è sinonimo di precarietà.
Non si limita solamente allo spreco di denaro pubblico, ma va a colpire direttamente il mondo del lavoro: vista l’applicazione pratica del Jobs Act, Expo si qualifica come fiera della precarietà.
In un momento storico in cui la disoccupazione giovanile tocca punte del 47%, il grande evento propone contratti di volontariato. Expo ci chiede prestazioni gratuite volontarie, mentre l’amministratore delegato di Expo Spa, Giuseppe Sala, riceve una retribuzione di 423.000 euro2. Uno sfruttamento mascherato da volontariato. La campagna di reclutamento finora non ha riscosso un grande successo: di 18000 volontari richiesti, risultano aver fatto domanda circa 8500.
No a Expo, perché Expo è sinonimo di un sapere acritico e asservito.
L’apprendistato, che prevede alternanza di fasi di insegnamento pratico e teorico, risulta essere la tipologia di contratto più utilizzata nell’Expo, una forma contrattuale che non prevede alcun tipo di assunzione al termine del periodo di apprendistato. Se consideriamo che i ritmi di lavoro imposti a chi lavorerà all’Expo con questi contratti impediranno di fatto ogni tipo di formazione, risulta ancora più chiaro che l’apprendistato è solo un paravento per poter disporre di manodopera a costo bassissimo.
Anche scuola e università rientrano in questo grande progetto attraverso il protocollo di intesa tra MIUR ed Expo. Gli studenti delle scuole medie superiori sono obbligati all’alternanza scuola lavoro mascherata da tirocinio per ottenere crediti formativi, in tale modo, quello che dovrebbe essere un momento di crescita e formazione della coscienza diventa formazione della manodopera.
No Expo, perché Expo è sinonimo di un certo “modus operandi”.
Tutte le leggi che il Governo non è riuscito a far approvare entrano di fatto automaticamente in vigore con Expo, trampolino di lancio delle politiche di austerità. Il paradigma dell’emergenza è ciò che spinge lo Sblocca Italia: il ritardo nei preparativi dell’evento ha fatto sì che la gestione di questa “grande opera” venisse inizialmente delegata dal livello locale a quello nazionale, per poi passare in seconda battuta al settore privato, facendo crollare ogni standard di sicurezza. Con questo modello di emergenzialità pianificata diminuiscono tempi e controlli nei lavori, favorendo le infiltrazioni criminali e mafiose, come nella migliore tradizione italiana.
No a Expo, perché Expo è sinonimo di devastazione territoriale e cementificazione.
Non solo per quanto attiene alla realtà di Milano, ma anche per le multinazionali protagoniste che, seppur con nuove etichette green, sono da anni responsabili di danneggiamento, inquinamento e devastazione dei territori in tutto il mondo, e dello sfruttamento e impoverimento delle comunità che vi vivono.
No a Expo, perché Expo è sinonimo di mistificazione.
Con il suo linguaggio e la sua retorica Expo ha messo in atto una vera e propria opera di propaganda, vendendosi come sostenibile e rispettoso di territori, comunità e differenze culturali.

No a Expo, perché Expo non nutre il pianeta. Nutre solo le multinazionali.
No a Expo, perché Expo non dà energia alla vita. La distrugge.

Assemblea Aula R

INIZIATIVE:

Venerdì 17:
dalle ore 17: ColPol Firenze: scuola, università, lavoro giovanile.
Cobas Pisa: lavoro, contratti, assunzioni.
Federazione Anarchica Livornese: grandi opere e grandi truffe.

A seguire: aperitivo con con il Coro Garibaldi d’Assalto e dj set dell’Aula Horror

Alle ore 2 “Dall’Expo all’apocalisse: proiezione del film L’alba dei morti dementi”

Sabato 18:
ore 17: “Cos’è il cibo, chi è il cibo?” a cura di attivisti antispecisti NoExpo

ore 21: “Expopolis” a cura del Collettivo Offtopic da Milano

A seguire P.U.M factory: NoExpo, Yes Party! – Rezna, Angelyno, Sterling, Dadapop

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Ventiquattresimo anniversario della strage del Moby Prince, la lotta continua

questo articolo sarà pubblicato sul prossimo numer del settimanale anarchico Umanità Nova

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Ventiquattresimo anniversario della strage del Moby Prince, la lotta continua

Venerdì 10 aprile è stato il ventiquattresimo anniversario della più grande strage sul lavoro dal dopoguerra. La strage del Moby Prince. Proprio alla vigilia dell’anniversario l’ottava commissione del Senato, quella che si occupa dei lavori pubblici, e quindi anche dei trasporti, ha approvato all’unanimità la proposta di commissione d’inchiesta che sarà ora sottoposta al voto del Senato.
La commissione d’inchiesta, se sarà istituita, avrà due anni di tempo per indagare sui tempi di sopravvivenza a bordo, sulla dinamica di collisione con la petroliera Agip Abruzzo, sui problemi della sicurezza a bordo e sul ritardo nei soccorsi.
Se da una parte vi è la speranza che questa commissione, se costituita, possa contribuire al riconoscimento di una verità ufficiale, dall’altra vi è la consapevolezza che le istituzioni politiche e giudiziarie dello Stato hanno finora coperto e protetto i veri responsabili.
La verità che è stata finora negata nelle aule di tribunale e nei grandi palazzi della politica, è invece ben nota ai familiari delle vittime e a tutti coloro che li sostengono. La verità è viva nella lotta dei familiari delle vittime della strage del Moby Prince, così come in quella dei familiari delle vittime della strage di Viareggio e di tutte le stragi, così come nelle lotte per la sicurezza sul lavoro e la salute della popolazione, contro le stragi sul lavoro e le nocività.
È per questo che venerdì 10 aprile, molti livornesi sono scesi in piazza al fianco dei familiari delle vittime, dando vita ad un corteo molto più numeroso rispetto a quelli degli anni passati. Da notare un particolare vergognoso: durante il passaggio del corteo davanti al Comune, al Duomo e all’arrivo all’Andana degli anelli in Porto, i militari della Folgore che da un mese occupano le strade del centro per la cosiddetta operazione “strade sicure” si sono messi in mostra a lato della strada, impugnando le loro armi da guerra, per poi rientrare nei propri mezzi dopo il passaggio del corteo.
Alla commemorazione ufficiale, che vede ogni anno, prima del corteo, il saluto delle autorità cittadine ai familiari delle vittime nella sala consiliare del Comune di Livorno, erano presenti anche un pugno di parlamentari, a fianco del Prefetto, del Questore e dei vertici militari. Di fronte ad essi, e a decine di altre persone, sono intervenuti i familiari delle vittime della strage del Moby Prince e di Viareggio, ma anche il ferroviere Riccardo Antonini, che è stato licenziato dalle Ferrovie a causa del suo impegno per la sicurezza sul lavoro, a fianco dei familiari di Viareggio.
Tutti gli interventi hanno messo in evidenza le responsabilità delle autorità politiche e giudiziarie, ma alcuni interventi hanno di fatto messo alla sbarra i parlamentari e le autorità presenti.
Riportiamo di seguito l’intervento nella sala consiliare del Comune tenuto da Giacomo Sini, figlio di una delle vittime e compagno del Collettivo Anarchico Libertario di Livorno.

“Sono passati ventiquattro anni da quella terribile notte nella quale centoquaranta persone vennero assassinate nel rogo del traghetto “Moby prince”. Assassinate è il termine migliore che può essere utilizzato per descrivere le dinamiche che hanno caratterizzato la morte dei nostri familiari.
Un traghetto, il Moby Prince, che nella notte del 10 Aprile del 1991, su ordine dell’armatore della Navarma, Onorato, viaggiava con l’impianto splinter spento, con un solo radar funzionante dei tre presenti a bordo e con un’apparecchiatura radio che presentava notevoli problematiche legate a frequenti cali di frequenza; a causa di quest’ultimo difetto, il traghetto non riuscì ad inviare alla capitaneria di porto un may day chiaro, nei tragici momenti della collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Secondo il RINA (Registro Italiano Navale ed Aeronautico), ente predisposto a valutare la sicurezza delle navi ed approvarne l’autorizzazione alla navigazione, il traghetto non presentava problematiche tali da impedirne la partenza. Il tutto nell’ottica del risparmio in materia di sicurezza, per permettere comunque alla Navarma di effettuare la tratta Livorno-Olbia, senza l’onere delle spese sulla manutenzione del traghetto.
Una realtà sconcertante che ha visto, con il passare degli anni, alzarsi in gran coro comune una serie di dichiarazioni da parte di organi istituzionali che hanno affermato la necessità di dover far emergere la verità sulla vicenda. Successivamente è stata promessa, come nelle migliori delle propagande, una maggiore attenzione agli investimenti sulla sicurezza nel mondo del lavoro, in modo che tali vicende non potessero più ripetersi. Ed ecco che negli ultimi anni si è prospettata una realtà ben diversa dalle rappresentazioni di un miglioramento della sicurezza nei luoghi di lavoro millantate dai governi che si sono susseguiti; le condizioni sono piuttosto peggiorate e le tragedie consumate dall’arroganza del profitto hanno caratterizzato la storia degli ultimi anni. Anni nei quali si è costantemente parlato di una salvaguardia esclusiva degli interessi dell’imprenditoria italiana e nella fattispecie di grandi padroni d’azienda, erogando incentivi e finanziamenti agevolati ad imprese produttive, nei quali difficilmente si fa riferimento alla parola sicurezza. Il tutto a discapito di milioni di lavoratori che vedono diminuirsi sensibilmente una serie di garanzie sul posto di lavoro. Non scordiamoci mai che la tragedia del Moby prince è stata la più grande strage sul lavoro dell’Italia post guerra.
A tal proposito credo sia doveroso ricordare l’ennesimo morto sul lavoro, assassinato da tali logiche proprio in questa città, Priscillano Inoc. Un morto sul lavoro che si verifica ancora una volta nel comparto portuale livornese. In un contesto nel quale si parla di allargamento del porto e progetti di megadarsene che favoriscono i già abbondanti introiti dei medesimi padroni, passano difatti in secondo piano i ritardi pesanti nel rinnovo del protocollo di sicurezza del lavoro portuale. Credo sia vergognoso discutere di tali progetti dinnanzi ad una situazione di già persistente condizione di schiavitù con orari di lavoro indecenti e situazioni, da tempo denunciate dai lavoratori stessi, di ingente insicurezza, fondamenta ben visibili per degli omicidi come quello di Priscillano e per stragi come quella della Moby Prince. In questi passaggi mi chiedo nuovamente Come fosse possibile che ad un un traghetto che svolgeva la tratta Livorno-Olbia venisse realmente permesso di viaggiare con tutte quelle carenze in materia di sicurezza della navigazione. La risposta viene da sé, guardando al numero di introiti che la Navarma è riuscita a riscuotere negli anni successivi alla tragedia sino ad oggi, continuando a navigare in simili condizioni, riscuotendo inoltre un buon numero d’incidenti. Fatalità, come venne ricordato dal ministro della marina al tempo della vicenda? Disattenzioni generali, come venne ribadito dal contesto mediatico nazionale? A voi le risposte reali, a loro il potere di schiacciarle con metodi di sopraffazione. Metodi che non hanno mai vinto grazie ai forti legami di solidarietà nati con gli anni che hanno permesso a quelle risposte di emergere con forza e presentare la realtà dei fatti, divenendo verità; 3 colpevoli: Onorato, l’armatore della Navarma Lines per le carenze del traghetto. Sergio Albanese, comandante della capitaneria di porto di Livorno che nella notte del 10 Aprile rimase in silenzio radio per ore senza coordinare i soccorsi, allontanando chi si era permesso di tentare di salvare delle vite Superina, comandante dell’Agip Abruzzo che ha fatto di tutto per concentrare i soccorsi verso la sua nave, riuscendo ad affermare che chi lo aveva speronato fosse una bettolina.
Arriviamo poi negli ultimi mesi del 2014, all’ennesima notizia di una tragedia consumata nei mari: il rogo del traghetto della Norman Atlantic che ha provocato nel giro di poche ore la morte accertata di 13 persone. Ancora una volta emergono dei fatti che non lasciano alcun dubbio sulle responsabilità dell’armatore del traghetto della Anek e la connivenza con il RINA in materia di concessioni alla navigabilità. Lo stesso RINA torna ad essere per l’ennesima volta un protagonista negativo della vicenda, dato il ruolo cruciale nell’affidare voti sufficienti durante le ispezioni precedenti alla partenza del traghetto, consentendone l’operatività. Inoltre, ad oggi, ispettori del registro navale hanno compiuto nei mesi scorsi numerosi sopralluoghi all’interno del traghetto, procedendo al suo trasferimento dal porto di Brindisi a quello di Bari, dove risiede la procura competente sul fatto. Un caso? Certamente la questione è passata inosservata grazie a motivazioni burocratiche. Personalmente lo ritengo un atto grave che può sovraintendere l’ennesimo tentativo di intromissione, per la copertura di certe responsabilità dello stesso RINA. Il traghetto della Norman Atlantic aveva dei malfunzionamenti: le porte taglia fuoco non erano conformi per i protocolli d’intesa internazionali ed i sistemi d’emergenza (luci e batterie)erano spariti. In questi passaggi rivedo tutte le medesime dinamiche che hanno accompagnato la storia della strage del Moby Prince e continuo a chiedermi come sia possibile che esse continuino imperterrite ad accadere in un imbarazzante silenzio-sdegno che viene fortunatamente tagliato dalla rabbia di chi subisce le conseguenze di tali dinamiche. Dinamiche possibili purtroppo, mi rispondo, quando capisco che chi, osservando che i colpevoli della più grande tragedia della marineria italiana sono rimasti ad oggi impuniti, può permettersi di agire con le stesse prerogative. Non è propaganda affermare che la giustizia ufficiale difenda gli interessi di chi uccide. Inoltre, nella vicenda della Norman Atlantic, come spesso purtroppo accade nelle tratte di mare che collegano i porti del mediterraneo e dell’Adriatico, è emersa la notizia della presenza di un buon numero di clandestini che si trovavano all’interno di alcuni TIR nelle aree garage. Ecco che nel valzer delle dichiarazioni inerenti le cause dell’incendio, si è tentato attraverso canali mediatici importanti e vari apparati istituzionali, di concentrare l’attenzione sulla vicenda dei migranti presenti a bordo, finendo per addossare le cause dell’incendio all’accensione di un fuoco da parte di questi ultimi per difendersi dal freddo nel reparto garage. Stessa dinamica nel 1991, quando si tentò da subito di scagionare le responsabilità dell’armatore della Moby Prince, addossando vigliaccamente tutte le colpe alla disattenzione dell’equipaggio intento a guardare una partita di calcio. Si è attuato nuovamente quel tentativo di marginalizzare la problematica delle politiche di deregolamentazione sulla sicurezza della navigazione, attaccando in quest’ultimo caso la fascia di soggetti più deboli e ben strumentalizzabili, i migranti.
E’ bene ricordarsi che a causa di politiche d’ingresso in Europa altamente discriminatorie, che vedono nell’uomo una merce utile solo in materia di fabbisogno di manodopera per diverse aziende, più di 23 mila migranti sono morti davanti agli occhi di chi oggi continua imperterrito a riempirsi la bocca della necessità di operare più attenzione al mondo della sicurezza della navigazione. Quegli attori che, grazie al continuo attacco ai diritti dei lavoratori ed ai conseguenti tagli in materia di sicurezza, salvaguardano il profitto di chi continua ad uccidere con il beneplacito della giustizia italiana. Depistaggi, insabbiamenti, minacce, ricatti, manomissione delle prove, menzogne. In questi 24 anni chi voleva che non si facesse luce sulla strage del Moby Prince ha provato in ogni modo ad ostacolare chi ancora oggi continua a portare avanti la battaglia per la verità e la giustizia. Sono metodi ben noti, gli stessi usati per coprire le responsabilità delle stragi di stato e delle bombe fasciste. Sono gli stessi metodi usati per coprire le responsabilità di industriali, speculatori e politici che per fare affari avvelenano ed uccidono la popolazione.
Ecco quindi che mi preme ricordare ancora una volta la convinzione che siano le mobilitazioni di base e le battaglie comuni a difesa di una differente idea di giustizia a portare ad una vittoria contro gli abusi e la sopraffazione. Una lotta che ogni anno viene rilanciata nelle parole d’ordine di verità e giustizia sulla strage del Moby Prince, perché non si tratta solo di dare una risposta a noi, familiari delle vittime, o di far luce su una vicenda oscura, ma la battaglia assume un significato più grande, che coinvolge tutti e che possa contribuire ad arrivare un giorno a poter dire che nessuno dovrà più subire il dolore che noi continuiamo a vivere.”

Dario Antonelli

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Kurdistan: Una Rivoluzione necessaria

Kurdistan: Una Rivoluzione necessaria

A due mesi dalla “vittoria”, intorno a Kobanê si combatte ancora. A fine gennaio le YPG/YPJ e le altre forze che hanno contribuito alla resistenza avevano spezzato l’assedio delle truppe dello Stato Islamico iniziato nel settembre dell’anno scorso. In questi due mesi i combattimenti sono continuati nei villaggi che circondano la città e ancora adesso, soprattutto a Sud, si combatte a pochi chilometri da Kobanê. In questi due mesi è iniziato anche il lento rientro in città dei civili che erano fuggiti in Turchia durante l’assedio, sfidando la repressione dello Stato turco al confine e nei campi profughi gestiti dal governo. Si tratta però di un processo molto lento, non solo perché la città è completamente distrutta ma anche a causa della mancanza di sicurezza. Infatti tutta l’area è piena di mine e nelle case sono state lasciate trappole esplosive dalle truppe dello Stato Islamico in ritirata.

I prossimi mesi saranno probabilmente decisivi per comprendere quali saranno gli sviluppi non solo della situazione a Kobanê, ma più in generale nella Rojava, nel Kurdistan e per l’intera regione.

Con il progressivo arretramento delle truppe dello Stato Islamico intorno alla città di Kobanê si porrà in modo sempre più forte la questione della ricostruzione e della ripopolazione della città. Sappiamo che vi sono diverse idee in proposito, si parla di mantenere come museo una parte della città distrutta, di costruire una città nuova a fianco alla vecchia, di ricostruire la città più grande in modo che possa ospitare tutti coloro che vorranno venire ad abitarla (si ricordi che a Kobanê avevano trovato rifugio, prima dell’assedio numerosi profughi da altre aree della Siria).

Ma al di là di questi progetti più o meno definiti, la linea finora sostenuta dal consiglio esecutivo del cantone di Kobanê è quella di non accettare ingerenze da parte di multinazionali o grandi interessi speculativi nella ricostruzione. Tra l’altro al momento a causa della militarizzazione del confine messa in atto dal governo turco, i cantoni della Rojava sono di fatto sotto embargo e non possono quindi ricevere aiuti di alcun genere se non in modo più o meno illegale. È possibile il passaggio di persone e aiuti solo là dove è forte una presenza solidale in territorio turco, come appunto è successo vicino Kobanê, dove nei villaggi in territorio turco lungo il confine hanno portato avanti un’intensa attività di solidarietà molti gruppi rivoluzionari tra cui il gruppo anarchico DAF.

La militarizzazione del confine da parte della Turchia è molto forte ovunque vi sia un territorio in mano alle forze curde. Questo perché lo Stato turco sostiene lo Stato Islamico non solo a Kobanê ma ovunque sia utile come forza controrivoluzionaria da impiegare per eliminare ogni possibilità di cambiamento sociale nella regione.

Nei prossimi mesi probabilmente si definirà in modo più chiaro quali saranno le tendenze prevalenti nell’organizzazione politica e sociale dei cantoni e quali modelli politici ed economici saranno presi come riferimento. Fino ad ora la situazione di guerra ha rinviato di fatto la questione, poiché ogni attività economica è stata orientata di fatto al sostegno dello sforzo bellico. In particolare i cantoni di Afrin e Kobanê hanno potuto sostenere la guerra grazie al cantone di Cezire, il più sicuro e il più ricco dei tre, a causa della presenza di pozzi petroliferi e della parziale apertura del confine con il territorio del Governo Regionale del Kurdistan (KRG) di Barzani, nell’Iraq settentrionale, grazie a un certo numero di peshmerga (truppe regolari del KRG) di stanza lungo il confine che si sono schierate negli ultimi mesi con le YPG/YPJ della Rojava.

La questione della ricostruzione e le elezioni in Cezire, che dovrebbero aver luogo all’inizio dell’estate possono essere un punto di svolta per una situazione che ha visto coesistere finora più tendenze e modelli economici e politici.

Saranno importanti anche le elezioni legislative in Turchia a giugno, sulle quali punta molto il partito HDP (Partito Democratico dei Popoli) che sostiene la causa curda e cerca di riunire parte della sinistra turca. La soglia di sbarramento per entrare in parlamento è fissata al 10%, un limite molto alto, ma che l’HDP potrebbe riuscire a superare. Per l’HDP queste elezioni sono importanti per contare nella revisione della costituzione e nel processo di pace in corso tra lo Stato turco e il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan). Alcune forze della sinistra rivoluzionaria turca, così come gli anarchici, non condividono questa strategia parlamentare e ritengono invece che si debba proseguire il processo rivoluzionario in corso nella Rojava e estenderlo nella regione.

In effetti, al di là degli sviluppi che ci potranno essere, di fatto quella in Rojava è una situazione rivoluzionaria. La mancanza di un governo dotato di un apparato repressivo che possa ostacolare la libera riorganizzazione della società, la mancanza di un esercito regolare e la presenza invece di unità di autodifesa, la presenza di assemblee e comitati territoriali nei quali la popolazione ha diretto potere decisionale. In questa situazione i compagni anarchici del gruppo DAF (Devrimci Anarşist Faaliyet – Azione Anarchica Rivoluzionaria) sono attivi e presenti come forza riconosciuta nel movimento curdo, al quale potano il loro contributo. In questo contesto cercano di aprire la strada alla rivoluzione sociale, prendendo come obiettivo non l’autonomia o il confederalismo democratico, ma l’anarchia.

Chiaramente, questi processi avvengono in un contesto regionale molto complesso. La presenza di ricchi giacimenti petroliferi, l’incrociarsi di interessi strategici contrapposti, la ferma volontà delle potenze mondiali e regionali di bloccare o recuperare ogni possibile cambiamento sociale reale, che possa mettere in discussione lo Stato e il capitale. Questi e molti altri fattori rendono forse più difficile che altrove lo sviluppo di un processo rivoluzionario in questa regione.

Ma abbiamo visto già chiaramente in Libia e in Egitto che dove non si è in grado di porre all’ordine del giorno la rivoluzione sociale, si lascia spazio alle guerre imperialiste e alle dittature, siano esse laiche o religiose. È lo stesso vicolo cieco in cui può portare la strategia parlamentare in Turchia, così come altre scelte che mirino a bloccare il processo rivoluzionario.

Dario Antonelli

ovunque kobane

Articolo pubblicato su Umanità Nova

A Livorno puoi acquistare il settimanale anarchico Umanità Nova presso le edicole di Via Garibaldi 7, Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via Roma 69, il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20)

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Opuscolo: Grandi Opere, Grandi Truffe! darsena-rigassificatore-ospedale

Di seguito l’opuscolo presentato presso la FAL sabato 11 aprile

 

GRANDI OPERE

GRANDI TRUFFE

Darsena | Rigassificatore | Ospedale

INDICE

  1. Introduzione

  2. Analisi della questione nel contesto locale

Darsena

Rigassificatore

Ospedale

3. No Expo: appello alla mobilitazione

INTRODUZIONE

Le cifre della disoccupazione testimoniano la vera e propria catastrofe che si è abbattuta sugli sfruttati. La crisi economica è stata l’occasione per un gigantesco sabotaggio della produzione e della distribuzione, operato dai capitalisti con l’appoggio del Governo e delle banche, per distruggere il movimento operaio e cinquant’anni di conquiste e miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari.

La scuola, la sanità, i servizi pubblici sono disorganizzati; la disoccupazione si diffonde, e con essa la miseria e la sfiducia.

Livorno è un esempio di questa catastrofe: la disoccupazione a Livorno e nella sua provincia è quasi il doppio della media toscana e molto superiore alla media nazionale.

La disoccupazione giovanile è altissima. La cassa integrazione è aumentata vertiginosamente: poiché la CIG è l’anticamera del licenziamento è probabile che nei prossimi anni la situazione della disoccupazione peggiorerà ancora. Il risultato è che tanti livornesi fuggono all’estero: Livorno sta diventando terra di emigranti.

Tutto questo non è rimasto senza risposta. La lotta dei lavoratori della TRW, che ha visto l’occupazione della Confindustria e momenti molto alti di mobilitazione, è stata seguita da quella dell’IFB e di People Care, per

citare solo quelle più clamorose. Vanno avanti la lotta dei lavoratori delle agenzie interinali del porto per il rispetto dei regolamenti e contro lo straordinario, e quello dei lavoratori delle cooperative sociali contro il part-time obbligatorio. Sta crescendo anche a Livorno la mobilitazione contro la progettata riforma della scuola, che provocherà anch’essa una diminuzione dei posti di lavoro, soprattutto per i precari.

Occorre uscire dalla logica separata delle singole vertenze e porre il problema di come reagire al sabotaggio che i capitalisti operano ai danni della produzione, con l’appoggio dei governi nazionali e locali e delle banche. Un esempio ce lo dà Vertenza Livorno, la rete per la difesa della salute e dell’ambiente, che ha individuato una serie di punti, dal polo per la gestione dei rifiuti urbani a quello per le energie rinnovabili, per un turismo sostenibile, alla bonifica delle aree industriali dismesse a carico dei proprietari. Anche i lavoratori e le loro organizzazioni devono impegnarsi per individuare un percorso di uscita dalla crisi, al di fuori delle grandi opere che significano devastazione del territorio e saccheggio delle risorse pubbliche, pagate dagli sfruttati e dai ceti popolari.

Questo lavoro deve basarsi sull’inventario delle aree, degli impianti e dei macchinari abbandonati o sottoutilizzati, su una ricognizione delle possibilità di sbocco dei prodotti, delle aree inquinate e dei terreni abbandonati. Ad esso si deve accompagnare il censimento della forza lavoro occupata e disponibile, del ricorso allo straordinario e alla cassa integrazione, in modo da capire come dividere il lavoro esistente fra occupati, sottoccupati e disoccupati.

Infine i lavoratori organizzati devono effettuare una sorveglianza assidua per il rispetto dei regolamenti, dei contratti e della normativa, contro il lavoro nero o comunque non normato, contrastando al contempo le nuove forme di precarizzazione e di sfruttamento introdotte dal Jobs Act: siamo convinti che con queste semplici pratiche sia possibile ridurre la disoccupazione e individuare quei percorsi che puntino al soddisfacimento dei bisogni collettivi.

E’ chiaro che queste operazioni hanno senso solo se accompagnate dal collegamento fra i lavoratori delle varie località, e animate dalla volontà di superare il modo di produzione capitalistico:

questa attività di controllo effettuata dagli organismi dei lavoratori non deve servire a garantire maggiori profitti ai capitalisti, ma si deve muovere nella prospettiva dell’autogestione e dell’esproprio generalizzato dei mezzi di produzione.

Questo opuscolo vuole dare il proprio contributo a questo lavoro, demolendo l’illusione che le grandi opere portino maggiore occupazione, anche quelle che per Livorno sono grandi opere, la Darsena Europa, il nuovo ospedale, il rigassificatore; attraverso quel lavoro d’inchiesta che dia ai lavoratori gli strumenti per comprendere e gestire l’economia.

DARSENA

Il porto costituisce il cuore pulsante dell’economia livornese, è naturale quindi che ogni variazione ne traffici marittimi sia vista con preoccupazione o speranza dalla città, che le migliaia di disoccupati che popolano Livorno vedano con favore ogni promessa di investimento nelle strutture portuali.

La variante anticipatrice del Piano regolatore del Porto, che contiene la previsione di nuovi investimenti nell’area portuale, pone una serie di interrogativi.Il dibattito è stato condizionato dalla promessa di finanziamenti fatta dal presidente della Regione Toscana, che dovrebbero creare nuovi posti di lavoro. Come quando comandava il PD, non c’è stato alcun dibattito che coinvolgesse tutta la città, a partire da chi sul porto ci vive e ci lavora, né le loro rappresentanze sindacali. Il ribaltone primaverile, che ha tolto al PD il ruolo di partito di maggioranza nel consiglio comunale, dopo una serie di incertezze su altri argomenti, si rivela più di forma che di sostanza: è ancora il partito del mattone e della speculazione che domina la vita politica della città, senza alcun riguardo per le esigenze dei lavoratori e dei ceti popolari.

opuscolo darsena

Ma arriveranno i milioni promessi da Rossi?

Intanto quelli che dovevano venire dalla Banca Europea degli Investimenti, il piano Juncker, sono scomparsi. Per fortuna Rossi ha un amico a Roma, alla presidenza del consiglio, che ci dovrebbe mettere una pezza; ma non sappiamo se le disavventure giudiziarie del ministero delle infrastrutture provocheranno un ennesimo stop, né sappiamo ancora che cosa prevederà il piano strutturale dei porti, da cui discenderanno gli impegni finanziari del governo.

Insomma,

Che cosa è andato a firmare il sindaco Nogarin a Firenze?

Che cosa c’è di certo?

Il provvedimento approvato dal Consiglio comunale stabilisce il trasferimento all’Autorità Portuale della fascia costiera dallo Scoglio della Regina alla Stazione Marittima compresi, sottraendola al Piano Regolatore del Comune.

Stabilisce inoltre il cambio di destinazione, dal “Sistema Insediativo” al “Sistema Portuale e delle Attività”, in contrasto con il Piano Strutturale in vigore e con un aumento dei volumi edificabili. Questo in contrasto con la legge vigente, che prevede che il Piano Regolatore del Porto debba conformarsi al Piano Regolatore Generale, e non viceversa.

Oltre a questo, ci sono una serie di operazioni che non hanno niente a che vedere con lo sviluppo del Porto, ma sono legate ad altri interessi. Secondo l’Osservatorio sulle Trasformazioni Urbane, obiettivo della Variante Anticipatrice è il raddoppio della Porta a Mare, con l’aggiunta delle aree fra la Fortezza Vecchia e la Stazione Marittima comprese. Questi sono i numeri del progetto: per la tipologia commerciale (ipermercati e simili) le nuove costruzioni passano da 3.500 mq a 12.500, il terziario passa da 20.000 a 22.000, il turistico ricettivo (alberghi) da 10.000 a 11.000 mq, mentre i servizi pubblici decrescono da 76.000 a 55.000 mq. Ecco a che cosa ha portato il ribaltone elettorale, all’ennesima vittoria del partito del mattone!

Che cosa ha a che vedere tutto questo con le condizioni dei lavoratori del porto?

La Darsena Europa, se mai vedrà la luce, sarà pronta fra dieci anni. Il progetto della Darsena è del 2006, sono passati nove anni e solo nel 2015 si fa un piccolo passo in avanti, ma non ci sono ancora soldi veri né l’inserimento nel piano dei porti. In realtà quello che è stato approvato è solo una costola del progetto originario, che costerà 650 milioni di euro, anziché il miliardo e 300 milioni previsti per l’opera originaria. Le nuove banchine assorbiranno comunque pochissimi nuovi addetti, e resta da vedere se l’andamento attuale dei traffici marittimi ha bisogno di questo investimento.

Quali prospettive ci sono oggi per lavoratori che fanno tra

uno e sei turni al mese?

Sul porto di Livorno si abbatte la crisi generale del trasporto marittimo; da una parte c’è la crisi economica che ormai da sette anni divampa in tutto il mondo capitalistico; inoltre c’è un eccesso di offerta, sono troppe le navi in circolazione, mentre le merci da trasportare continuano a diminuire, infine c’è una trasformazione nelle rotte delle grandi compagnie che riduce a pochissimi i porti dove faranno scalo le grandi navi portacontainer. La soluzione è non in una programmazione industriale del settore marittimo, ma nella concorrenza sfrenata fra ogni realtà produttiva, fra ogni Autorità Portuale, per attrarre nelle proprie strutture una fetta maggiore di traffico marittimo, moltiplicando in modo esponenziale le richieste di finanziamenti pubblici. E’ un aspetto tipico del modo di produzione capitalistico nella fase dell’imperialismo, moltiplicare, scaricandone i costi sul pubblico erario, unità produttive sempre più gigantesche. A questa logica non si sottraggono né l’Autorità Portuale né il Consiglio comunale di Livorno.

Ieri come oggi, i lavoratori non hanno nulla da sperare dalle grandi opere, possono contare solo sulle loro forze, sulla lotta costante e tenace per il rispetto degli accordi, dei regolamenti, dei limiti al lavoro straordinario, sulla loro organizzazione in sindacati combattivi non sottomessi ai gruppi di potere che si contendono la maggioranza nelle strutture rappresentative.

RIGASSIFICATORE

La questione rigassificatore è troppo nota per aver bisogno di essere riassunta in questa sede. Annunciato in pompa magna nell’estate del 2002, presentata ufficialmente nel febbraio 2003 con un annuncio/francobollo apparso su Tirreno e Repubblica, in modo che nessuno lo vedesse e potesse partecipare all’iter autorizzativo, il progetto è stato sostanzialmente imposto alla città, tanto che nel 2004 Giunta e Consiglio comunale violarono le regole per impedire lo svolgimento di un referendum sia pure soltanto consultivo.

opuscolo rigassificatore

Il referendum avrebbe avuto comunque il merito di far sviluppare un dibattito dove, comitati e associazioni cittadine contrarie al progetto, potevano sbugiardare tutte le fandonie e fanfaronate che i favorevoli (tutti i partiti salvo qualche rara eccezione, tutti i sindacati confederali, le associazioni padronali, in pratica tutto il “palazzo”) avevano sparato sui cittadini grazie alla compiacenza dei media locali, soprattutto del Tirreno, sempre e comunque schierato a difesa del progetto. Abbiamo dovuto sopportare stupidaggini sui grandi benefici che il gas importato dalla OLT avrebbe dato all’economia del territorio, alle centinaia di nuovi posti di lavoro, alle ricadute sul Cantiere Orlando (in quegli anni agonizzante ma ancora funzionante), alla metanizzazione della centrale ENEL del Marzocco, allo sconto sulle bollette del gas pagate dai livornesi, ecc. Tutte baggianate: il cantiere è stato chiuso come la centrale ENEL, i posti di lavoro, poche decine, non hanno avuto una ricaduta sul territorio , le bollette saranno più salate, a Livorno come nel resto d’Italia, perché, come vedremo, lo Stato si è assunto l’onere di salvare la OLT dal fallimento. Sarebbe interessante sapere che fine hanno fatto i Lamberti, i Cinuzzi, i Bussotti, i Manacorda, i Cosimi, e compagnia berciante, che hanno sparato per anni simili baggianate.

Era il 2006, quando i comitati lanciarono la parola d’ordine di un progetto dannoso all’ambiente, pericoloso per i rischi di incidente rilevante, inutile perché di gas in Italia ne stava arrivando fin troppo.

Alla fine di luglio 2013 il rigassificatore è arrivato, con tanto di strombazzamento propagandistico: ricorderemo l’inserto speciale del Tirreno, spacciato per supplemento informativo, in realtà un opuscolo pubblicitario, fatto fra l’altro pure male.

Il rigassificatore è arrivato, la OLT è apparsa come sponsor di Effetto Venezia, della regata organizzata dall’Accademia Navale, delle stagioni del Goldoni, ecc. Ha sparso un po’ di soldi che hanno fatto la felicità di pochi. Soldi nostri, come vedremo.

Il 19 dicembre 2013 il rigassificatore, dopo alcuni mesi di prove effettuate con gas procurato da uno dei soci di OLT, la tedesca E.On, è entrato ufficialmente nella fase di commercializzazione … ma non ha mai lavorato un m3 di gas! La crisi economica e l’avvento delle fonti rinnovabili hanno fatto calare a picco i consumi di gas: nel 2014 si è consumato tanto gas quanto nel 1998!

Si è così avverata la facile previsione del comitati: se, e per fortuna, il rigassificatore non ha fatto danno e non ha fatto correre rischi agli abitanti della costa e alle navi che solcano il nostro mare, si è dimostrato vero che il rigassificatore è inutile.

La logica avrebbe voluto che l’impianto venisse chiuso, forse venduto per essere riconvertito o spostato in altro paese … ma il capitale investito – si parla di 900 mln ma forse sono anche di più – andava remunerato. Ed ecco quindi arrivare il governo che lo dichiara “strategico” per la sicurezza energetica nazionale. La OLT, in questa farsa, si dice disponibile a fornire metà dei suoi, vuoti, serbatoi, per gas da utilizzare in caso di crisi: 100mila m3 di gas liquido, da utilizzare in caso di picchi di consumi. Una farsa perché come dimostrato dal Comitato contro il rigassificatore quei 100mila m3 stoccati sul rigassificatore potrebbero garantire, forse, 4 ore di consumi italiani in caso di emergenza. Una sciocchezza. Tanto più scandalosa se si pensa che gli stoccaggi italiani sono pieni al 94%, garantendo quantità ben superiori di gas, quelle si utili in caso di crisi. Tanto per comprendere la farsa inscenata per salvare la OLT: negli stoccaggi ad ottobre c’erano 11,4 mld di m3 di gas, più 4,6 miliardi di m3 di gas di riserve strategiche contro i 60 mln di m3 stoccati nei serbatoi del rigassificatore di Livorno!

Ma l’importante era dare fumo negli occhi per giustificare la sovvenzione, cioè il salvataggio. Un viceministro, tale De Vincenti (quello delle trattative per salvare la TRW e il call center …), ha parlato di 160mln di euro risparmiati grazie

allo stoccaggio della OLT. Cifre sparate a casaccio ma tanto nessuno sarebbe andato a controllare. La OLT garantisce sponsorizzazioni a destra e a manca, specie ora che ha avuto la garanzie di avere 45 mln di euro nel 2014 e 85 mln nel 2015 e per altri 18 anni. Soldi estratti da un apposito aumento sulle bollette pagate dagli italiani.

Cosa si potrebbe fare con 85 mln di euro ogni hanno investiti nel territorio?

Certamente molto di più di quanto non faccia la OLT che spanderà un pò di briciole qua e là … soldi rubati a coloro che hanno perso il posto di lavoro (28mila dal 2008 nella sola provincia di Livorno), ai precari, ai giovani in cerca di lavoro, agli anziani a cui è stata tagliata l’assistenza.

Con 85 mln di euro ogni anno si potrebbe dare un reddito decente (1200 euro al mese) a 5900 disoccupati livornesi, oppure si potrebbero finanziere le bonifiche dei siti inquinati, oppure si potrebbe rilanciare il turismo creando veramente il parco delle colline livornesi, oppure creare in città un polo per la corretta gestione dei rifiuti, si potrebbe

realizzare l’elettrificazione delle banchine con energia prodotta da impianti eolici o fotovoltaici in modo da ridurre l’inquinamento cittadino, si potrebbe rafforzare l’assistenza sanitaria anziché tagliarla. Si potrebbero fare queste e mille altre cose, tutte alternative, alle faraoniche grandi opere, spesso se non sempre inutili e dannose.

Quegli 85 mln di euro, che oggi mantengono in vita un rigassificatore che da lavoro, forse, a 50 persone, andrebbero spesi per iniziative proposte dalla città, sviluppate tramite un dibattito collettivo che abbia come centro il benessere degli individui e non di pochi imprenditori e burocrati. Le spese andrebbero decise collettivamente, ma anche andrebbe controllato collettivamente il loro effettivo utilizzo.

Un libro dei sogni?

No, se abbandoneremo ogni fiducia in chi ci ha trascinato in questa situazione ma anche in chi si è proposto come alternativa ma sta ripercorrendo le stesse strade, come la vicenda del piano regolatore portuale sta dimostrando in questi giorni

OSPEDALE

Nasce nel 2008 l’intenzione da parte del Comune e dell’ASL di dare vita ad un nuovo Ospedale. L’ASL, dopo aver ristrutturato parte del vecchio ospedale spendendo circa 100 milioni di euro, di cui la metà per il nuovo pronto soccorso, propone un nuovo polo ospedaliero delocalizzato; il piano finanziario dedicato al nuovo ospedale prevede una spesa di circa 266 milioni di euro, tra struttura ed attrezzatura interna, quasi 10 milioni solo per la progettazione e la direzione dei lavori, subito investiti.

Nel 2009, per finanziare quest’imponente opera, vengono messi in vendita: i distretti sanitari, i centri sanitari e di prevenzione, il centro di igiene mentale Frediani, le vecchie strutture di via San Francesco e via del Piave, alcuni servizi dell’attuale presidio ospedaliero di viale Alfieri e villa Graziani, la restante parte dei finanziamenti necessari, più della metà, si presuppone tramite prestiti di privati (project financing) e un ipotetico contributo della Regione Toscana.

Tra le aree candidate ad accogliere il nuovo polo vi sono: Picchianti, Archi (via di Tramontana), Carcere (zona Padula), Leccia e Scopaia, Villa Serena, RSA Pascoli. Le prime risultano essere aree soggette ad inquinamento dovuto alla vicinanza con zone industriali, a rischio esondazione, o troppo vicine ad aree come il carcere, ritenuto pericoloso. Viene inevitabilmente scelta l’area di Montenero Basso tra Villa Serena e RSA Pascoli. Si prevede la demolizione della casa di cura che ospita oltre 200 anziani e la riqualificazione dei padiglioni 4 e 5 dell’ospedale in Viale Alfieri per accoglierli, con un ulteriore spesa di circa 8 milioni e mezzo di euro.

opuscolo ospedale2

Il nuovo ospedale è pensato come una struttura monoblocco, adeguata agli standard sanitari attuali, con 440 posti letto anzichè 650 presenti nell’attuale, una diminuzione dovuta alla scelta di applicare un nuovo sistema organizzativo basato sul modello ad “intensità di cure”. Il modello ad “intensità di cure” divide in tre livelli di intensità le necessità assistenziali: alta intensità, per degenze intensive e sub intensive (rianimazione e terapia intensiva post operatoria); media intensità, degenza per acuti (area medica e chirurgica); bassa intensità, degenze per pazienti post acuti (stabilizzazione e riabilitazione). Questo modello presuppone che l’assistenza delle cronicità, della disabilità e parte della riabilitazione vengano assorbite tramite la rete assistenziale dei servizi territoriali e l’assistenza domiciliare.

Nel progetto, per costruire l’intera struttura del nuovo ospedale si prevedono solo due anni, senza sprechi nè indugi e l’inaugurazione è prevista per il 2016, poi rimandata al 2017 e infine al 2018. Si pensa subito alle possibilità di riuso della vecchia sede in Viale Alfieri, in buona parte ceduta ai privati, riconvertita in zona per edilizia residenziale, in polo scolastico/universitario, in sede di uffici e attività di gestione delle strutture sanitarie.

L’ospedale attuale realizzato nel 1931, ha una superficie lorda di circa 114 mila metri quadrati, ed è collocato al centro tra le assi est-ovest e nord-est della città, risulta ben collegato con buona parte della città, è circondato da aree libere e pubbliche, come il Parterre (ex Pirelli), che potrebbero essere riconvertite in funzione di una ristrutturazione, ma presenta numerosi problemi infrastrutturali, oltre alla necessità di un adeguamento sismico. Con il Progetto Mariotti, iniziato prima della proposta del nuovo ospedale a Montenero, si delineava una riorganizzazione della vecchia struttura alla cifra di 60 milioni di euro. Il progetto però, è stato presto accantonato insieme alla relativa documentazione, rendendo impossibile qualsiasi confronto con la nuova proposta.

Nel 2010, viene fatto un referendum abrogativo consultivo al quale si risponde “SI” se si è contrari al nuovo polo ospedaliero; un caso anomalo che per l’occasione ha fatto estendere il diritto al voto anche ai sedicenni e agli 8 472 stranieri residenti. Hanno votato il 20% degli aventi diritto, dei quali il 73% ha espresso un “SI”.

Nonostante l’accesa opposizione della popolazione, il progetto procede comunque, si realizzano i modellini e si espongono all’interno dell’attuale ospedale, la Regione finanzia il Comune con 15 milioni di euro per la costruzione della viabilità di Montenero e poi chiede al Comune di restituiglieli qualche anno dopo, quando, nel 2014, si palesa all’interno della nuova amministrazione comunale un’opposizione alla costruzione del nuovo ospedale.

La questione dell’ospedale entra nei programmi elettorali come strumento della propaganda politica, ma da nessuna parte viene fatta una concreta proposta per migliorare la sanità e la struttura ospedaliera esistente.

Adesso la Regione preme per far realizzare il progetto del nuovo ospedale a Montenero, l’amministrazione comunale si oppone apertamente, ma la sanità rimane così com’era prima del 2008. Sorgono spontanee alcune domande:

Da cosa è nata la necessità di un nuovo ospedale delocalizzato?

Perché è nata dopo l’inizio del progetto Mariotti?

Dove è finita la documentazione di questo progetto?

Che fine hanno fatto i distretti sanitari messi in vendita?

Cosa avrebbero chiesto i privati in cambio dei finanziamenti dati per il nuovo ospedale?

Perché l’area scelta tra le altre candidate, era l’unica a non essere considerata un sito particolarmente inquinato?

Come verrebbe attuata l’assistenza presupposta dal modello ad “intensità di cure” se non vi è una rete assistenziale di servizi sociosanitari territoriali, nè alcuna assistenza domiciliare adeguata?

Perché la Regione richiede al Comune i soldi dati se sarebbero comunque impiegati per il miglioramento della sanità?

Ci sono progetti per migliorare le strutture sanitarie attuali?

L’ASL, è bene ricordarlo, è prima di tutto un’azienda con una propria soggettività giuridica e un’autonomia di carattere imprenditoriale e come tale mira al profitto. Nascoste le vecchie carte e i vecchi progetti, l’azienda si è lanciata nel progetto del nuovo ospedale coprendosi con una clausola di recessione che le assicurava che nessuno dei concorrenti potesse avanzare pretesa alcuna nel caso in cui fosse stata sospesa o annullata la procedura. Per coprire un’insostenibile riorganizzazione dell’assistenza ospedaliera, l’ASL ha giustificato la delocalizzazione del nuovo ospedale, parlando di umanizzazione, urbanità, socialità, organizzazione, interattività e tanti altri bei termini che si prestano bene come decorativi di un’opera che ha fini ben diversi da quelli del miglioramento della sanità.

In realtà l’ASL con il progetto del nuovo ospedale ha espresso la volontà di limitare la sanità pubblica per dare spazio al privato, procacciando società per azioni che gestiscono a breve e lungo termine larga parte della costruzione e di quello che vi orbita intorno. Inoltre, il modello ad “intensità di cure” che viene proposto, non ha bisogno di strutture fisiche indispensabili, come è stato fatto credere e, senza i presupposti necessari alla sua applicazione, rischia di dequalificare l’assistenza sanitaria. I distretti e centri sanitari, svenduti per finanziare la grande opera, sono pochi e sovraccaricati, incapaci di sopperire al bisogno di assistenza territoriale, così come non vi è un adeguamento delle strade per i disabili e non esistono finanziamenti per l’assistenza domiciliare.

La fase di realizzazione poi, prevista in soli due anni e successivamente dilungata a sei, non è affatto plausibile, considerati i ritardi già avvenuti per precedenti strutture di minor complessità come il nuovo distretto sanitario di Salviano e l’acquario.

Il ritiro dei finanziamenti da parte della Regione, rende evidente che quei soldi, per altro solo il 5% della spesa complessiva, non sono stati dati per migliorare la sanità a Livorno ma per riattivare un settore specifico, quello edilizio, tramite la distribuzione di appalti. In questo contesto, non è importante cosa e perché si costruisca, ma che si faccia e dopo si cerchino i modi per giustificare ciò che è stato costruito. La cementificazione portata dalla costruzione di un nuovo ospedale, così come da altri grandi opere immotivate ha inoltre costi ambientali molto pesanti che non vengono menzionati. La partecipazione pubblica sbandierata da qualsiasi parte politica in carica, risulta ipotetica e irreale, soprattutto quando si tratta di tenere informata la popolazione sulle scelte politiche che potrebbero avere un impatto negativo sull’ambiente e sugli “incidenti” che continuano a succedere.

Un esempio è quello dei bidoni tossici del cargo “Venezia” avvenuto 17 dicembre 2011 al largo della Gorgona, che ha portato in mare circa 34 tonnellate di monossido di cobalto e molibedeno. L’incidente è stato reso noto ben dodici giorni dopo l’accaduto e i controlli dell’ARPAT sui bidoni rimasti sono avvenuti con un enorme ritardo.

Inutile riferirsi al miglioramento della sanità senza parlare di prevenzione se, come si è stato ammesso anche per la scelta del sito del nuovo ospedale, Livorno è una zona industrializzata con sorgenti inquinanti diffuse: l’inceneritore RSU, la raffineria ENI, il rigassificatore OLT, il Porto, la discarica Scapigliati, lo stabilimento della Solvay, ed il vento non elimina gli inquinanti ma li trasporta, anche dove non ci sono sorgenti di emissione vicine.

Come hanno evidenziato tutti i comitati che si sono opposti al progetto dell’ospedale di Montenero, la sanità ha bisogno di un miglioramento reale: si devono prevenire le malattie in una città come Livorno dove diversi studi epidemiologici hanno evidenziando un eccesso di mortalità per tutte le cause di morte e per cause specifiche legate all’esposizione agli inquinanti, fare controlli sulla salubrità dell’ambiente lavorativo, si devono ridurre le liste d’attesa, adeguare le attrezzature, rendere possibile un’assistenza domiciliare e operativi i distretti territoriali, ristrutturare l’attuale ospedale e ampliarlo nell’area dell’ex Pirelli per fornire una risposta al problema dell’invecchiamento della popolazione.

Per fare tutto quello di cui c’è bisogno non è possibile affidarsi a questa o quell’altra amministrazione politica, che come hanno dimostrato, seguono solo le logiche del profitto e del consenso.

La questione dell’ospedale è emblematica per molte questioni attuali che vengono proposte come opere moderne per standard moderni, ma sono nate per precisi interessi economici. Per queste opere si parla di milioni di euro e quando ci viene detto che i soldi non ci sono è perché qualcuno se li sta mettendo in tasca propria.

Ne sono un esempio le trivellazioni in Basilicata e in Sicilia per il petrolio, che inquinano le acque, l’aria, il terreno e di conseguenza le coltivazioni e il bestiame. l’Ilva in Puglia continua a mietere morti di cancro e continuerà a farlo anche dopo l’applicazione degli interventi ad hoc stipulati con il “Contratto Istituzionale di Sviluppo Taranto”. Il rigassificatore ormeggiato al largo della costa livornese porta ad una maggior emissione di CO2 e NO2 e il raffreddamento dell’acqua di mare con conseguente modifica dall’habitat marino. Ci sono poi i rifiuti speciali, quelli che finiscono nella terra dei fuochi e non si sa bene dove, come e se vengano smaltiti. Ricordiamo infine la TAV in Val Susa, non voluta dalla popolazione locale per i suoi dannosi effetti sul territorio, dovuti ai dissesti idrici e alla

probabile diffusione di polveri di amianto e uranio durante gli scavi, ma propagandata per pregi economici che dovrebbe ipoteticamente portare. Popolazioni e comitati si battono da vent’anni contro questo progetto, sostenuti da vasti settori politici e sociali, osteggiati dal potere politico, economico e giudiziario, che non esitano a reprimere e condannare chi contrasta lo scempio del territorio. A questa lotta come a tutte le altre che si oppongono alla devastazione ambientale e alla speculazione infrastrutturale, va tutta la nostra solidarietà.

opuscolo ospedale

NO EXPO

appello alla mobilitazione

Il Primo Maggio, giornata di lotta e di festa della classe lavoratrice, sarà in questo 2015, la giornata inaugurale della massima espressione del paradigma capitalistico del XXI secolo: la fiera espositiva Expo prende il via. Expo non è una semplice fiera, un’esposizione delimitata nel tempo e nello spazio. Expo 2015 travalica qualsiasi funzione storica, ha natura invasiva e si erige a modello, a paradigma di un sistema sociale caratterizzato da un progressivo e inarrestabile processo di privatizzazione. Privatizzazione che parte dalle speculazioni sui terreni su cui si erigono i padiglioni della fiera internazionale, si estende in modo tentacolare a vaste zone della metropoli riproducendo

meccanismi di espropriazione a discapito di settori sempre maggiori di popolazione proletaria soggetta a violenti sgomberi coatti.Expo è massima espressione di cosiddetta “grande opera”, ovvero drenaggio di soldi pubblici a solo vantaggio di soggetti privati gestori di una devastante e inutile rete veicolare e di viabilità all’insegna di cemento e catrame. La rete stradale e autostradale lombarda modificherà in modo irrimediabile il paesaggio extraurbano della regione.

Il sistema capitalistico, nella sua mortifera corsa devastatrice, ha però anche bisogno di ripulirsi l’immagine – non certo la coscienza di cui è privo – ed è per questo motivo che Expo e la stragrande maggioranza di Paesi e aziende multinazionali presenti, per questa edizione giocano la carta dell’alimentazione con toni e slogan propagandistici relativi alla volontà e capacità di nutrire l’intero pianeta.

Ne scaturisce la volontà di rappresentare un mondo pacificato all’interno del quale, nel rispetto delle gerarchie strutturali, possano convivere modalità di produzione e consumo spacciate un tempo come alternative le une alle altre, ma in realtà solo concorrenti nello stesso mercato capitalistico. Vi è quindi la possibilità di vedere multinazionali come Monsanto – maggiore responsabile di produzioni alimentari ogm – con aziende fautrici del cosiddetto mercato biologico.

Mc Donald’s e Nestlé a braccetto con Slow Food.

In questa sorta di villaggio globale i vari conflitti e contraddizioni devono essere banditi e in primis quella relativa a capitale e lavoro. I processi realizzativi e di gestione dell’evento nei suoi sei mesi devono essere laboratorio di sperimentazione legislativa e giuridica di forme di lavoro schiavizzanti. Con accordi padronali, istituzionali e sindacali si sancisce la volontà di rendere completamente asservita a

logiche di mercato – con i suoi tempi e spazi – la figura del singolo lavoratore. Lavoratore che non è più, nella sua forma contrattuale, anche soggetto collettivo ma bensì soggetto atomizzato, separato, in rapporto individuale asimmetrico con il proprio datore di lavoro, nella fattispecie, rappresentato da una agenzia di caporalato interinale incaricata di effettuare selezioni in cui, primo requisito richiesto è la propria capacità di resilienza ovvero l’adattamento alle mutevoli condizioni richieste. Il lavoro quindi non è più considerato nella sua dimensione di scambio di vendita di prestazione d’opera in cambio di

adeguato salario: con la scusa di opportunità formative attraverso collaborazioni volontarie, di stages, ecc. si torna a forme di schiavitù, il lavoro senza salario.Un esercito di forza lavoro gratuito quindi anche richiesto e ottenuto

dal mondo della formazione scolastica ed universitaria.

Questi, molto brevemente ed in sintesi, solo alcuni dei motivi per cui ribadiamo il nostro rifiuto e contrarietà allo svolgimento di Expo 2015. Un rifiuto e contrarietà che non si dovrà esaurire nel contrasto alle giornate inaugurali, ma che sia capace di disegnare un percorso altro rispetto ai diktat socio economici del sistema.

Partire da queste giornate di maggio con la propensione ad

interconnettere, a saldare tra loro, i vari scenari di conflitto

sociale: la lotta intransigente contro la devastazione ambientale con quella della salvaguardia del diritto ad un lavoro e ad un reddito degno. La volontà di anteporre una modalità di formazione dei saperi libera e critica a quella asservita alla logica d’impresa così come oggi si delinea nel mondo della scuola e dell’università, con la volontà di

ridisegnare modelli di relazione sociale alternativi a quelli imposti da culture religiose, patriarcali, gerarchiche e autoritarie.

Le anarchiche e gli anarchici della FAI invitano pertanto le realtà federate a dare la massima diffusione alle iniziative di opposizione all’Expo 2015, sia nelle e iniziative locali del Primo Maggio che in occasione dei vari appuntamenti previsti a Milano: corteo studentesco nazionale del 30 aprile; giornata di lotta internazionalista del 1 maggio con un corteo pomeridiano comunicativo in centro, attraverso i simboli esemplificativi della natura predatrice e sfruttatrice di Expo;

nei due giorni successivi azioni dirette di blocco e contrasto

all’apertura ufficiale della kermesse; proposte di mobilitazione nei mesi successivi decise in modo assembleare.

Il convegno nazionale della Federazione Anarchica Italiana – Milano 22 marzo 2015

A Livorno puoi acquistare il settimanale anarchico Umanità Nova presso le edicole di:

  1. Via Garibaldi 7,

  2. Piazza Damiano Chiesa

  3. Piazza Grande (angolo Bar Sole),

  4. l’edicola Dharma Viale di Antignano

  5. la Libreria Belforte in Via Roma 69,

  6. il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati

  7. la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20)

Opuscolo a cura del Collettivo Anarchico Libertario e della Federazione Anarchica Livornese – Aprile 2015

f.i.p. Via degli Asili 33 Livorno

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