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Strage del Moby Prince. Un appello per il 24° anniversario

da senzasoste.it

Strage del Moby Prince. Un appello per il 24° anniversario

10 aprile 1991 – 10 aprile 2015
Il 10 Aprile del 1991 la nave traghetto Moby Prince dell’armatore Onorato, partita dal porto di Livorno e diretta ad Olbia in Sardegna, entra in collisione a pochi minuti dalla partenza con la petroliera AGIP Abruzzo e viene avvolta dalle fiamme.
140 persone tra equipaggio e passeggeri persero la vita sul Moby Prince. 140 persone che furono vittime di una strage.
Non fu una fatalità. La nave traghetto Moby Prince non era in condizioni di sicurezza, infatti viaggiava con l’impianto antincendio splinter spento, con un solo radar funzionante dei tre presenti a bordo e con un’apparecchiatura radio che presentava continui cali di frequenza, problema che rese impossibile comunicare una chiara richiesta di soccorso dopo la collisione.
I soccorsi
La ricerca di verità e giustizia da parte dei familiari non ha finora trovato alcuna risposta nelle aule di tribunale. Le autorità giudiziarie decisero di procedere nei confronti di persone che avevano avuto solo un ruolo marginale nella vicenda, per reati prescrivibili, senza mai prendere seriamente in considerazione il reato di strage e senza mai andare a scavare dove stavano le responsabilità, ossia verso l’armatore e la Capitaneria.
Depistaggi, insabbiamenti, minacce, ricatti, manomissione delle prove, menzogne. In questi 24 anni chi voleva che non si facesse luce sulla strage del Moby Prince ha provato in ogni modo ad ostacolare chi ancora oggi continua a portare avanti la battaglia per la verità e la giustizia. Sono metodi ben noti, gli stessi usati per coprire le responsabilità delle stragi di stato e delle bombe fasciste. Sono gli stessi metodi usati per coprire le responsabilità di industriali, speculatori e politici che per fare affari avvelenano i cittadini e uccidono i lavoratori, una strage quotidiana causata dall’imposizione di sempre peggiori condizioni di vita e di lavoro alla maggioranza della popolazione per il profitto di pochi.
A distanza di 24 anni vicende simili continuano ad accadere: La strage di Viareggio del 2009, quando l’esplosione del gas fuoriuscito da un vagone cisterna di un convoglio ferroviario uccise 33 persone, è stata causata dalla mancanza di sicurezza sulla linea, una situazione che gli stessi lavoratori delle ferrovie avevano già segnalato; La strage del traghetto Norman Atlantic, di proprietà dell’armatore Visentini, in cui lo scorso 28 dicembre sono morte 11 persone mentre altre 19 sono risultate disperse, è stata causata dalla mancanza di sicurezza sulla nave. Il traghetto necessitava di essere riparato e viaggiava sovraccarico.
Il 10 Aprile a Livorno, come ogni anno nell’anniversario della strage del Moby Prince, nel quadro delle commemorazioni ufficiali, si terrà il corteo dal Municipio in Piazza Civica fino alla lapide dedicata alle vittime all’Andana degli Anelli.
È importante essere presenti anche quest’anno alla commemorazione in Comune e in piazza, al fianco dei familiari delle vittime.
Perché la verità e la giustizia non arrivano dalle aule di tribunale o dai vertici della politica, ma dalle lotte dei cittadini per la salute, dalle lotte dei lavoratori per la sicurezza sui posti di lavoro, dalla lotta di tutte e tutti perché fatti simili non si ripetano più.
Livorno vuole verità e giustizia
6 aprile 2015

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GRANDI OPERE, GRANDI TRUFFE: da Livorno all’EXPO

GRANDI OPERE E RICATTO OCCUPAZIONALE

La disoccupazione a Livorno e nella sua provincia è quasi il doppio della media toscana e molto superiore alla media nazionale. La disoccupazione giovanile è a livelli altissimi. La cassa integrazione è aumentata vertiginosamente: poiché la CIG è l’anticamera del licenziamento è probabile che nei prossimi anni la situazione della disoccupazione peggiorerà ancora.

“Si perde il lavoro e si perde anche la casa” non è uno slogan ma una amara realtà come dimostrano gli sfratti in continuo aumento, specie per morosità.

La popolazione diventa sempre più anziana, quindi non autosufficiente ma nell’area livornese i servizi sono minori che nel resto della Toscana e perfino che nel resto del territorio servito dall’ASL6. In una situazione talmente degradata il Comune di Livorno spende per servizi e interventi socio-sanitari meno di quanto non facciano, in media, gli altri comuni dell’ASL6 e della Toscana. Il risultato è che tanti livornesi fuggono all’estero: Livorno sta diventando terra di emigranti!

Al disastro sociale le risposte dei governi locali sono sempre le stesse. Cambiano le amministrazioni ma le ricette rimangono le solite: si sostengono le “grandi opere”, promettendo occupazione, mentre in realtà si porta avanti la politica del degrado ambientale, del saccheggio dei territori, della speculazione edilizia e finanziaria, della estorsione di risorse e reddito ai danni dei lavoratori

Dopo il fallimento del rigassificatore, costato 1 miliardo e mai messo in funzione, cercano di imporci un nuovo ospedale con meno posti letto, meno servizi e meno posti di lavoro e una Darsena Europa, progetto faraonico e inutile, dietro al quale si nascondono speculazioni immobiliari sulle aree portuali.

A Livorno, come in Val Susa per la TAV, come a Milano per l’Expo speculatori e saccheggiatori protetti dalle autorità politiche, portano avanti a tutti i costi i loro traffici per assicurarsi profitti a discapito dei lavoratori e delle popolazioni; ma ovunque si costruiscono anche forme di opposizione, mobilitazione e resistenza a queste politiche, come dimostrano le continue lotte in Val Susa e le contestazioni all’Expo, che avranno una scadenza importante il prossimo 1° maggio.

Anche a Livorno, come i comitati dimostrano, la mobilitazione contro la politica delle speculazioni sul territorio può essere portata avanti solo dal basso,

Gli anarchici sostengono che ieri come oggi, i lavoratori non hanno nulla da sperare dalle grandi opere, possono contare solo sulle loro forze, sulla lotta costante e tenace contro lo straordinario, per la riduzione dell’orario di lavoro, sulla loro organizzazione in comitati di lotta e soprattutto in sindacati combattivi autogestiti, non sottomessi ai gruppi di potere che si contendono la maggioranza nelle strutture rappresentative.

PER DISCUTERE DI QUESTO:

SABATO 11 APRILE presso Federazione Anarchica Livornese -via degli Asili 33

ore 17

presentazione opuscolo “Grandi Opere – Grandi Truffe”

interverranno F. Ponticelli e P. Masala della Federazione Anarchica Milanese sulla lotta contro EXPO 2015

a seguire dibattito

ore 20 apericena

Federazione Anarchica Livornese – Collettivo Anarchico Libertario

vol 110415

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Dichiarazione comune dell’Incontro Anarchico Mediterraneo

Dichiarazione comune dell’Incontro Anarchico Mediterraneo

Noi, anarchici, libertari e anti-autoritari, riuniti per l’Incontro Anarchico Mediterraneo (RAM), a Tunisi, il 27-28-29 marzo 2015, condanniamo gli attentati del museo del Bardo come pure la violenza delle religioni, degli Stati e della polizia.

Resteremo vigili affinché non avvenga una strumentalizzazione politica di questi avvenimenti tragici a danno delle libertà e delle popolazioni.

Noi ci opporremo all’adozione di nuove leggi liberticide che servano a giustificare la criminalizzazione dei movimenti sociali e sindacali.

Allo stesso modo, lotteremo contro ogni tentativo di servirsi di questi avvenimenti per giustificare le guerre in nome dell’«antiterrorismo».

Noi non dobbiamo aspettarci niente dai governi per la difesa delle nostre libertà.

Noi resteremo uniti di fronte all’oppressione economica, politica e religiosa.

Costruiamo la solidarietà internazionalista nel Mediterraneo e ovunque nel mondo, per l’eguaglianza sociale ed il mutuo appoggio

Incontro Anarchico Mediterraneo, Tunisi, 29 marzo 2015

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da sinistra: Presidente del Gabon Ali Bongo Ondimba , Ministro degli Esteri spagnolo Jose Manuel Garcia-Margallo, Presidente polacco Bronislaw Komorowski, Presidente francese Francois Hollande, Primo Ministro algerino Abdelmalek Sellal, and ex Primo Ministro Tunisino Mehdi Jomaa. Tunis, Sunday, March 29, 2015. 

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Tunisia: una rivoluzione ancora da fare

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La strage compiuta il 18 marzo scorso da un commando armato nel museo del Bardo di Tunisi e attribuita a gruppi islamisti è subito divenuta forte argomento di propaganda per i governi.
In Tunisia infatti buona parte della stampa ufficiale e la maggior parte dei partiti chiedono leggi sempre più severe per arginare il terrorismo e fanno appello all’unità nazionale, giustificando di fatto una possibile svolta autoritaria del governo. Domenica 29 marzo si è tenuta a Tunisi una “manifestazione internazionale contro il terrorismo” che dai media italiani è stata presentata come una riedizione della marcia contro il terrorismo dell’11 gennaio a Parigi, dopo i fatti di Charlie Hebdo. Hanno partecipato anche a Tunisi, come a Parigi, i terroristi di professione, capi di stato, governanti e ministri da vari paesi del mondo. Anche stavolta hanno marciato compatti per rilanciare la retorica della lotta al terrorismo, per giustificare la prossima guerra, magari in Libia.
Negli stessi giorni, il 28 ed il 29 marzo si è tenuto a Tunisi l’Incontro Libertario Mediterraneo, che ha visto la partecipazione di compagne e compagni anarchici da vari paesi del Mediterraneo e non solo. L’incontro, oltre a rafforzare i legami di solidarietà internazionale, ha riaffermato in questo contesto l’opposizione ad ogni forma di oppressione e violenza prodotta dalla religione, dallo stato e dal capitale, l’opposizione alla guerra e ad ogni intervento colonialista.
Sui prossimi numeri saranno pubblicate maggiori notizie riguardo all’Incontro Libertario Mediterraneo di Tunisi. Pubblichiamo di seguito un interessante articolo sulla situazione in Tunisia uscito proprio pochi giorni prima della strage del Bardo.

Articolo apparso su “le Monde Libertaire”, il settimanale della Federazione Anarchica francofona, sul numero 1769 del 12-18 marzo 2015.

Tunisia: una rivoluzione ancora da fare

L’eccezione tunisina: hanno votato, e dopo?
Nel momento in cui le solite forze progressiste – al di là di una ristretta cerchia di irriducibili – sono quasi arrivate a credere che la dittatura in Tunisia sia ineluttabile e irreversibile; mentre alcuni militanti si sono suicidati, altri sono spariti, altri si sono rassegnati o hanno cambiato casacca… Ecco che una notizia di cronaca ( il 17 dicembre 2010, venditore ambulante, Mohamed Bouazizi si è immolato dandosi fuoco) crea l’evento: il risveglio di un popolo, in apparenza acquiescente da decenni alle rispettive dittature di Bourghiba e di Ben Ali, che si solleva come un uomo solo, animato da una sola parola divenuta magica: dégage! (traducibile in “vattene”, principale slogan dell’insurrezione tunisina che il 14 gennaio 2011 ha costretto alla fuga Ben Ali, allora Presidente della Repubblica di Tunisia)
Dopo si è fatto scorrere molto inchiostro: si è parlato della “rivoluzione dei gelsomini”, di “Primavera araba” e di “eccezione tunisina”, di un caso che per contaminazione successiva si pretende aver toccato l’intero bacino del Mediterraneo, ed essersi addirittura diffuso più in là. Per molti le elezioni legislative e presidenziali di ottobre e di dicembre 2014 hanno rappresentato il coronamento di questa “eccezione tunisina”. Qual è la realtà? Dopo il rovesciamento del dittatore Ben Ali il 14 gennaio 2011, la Tunisia costituisce, in effetti, un laboratorio che resta unico nel suo genere, paradossalmente sia per le potenze mondiali e per le forze dominanti localmente, sia per il popolo che aspira al benessere sociale e alla libertà. Per i primi, la situazione costituisce terreno fertile per una nuova ripartizione del Potere (le carogne politiche locali di sinistra e soprattutto di destra – che sono numerose e diverse – si slanciano dopo la sollevazione del 2011 in una guerra fratricida per la spartizione della torta, ipocritamente pacificate in uno slogan patriottico: si è tutti Tunisia (Koulouna Tounis) – che ha preceduto un non meno demagogico: si è tutti Charlie).

Giochi e sfide di potere
In effetti le potenze mondiali che hanno sempre tenuto sotto i loro stivali l’economia tunisina operano attivamente dopo l’incertezza creata dalla caduta dei loro alleati dittatori nel 2010, per assicurarsi il mantenimento di questo paese nella barbarie del neoliberalismo del FMI, della Banca europea e della Banca mondiale, associate agli interessi dei petrodollari del Qatar e dell’Arabia Saudita.
La nuova strategia ispirata dall’ideologia americana del Grande Medio Oriente consiste, questa volta, non nel sostegno alle dittature dei paesi in via di sviluppo – come si è stati finora abituati – ma nel prendere la via democratica delle urne.
Infatti, ciò che getta un dubbio sulla credibilità delle due elezioni del 2011 e del 2014 che hanno seguito l’Insurrezione, è che gli americani e gli europei hanno incontrato a più riprese, rispettivamente e molto ufficialmente – considerando che non erano ancora al potere – sia Rached al-Ganouchi, leader del movimento islamista di Ennahda che ha vinto le elezioni della costituente del 2011, sia Beji Caïd el-Sebsi, l’attuale presidente della repubblica e leader del movimento Nidaa Tounis che ha vinto le elezioni legislative del 2014. D’altra parte i due leader, nonostante si presentino come degli avversari storici, si sono incontrati a Parigi (vedi bene!) prima di queste elezioni per negoziare amabilmente la spartizione del Potere. Non desta stupore che essi governino attualmente insieme nel sesto governo di Habib Essid (un vecchio uomo di Ben Ali), con la benedizione delle potenze occidentali che si felicitano con loro affossando il paese nei debiti. Allo stesso tempo, i beni acquisiti impropriamente dal dittatore Ben Ali e dalla sua famiglia e i suoi conti bancari continuano a fruttare in Occidente e nei paesi del Golfo in totale impunità dopo quattro anni, sotto gli occhi di tutti, compresi quelli del governo provvisorio in carica dal 2011 al 2014 ed a maggior ragione di quelli di Nidaa Tounis al comando, del quale alcuni leaders hanno servito Ben Ali sino alla sua destituzione… Allo stesso modo la Troika (nome non ufficiale della coalizione tripartitica che ha guidato la Tunisia dopo le elezioni per l’Assemblea Costituente nel 2011, composta da Ennahda, Ettakatol e Congresso per la Repubblica), il presidente Moncef Marzouki e gli attuali presidente e governo non hanno cessato di vantare i meriti degli Emiri del Qatar (che stipendiavano Marzouki) come quelli dell’Arabia saudita che protegge e ospita il dittatore Ben Ali. Un imbroglio: quelli che sono al potere dal 2011, vendono ai tunisini una fraseologia di manipolazione che nasconde i loro accordi strategici con la vecchia dittatura nel quadro dell’alternanza del potere. Già questi fatti svelano che queste elezioni costituiscono una messinscena per la divisione del potere, finalizzata a far tacere il movimento popolare, la libertà d’espressione e i molteplici movimenti sociali che non si sono arrestati dopo l’Insurrezione.

Uno Stato di polizia in convalescenza!
Pur felicitandosi che l’Insurrezione non abbia lasciato il posto ad un precipitoso ritorno delle dittature come nel caso della Libia, dell’Egitto o dello Yemen, bisogna relativizzare il successo di questa “eccezione tunisina”, tanto più che coloro che detengono il potere effettivo sia nella versione islamista (Ennahda) sia liberale (Nidaa Tounis) hanno grandi aspettative dalla legalità del processo elettorale, utile per legittimare il ritorno di uno Stato di polizia dietro una maschera di vernice democratica e di Dawlet al Mouassasset (Stato di diritto e delle istituzioni), in un paese in cui l’esercito non può giocare facilmente il ruolo di ruota di scorta della dittatura civile.
Dopo quattro anni di tergiversazioni politiche, di maneggi e di inganni, di cinque governi provvisori successivi orchestrati tutti dal presidente provvisorio della Repubblica Moncef Marzouki e dagli islamisti alla testa della Troika (composta dal Congresso per la Repubblica, da Al-Takatoul e soprattutto da Ennhada) che attraverso la propria milizia, la Lega di protezione (leggi “tradimento”) della rivoluzione, ha creato un contesto di terrore e di violenza estranea alle abitudini tunisine del conflitto nel dialogo e del dialogo per regolare i conflitti.
In un momento in cui la polizia cosiddetta nazionale è destabilizzata e convalescente dopo la partenza del suo padrone e protettore (Ben Ali), le milizie di Ennahda hanno provato a sostituirle, tanto che si parla di una polizia parallela che avrebbe ordinato gli assassinii di due leader della sinistra tunisina.
Contrariamente all’Egitto e a tutto il Vicino Oriente, l’esercito tunisino, battezzato con il giusto titolo di “il muto”, è un esercito che recluta nelle classi popolari e contadine e che storicamente è messo a margine delle decisioni politiche. Secondo alcune testimonianze il colonnello Samir Tarhouni o, per altre, il generale Rachid Ammar, sotto Ben Ali rifiutò di sparare sulla folla degli insorti. Al contrario, la polizia ha giocato, dopo l’indipendenza nel 1956, il ruolo di cane da guardia dello Stato-partito al potere. Mal pagata, la polizia traeva le sue principali risorse dalla corruzione generalizzata che imperversava, agendo in modo arbitrario. Perciò i tentativi recenti di farne una “polizia repubblicana” hanno fallito. La polizia continua a far forza, con tutto il suo peso, per nascondere la verità sugli assassinii politici durante l’Insurrezione (300 martiri), oltre che sui militanti di sinistra Mohamed Brahmi e Chokri Belaïd nel 2013, e continua a sparare con o senza ordini su coloro che resistono. Gli spari con fucili a pallettoni (Al-Rach) nel 2013 a Siliana sotto il governo dell’islamista Ali Laraaeth su dei manifestanti pacifisti e gli ultimi avvenimenti dal 6 al 10 febbraio lungo alla frontiera tra Libia e Tunisia ed in particolare a Ben Guerdenne, dove c’è stato un morto e numerosi feriti, testimoniano le violenze che la polizia continua a commettere con l’attuale governo che si considera liberale. Malgrado le dichiarazioni di certi poliziotti, al momento rappresentati in molti sindacati, di “ essere un po’ più al servizio del popolo e un po’ meno al servizio dello Stato”, e di aver pagato, essi stessi, le spese della lotta contro il terrorismo salafita dei Difensori della Fede (di Ansar al-Sharia e del partito di Al-Tahrir legalizzati entrambi dagli islamisti cosiddetti moderati di Ennahda e dai suoi Sinistri degli Interni), il corpo di polizia è in cancrena. Resta infeudato e nostalgico dell’epoca repressiva di Bourghiba e di Ben Ali e si è messo al servizio degli islamisti al potere dal 2011 al 2014. Il suo attuale cavallo di battaglia è la promulgazione di una legge contro il terrorismo, legge che gli darebbe carta bianca per prendersi apertamente gioco dei diritti dell’uomo e torturare; fenomeno che non è mai cessato, secondo Radia Nasraoui, animatrice dell’Associazione tunisina contro la tortura e difensore dei diritti dell’uomo.

Un voto per tacere e rintanarsi
È in questo contesto che hanno avuto luogo le elezioni legislative del 26 ottobre 2014, per le quali si sono recati alle urne, secondo le cifre ufficiali, il 68% degli iscritti – iscrizione volontaria e non automatica.
Ma, contando il numero di votanti potenziali e non di iscritti volontari, in realtà solamente un terzo della popolazione che può votare si è recata alle urne.
Contrariamente al trionfalismo e all’impressione di successo storico di queste elezioni che si sono svolte sotto il cappello dell’ISIE – Instance Supérieure “Indipendante” (orchestrata dalla Troika e in cui gli osservatori indipendenti non sono i benvenuti) des Elections – e che hanno registrato numerose irregolarità soprattutto in Francia, bisognerebbe in primo luogo salutare la maturità degli astensionisti maggioritari, rappresentati soprattutto dai giovani, coscienti che è stata rubata loro la loro rivoluzione e che le carogne della politica provano a sotterrarla definitivamente.
I giovani e le classi diseredate hanno capito questa grande frode delle elezioni. Essi hanno rifiutato di parteciparvi nonostante i grandi mezzi messi in campo, le intimidazioni, il ricatto del terrorismo e la campagna d’intossicazione informativa alla quale hanno tutti partecipato, ivi compresi i ranghi dei militanti – tuttavia rispettati – dell’estrema sinistra e del Fronte popolare, che ha ottenuto 15 seggi nel 2014 al Parlamento “del popolo”. Senza gettarsi nella gerontofobia, segnaliamo semplicemente che coperti dalla sfida elettorale, dal gioco democratico e della valorizzazione dell’esperienza politica anteriore, i vecchi politici tornano a mettere le mani sul potere. È risibile vedere che la rivoluzione dei giovani ha partorito il più vecchio presidente della Repubblica, Beji Caïd el-Sebsi, che ha più di 88 anni e che era un sostenitore incondizionato del dittatore Bourghiba, suo ex ministro dell’Interno ed ex-presidente del Parlamento sotto Ben Ali.

E il popolo in tutto ciò?
Per una parte importante di tunisini che aspirano al pane, alla libertà e alla dignità – le tre parole d’ordine dell’insurrezione del 17 dicembre 2010 – questa “rivoluzione” aprirebbe la strada alla possibilità di trovare un lavoro che permetta di mangiare a sazietà, di migliorare le proprie condizioni di vita, di accedere alla libertà di espressione e di organizzazione, alla felicità, alla gioia di vivere, rompendo con una società di kobi (malinconia), sopraffatta dal “guigna” (il niente). Questa malinconia e questo vuoto spingono la maggior parte della popolazione alla droga, sia essa la droga vera e propria o la droga religiosa dei capi e venditori inturbantati e sempre più travestiti che vendono – per mezzo di una jihad suicida in un caso, o di una grande jihad di militanza nei partiti e associazioni di “beneficenza” in molti altri casi – un paradiso “chiavi in mano” con le sue vergini ed il suo vino (sì ma solo nell’aldilà!) che scorre a fiotti in ruscelli inesauribili.
Quello che è grave e desolante è che pure i partiti di sinistra laici – detti civici- per non far paura ai numerosi religiosi e per non cadere nella loro trappola – hanno abbandonato quel fronte della lotta ideologica che tende a separare la società civile dalla società religiosa. Essi hanno abbandonato la lotta contro l’oppio del popolo, soddisfatti di aver ottenuto delle concessioni dagli islamisti al momento della redazione dell’attuale Costituzione. Tale Costituzione definisce l’identità della Tunisia nel suo primo articolo per il suo carattere islamico e arabo. Nonostante il riconoscimento di alcune minoranze (ebrei in particolare dal momento che non ne restano che 2000), non è ammessa trattativa nei confronti di coloro che si richiamano alle radici berbere o all’ateismo. Così come è redatta nella Costituzione, la libertà di coscienza seppure menzionata non sembra comprendere queste ultime situazioni e coloro che fanno richiamo ad esse rischiano la vita, minacciati dai boia dello Stato e dagli islamisti.

Aspettando Godot
Questo soggetto, seppur essenziale nel progetto di società che si vuole costruire, non riguarda in realtà che una minoranza di difensori dei diritti dell’uomo. La maggior parte dei tunisini sono ottenebrati, a ragione, dal potere d’acquisto in discesa, dai beni di prima necessità in rialzo, dalle cure che non possono più pretendere, dalle abitazioni che mancano, dalle scuole insalubri in cui mancano insegnanti e mezzi per farle funzionare, dall’analfabetismo di ritorno allarmante, dai record dei tassi di disoccupazione soprattutto tra i diplomati, dal terrorismo in piena effervescenza sulla montagna di Chaambi e altrove, da un paese divenuto un vero immondezzaio a causa della crisi dell’incenerimento dei rifiuti e l’assenza di una politica comunale (le elezioni municipali sono rinviate alle calende greche), dal veleno dei prestiti condizionati dall’applicazione delle riforme strutturali del FMI e che sta conducendo il paese sulle orme della Grecia.
Questo forte peggioramento delle condizioni di vita ricorda ai tunisini che non sono mai caduti così in basso, pure sotto la dittatura. Ma chiama anche a risollevarsi per una nuova insurrezione che dovrà trasformarsi in rivoluzione per non ripetere una storia sfortunata. La libertà di espressione – unica palpabile conquista dell’Insurrezione – e la liberazione dei tunisini dalla paura dei tiranni e delle classi dominanti, associata alle condizioni sopracitate, favoriscono la radicalizzazione del movimento sociale e la trasformazione del tentativo in successo. La radicalizzazione significa l’adozione di una politica realista, non quella del Fronte popolare che predica un capitalismo di Stato nazionale ma quella che domanda l’impossibile: l’autogestione dell’economia e l’autorganizzazione del popolo come nella Comune di Parigi, permettendo a ciascuno di essere responsabile di se stesso secondo i principi del mutuo appoggio kropotkiniano e del mutualismo e del federalismo proudhoniani.
Per questo, mi sembra importante uscire dal quadro statale delle lotte e di porre l’immaginazione al potere, al cuore di un sistema per una educazione libertaria che venga messa in atto dalle forze progressiste del paese, rispettando le loro differenze. Gli autori di queste prospettive sono principalmente i disoccupati, i giovani e i pezzenti delle contrade dimenticate dell’interno e delle città povere, associati alle correnti radicali del sindacalismo operaio (UGTT) e studentesco (UGET), ai movimenti di difesa dei diritti dell’uomo (LTDH), alle associazioni degli avvocati, alle associazioni della società civile, ai giornalisti indipendenti e agli intellettuali funzionali. Sembra che in Tunisia si siano raggiunte condizioni che rendono urgente un coordinamento libertario e pacifista che accompagni e aiuti queste forze a impegnarsi per una trasformazione reale della vita.

WAHED

 

Articolo pubblicato su Umanità Nova

A Livorno puoi acquistare il settimanale anarchico Umanità Nova presso le edicole di Via Garibaldi 7, Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via Roma 69, il bar Dolcenera all’angolo tra Via della Madonna e Viale degli Avvalorati e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20)

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“LIBERE, FIERE, RIBELLI!” contro i ruoli imposti, per l’autodeterminazione – Iniziativa del Collettivo MIO IL CORPO, MIA LA SCELTA

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Sabato 14 marzo, al Refugio. (Scali del Refugio 8, Livorno)

Iniziativa del Collettivo MIO IL CORPO, MIA LA SCELTA.
“LIBERE, FIERE, RIBELLI!”
contro i ruoli imposti, per l’autodeterminazione
ore 18 – dibattito “Riaffermare l’autodeterminazione delle scelte sessuali, economiche e di vita”
ore 19 – contributo di Giacomo Sini, di ritorno dal Kurdistan, sulla lotta delle donne curde
ore 20 – apericena
ore 2130 – spettacolo teatrale “La gabbia di carne”, con Valentina Ghetti
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ASSEMBLEA – DISOCCUPAZIONE: LA SOLUZIONE È NELLE NOSTRE MANI!

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DISOCCUPAZIONE: LA SOLUZIONE È NELLE NOSTRE MANI!

Licenziamenti collettivi aumentati del 37,9 per cento nel 2014.

Sempre più livornesi emigrano per trovare un lavoro.

Lavoratori ingannati, dalle truffe di imprenditori, politici e sindacalisti.

E’ un disastro sociale, che si aggiunge al disastro ambientale; è un disastro che coinvolge i lavoratori, i disoccupati, tutti i cittadini.

Il cambio di amministrazione non ha cambiato la condizione dei ceti popolari.

I veri responsabili di questo disastro non hanno pagato niente: politici, amministratori, capitalisti, che si sono spartiti i finanziamenti pubblici e i guadagni delle speculazioni, lasciando miseria e inquinamento.

Oggi politici e speculatori si fanno avanti con le loro promesse, cercano di convincere lavoratori e disoccupati a sostenere i loro affari. Si parla di grandi opere alla livornese, che dovrebbero risolvere il dramma della disoccupazione. Si parla di aree industriali oltre la Variante Aurelia, del nuovo ospedale, della Darsena Europa.

Sono la replica di quelle grandi opere, dalla TAV, al MOSE di Venezia, all’Expo di Milano, che hanno devastato il territorio, dilapidato miliardi di denaro pubblico a vantaggio delle consorterie tra politici e speculatori, e non hanno creato nessun posto di lavoro.

Quale occupazione può dare a Livorno questa politica lo dimostra il rigassificatore: dopo tante chiacchiere, questa opera inutile, dannosa e pericolosa che è già costata tanti soldi alla collettività, continua a pesare attraverso le bollette sulle nostre tasche, mentre non ha inciso sulla disoccupazione.

Gli sfruttati possono combattere la disoccupazione non legandosi a questa o a quella clientela, a questo o quel gruppo affaristico e politico, ma organizzandosi per migliorare le proprie condizioni di vita.

Precari, sottoccupati, disoccupati uniti contro lo sfruttamento, per mezzo dell’autorganizzazione e l’azione diretta.

Sabato 28 febbraio, alle ore 17,00

Assemblea cittadina

presso la Federazione Anarchica Livornese

Via degli Asili 33

 

Collettivo Anarchico Libertario

Federazione Anarchica Livornese

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CENA + CONCERTO “…Ricordi sbocciavan le viole…”

sbocciavan le viole

 

…Ricordi sbocciavan le viole…


Ricordando Faber

Canzoni di Fabrizio De Andrè

Cantanti
Maria Torrigiani, Stefano Ilari, Annamaria Contesini Marco Pellizzon, David Mancini Mancio, Iris Paoletti

Musicisti
Andrea Cattani (viola), Marco Del Giudice (chitarre)
Davide “Dado” Loi (chitarre), Andrea Pellegrini (pianoforte), Massimo Orofino (basso elettrico), Dario Del Giudice (batteria)

SABATO 14 FEBBRAIO

presso la FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE – Via degli Asili 33

ORE 20 Cena sociale prenotare 3339861219 / 3395041220

ORE 22 Concerto

FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

COLLETTIVO ANARCHICO LIBERTARIO
collettivoanarchico@hotmail.it – http://collettivoanarchico.noblogs.org/

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Carrara: con l’Assemblea Permanente, per l’autogestione popolare

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riceviamo e pubblichiamo:

Carrara: con l’Assemblea Permanente, per l’autogestione popolare

Dall’8 di novembre del 2014, a seguito dell’alluvione che ha investito il territorio di Carrara e della constatazione dei danni causati dalla rottura dell’argine del Carrione, in cui evidenti risultano essere le responsabilità degli amministratori con a capo il sindaco Zubbani, un’Assemblea Permanente di cittadini ha presidiato la Sala di Rappresentanza del Comune, e con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica intorno all’accaduto ha organizzato una serie di incontri e dibattiti rivendicando fra l’altro a gran voce le dimissioni del sindaco e dell’intera giunta comunale.
Il 27 di gennaio 2015 il sindaco, che ha mal digerito sin dal primo momento la “intrusione” dei cittadini nella controinformazione sugli affari amministrativi, servendosi di un atto di mera forza “giustificato” con l’emanazione e l’esecuzione di un’ordinanza, ha imposto lo sgombero della Sala.
L’esperienza singolare di partecipazione diretta dal basso vissuta da Carrara con gli incontri ed i dibattiti pubblici organizzati dall’Assemblea Permanente in questi circa tre mesi non potrà di certo essere fermata da un’ordinanza di sgombero.
La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana manifesta tutta la sua piena solidarietà a questa singolare esperienza ed auspica che si possa nel tempo consolidare con l’obiettivo di creare le basi per un’autogoverno del territorio che stimoli sempre di più i cittadini a rifiutare le decisioni dall’alto ed a lottare e mobilitarsi in prima persona per una risoluzione alternativa delle problematiche di natura sociale.
Commissione di Corrispondenza della FAI

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Abbiamo vinto oggi a Kobane, vinceremo domani in tutto il Kurdistan!

azadi

riportiamo il comunicato del gruppo anarchico DAF di Istanbul tradotto dalla Commissione Relazioni internazionali della FAI.

Abbiamo vinto oggi a Kobane, vinceremo domani in tutto il Kurdistan!

Per 130 giorni, il cuore della Rivoluzione del Rojava ha continuato a battere a Kobane.
Per 130 giorni, la gente ha resistito per la sua vita attraverso l’autorganizzazione e la volontà.
Per 130 giorni, le donne hanno portato avanti la lotta per la libertà.
Per 130 giorni, e non solo a Kobane e a Suruc, ma ovunque e chiunque in questa regione si è sollevato. I confini sono stati demoliti e la solidarietà ha unito tutti.
Per 130 giorni, Kobane ha accresciuto la speranza, non solo contro l’ISIS ma anche contro Assad, l’UE e la Repubblica Turca, contro i media che ripetavano “Kobane cadrà”, contro il capitalismo e lo stato.
Dopo 130 giorni, il popolo resistente è libero.
Kobane ha resistito per 130 giorni contro confini che dividevano le vite, contro assassini che distruggevano le vite, bande create dagli stati. Le terre libere di Kobane hanno fatto nascere la resistenza, fiorire la speranza, iniziare una nuova vita.
La vittoria della resistenza è sorta oggi dalla collina di Mistenur, Mekteba Res e Memite, e Kania Kurda.

Oggi le bande che gli stati hanno creato per i loro interessi scappano via dalle rovine che loro stessi si sono lasciate dietro a Kobane.
Mentre l’eco della vittoria della resistenza rieccheggia per le strade libere di Kobane, la convinzione della libertà sorge dalle stesse rovine nelle strade.
Come diceva il compagno Durruti ” Non abbiamo paura delle rovine”. Oggi e domani, a Kobane e in ogni altro luogo, noi sappiamo che una nuova vita può sorgere dalle rovine.

Biji Serketina Kobane!
Lunga vita alla vittoria di Kobane!

DAF-Devrimci Anarsist Faaliyet

(Azione Anarchica Rivoluzionaria)

 

qui sotto foto dalle manifestazioni di oggi a Istanbul

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Lunga vita alla vittoria di Kobane!

LUNGA VITA ALLA VITTORIA DI KOBANE

Le forze delle YPG e YPJ hanno preso il controllo della zona di 
Kaniya Kurda, dopo duri e lunghi scontri. Kaniya era l'unica zona 
di cui l'ISIS aveva assunto il controllo. Le forze dell'ISIS sono 
circondate dalle forze delle YPG-YPJ nella zona di Miktel, 
stando alle notizie che arrivano da Kobane

L'annuncio della vittoria sarà dichiarato domani.


azadi

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