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Manifestazione contro l’omofobia: “Comportamenti gravi da parte della Questura”

da: senzasoste.it

omofobia controveglia













Manifestazione contro l'omofobia del 14 settembre
foto: Giacomo Bazzi

Manifestazione contro l’omofobia: “Comportamenti gravi da parte della Questura”

Vogliamo denunciare la grave situazione venuta a crearsi in città nella serata di domenica 14 settembre. Alcuni singoli cittadini che si stavano recando in Piazza San Jacopo per partecipare ad una manifestazione regolarmente autorizzata in risposta alla veglia omofoba che si teneva alla Terrazza Mascagni sono stati fermati da esponenti di Polizia e Digos che, senza fornire alcuna motivazione, hanno richiesto documenti e proceduto a identificazioni che si sono protratte trattenendo le persone fino ad un’ora.

Questo si è verificato nei pressi del circolo Astra, in via Montebello, in borgo San Jacopo, ma anche all’uscita del casello autostradale. Nei pressi dell’Astra è stato addirittura impedito il transito pedonale sul marciapiede a chiunque procedesse in direzione mare. Il lungomare è stato di fatto militarizzato con posti di blocco al Cantiere e ai cimiteri della Misericordia. Oltre al notevole disagio generale e alle difficoltà di libera circolazione, vogliamo sottolineare che ad alcuni cittadini segnatamente è stato impedito di raggiungere il luogo della manifestazione, con gravissimo attacco al diritto di espressione.

Tutto questo è avvenuto mentre dalla Terrazza uno sparuto gruppo di manifestanti omofobi, ben protetti dalle forze dell’ordine e da personaggi che si aggiravano sul lungomare con fare intimidatorio, lanciavano messaggi inequivocabili di intolleranza, di discriminazione e di odio. Per garantire l’espressione delirante di questi soggetti, il questore aveva vietato nella giornata di sabato che la manifestazione contro l’omofobia si tenesse alla Terrazza, spostandola in piazza San Jacopo, nel tantativo di depotenziarla e farla fallire.

Fortunatamente la partecipazione numerosa e vivace alla contromanifestazione di Piazza San Jacopo, con il corteo spontaneo, la diffusione di volantini, l’affissione di striscioni sul lungomare e lo spettacolo improvvisato davanti all’hotel Palazzo, ha dato una risposta ferma, decisa e condivisa da molti passanti, all’insegna della libertà, rispetto al clima di violenza che omofobi e forze dell’ordine hanno cercato di instaurare.

Invitiamo tutti quanti a solidarizzare contro queste aggressioni e a ribadire con forza la libertà di espressione e manifestazione in difesa dell’autodeterminazione.

Livorno, 17 settembre 2014

Mio il corpo Mia la scelta

Centro Politico 1921

Collettivo Anarchico Libertario

Communia Livorno

Ex Caserma Occupata

Federazione Anarchica Livornese

Sinistra Anticapitalista

Posted in Generale, Repressione.

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Oltre i muri del nazionalismo e della guerra

bask2014

Oltre i muri del nazionalismo e della guerra

Comunicato dei partecipanti all’ottava edizione della Balkan Anarchist Bookfair

È chiaro che il nazionalismo è uno strumento utilizzato contro le classi sfruttate. Nei Balcani, (specialmente nella regione della ex-Yugoslavia) l’ascesa dell’ideologia nazionalista negli anni ’90 ha reso possibile il brutale attacco capitalista contro la società. Ha inoltre atomizzato la popolazione e distrutto le reti consolidate di cooperazione e solidarietà.

L’esigenza di combattere l’ideologia nazionalista da una prospettiva radicale e antiautoritaria ci ha riuniti a Mostar il 5 ed il 6 settembre 2014, per l’ottava edizione della Balkan Anarchist Bookfair. Veniamo da Bosnia e Herzegovina, Croazia, Serbia, Slovenia, Albania, Romania, Grecia e da altri stati al di fuori dell’area dei Balcani.

In nessun luogo come a Mostar la natura del nazionalismo è tanto chiara, una città divisa in due, con i segni della brutalità del tempo di guerra ancora visibili nelle strade della città.

È essenziale realizzare che questa divisione non è la causa della guerra, ma la conseguenza delle guerre e delle ideologie nazionaliste create dalla classe dominante.

Questo era chiaro ai manifestanti di Tuzla che hanno scritto sui muri “Morte al nazionalismo” come ai manifestanti a Mostar che hanno ridotto in cenere le sedi centrali di entrambe i partiti nazionalisti durante il movimento dello scorso febbraio.

Ancora una volta, in altre parti del mondo, sulla stessa linea vengono creati nuovi nazionalismi e conflitti con conseguenze prevedibili.

Molti in Ucraina oggi pensano di dover rispondere alle false scelte di guerra poste dagli stati e dalle multinazionali (tra loro anche alcuni anarchici e “anarchici” [1]). Noi, tuttavia, affermiamo che il nazionalismo è sempre una ideologia che riproduce lo Stato, un sistema di repressione e sfruttamento, e che contrappone gli sfruttati e gli oppressi gli uni contro gli altri. Oggi vediamo in Ucraina lo stesso meccanismo che era utilizzato anche nelle guerre nella ex-Yugloslavia: il nazionalismo è lo strumento di coloro che detengono il potere per spingere la gente in guerra per gli interessi del capitale. Come anarchici ci siamo opposti ad ogni sforzo bellico nella ex-Yugoslavia attraverso una solidarietà che continua fino ad oggi. Lontani dal pacifismo liberale o dall’ossessione per le armate guerrigliere della sinistra nazionalista, la nostra lotta non prenderà mai le parti delle politiche militariste e di distruzione su cui sono fondati tutti gli stati.

Contro nazionalismo, militarismo e guerra! Contro tutti i governi e gli stati! Per la solidarietà e l’autonomia!

___________________________

[1] Dai nazionalisti anti-coloniali di “Mlada Bosna” della Sarajevo del 1914, influenzati dall’anarchismo, fino al caso specifico dei “posers” come il gruppo “anarco”-nazionalista “Slobodari” della Sarajevo del 2014, ogni tentativo di combinare l’anarchismo con il nazionalismo ha mostrato che semplicemente il risultato è: nazionalismo. “Slobodari”, sono un piccolo gruppo di Sarajevo che si spaccia per anarchico ma che è in contatto con i nazisti ucraini (i cosiddetti autonomi nazionalisti “Resistenza Autonoma”). Hanno molti siti, che creano molta confusione, incluso un sedicente sito della “Balkan anarchist black cross”. Maggiori informazioni qui:

http://www.sabotagemedia.anarkhia.org/2014/03/on-self-styled-libertarians-and-antiauthoritarians-from-bosnia/

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GUERRA E SITUAZIONE INTERNAZIONALE dibattito+aperitivo+proiezione

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GUERRA E SITUAZIONE INTERNAZIONALE dibattito+aperitivo+proiezione

 

SABATO 20 SETTEMBRE
presso la Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33

ORE 17
DIBATTITO SULLA SITUAZIONE INTERNAZIONALE
Con particolare attenzione alla guerra in corso in Iraq e in Ucraina e al ruolo degli anarchici contro la guerra.

ORE 20:30
APERITIVO

ORE 21:30
“Ucraina in fiamme”
Documentario sulla situazione ucraina
di Giacomo Sini
proiezione e dibattito

proiezione e dibattito

Gli ultimi anni hanno segnato profondamente il bacino del mediterraneo, l’europa e il medio oriente.

Sollevazioni di massa, nuove dittature, ascesa di forze politiche autoritarie e oscurantiste, disoccupazione e attacco padronale contro la classe lavoratrice, nuove guerre e conflitti regionali che si estendono ad aree più vaste.

La contesa del mondo tra le potenze dà luogo a scontri sempre più diretti. È questo il caso della Libia, della Siria, dell’Ucraina, dell’Iraq.

Ancora una volta possiamo vedere come la guerra sia il principale strumento dei governi per attuare le proprie scelte politiche ed assicurare il proprio potere. I governi, gli apparati dello stato, la borghesia, le caste militari ed ecclesiastiche non solo vogliono la guerra, ma la stanno già facendo. Guerra interna, contro gli sfruttati e contro il dissenso, attraverso il controllo sociale, la militarizzazione del territorio, la repressione. Guerra esterna, con interventi militari che vanno ad inserirsi nello scontro tra le potenze imperialiste.

La narrazione mediatica ci descrive uno scenario internazionale catastrofico e indecifrabile, nel quale l’unica speranza è costituita dal bombardamento o dall’invasione di qualche paese da parte della coalizione di turno. Un ritornello che da una parte terrorizza e crea allarme, arrivando a parlare di “terza guerra mondiale”, mentre dall’altra banalizza e normalizza la guerra stessa, spingendo ad accettare ogni nuova avventura militare e le sue conseguenze, compresi i sacrifici che tali avventure comportano per i lavoratori.

I conflitti attualmente in corso in Ucraina e nella regione compresa tra Iraq e Siria sono i campi di battaglia in cui lo scontro tra le potenze avviene in modo più diretto. In Ucraina ormai da mesi è in atto una guerra civile in cui la contrapposizione tra gli interessi imperialistici di USA, Unione Europea e Russia, si sovrappone alla lotta di potere interna alla borghesia e alla classe dirigente ucraina. Nella regione medio orientale, dal 2011 in Siria si combatte una guerra civile d’interesse globale, che ha visto l’attiva intromissione politica e militare di USA, Francia, Turchia, Iran, Russia, Qatar e non solo. Negli ultimi mesi la guerra in Siria si è estesa a livello regionale, con combattimenti in gran parte dell’Iraq e facendo precipitare la situazione in Libano. L’esercito dello Stato Islamico (ex ISIS), forza che ha avuto un ruolo determinante nell’estensione del conflitto, è uno dei tanti prodotti delle ingerenze imperialiste nella guerra siriana, in particolare della politica di destabilizzazione condotta, seppur con metodi e obiettivi diversi ed anche contrastanti da USA, Turchia e Qatar.

Ma in queste regioni di guerra, in Ucraina come in Iraq e Siria, c’è anche chi cerca di opporsi al massacro, alla guerra. Ci sono anarchici, internazionalisti, rivoluzionari che non si lasciano ingannare dalla propaganda di guerra della potenza di turno ma che cercano in questi difficili contesti di sostenere l’unità di classe, le forme di autogestione e di autorganizzazione, coscienti che la guerra, come ogni involuzione autoritaria non può che essere un ostacolo non solo ad un processo rivoluzionario ma a qualsiasi forma di emancipazione sociale.

In questo contesto riteniamo sia importante riaprire un dibattito partendo dall’internazionalismo, dalla solidarietà di classe e dall’antimilitarismo.

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Collettivo Anarchico Libertario

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CONTRO OGNI OMOFOBIA

Nonostante la limitazione della libertà di manifestare imposta dal questore di Livorno a tutti coloro che lottano contro ogni discriminazione, nonostante la militarizzazione di tutto il lungomare, nonostante i controlli pretestuosi operati dalla polizia, che ha bloccato molte persone che volevano unirsi alla manifestazione contro l’omofonbia organizzata in Piazza S. jacopo in Acquaviva, ieri tante tantissime persone hanno manifestato affermando la libertà contro ogni oscurantismo.

Volantino distribuito ieri sera lungo il Viale Italia,  per contestare la veglia dei fascisti tradizionalisti di Manif pour tous.

 

CONTRO OGNI OMOFOBIA

La manifestazione omofoba promossa da un’associazione per la difesa della famiglia tradizionale e sostenuta dalla gerarchia clericale, dalla destra più retriva e dai fascisti rappresenta una provocazione per la nostra città.

La cosiddetta famiglia tradizionale è basata su una rigida gerarchia e sulla subalternità della donna, che sopperisce alle esigenze della riproduzione sociale. L’attacco economico e politico portato avanti in questi anni ai servizi sociali, all’assistenza, alla sanità, alla scuola, riporta all’interno della famiglia quei servizi che dovrebbero essere a carico della società, rafforzando ancora di più il ruolo dell’istituzione familiare tradizionale e l’ingiustizia sociale che essa rappresenta, basata sul sessismo e sulla gerarchia dei generi ben definiti nei loro ruoli. Ecco dunque che qualsiasi volontà di creare legami di affetto e di solidarietà che sfuggano all’impianto della famiglia tradizionale o che non siano riconducibili alla identificazione rigida dei ruoli legati al genere rappresenta qualcosa di incontrollabile, che sfugge al dominio e che va represso. Per questo motivo dietro alle campagne per la difesa della famiglia tradizionale troviamo razzismo, omofobia, fascismo.

Un ruolo particolare, nella difesa della famiglia tradizionale, è svolto da sempre dalla Chiesa cattolica, struttura gerarchica, retriva ed oscurantista, ostile a qualsiasi istanza di autodeterminazione. Da qualche tempo anche a Livorno assistiamo alla volontà della curia vescovile di dar voce alle istanze più tradizionaliste e retrive, spesso contigue ad ambienti neofascisti: a Livorno, con il consenso del vescovo si svolgono cerimonie dei cattolici tradizionalisti (ricordiamo la processione a Montenero del 2009 propagandata anche da Forza Nuova); nelle scuole pubbliche, per volontà della curia, è stata ripristinata la presenza dei preti per l’insegnamento della religione; i continui interventi del vescovo sulla politica cittadina e internazionale sono caratterizzati da toni aggressivi, mentre nelle gerarchie religiose assume sempre più potere Comunione e Liberazione, di cui un noto esponente si è candidato alle ultime elezioni amministrative sostenendo Nogarin al ballottaggio.

Quindi, se gli omofobi decidono di fare una comparsata a Livorno, se la questura vieta manifestazioni di protesta contro una presenza che è un’evidente provocazione questo può avvenire perchè nella nostra città c’è un terreno favorevole alle forze oscurantiste e reazionarie. E’ dunque quotidianamente che va svolta la battaglia contro la restrizione di qualsiasi espressione di dissenso, contro i blocchi di potere più o meno evidenti, per l’affermazione della libertà e dell’autodeterminazione, nelle relazioni sociali come in quelle personali, che devono essere libere da vincoli legali e da pregiudizi, per la costruzione di una società nuova, dove non sia presente nessuna forma di oppressione, economica, politica o
religiosa.

NÉ DIO, NÉ STATO, NÉ FAMIGLIA!

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“La guerra lampo dei Fratelli Marx” aperitivo+proiezione

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“La guerra Lampo dei fratelli Marx”

“non se ne può più di questa guerra”

 

Giovedì 4 settembre

presso la Federazione Anarchica Livornese in Via degli asili 33

 

ore 20 :30 Aperitivo

ore 21:30  “La guerra lampo dei Fratelli Marx”

di L. Mc Carey, 1933

 

Federazione Anarchica Livornese

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Comunicato sull’aggressione israeliana a Gaza

resistenza

“Resistenza”

COMUNICATO SULL’AGGRESSIONE ISRAELIANA A GAZA

Abbiamo assistito con orrore all’aggressione delle forze armate israeliane a Gaza, con il seguito di stragi fra i civili. Questa aggressione, tra le altre cose, è diventata occasione di polemica nella sonnolenta politica livornese agostana.

Durante “Effetto Venezia” è stato esposto, sul muro dell’ex-carcere dei Domenicani, uno striscione con scritto “Fermare il genocidio a Gaza, Israele vero terrorista”; questa esposizione ha provocato numerose prese di posizione, fra cui quella del presidente della Comunità ebraica livornese, Vittorio Mosseri, e quella dell’ambasciatore dello stato d’Israele in Italia.

La lettera di Mosseri, indirizzata al sindaco di Livorno, ha espresso i soliti luoghi comuni della propaganda del governo Netanyahu a giustificazione della propria politica di aggressione e di sterminio della popolazione di Gaza, attribuendo posizioni antisemite a chiunque critichi le scelte dello stato di Israele, e trasformando in sostenitore di Hamas chiunque conservi un minimo di umanità e provi sdegno per le stragi compiute a Gaza. La lettera si concludeva facendo appello al sindaco “per una presa di posizione che elimini qualunque voce di odio e conflittualità”. Abbiamo rilevato come siapericolosa la pretesa che il potere politico operi per eliminare ogni voce conflittuale: la società in cui viviamo è conflittuale, per questo gli anarchici operano per cambiarla. Tentare di soffocare le voci conflittuali non elimina il conflitto ma, come in Palestina, rende solo più violenta la sua manifestazione.

E’ inoltre difficile da comprendere perché il presidente di una comunità religiosa si sia sentito di dover difendere degli amministratori politici, espressione di una destra becera ed estrema come quella che sta governando lo stato di Israele, protagonisti e colpevoli delle stragi che si compiono a Gaza.

In tutto il mondo sono moltissime le voci di protesta contro questa guerra unilaterale, portate avanti anche dagli stessi cittadini israeliani, come dimostrano, oltre ad Anarchici contro il Muro e ad altri gruppi di attivisti, i numerosi refusnik, come dimostrano le migliaia di partecipanti alla manifestazione di Tel-Aviv, contrari alle politiche di sterminio di massa di quel governo.

La lettera dell’ambasciatore israeliano in Italia, ha ripetuto, ovviamente, sia pur con toni diversi, le considerazioni di Mosseri. Resta comunque il fatto, che noi riteniamo irrituale, di un rappresentante di uno Stato estero che interviene direttamente e pesantemente nel dibattito politico cittadino, rivolgendosi al sindaco.

Il sindaco di Livorno, dopo aver risposto in un primo tempo, alla lettera del presidente della Comunità ebraica chiedendo che questa “si unisse convintamente al nostro appello per una tregua”, ha goffamente cambiato registro, arrivando addirittura a definire “violento” il messaggio contenuto nello striscione. Un’accusa, quella di violenza, sempre più diffusa da parte delle istituzioni e dei maggiori organi d’informazione nei confronti di chi non condivide la propaganda istituzionale e addirittura ha l’ardire di esprimere il proprio pensiero. Un’accusa, quella di violenza, che viene da chi usa il manganello per risolvere i problemi sociali, l’emergenza ambientale e imporre la devastazione e il saccheggio dei territori. Nogarin ha fatto presto ad adeguarsi allo stile dei politici più navigati.

Dopo un’iniziale soprassalto di sdegno di fronte alle stragi di civili, le varie componenti del ceto politico istituzionale locale, delle associazioni politiche, culturali e sindacali ad esso collegate si ricompattano attorno ad una “equidistanza” fra le parti in conflitto, ed una sostanziale accettazione dell’impostazione del presidente della comunità ebraica e dell’ambasciatore israeliano, mascherata da un generico e impotente appello alla pace.

Abbiamo seguito con attenzione l’evolversi sia dell’aggressione israeliana nei confronti della popolazione di Gaza, sia della politica internazionale, sia della politica locale.

L’ennesima aggressione israeliana contro Gaza si concluderà probabilmente quando le forze armate israeliane avranno esaurito la scorta di munizioni, senza un nulla di fatto, perché Hamas continuerà a governare la Striscia, e il governo israeliano sarà pronto a rispondere con crudeli rappresaglie ad ogni uscita offensiva dei palestinesi; ci sarà “solo” qualche migliaio di civili assassinati in più, quelli che le gerarchie militari chiamano “danni collaterali”. Quanto è avvenuto in questi anni a Gaza dimostra che la soluzione “ due popoli, due stati” non elimina la minaccia di guerra. Ogni Stato non è che l’organizzazione della classe privilegiata per mantenere soggetta, tramite il monopolio della forza, la popolazione, per sfruttarla e costringerla a fare ciò che vuole chi controlla lo Stato. E un nuovo Stato palestinese non sfuggirebbe a questa logica, come ha dimostrato tutta la storia dell’OLP. Non solo: i due stati troverebbero la loro ragion d’essere nel mantenimento di una tensione reciproca, che periodicamente sfocerebbe in conflitti armati. L’abolizione degli stati è la premessa indispensabile della pace: lo stato di Israele, con il suo spropositato apparato militare e repressivo, va quindi abolito, così come l’Autorità Nazionale Palestinese, e sostituiti entrambi da una federazione di comunità disarmate.

La situazione politica in Palestina non è più quella degli anni ’70 del secolo scorso, quando la presenza di componenti di sinistra dell’Olp alimentava la speranza che una vittoria della lotta di liberazione palestinese potesse portare ad un’evoluzione in senso socialista; oggi questa evoluzione è possibile solo col rovesciamento della dirigenza dell’Olp e di Hamas, che può venire solo dalla sconfitta militare, cosi’ come solo la sconfitta militare può portare al rovesciamento dell’attuale governo israeliano. La situazione del resto è chiara: Hamas e’ sostenuta dal Qatar, dagli Emirati Arabi Uniti e dalla Turchia, tutti e tre alleati o membri della NATO; la partita che si sta giocando oggi in Medio Oriente e’ quindi evidentemente truccata.

La nostra posizione non è di neutralità o indifferenza tra i due contendenti: la pace può essere veramente una soluzione, ma per raggiungerla c’è bisogno di sconfiggere quelle classi dirigenti, palestinesi e israeliane, che della prosecuzione della guerra fanno la base del proprio potere; il pacifismo assoluto degli anarchici si accompagna all’internazionalismo proletario e al disfattismo rivoluzionario, cioè a quella pratica concreta di azioni in contrasto della guerra, pratica che nasce dal rifiuto di ogni patriottismo e di ogni gerarchia statale e militare.

La ricerca di soluzioni per le popolazioni del settore mediorientale e di altri contesti internazionali tormentati dalle guerre deve comunque necessariamente tradursi anche in concrete iniziative per la pace da condurre in Italia, per contrastare in senso antimilitarista ed internazionalista quelle misure del governo che si inseriscono, come in un gigantesco puzzle, nel controllo imperialistico del Medio Oriente: l’operazione “Mare Nostrum”, la base MUOS di Niscemi, l’acquisto degli F-35, la vendita di armi alle forze armate israeliane sono occasioni per una lotta concreta contro la guerra e contro l’impegno militare del governo italiano

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Mai più vivere come schiavi!

mai più vivere come schiavi

MAI PIU’ VIVERE COME SCHIAVI!

Giovedì 28 Agosto
presso la Federazione Anarchica
Livornese, in Via degli Asili 33

ore 20:30 – aperitivo
ore 21:30 – proiezione video:
“Mai più vivere come schiavi!”
di Yannis Yolountas, settembre 2013

La Grecia tra rivolta e autogestione.
Un documentario che ci mostra le esperienze di autorganizzazione sociale e le pratiche di resistenza e di azione diretta contro le politiche di austerità che in Grecia, come in tutta europa, sono imposte dai governi alle lavoratrici ed ai lavoratori.

Per non vivere più come schiavi!

Collettivo Anarchico Libertario
Federazione Anarchica Livornese

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Sacco e Vanzetti – apericena+proiezione

Art of Anarchy 15

Il 23 agosto 1927 Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti venivano uccisi dalla giustizia statunitense.
Erano due proletari immigrati a Boston, due militanti anarchici ingiustamente accusati di rapina e di omicidio. Il governo del Massachusets non si fermò davanti all’evidente innocenza di Sacco e Vanzetti, né davanti alle imponenti mobilitazioni in loro difesa e volle emettere una condanna a morte che fosse un segnale politico durissimo contro ogni tipo di opposizione, in particolare contro gli anarchici.
Nonostante questa ed altre offensive repressive, le idee e le pratiche anarchiche hanno continuato e continuano a diffondersi, alimentate da un’intransigente lotta contro ogni forma di potere e da un inesauribile amore per la libertà.

Giovedì 21 Agosto 2014

presso la Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33

ore 20:30 apericena

ore 21:30 proiezione del film Sacco e Vanzetti
di Giuliano Montaldo, 1971, 120′

Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario

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Opuscolo: Pedagogia libertaria, alcune riflessioni.

Pubblichiamo il testo dell’opuscolo in distribuzione in queste sere di Effetto Refugio presso il banchetto anarchico sugli Scali del Refugio

Quello che proponiamo è la sintesi di un intervento presentato al D’Istruzione Festival, iniziativa organizzata nel gennaio 2013 presso il Teatro Officina Refugio di Livorno. La sezione dedicata alla pedagogia libertaria ha ospitato la comunicazione che segue, curata da Patrizia Nesti, e interventi skype sulla scuola Gargantua di Roma, attiva dal 2012 ( intervento curato da Norma Santi) e su esperienze di pedagogia libertaria realizzate in Spagna (intervento curato da Valeria Giacomoni)

anarchia

Pedagogia libertaria: alcune riflessioni

Nel linguaggio politico, il termine “libertario”è stato storicamente, fin dalle sue origini ottocentesche,un sinonimo di anarchismo, utilizzato in diretta contrapposizione al termine liberale.

Questo è tuttora il significato proprio del termine libertario, nonostante le usurpazioni deformanti con cui talora viene impropriamente utilizzato come vago sinonimo di democratico o liberal.

Parlare di pedagogia libertaria quindi significa qualificare la pedagogia con una connotazione politica precisa; significa fare riferimento ad una riflessione teorica e ad una sperimentazione pratica dell’educazione che si sviluppa in ambito anarchico.

La pedagogia libertaria ha sempre trovato ampio spazio nella progettualità e nella pratica anarchica; è parte integrante di un progetto complessivo di società diversa, che vuole liberarsi di gerarchie e autoritarismo e che, per fare questo, vuole realizzare una rivoluzione non solo politica ed economica, ma anche una rivoluzione sociale.

Nella prospettiva anarchica il cambiamento sociale non è affidato ad un’ avanguardia che produce una forzatura rispetto ad una massa più arretrata, ma, quanto più possibile, ad un’azione collettiva e diffusa, opera di individui che abbiano, aldilà delle differenze culturali e del possesso anche diverso di strumenti di analisi, la comune esigenza di affermazione della libertà e la volontà di liberarsi dal dominio. Non c’è bisogno di un’avanguardia politica che egemonizzi il processo rivoluzionario guidando le masse; la rivoluzione che gli anarchici auspicano richiede solo che si acquisisca e si diffonda, generalizzandola, l’insofferenza e il disprezzo radicale verso l’autorità – militare, politica, religiosa- per far scaturire l’esigenza di libertà e la naturale tendenza alla autodisciplina che è il vero elemento regolatore della convivenza civile.

E allora c’è bisogno di liberare questa esigenza di libertà.

L’educazione tradizionale mira a costruire un individuo disciplinato, obbediente, pauroso delle punizioni: un individuo che viene educato ad essere gretto, meschino, opportunista e calcolatore delle convenienze anche più banali. Oppure, se l’individuo è piuttosto brillante e capace, viene educato ad essere sfrenatamente arrivista, competitivo, deciso a prevalere e a schiacciare l’altro. In ogni caso l’educazione tradizionale punta a formare un individuo non solidale e non libero.

Al contrario , gli obiettivi che la pedagogia libertaria si dà sono proprio quelli di libertà e solidarietà. Nel pensiero anarchico e libertario quindi l’educazione è un nodo centrale, che viene sviluppato sia dal punto di vista teorico che pratico, attraverso la riflessione, ma anche attraverso la sperimentazione concreta e la realizzazione di esperienze.

Numerosi sono gli esempi, anche assai illustri, di questo intreccio di teoria e prassi. Inevitabile fare riferimento a due grandi nomi, Tolstoj e Ferrer.

LEV TOLSTOJ (1828-1910).

Intorno alla metà dell’Ottocento il grande scrittore russo dà vita alla scuola di Jasnaja Poljana.

Si tratta di una scuola di campagna, frequentata da figli di contadini, un’esperienza con cui si vuole dare una risposta pratica e sperimentale ad alcuni problemi di stringente attualità. Sono questi infatti gli anni in cui in Russia viene abolita la servitù della gleba; l’emancipazione porterà all’aumento numerico dei lavoratori liberi su cui l’apparato zarista, sotto la guida di Alessandro II, si prepara ad imporre un rigido controllo anche di tipo culturale.

Tolstoj, con straordinaria attenzione alla questione sociale e notevole lungimiranza, si pone il problema dell’istruzione popolare ed elabora strumenti per evitare che attraverso l’intervento zarista si ricrei, anche sul fronte dell’istruzione, l’asservimento di sempre.

Si documenta, viaggia e arriva ad elaborare un modello educativo, che dà vita ad un’ esperienza concreta: 12 sono le scuole aperte a a partire dal 1859, ben due anni prima dell’abolizione della servitù della gleba.

Il modello pedagogico adottato da Tolstoj rifiuta il dirigismo, punta alla espressione di interessi personali, valorizza l’autodisciplina. Non ci sono vincoli di programmi o di orari scolastici, né obblighi di frequenza; non c’è nemmeno una rigida scansione delle classi per fasce di età.

L’esperienza concreta delle scuole di Jasnaja Poljana durerà fino l863, ma Tolstoj continuerà anche successivamente ad occuparsi di pedagogia sul piano teorico, elaborando una riflessione su questioni di grande rilevanza.

Tolstoj, ad esempio, non ha simpatia per il termine – ne’ ovviamente per il concetto – di educazione, ritenendo che tale termine implichi la tendenza a rendere una persona simile all’educatore, adombrando quindi il condizionamento, la volontà di modellare e dare un’impronta a chi, appunto, viene educato Valorizza invece molto il concetto di cultura, intesa come insieme di saperi liberamente acquisiti e rielaborati, patrimonio del singolo o della collettività, non patrimonio della casta intellettuale. Quella espressa da Tolstoj è dunque una concezione di cultura molto moderna, anticipatrice, in un certo senso, di concezioni che avranno grande sviluppo circa un secolo dopo. Basti pensare alle inchieste operaie che si diffondono intorno al 1960 e 1970, primi esempi di controinformazione e di espressione di conoscenze alternative; ma anche a tutto quello che c’è stato -e in qualche misura c’è ancora- in termini di “controcultura”, cultura alternativa, cultura giovanile, cultura popolare, autogestione e autoproduzione culturale. Pensiamo insomma a tutto ciò che provoca rottura rispetto ad una nozione univoca ed elitaria di cultura, privilegiando invece lo spazio della rielaborazione dei saperi e delle capacità, fuori da un progetto di addestramento educativo, per una elaborazione culturale autonoma.

Ebbene, questa nozione di cultura “altra” deve qualcosa anche alle concezioni di Tolstoj e alla sua pedagogia libertaria.

Molteplici del resto sono le anticipazioni di Tolstoj riguardanti questioni che caratterizzeranno la riflessione pedagogica anche molto succesiva. Egli ad esempio definisce il condizionamento dovuto all’istruzione tradizionale e a quella che sarà poi chiamata “scolarizzazione”. Tolstoj parla di “stato scolastico dell’anima” descrivendo con queste parole lo studente disciplinato e domato dall’educazione istituzionale: “Tutte le facoltà più elevate – l’immaginazione, la creatività-lasciano il posto a facoltà semianimalesche, quali: contare i numeri in fila , percepire le parole senza permettere alla fantasia di arricchirle con immagini etc., insomma reprimere tutte le facoltà più elevate per sviluppare solo quelle che coincidono con l’ordine scolastico, il terrore, lo sforzo di memoria, l’obbligo dell’attenzione. Ogni scolaro costituisce di per sé un elemento anomalo nella scuola, finchè non finisce sul binario dello stato semianimalesco. Non appena il fanciullo è arrivato a questa condizione, egli perde tutta la sua indipendenza e autonomia e immediatamente si manifestano sintomi quali l’ipocrisia, la menzogna etc e l’insegnante, ora che egli non è più un elemento anomalo, comincia ad essere soddisfatto di lui.” L’analogia con ciò che i così detti “descolarizzatori” denunceranno circa un secolo dopo è evidente.

Tuttavia Tolstoj , nonostante le potenti intuizioni ed anticipazioni, nonostante il legame tra elaborazione teorica e sperimentazione pratica, esprime, attraverso la propria pedagogia, un’esigenza più filantropica che rivoluzionaria.

Tolstoj d’altra parte non è un rivoluzionario e non si propone come tale; si definisce un “anarchico cristiano”, non allontana mai la spiritualità religiosa dal suo orizzonte (anche se viene scomunicato per la sua particolare interpretazione del sentimento religioso). E’ un rigoroso pacifista in un periodo – sono gli anni della Comune di Parigi – di grandi insurrezioni e profonda conflittualità : anche per questo prevalenza del filantropismo sul radicalismo, Tolstoj sarà piuttosto snobbato dagli anarchici del suo tempo. A Tolstoj tocca la sorte dell’outsider: troppo poco rivoluzionario per gli anarchici, troppo anarchico per la corrente filantropica, che in questo periodo ha una certa rilevanza.

L’attenzione verso la pedagogia in genere e, in particolare, per quella di di stampo filantropico è molto diffusa nel tardo Ottocento ed è collegata, più generalmente, all’emergenza della questione sociale, che scaturisce dopo la seconda rivoluzione industriale. In questi anni si sviluppa un grande interesse per l’educazione dei fanciulli, interesse assai evidente, ad esempio, nella letteratura per ragazzi che fiorisce in questo periodo un po’ ovunque. Qualche decennio prima, in ambito anglosassone, c’è stato Dickens; intorno al 1880 in Italia viene pubblicato Pinocchio, storia fantastica con finalità educative, che dà valore formativo all’esperienza di trasgressione. Ma abbiamo anche Cuore del socialista De Amicis, opera stucchevolmente moralista, ma interessante, perchè strutturata come diario di vita scolastica, leggibile anche come documento che mette in evidenza le caratteristiche della scuola statale post unitaria di recentissima costituzione, prima dei Patti Lateranensi del 1929: una scuola densa di retorica sociale e patriottarda, ma laica.

Nel filone filantropico costituito da esempi di questo tipo Tolstoj, anch’egli scrittore ma anche concreto sperimentatore, Tolstoj potente anticipatore di concezioni innovative, Tolstoj anarchico sui generis è assolutamente fuori posto. La sua pedagogia, anche se non inserita in una visione politica rivoluzionaria, è sicuramente pedagogia libertaria.

Un intervento pedagogico potentemente rivoluzionaria e pienamente riconducibile all’anarchismo è invece quello che caratterizza FRANCISCO FERRER (1859-1909)

Il contesto è quello della Spagna di fine Ottocento e Ferrer individua nel sistema educativo tradizionale un fattore di coercizione sociale enorme, anche perché in questo paese la Chiesa ha il monopolio dell’istruzione attraverso l’Ordine dei Gesuiti.

L’attenzione di Ferrer verso la scuola e la pedagogia è orientata da una precisa analisi di classe, maturata anche attraverso la conoscenza diretta della situazione internazionale e delle evoluzioni del sistema di sfruttamento legate alle nuove esigenze del capitalismo. A partire dalla concezione fondamentale secondo cui il sistema di istruzione è utilizzato dallo stato come elemento di controllo delle masse, Ferrer analizza le modalità con cui questo controllo si realizza. La militanza e l’esilio lo hanno portato a vivere anche in Francia e in Belgio, a contatto con un livello di industrializzazione che la Spagna ancora non conosce, ma che deve essere attentamente considerato nelle dinamiche della evoluzione della lotta di classe. Il controllo sociale non può più realizzarsi attraverso il mantenimento dell’ignoranza e l’esclusione dall’istruzione. Il crescente processo di industrializzazione richiede lavoratori ben addestrati, non arretrati, in grado di gestire alcune conoscenze. Le masse popolari sono indotte ad un “salto” sociale e culturale che comunque lo stato e i padroni devono controllare in modo rigoroso: le esigenze di produttività richiedono che i lavoratori siano educati ad avere delle conoscenze minime indispensabili e a tenere un comportamento docile ed esecutivo. La scolarizzazione e l’accesso alla cultura non deve diventare fattore di emancipazione sociale, ma solo di riproduzione del processo di subordinazione.

Da qui l’esigenza, per Ferrer, di inserirsi nella lotta di classe anche attraverso la creazione di un’ esperienza educativa diversa, alternativa, libertaria appunto, che non rappresenti una sperimentazione “separata”, ancorchè concreta, ma saldamente legata alla realtà sociale e alla prospettiva rivoluzionaria.

E’ così che nasce la Escuela Moderna.

L’impostazione è di tipo razionalistico scientifico, base imprescindibile per uno sviluppo delle conoscenze umanistiche libero da dogmatismi e moralismi di stampo religioso, nella prospettiva di una cultura che armonizzi i saperi. L’elemento antireligioso e ateo, così come l’opposizione ad ogni forma di spiritualismo, caratterizzano in modo forte l’esperienza della Escuela Moderna voluta da Ferrer. Si tratta di una posizione ovviamente riconducibile alla situazione spagnola, in cui, come già detto, la Chiesa monopolizza l’istruzione. Per altri versi, tuttavia, l’elemento antireligioso che caratterizza anche moltissime altre esperienze di pedagogia libertaria, trova una sua ragione teorica che trascende i singoli contesti sociali. La scuola tradizionale infatti plasma sé stessa sul modello religioso: la scuola, come la religione, si fonda sul principio di autorità e gerarchia, dandone suggestiva rappresentazione attraverso alcuni meccanismi di funzionamento mutuati dalla religione stessa: l’accettazione del sapere rivelato, il sistema delle punizioni e delle ricompense, il giudizio, l’esame finale. Una scuola non tradizionale, libertaria, deve essere necessariamente quindi anche una scuola antireligiosa.

La Escuela di Ferrer costituisce, come dicevamo, un’esperienza di pedagogia libertaria impostata all’interno di un progetto rivoluzionario.

Nei primissimi anni del Novecento, le scuole del modello Escuela Moderna, sono economicamente sostenute da Associazioni di lavoratori, comprendono, oltre all’educazione delle bambine e dei bambini, anche corsi serali per adulti, riunioni culturali della domenica, locali per riunioni sindacali; in qualche sede c’è addirittura una casa editrice.

Francisco Ferrer, che ne è l’animatore, vi trasferisce la propria esperienza di militante rivoluzionario anarchico, esperienza che si snoda lungo una vita densa di esperienze assai significative. Ferrer, ferroviere, per la sua attività politica all’età di venticinque anni viene esiliato in Francia, dove resterà per circa quindici anni. Torna poi in Spagna e nel 1901 fonda la Escuela Moderna, che nel giro di cinque anni conterà circa 1700 iscritti, tra la sede di Barcellona ed altre sedi periferiche. Intorno al 1906 Ferrer viene arrestato e la Escuela moderna sarà chiusa. Una volta scarcerato, Ferrer non riesce, per problemi economici, a riaprire la scuola; in ogni caso ne ripropone il modello dando vita ad un’ attività di elaborazione e coordinamento di esperienze di pedagogia alternativa. Fonda infatti la Lega Internazionale per l’educazione razionale, con sedi a Madrid e Bruxelles; ne è presidente il celebre scrittore francese Anatole France.

Nel 1909 Francisco Ferrer viene nuovamente arrestato in relazione ai fatti della Semana tragica”. In luglio scoppia a Barcellona una rivolta popolare di grandi proporzioni, che tiene in scacco la città per una settimana; la protesta è rivolta contro il governo e la Chiesa, che reclutano forzatamente elementi delle classi popolari da inviare a combattere nella guerra coloniale del Marocco. Ferrer, accusato di coinvolgimento nella protesta, viene arrestato e condannato a morte.

In molte città della Spagna e di altre nazioni, Italia compresa, si svolgono manifestazioni di protesta. A Torino gli anarchici, sostenuti da una consistente parte della sinistra, presidiano la Camera del Lavoro imponendo l’indizione di uno sciopero generale, testimonianza di solidarietà internazionalista e riprova della grande popolarità di Ferrer. La condanna a morte viene comunque eseguita nell’ottobre del 1909, ma la fama del rivoluzionario e del pedagogista spagnolo continua a propagarsi. Molte scuole ispirate all’esperienza di Ferrer sorgono negli Stati Uniti, in Francia, in Belgio, in Svizzera. Anche in Italia il ricordo di Ferrer rimane vivo a lungo; le sue opere trovano ampia divulgazione, la sua figura viene rievocata attraverso numerosi scritti, ma anche in forme di comunicazione diretta e popolare. Le lapidi commemorative di Ferrer hanno una diffusione incredibile in Italia, considerando che sono dedicate ad un anarchico non italiano: nella sola Toscana possiamo trovarle a Carrara, Pisa, Campiglia Marittima e Roccatederighi.

Accanto ai grandi nomi di Tolstoj e Ferrer, troviamo una nutrita schiera di pedagogisti che si dedicano alla sperimentazione di pratiche di educazione libertaria o di metodi di insegnamento rivoluzionari. Ci limitiamo, in questa sede, a citarne solo alcuni, al semplice scopo di fornire qualche spunto per chi volesse approfondire più adeguatamente l’argomento.

L’ambiente francese è sicuramente, in questi primi anni del Novecento, il più ricco di sollecitazioni, anche se i protagonisti di queste sperimentazioni pedagogiche conducono vite poco riconducibili ad un preciso contesto territoriale: la militanza rivoluzionaria e le persecuzioni repressive li portano spesso, per volere o per forza, ad essere internazionalisti.

ELISEO RECLUS (1830-1915), famoso geografo francese, è figura di grande spessore culturale e rivoluzionario: attivo nella Comune di Parigi, condannato alla deportazione, poi commutata in esilio grazie alle pressioni di Darwin ed altri noti intellettuali del tempo, in contatto costante con Bakunin, attivo collaboratore di Ferrer. Reclus rivoluziona lo studio della Geografia elaborando la teoria della geografia sociale”, una geografia che sviluppa il versante antropologico ed economico puntando a valorizzare il rapporto uomo/ambiente e innovando profondamente la geografia descrittiva tradizionale.

PAUL ROBIN (1837-1912), anch’egli francese, è attivissimo militante della Prima Internazionale. Significative e varie sono le sue esperienze politiche e culturali: collabora al Dictionnaire pédagogique, partecipa alla stesura del manifesto di Gand sull’istruzione integrale e fonda il periodico denominato appunto “L’istruzione integrale”. Robin sperimenta concretamente il proprio metodo in un orfanotrofio, di cui gli viene affidata la direzione: l’educazione è rivolta allo sviluppo completo della personalità e delle attitudini; viene introdotta la struttura dell’atelier, è favorito l’approccio scientifico e il superamento dell’istruzione separata tra sessi, è escluso completamente l’insegnamento religioso. L’esperienza, fortemente contrastata dai settori tradizionalisti, si protrae per 14 anni fornendo spunti e suggerimenti anche a Ferrer; viene infine chiusa per le forti pressioni della Chiesa.

L’esperienza di Robin viene espressamente ripresa da un altro anarchico e pedagogista francese, SEBASTIEN FAURE (1858-1912). Partendo da posizioni socialiste, Faure approda all’anarchismo, che lo vedrà militante attivo: è tra gli accusati del “Processo dei Trenta”, fonda con Louise Michel il periodico “Il Libertario”, è tra i fondatori della Federazione anarchica Francese, si distingue per l’impegno antimilitarista, oltre che pedagogico.

Faure dà vita alla scuola libertaria la Ruche (l’Alveare), in cui vengono applicati i principi dell’educazione integrale di Robin: grande sviluppo delle attività fisiche, della manualità, del gioco e delle attività cognitivo-culturali, secondo il sistema dell’apprendimento incidentale o induttivo. Contrapposizione netta dunque con l’apprendimento deduttivo-dogmatico tradizionale, ma anche con il sistema di ricompensa/punizione e con qualsiasi forma di classificazione dei risultati che favorisse la competizione; l’educazione infatti deve sviluppare cooperazione e solidarietà. Assai interessante l’aspetto autogestionario della scuola: le attività praticate a scopo educativo nella forma cooperativa, come le produzioni agricole e la tipografia, contribuiscono infatti in parte rilevante all’autofinanziamento della scuola.

Le esperienze di pedagogia libertaria proseguono diffusamente nel corso di tutto il Novecento. Alcune, come la Summerhill school fondata da Alexander Neill, sono ancora attive, altre hanno avuto vita più breve, molte vengono avviate anche in questo periodo, come nel caso della scuola Gargantua di Roma.

Alcune considerazioni specifiche merita il periodo attorno al 1970. La società è attraversata da profondi rivolgimenti culturali e sociali. In alcuni paesi, come l’Italia, le conquiste economiche determinate dalle lotte operaie della fine degli anni sessanta hanno consentito l’accesso agli studi anche a chi tradizionalmente ne rimaneva escluso: “anche l’operaio vuole il figlio dottore”, recita una famosa canzone del tempo. E’ la cosiddetta scuola di massa.

Questi sono anche gli anni in cui la contestazione giovanile mette sotto accusa l’assetto gerarchico della società. Viene contestata non solo la scuola istituzionale, ma anche la famiglia, l’autorità delle vecchie generazioni, la struttura militare, il potere medico. Attorno alla questione di una pedagogia antiautoritaria il dibattito si intensifica e assume caratteristiche radicali, che esprimono il radicalismo diffuso nella società. Ivan Illich è l’intellettuale che più compiutamente esprime la tendenza radicale di questo periodo; ha una formazione religiosa, non sperimenta concretamente esperienze di scuola alternativa, preferendo il piano dell’elaborazione teorica, ma il suo messaggio è potentissimo. Contesta, ad esempio, la concezione che vede la scuola come elemento decondizionante, in grado di favorire l’emancipazione dall’ignoranza e la mobilità sociale; la scuola, di qualunque tipo, viene vista come struttura che ripropone la stratificazione sociale. Sostenitore della descolarizzazione, Illich mette in discussione non solo la visione tradizionale di scuola autoritara, ma anche molte convinzioni patrimonio della cultura democratica scaturita dalla scuola di massa.

In effetti, il radicalismo più o meno marcato di questi anni lascia un segno anche a livello istituzionale, contribuendo non tanto a rivoluzionare l’istruzione, processo impensabile senza una generale rivoluzione sociale, quanto ad avviare il processo di democratizzazione della scuola. Alcuni di questi risultati sono esclusivamente formali, come nel caso dei Decreti delegati del 1974 e della conseguente istituzione degli organi di rappresentanza. In altri casi i risultati del processo di democratizzazione della scuola sono più sostanziali: basti pensare all’estensione del diritto allo studio per i disabili nelle classi comuni, nel 1977, con la chiusura delle classi differenziali. Conviene ricordare anche, come elemento importante di questa fase, l’ istituzione della scuola materna statale nel 1968; si tratta di un settore storicamente monopolizzato esclusivamente dalla Chiesa, che si oppone, insieme al governo democristiano di allora, a quella che che viene chiamata la scristianizzazione dell’infanzia. Il compromesso, di cui sempre ogni processo democratico si nutre, è rappresentato dall’inserimento dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola dell’infanzia statalizzata.

Ma che relazione può esserci tra una scuola che diventa più democratica e una concezione di pedagogia libertaria? I principali diffusori della pedagogia libertaria sono stati osteggiati, repressi, perseguitati, talora uccisi dal potere statale e religioso con cui il loro progetto rivoluzionario era inconciliabile. Tuttavia, curiosamente, molti presupposti che caratterizzano la pedagogia libertaria, quando vengono svuotati della portata rivoluzionaria e del loro valore eversivo complessivo, possono essere utilizzati al di fuori dell’ambito anarchico come “buone pratiche” educative, andando a caratterizzare esperienze di pedagogia democratica e non direttiva. Gli esempi sono vari ed autorevoli. La Montessori, pur sostenuta, almeno in un primo tempo, dal fascismo, ha comunque una concezione “democratica” e innovativadell’educazione.

Don Milani, con l’ esperienza della Scuola di Barbiana, lancia anche un’accusa potente alla selezione classista operante nella scuola, ponendo un problema politico e sociale; ma non si propone certo di educare in senso rivoluzionario i suoi allievi.

Negli Stati Uniti si afferma la pedagogia dell’Attivismo, che mira a valorizzare l’esperienza più che che il sapere nozionistico. Si punta alla libertà espressiva del ragazzo, per favorire la libera manifestazione della sua personalità fuori da dirigismo e dalle strettoie costrittive delle regole.

Animatore di questa tendenza è DEWEY, liberal americano che riconduce il processo educativo attivo alla finalità, per lo stato, di educare cittadini intraprendenti, pronti a snobbare le regole comuni per affermarsi sugli altri con la libera iniziativa.

Altro esempio è rappresentato dalla scuola Steineriana, fondata da STEINER, austriaco che vive all’inizio del ‘900, ma che ha lasciato molti seguaci del suo metodo. E’ ritenuto anche il fondatore del’antroposofia (che auspica la crescita spirituale dell’individuo in armonia con l’universo), ispiratore dell’agricoltura biodinamica, assertore di un equilibrio individuo/ambiente fondato sull’armonia. Steiner elabora una pedagogia che va sotto il nome di metodo Waldorf, dal nome della marca di sigarette Waldorf Astoria. In una fabbrica di queste marchio, per volontà del proprietario, sorge una scuola per i figli degli operai. La direzione di questa scuola viene affidata a Steiner, che vi sperimenta il suo metodo, basato sullo sviluppo armonico dell’individuo, privilegiando soprattutto l’espressività artistica, la musica, il lavoro manuale, sotto la guida di un insegnante che è tenuto a seguire un percorso di “formazione spirituale”.

Quale portata rivoluzionaria ci può essere in una scuola voluta da un padrone per i figli dei suoi operai?

Attualmente la scuola steineriana va molto di moda, soprattutto nel ceto elevato imprenditoriale: tutti i figli di Berlusconi hanno frequentato la scuola steineriana. Del resto, una pedagogia non direttiva che coltivi al massimo le potenzialità dell’individuo, anche in modo non tradizionale, è ottimale per la formazione di chi deve elevarsi sopra la massa, deve avere una forte autostima, nonché il necessario disprezzo delle regole comuni per potersi affermare sugli altri, in una società che non va cambiata, ma dominata.

E’ evidente quindi che una scuola democratica, caratterizzata da un impianto pedagogico non direttivo, non è la stessa cosa di una pedagogia libertaria, soprattutto perchè manca, alla prima, quella prospettiva rivoluzionaria, quel quadro di riferimento in cui l’autorità e la gerarchia sono abolite non solo nella relazione interpersonale e nella circostanza funzionale, ma nella generale prospettiva di trasformazione sociale rivoluzionaria.

Chiudiamo con alcuni interrogativi.

In un contesto come quello attuale, non attraversato da fermenti rivoluzionari che diano, nell’immediato, una prospettiva di cambiamento sociale radicale, una scuola alternativa libertaria è comunque utile per la sua valenza formativa o rischia di creare un’esperienza separata?

E ancora: in una situazione come quella attuale , in cui gli ipotetici fruitori di una scuola libertaria non sono i figli dei minatori, o i contadini affrancati dalla servitù della gleba, ma piuttosto figli di genitori che scelgono consapevolmente un percorso alternativo, può esserci il rischio del familismo che caratterizza tante comuni scuole private? Ovviamente per familismo è da intendere quella condivisione tra orientamento culturale ideologico della famiglia e dell’ambiente educativo, che viene scelto proprio per la continuità di valori che rappresenta. Il rischio, in questi casi, è di attivare un’esperienza educativa protetta dalla pluralità di sollecitazioni, che crei un replicante più che una persona autonoma.

In ogni caso non dobbiamo temere di essere controcorrente; bisogna confidare nella plasticità, nella forza dirompente dello spirito di libertà, che, una volta liberato, è in grado di spiazzare tutto e tutti. E quindi sperimentare, sempre e comunque. Ovviamente la pedagogia libertaria da sola non basta, come nulla basta a se stesso. Guai ad appagarsi di ciò che si promuove e si sperimenta in un solo ambito, sia esso lo spazio del sociale, il piano sindacale, la lotta ambientalista, l’autogestione di una qualsiasi attività.

E’ indispensabile cercare di ricondurre tutto ad un progetto rivoluzionario di trasformazione generale della società.

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Ucraina. Opposti nazionalismi.

da anarresinfo.noblogs.org

Ucraina. Opposti nazionalismi.

La guerra civile nelle regioni orientali dell’Ucraina si sta giocando sulla contrapposizione tra opposti nazionalismi, l’uno con espliciti richiami all’identità ucraina declinata secondo ai canoni tipici dell’estrema destra, l’altro con chiari riferimenti alla resistenza antinazista russa durante la seconda guerra mondiale.
Narrazioni false, utili però a dare forza a legami identitari, che da queste narrazioni traggono la linfa simbolica che giustifica una guerra che si basa su identità escludenti.
In alcuni casi il volersi russi o ucriani non dipende né dalla lingua né dalla cultura, ma da una scelta di campo.
Giacomo, un compagno che fa giornalismo free lance in aree di guerra, ha trovato ospitalità da due giovani ucraini di famiglia e lingua russa, che temono l’autoritarismo putiniano più dei fascisti di Pravi Sector.
Dalla sua testimonianza emerge una realtà più composita e difficile da decodificare di quella presentata dai media main stream italiani.

Ascolta la diretta con Giacomo realizzata dall’info di Blackout

Sullo stesso argomento vale la pena riportare gli stralci più significativi di un articolo di Matteo Tacconi sul Manifesto del 25 giugno:

“Chi sono i ribelli dell’est ucraino? Per Kiev sono ter­ro­ri­sti seces­sio­ni­sti mano­vrati da Mosca, per i media russi forze di auto­di­fesa che resi­stono ai gol­pi­sti della Maj­dan. Defi­ni­zioni sche­ma­ti­che di un uni­verso ben più arti­co­lato. In linea con lo sce­na­rio ucraino nel suo complesso.
La destra dell’est
In attesa di capire se il piano di pace di Poro­shenko non è un foglio di carta, si può par­tire da destra. L’insurrezione a Done­tsk, come nella vicina Lugansk, regi­stra la pre­senza di per­so­naggi ricon­du­ci­bili all’estremismo russo e russo-ucraino.

Uno è Pavel Guba­rev. Tren­tu­nenne, impren­di­tore, ha una sto­ria di mili­tanza in Unità nazio­nale russa, for­ma­zione con vena­ture xeno­fobe. È stato lui, a marzo, in con­co­mi­tanza con lo scop­pio della crisi di Cri­mea, a gui­dare la presa dei palazzi, fre­gian­dosi poi della carica di gover­na­tore della Repub­blica di Done­tsk. Arre­stato, è stato rila­sciato a mag­gio. In quei giorni sono state attive altre sigle radi­cali, tra cui l’Unione eura­sia­tica della gio­ventù, brac­cio gio­va­nile di Eura­sia, movi­mento pre­sie­duto dall’accademico russo Alek­sandr Dugin, uomo dal pro­vato pen­siero radicale.

Da poco ha invi­tato a par­lare alla Lomo­no­sov, l’università mosco­vita dove inse­gna, Gabor Vona. È il numero uno di Job­bik, la destra unghe­rese più becera. Sem­pre a pro­po­sito di destre inter­na­zio­nali s’è venuto a sapere che i polac­chi di Falanga e gli ita­liani di Mil­len­nium hanno inviato loro rap­pre­sen­tanti a Done­tsk. Il che rivela che la fami­glia nera euro­pea s’è schie­rata dall’una e dall’altra parte della bar­ri­cata ucraina. Non sol­tanto a Kiev, con Pra­vyi Sek­tor e le altre bande della Maj­dan. Nell’est ucraino un’altra per­so­na­lità che si col­loca a destra è Ale­xan­der Boro­dai, un russo, il capo del governo della Repub­blica di Done­tsk. A Mosca Boro­dai ha la fama di uno dei più noti inter­preti dell’ultranazionalismo e com­menta spesso sulla rivi­sta Zav­tra, cassa di riso­nanza di que­sti ambienti, che ha recen­te­mente pub­bli­cato una sorta di mani­fe­sto della Nuova Russia.

È il nome di quella che dovrebbe essere un’entità sta­tuale com­po­sta dalle aree di Done­tsk e Lugansk, pos­si­bil­mente allar­gata alla Trans­ni­stria e a Odessa. Il discorso sulla Nuova Rus­sia allarga il campo dell’analisi, svin­co­lan­dola dal solo tema, limi­tante, della col­lo­ca­zione poli­tica. In ballo ci sono sen­ti­menti, per­sone in carne e ossa. Alcune delle quali per­ce­pi­scono il rap­porto tra Ucraina e Rus­sia come una cosa intima. Ci si arruola nelle mili­zie filo­russe anche in nome di quest’idea, che trova ampi riscon­tri nella sto­ria, nella cul­tura e nella let­te­ra­tura. Sulla Maj­dan è acca­duta grosso modo la stessa cosa.

La rivolta ha avuto una sua impor­tante pul­sione sto­rica e cul­tu­rale, iden­ti­fi­ca­bile nel pen­siero nazionale-nazionalista ucraino, for­giato nell’ovest del paese e pro­teso a sepa­rare la vicenda bio­gra­fica ucraina da quella russa.

Nell’insurrezione dell’est influi­scono, restando sul piano della sto­ria, anche i retaggi della seconda guerra mon­diale. In que­sto senso la Mai­dan e la sua com­po­nente ultra­na­zio­na­li­sta ha assunto il sapore di una replica a scop­pio ritar­dato delle atti­vità dispie­gate nell’Ucraina occi­den­tale dai mili­ziani di Ste­pan Ban­dera, fau­tori di uno stato ucraino etnico. Con­tras­sero un’alleanza tat­tica con Hitler in fun­zione anti­so­vie­tica e anti­po­lacca. Oggi la figura di Ban­dera spacca il paese. I cir­coli nazio­na­li­sti lo ele­vano al rango di eroe. L’est, sen­si­bile alla Rus­sia e alla tra­di­zione della grande guerra patriot­tica, lo bolla come un nazista.”

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