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Opuscolo: Disoccupati, sottoccupati, precari, l’unione è la nostra forza!

Pubblichiamo il testo dell’opuscolo sulla disoccupazione in distribuzione in queste sere di Effetto Refugio al banchetto anarchico sugli Scali del Refugio.

DISOCCUPATI, SOTTOCCUPATI, PRECARI,

L’UNIONE E’ LA NOSTRA FORZA

 

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A cura della Federazione Anarchica Livornese

e del Collettivo Anarchico Libertario

In questo opuscolo sono raccolti gli interventi dei realtori all’iniziativa “Disoccupati, sottoccupati e precari, l’unione è la nostra forza!” organizzata da CIB-Unicobas, Federazione Anarchica Livornese e Collettivo Anarchico Libertario, che si è tenuta il 2 luglio 2014 presso la sede della FAL.

1. LIVORNO: DISOCCUPAZIONE E DISASTRO SOCIALE

La crisi economica scoppiata nel 2008 e di cui non si vede ancora la fine sta colpendo duramente Livorno e il suo territorio. Per la verità Livorno era già in crisi pesante: il declino delle attività produttive “storiche” (es. il Cantiere) e di quelle nate negli anni 60 e 70 (es. Spica e CMF) assieme alla lenta ma sembrerebbe inesorabile decadenza delle attività portuali avevano già portato ad un pesante degrado della città. La crisi economica nata nel 2007 negli Stati Uniti e arrivata un anno dopo in Europa ha portato un ulteriore durissimo colpo.

Come mostra la scheda allegata al presente contributo a Livorno tutti gli indicatori statistici sul disagio sociale, dal fronte della disoccupazione a quello delle spese sanitarie e del sostegno agli anziani, passando per la crisi abitativa, sono peggiori della media regionale e nazionale.

La disoccupazione a Livorno e nella sua provincia è quasi il doppio di quella media toscana e molto superiore alla media nazionale. La disoccupazione giovanile è a livelli da profondo sud. La cassa integrazione è aumentata vertiginosamen-te: poiché la CIG è l’anticamera del licenziamento è certo che, in mancanza di politiche realmente “attive” nei prossimi anni il tasso di disoccupazione crescerà ancora.

Si perde il lavoro e si perde anche la casa” non è uno slogan ma una amara realtà come dimostrano gli sfratti in continuo aumento, specie per morosità.

La popolazione diventa sempre più anziana, quindi non autosufficiente ma nell’area livornese i servizi sono minori che nel resto della Toscana e perfino che nel resto del terri-torio servito dall’AUSL6. In una situazione talmente degradata il Comune di Livorno spende per servizi e interventi socio-sanitari meno di quanto non facciano, in media, gli altri comuni dell’AUSL6 e della Toscana. Il risultato è che tanti livornesi fuggono all’estero: Livorno sta diventando terra di emigranti!

La risposta alla devastazione delle passate amministrazioni locali di centro sinistra a guida PD si è centrata su alcune scelte di fondo:

– favorire la chiusura delle fabbriche, cambiando la destinazione delle aree (come è accaduto con il Cantiere Navale), illudendo i lavoratori sponsorizzando avventurieri (come il caso clamoroso della ex Delphi);

– immettere nel territorio denaro pubblico e privato (nuovo ospedale) senza riguardo al peggioramento dei servizi (leggi: privatizzazioni) e al danno ambientale;

– sostenere progetti inutili e dannosi come il rigassificatore e il megainceneritore; incentivare l’arrivo di nuove imprese impegnate nel settore delle produzioni tossiche e nocive (progetto del Puntone del vallino), sostenere, ma forse sarebbe più giusto dire pianificare la rovina ambientale con nuove discariche (progetto Atlante di cui la scandalosa vicenda del Limoncino è solo la punta dell’iceberg), perseguendo la fallimentare scelta di fare di Livorno il “polo delle nocività” che tanto piace al presidente della Regione Rossi; autorizzare cementificazioni nuove a fini commerciali (Porta a Terra e poi Porta a Mare, Nuovo Centro e chissà cos’altro).

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Queste le scelte di fondo delle amministrazioni che si sono succedute negli anni. Scelte condivise, di fatto, non solo dalla insulsa destra cittadina, sempre attenta a ritagliarsi una fetta di potere che il sistema gli concede ben volentieri in cambio di una finta opposizione, ma anche dai cosiddetti “alternativi” che si sono limitati ad una opposizione “parolaia”, lontana anni luce dalle vere esigenze dei cittadini e incapace di denunciare il vero ruolo dell’istituzione comunale come cerniera fra i gruppi che vorrebbero fare il bello e il cattivo tempo in città, gruppi che non hanno mai trovato vera resistenza fra i mummificati consiglieri comunali ma si sono scontrati con i comitati, le associazioni, i singoli cittadini autorganizzati per difendere salute e territorio.

Oggi, ci viene detto che le cose cambieranno, che si vuole una politica “partecipata”. Sarà. Noi sappiamo che le cose miglioreranno, a Livorno come altrove, se i cittadini sapranno auto-organizzarsi per la difesa dei loro interessi, per un lavoro decente, per un ambiente pulito, per la salvaguardia delle tutele sanitarie. E costringeranno le amministrazioni locali a prendere decisioni in tal senso.

Così si cambieranno i rapporti di forza. Rapporti di forza che – sia detto per inciso – a Livorno non sono poi così sfavorevoli alle forze del cambiamento: perché se a Livorno le cose vanno male anzi malissimo, esse andrebbero anche peggio senza l’impegno, il sacrificio, la costanza di tanti che si sono battuti giorno dopo giorno, contro l’arroganza del potere economico e politico. Non abbassiamo la guardia, non facciamoci lusingare dai “nuovi”, manteniamo l’impegno in prima persona sul fronte del lavoro, dell’ambiente, della salute.

Abbiamo molto da fare, c’è un mondo da cambiare!

LE CIFRE DEL DISASTRO

Riferimento: la provincia di Livorno ha una popolazione complessiva di 335mila persone di cui 174mila vivono nei comuni di Livorno e Collesalvetti (area livornese). Pertanto, con una certa approssimazione si può dire che il peso di questa area è determinante nella valutazione dei dati anche quando non sono riferiti specificatamente alla zona Livorno-Collesalvetti ma più genericamente a tutta la provincia.

Disoccupazione

Secondo i dati ISTAT la disoccupazione nella provincia di Livorno era nel 2013 pari all’8,6%, con una progressione di quasi il 100% rispetto al 2007, quando era del 4,5%. Nel 2013 la media toscana era del 7,8%.

In realtà secondo quanto riportato dall’Osservatorio della Provincia di Livorno, alla fine del 2012 il tasso di disoccupazione provinciale era pari al 14,2% (21754 disoccupati censiti), molto superiore alla media nazionale ISTAT: 11,7%. A Livorno città il tasso di disoccupazione era pari al 15,1%. Secondo gli ultimi rilevamenti dell’Osservatorio la disoccupazione avrebbe raggiunto nel 2013 il 16,1% rispetto ad una media toscana del 7,9%: più del doppio!

Drammatica la situazione giovanile: alla fine del 2012, nella fascia 15/24 anni (al netto di chi studia) la disoccupazione toccava il 59% (la media regionale era del 28,9%) mentre nella fascia 25/34 era del 22,9%. La disoccupazione giovanile è al livello delle peggiori realtà del sud Italia. Pesante anche la situazione degli “scoraggiati”, cioè di coloro che non studiano non lavorano ma non cercano neppure più un lavoro: nella provincia di Livorno sono 9.700 i giovani fra i 15 e i 29 anni in questa condizione, pari al 22% del totale, contro una media regionale del 16%.

Cassa integrazione

Si tratta di dati pesantissimi: le ore di cassa integrazione ordinarie erano 319 nel 2006, 993mila nel 2007, 1.191mila nel 2008 ma sono schizzate a 6.235mila nel 2009, 7.757mila nel 2010, 4.230mila nel 2011, 7.100mila nel 2012 e 6.629mila nel 2013.

Liste di mobilità

In cinque anni gli iscritti sono aumentati del 59%: dai 1413 del 2008 ai 2389 del 2012.

Indennità di disoccupazione

In quattro anni coloro che “godono” di questa indennità sono aumentati del 65%, passando da 6525 a 10822.

Emergenza abitativa: gli sfratti

Gli sfratti erano 245 nel 2007 ma sono diventati 909 nel 2011 e 645 nel 2012. Impressionante, in tale contesto disastrato, l’aumento dei provvedimenti di sfratto per morosità: erano 183 nel 2007 sono diventati 809 nel 2011 . Nel resto della regione sono aumentati ma in misura molto minore: da 3637 a 4879.

Salute: aumentano gli anziani

Nella provincia di Livorno ci sono due anziani (over 65 anni) per ogni giovane (sotto i 14 anni).

Salute: i non autosufficienti

Nell’area livornese ci sono 3381 non autosufficienti e 3685 fragili, cioè a rischio di divenire non autosufficienti. I posti letto per non autosufficienti ogni 100 autosufficienti erano 30,4 nell’area livornese, contro i 39,9 della media toscana. Gli anziani assistiti con assistenza domiciliare integrata erano 1,59 (ogni 100 anziani) nell’AUSL 6, contro 2,31 della media toscana e i 4,12 della media italiana. (dati al 2010).

Spesa sociale

Cioè quello che i Comuni spendono per l’erogazione di servizi e degli intervento socio-sanitari. Nell’area livornese era di 123 € per residente, contro i 133 dell’AUSL6 e i 137 della media toscana. Da segnalare che la spesa nell’area livornese è in costante declino dal 2006.

Emigrati

Secondo il rapporto della Fondazione Migrantes (riconducibile alla Caritas) il Comune di Livorno con 11.033 residenti all’estero (il 7% della popolazione residente) si trova in 11^ posizione fra i comuni italiani. Livorno è preceduta solo da Palma di Montechiaro, Favara, Corigliano Calabro, Aragona, Lamezia Terme, Licata, Adrano, Roma, Lucca e Trieste. Secondo uno studio di Adriana Dadà sull’emigrazione italiana fra l’unità d’Italia e la prima guerra mondiale, la provincia di Livorno (che a quel tempo comprendeva solo Livorno e l’isola d’Elba) aveva un tasso di emigrazione pari al 13% della popolazione residente.

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2. NEOLIBERISMO SPINTO

Le politiche economiche di questi ultimi anni hanno portato ad un grande aumento di disoccupazione, sottoccupazione, precarietà. Per una accumulazione del capitale senza freni inibitori niente di meglio che supersfruttare alcuni e sottoccupare e precarizzare gli altri, quindi aumento dell’età pensionabile, aumento dell’orario di lavoro, abuso degli straordinari e del lavoro festivo. Tutto ciò fa risparmiare e divide i lavoratori.

Tutti i giorni nel lavoro sindacale che svolgiamo ci troviamo di fronte a questi problemi, vedi ad esempio la situazione del porto di Livorno, delle cooperative sociali e non, della scuola con le ultime uscite del governo, etc.

Quello che stupisce è che di fronte a questo feroce attacco non c’è una reazione adeguata dei lavoratori. E’ vero che non si intravedono alternative a breve termine e nella maggior parte dei lavoratori c’è la sfiducia a costruirne a medio ed a lungo termine, manca o meglio si rifugge da un progetto, da un ideale, ma tutto ciò non è sufficiente per comprendere come il capitale riesca a mantenere in modo artificiale lo status quo, a congelare questa situazione di stallo nella guerra tra le classi.

In realtà la chiave di volta di questa strana situazione è il ruolo che hanno assunto i sindacati di regime, cioè CGIL, CISL, UIL ed a seguire, con un ruolo subordinato, UGL, CONFSAL, CISAL etc.. Infatti stiamo assistendo al passaggio da una fase chiamata della “concertazione” ad una fase in cui, con l’accordo del 10/1/2014 (il famigerato testo unico sulla rappresentanza), si rispolverano le corporazioni tipiche del regime fascista, che potremmo definire fase della “corporazione”.

In pratica si è passati da una fasulla pantomima della cogestione, che tra l’altro ha portato come frutto quello dei famigerati fondi pensione di categoria, cogestiti al 50% dai sindacati di regime e dai padroni e quasi tutti in perdita, ad una fase in cui viene riconosciuta da parte dei padroni (Confindustria, etc.) a CGIL, CISL e UIL l’esclusività della rappresentanza dei lavoratori a patto ovviamente che questi facciano il cane da guardia al capitale accumulato. Qualcosa di molto simile a quello che avvenne il 2 ottobre 1925 quando, con gli accordi di Palazzo Vidoni, venne riconosciuto dalla Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e dalla Confindustria la reciproca esclusività della rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro.

In questa nuova fase il compito dei sindacati di regime, soprattutto nel settore privato, non è tanto quello di cogestire quanto quello di terrorizzare i lavoratori per far passare le manovre dei padroni.

Infatti tutti i giorni nel nostro lavoro sindacale, in tutti i settori in cui siamo presenti, assistiamo sempre alla stessa sceneggiata: quando il padrone o la direzione della cooperativa devono far passare qualche manovra peggiorativa per i lavoratori ( azzeramento del contratto di secondo livello, abuso degli straordinari, passaggio forzato da full time a part time, etc.) entrano in scena CGIL, CISL e UIL minacciando i lavoratori che, se non si accetta tutto il pacchetto confezionato dal padrone o chi per lui ci saranno licenziamenti, catastrofi, diluvio universale come castigo divino.

In sostanza si punta a disgregare il fronte dei lavoratori tramite il “si salvi chi può” dando ad intendere che solo gli iscritti ai sindacati di regime avranno più probabilità di essere tra i salvati, tra gli eletti, quindi un nuovo ruolo di bottegai in monopolio, totalmente subordinato al volere dei padroni.

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Quindi d’ora in avanti le lotte che metteremo in piedi dovranno tener conto di questa nuova fase che ha come unico punto positivo su cui far leva, di fronte al tentativo di disgregare completamente il fronte dei lavoratori, quello dello smascheramento definitivo dei sindacati di regime: il re è nudo.

Dovremo con pazienza ricompattare il fronte dei lavoratori usando come leva la solidarietà, alzarne il morale fatto a pezzi

dagli ascari del regime e dei padroni, costruire dal basso l’autogestione delle lotte per arrivare poi all’autogestione della società.

3. STUDENTI-APPRENDISTI, STAGISTI, TIROCINANTI: FORMARE ALLA PRECARIETA’

Il 2014 è l’anno di avvio del programma europeo Youth Guarantee, finalizzato a favorire l’occupabilità e l’avvicinamento dei giovani al mercato del lavoro, secondo quando recitano gli obiettivi del programma stesso. Nell’ambito delle misure attuative della direttiva europea, l’Italia ha attivato il “Piano Garanzia per i Giovani”: nel primo trimestre del 2014 è stata realizzata una piattaforma tecnologica e il contest on line a cui i giovani possono registrarsi per ricevere informazioni e successivamente usufruire di un percorso di orientamento personalizzato per l’accesso al mercato del lavoro, un supporto per la costruzione del curriculum e per l’accesso a specifici tirocini. Attraverso il finanziamento europeo Youth Employment e il Fondo Sociale europeo 2014-2020, sono previsti (D.L. 73/2013) incentivi per imprese che attuino tirocini formativi e forme di apprendistato. Insomma, ancora una volta una speculazione imbastita con i fondi europei, allo scopo di costruire un megaufficio di collocamento virtuale e di foraggiare aziende che pratichino forme di sfruttamento spacciate per formazione.

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 Tra le altre misure attuative delle direttive europee, il 7 maggio 2014 il Ministro dell’Istruzione Giannini ha avviato il programma “Cantiere Scuola”, che prevede specificamente azioni formative rivolte agli studenti degli istituti tecnici e professionali, per un raccordo con il mondo del lavoro che abbia particolari agganci al made in Italy. Il riferimento a ciò che ruota attorno all’operazione Expo è più che esplicito e, non a caso, ancora una volta si utilizza il miraggio della formazione finalizzata all’occupazione per estorcere a vario titolo(stage, tirocini etc.) prestazioni lavorative non retribuite.

Ma l’iniziativa più significativa adottata dal governo sul fronte della disoccupazione giovanile è rappresentata dal recentissimo Decreto interministeriale siglato lo scorso 5 giugno dal Ministero dell’Istruzione, del Lavoro e dell’Economia. Il Decreto è denominato “Formazione in azienda- Apprendistato nella scuola di secondo grado” e riesce a compendiare diabolicamente gli obiettivi delle direttive europee in materia di disoccupazione giovanile con l’ennesima manovra di tagli e di abbattimento di qualità della scuola pubblica. Da diversi anni nelle scuole superiori, generalmente nelle classi quarte, sono previsti percorsi di alternanza scuola- lavoro della durata di una settimana, percorsi che gli studenti possono esercitare secondo i loro interessi, in strutture lavorative scelte dalla scuola in base al proprio progetto educativo; più intensiva la formula negli istituti tecnici, che prevedono anche possibili stage estivi su base volontaria. Questa modalità ha ricevuto spesso critiche e contestazioni da parte di chi ritiene che la scuola dovrebbe insegnare a proteggersi dalla precarietà, a conoscere i propri diritti, a sottrarsi allo sfruttamento, a non cedere all’addestramento. Ebbene, la formula fin qui conosciuta diventa niente paragonata a quello che il nuovo decreto prevede.

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Quella che parte con l’anno scolastico 2014-15 è una sperimentazione di vero e proprio apprendistato destinato agli studenti di quarta e quinta superiore, pensato all’interno delle politiche europee sulla disoccupazione giovanile, con l’obiettivo di inserire i ragazzi in un contesto aziendale (on job), sottraendo alla frequenza scolastica fino al 35% dell’orario annuale delle lezioni. Le aziende firmano un protocollo di intesa con il Ministero dell’Istruzione o con gli Uffici scolastici provinciali (ex Provveditorati) e le Regioni dettando le regole del gioco: individuano le scuole di loro interesse, definiscono i criteri di selezione degli studenti- apprendisti, il numero di ore di apprendistato, addirittura i criteri di monitoraggio della sperimentazione. Lo studente apprendista, che firma un vero e proprio contratto,avrà un piano formativo personalizzato e sarà seguito da un tutor in azienda e da un tutor a scuola; quest’ultimo sarà un docente, debitamente formato però dall’azienda per monitorare la ricaduta in ambiente scolastico di ciò che all’azienda stessa interessa.

I tutor aziendali avranno un peso nella valutazione scolastica; l’esperienza di apprendistato sarà valutata e certificata e costituirà credito per l’ammissione all’esame di stato. In sede di esame, la terza prova scritta dovrà tener conto del percorso di apprendistato e in Commissione d’esame potrà essere presente, in qualità di esperto, il tutor aziendale.

Lo scenario, anche se preparato da un processo di aziendalizzazione della scuiola che parte da lontano, è assai inquietante: la sperimentazione della precarietà già da studente; una scuola finalizzata all’addestramento lavorativo e all’acquisizione di competenze strettamente settoriali; un completo asservimento all’azienda, pubblica o privata che sia, che attinge alla scuola in base alle proprie ed esclusive esigenze in una maniera che somiglia molto al caporalato; un terzo del monte ore sottratto allo studio dopo che la recente riforma aveva già consistenetmente ridotto le ore di insegnamento; l’ulteriore spaccatura tra percorsi liceali e percorsi tecnico professionali, che saranno i più investiti dai protocolli di apprendistato; e inoltre l’ingresso delle aziende nel sistema della valutazione e persino nel sancta sanctorum dell’esame di stato.

A tutto questo va aggiunto l’ennesimo taglio che si ricava sulla scuola abbattendo le ore di insegnamento e i posti di lavoro docenti ed A.T.A. Non va dimenticato infatti che oltre al Decreto sull’apprendistato, che eroderà il 35% delle ore di insegnamento, sta partendo sperimentalmente anche la formula di scuola superiore su quattro anni, già prospettata dai ministri Profumo e Carrozza. La perdita di un anno di scuola taglierà possibilità di lavoro a molti precari e precarizzerà molti stabilizzati. Ma anche in questo caso l’operazione è presentata come una possibilità di far accedere i giovani al mondo del lavoro un anno prima, in linea con molti paesi europei. Infatti, il quinto anno fantasma, manco a dirlo, sarà destinato ad esperienze professionalizzanti. Scuola pilota (paritaria, cioè privata finanziata) della sperimentazione è il Liceo internazionale per l’impresa “Guido Carli” di Brescia: nomen omen, ovvero, un nome un programma.

Anche queste operazioni, ritagliate sul terreno della scuola, son presentate come iniziative per promuovere occupazione giovanile. Come se la causa della disoccupazione fosse il sistema di istruzione e non le politiche dei governi, succedutesi e radicalizzatesi negli anni , fino al recente job act, all’insegna della frantumazione del ricatto occupazionale, della parcellizzazione, della precarietà più selvaggia, dell’imposizione di nuove forme del consueto sfruttamento.

4.GLI ANARCHICI E LA DISOCCUPAZIONE

Il presidente del consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha deciso di “rinviare” il vertice europeo sull’occupazione giovanile: ma è mai stato effettivamente convocato? L’unica dichiarazione in tal senso era stata del sindaco di Torino, Pietro Fassino. La vicenda sa tanto di bufala preelettorale, e rientra nello stile da imbonitore dell’attuale primo ministro. Essa comunque testimonia che il dramma della disoccupazione, e in particolare di quella giovanile, è sfruttato dalle istituzioni propagandisticamente; poi queste stesse istituzioni sono incapaci di prendere una qualsiasi misura che attenui le sofferenze dei senza lavoro. Anche la vetrina rappresentata dal vertice può trasformarsi in un boomerang per i governanti, perché crea un evento pubblico che può attrarre la protesta di movimenti e sindacati.

Per chi non è addentro ai segreti dell’economia capitalistica, la disoccupazione è un mistero: noi vediamo ovunque braccia inoperose e, accanto ad esse, mezzi di produzione inutilizzati, terreni incolti, a fronte di bisogni insoddisfatti, dalla casa, alla salute, all’istruzione. Quindi sarebbe possibile, se non necessario, impiegare quei mezzi di produzione e quelle braccia al soddisfacimento dei bisogni sociali; perché questo non avviene? Perché la produzione, in sistema capitalistico, è organizzata da ciascun capitalista per il suo profitto individuale e non già per soddisfare come sarebbe naturale, nel miglior modo possibile, i bisogni delle popolazioni. Quindi il disordine, lo sciupio di forze umane, la scarsezza voluta dei prodotti, i lavori inutili e dannosi, la disoccupazione, le terre incolte, il poco uso delle macchine ecc. – tutti mali che non si possono evitare se non levando ai capitalisti il possesso dei mezzi di lavoro e quindi la direzione della produzione. Il governo opera sia per difendere la proprietà capitalista, sia per favorire l’accumulazione dei capitali, la concentrazione della ricchezza a quel polo della società costituito dalle classi privilegiate, che vivono del lavoro dei proletari. Non esiste alcun interesse comune fra i lavoratori, i produttori reali, e i padroni che si appropriano della ricchezza prodotta dai lavoratori: gli speculatori, gli agrari, i dirigenti d’industria hanno sempre e solo sfruttato il lavoro altrui, non han mai fatto altro lavoro! Sono questi poi che decidono se licenziare o meno un operaio, trasferire un’azienda all’estero, mettere alla fame intere famiglie. E’ ora di dire basta, è ora che paghino i ricchi, che paghino a lacrime di sangue i morti sul lavoro, i morti di malattie e di stenti, i morti per l’avvelenamento dell’ambiente!

Le misure che i governi prendono con la scusa della disoccupazione sono in realtà volte a smantellare le conquiste ottenute dal movimento operaio dalla fine della seconda guerra mondiale: le pensioni, il sistema sanitario, la previdenza sociale, un salario dignitoso, perfino la libertà di organizzazione sindacale e il diritto di sciopero sono nel mirino delle politiche economiche e sociali dei governi. La coalizione dei capitalisti e la politica dei governi smantella le conquiste dei lavoratori, perché esse ostacolano la brama di profitto che anima questo modo di produzione. L’introduzione di nuove tecnologie, i movimenti migratori, la delocalizzazione dei processi produttivi, assieme al prolungamento del tempo e dell’orario di lavoro sono le cause della disoccupazione; le politiche dei governi finiscono quindi per favorire la disoccupazione, perché essa è strettamente legata a questo modo di produzione.

La sconfitta del movimento operaio porta con se il ritorno dei peggiori aspetti delle ideologie autoritarie: il razzismo e la propaganda di guerra sono le prime conseguenze sul piano politico e culturale della disoccupazione. I gruppi politici di destra istigano chi è vittima della disoccupazione o della precarietà ad individuare negli immigrati la causa delle loro condizioni: sono gli immigrati che tolgono loro il lavoro, le case, i posti letto all’ospedale, e così via. L’azione di questi gruppi è favorita, protetta dai governi e dalle polizie, è finanziata dai capitalisti per dividere gli sfruttati e metterli gli uni contro gli altri. L’idea che la crescita economica possa risolvere il problema della disoccupazione porta diritto alla guerra: la crescita economica ha bisogno di materie prime e di mercati, che si trovano all’estero, ecco allora che si scatena la contesa con gli altri paesi capitalistici per le stesse materie prime per gli stessi mercati. Contesa che passa dal confronto economico, a quello diplomatico e infine allo scontro armato. La lotta contro la disoccupazione non può limitarsi alla sola lotta economica, ma deve comprendere anche la lotta contro l’uso ideologico che ne viene fatto, contro i frutti avvelenati della disoccupazione: il razzismo e la guerra.

Spetta alle masse, agli sfruttati, ai disoccupati, ai sottoccupati, ai precari organizzarsi per conquistare il reddito di cui hanno bisogno, imporre la divisione del lavoro esistente fra tutti.

Non si parte da zero: i movimenti per la casa, per il recupero del reddito sono già una realtà, così come sono già in piedi le lotte contro lo straordinario, contro il sabato lavorativo, contro il lavoro festivo nella grande distribuzione. Un altro segnale di mobilitazione viene dall’impegno di alcune RSU contro la riforma delle pensioni; riguardo a questa iniziativa c’è da dire subito che il metodo delle petizioni ai potenti non ci convince, in particolare una petizione rivolta a quei soggetti, il Governo, i sindacati di Stato, che hanno avuto un ruolo da protagonista nel prolungamento del tempo di lavoro, provocato dalla ultima riforma delle pensioni. La riduzione dell’orario di lavoro, attraverso la lotta allo straordinario, la lotta al sabato lavorativo e al lavoro festivo, e del tempo di lavoro, attraverso l’abbassamento dell’età della pensione, è lo strumento concreto con cui combattere la disoccupazione.

L’organizzazione sindacale è il momento centrale della lotta economica, della lotta per garantire migliori condizioni di lavoro e di vita per gli sfruttati, e come strumento di formazione delle potenzialità autogestionarie dei lavoratori; un sindacato che non sia solo la copia bonsai di CGIL-CISL e UIL. La proclamazione di uno sciopero generale sui temi della riduzione dell’orario e del tempo di lavoro assume un ruolo molto importante, sia perché mette in evidenza quei temi che sono più capaci di porre un argine al dilagare della disoccupazione e della precarietà, sia perché rimette al centro lo scontro sul luogo di lavoro. In questa prospettiva si possono collegare organismi di disoccupati e precari con spezzoni del movimento di lavoratori in lotta, costruendo un fronte libertario che contrapponga alla delega e alla fiducia nelle istituzioni l’azione diretta e l’autorganizzazione. La discriminante astensionista è fondamentale per la ricostruzione di un movimento di classe: l’astensionismo è saldamente radicato fra i lavoratori; il sindacalismo subordinato ai partiti, che cerca di trovare un padrino in parlamento non riesce a smuovere la sfiducia delle masse.

L’anarchismo nasce come la componente antiautoritaria del movimento dei lavoratori, e che mantiene la sua vitalità solo con il contatto con questo movimento, con l’impegno continuo ed organizzato al suo interno, al fine di sviluppare quegli organismi, quelle esperienze che saranno il germe della nuova società. I metodi anarchici, anche se applicati spesso da non anarchici, dimostrano ogni giorno la propria validità nel risolvere i problemi quotidiani degli individui; gli anarchici, anziché stare a misurare la purezza rivoluzionaria dei movimenti, possono rendere concrete le proprie idee, passare dalla critica ideologica all’attacco pratico, conquistando, come minoranza agente, il proprio posto nella guerra fra le classi.

La disoccupazione è appunto uno di quei campi dove è possibile far sì che le nostre idee, i nostri programmi, i nostri metodi contribuiscano alla vittoria degli sfruttati. Del resto, il nostro movimento nasce all’interno dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, la prima, che aveva fatto della lotta per le otto ore di lavoro uno dei punti qualificanti della propria azione, e i Martiri di Chicago, il sacrificio dei quali commemoriamo ogni Primo Maggio, si battevano per l’applicazione della legge sulle otto ore di lavoro.

Le lotte parziali avranno un risultato parziale, quello che oggi viene conquistato domani potrà essere perduto, l’importante è che attraverso la lotta economica gli sfruttati imparino ad occuparsi dei loro interessi di classe, imparino che il padrone ha interesse opposti al loro e che essi non possono migliorare le loro condizioni e tanto meno emanciparsi, se non unendosi e diventando più forti dei padroni.

La causa della rivoluzione, la causa dell’elevamento morale degli sfruttati e della loro emancipazione non può che guadagnare dal fatto che i lavoratori si uniscono e lottano per i loro interessi, per questo gli anarchici devono incoraggiarli alla lotta e lottare insieme a loro.

Per questo proponiamo a tutte le componenti libertarie, politiche, sindacali, sociali, di impegnarsi in una campagna comune sul tema della disoccupazione giovanile, e di organizzare sui temi della riduzione d’orario e dello sciopero generale una iniziativa nazionale di mobilitazione.

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IKEA, San Paolo: Solidarietà ai lavoratori in lotta

riceviamo e pubblichiamo

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Solidarietà ai lavoratori in lotta

Due sono gli aspetti che, per quanto riguarda il mondo del lavoro, caratterizzano l’attuale momento storico nel nostro paese.
Da una parte l’impressionante serie di chiusure o ridimensionamento di aziende, anche di grandi dimensioni (ultimo, l’annuncio di 550 esuberi alla Thyssen Krupp Acciai Speciali Terni), che, con il seguito di licenziamenti o di CIG, vanno ad ingrossare le fila della disoccupazione, immediata o prossima.
Dall’altra – proprio in virtù della sempre maggiore disoccupazione, e quindi della capacità di ricatto – la crescente pressione che padronato e Stato impongono sui lavoratori che ancora non hanno subito la mannaia del licenziamento.
Pressione che si esplicita con il recesso unilaterale da accordi nazionali di categoria e da accordi aziendali pregressi, cui subentrano nuove regole aziendali che prevedono l’aumento dei carichi di lavoro, beninteso a parità di salario, oppure il taglio tout-court di salari e stipendi, il tutto sotto la minaccia di chiusura dell’azienda.
Se a questo si aggiunge tutto ciò che di osceno rappresenta il mondo del lavoro precario, sottooccupato, sottopagato o in nero, é evidente come sia in atto da anni un’operazione di “spremitura” il cui fine è il totale controllo della forza lavoro, per gestire la transizione verso un’economia al cui interno, ai ceti popolari spetterà la pura sopravvivenza, mentre saranno salvaguardati i margini di profitto dell’imprenditoria e la continuità (soprattutto economica) del ceto politico.
Laddove non siano sufficienti il ricatto e le minacce nei confronti di coloro che non intendono farsi trattare come carne da macello, ecco entrare in ballo la repressione, esercitata sia dalle direzioni aziendali in prima persona che dalle forze di cui dispone lo Stato.
All’Ospedale San Paolo di Milano sono in atto una serie di pesanti manovre repressive da parte della direzione per colpire chi, come l’USI-AIT, si oppone alla cattiva gestione della struttura e ai licenziamenti di delegati scomodi.
Alla Ikea di Piacenza, teatro sin dal 2012 di una lotta durissima tra i lavoratori delle cooperative organizzati dal SICobas e la direzione locale, la tensione è nuovamente alle stelle. L’Ikea – per il tramite della cooperativa di turno – si è voluta disfare di 33 lavoratori tra i più sindacalizzati e decisi nella lotta, con il fine ultimo di colpire proprio il SICobas.
Per il reintegro del 33 facchini sospesi dal lavoro, SICobas e ADL Cobas hanno indetto per il 26 Luglio prossimo una giornata nazionale di boicottaggio contro la Ikea.
La Commissione mondo del lavoro della Federazione Anarchica Italiana esprime la piena solidarietà nei confronti dei lavoratori colpiti dalla repressione e invita a partecipare alle iniziative messe in atto dai lavoratori dell’Ospedale San Paolo di Milano ed alla giornata di lotta e boicottaggio contro l’Ikea.
La Commissione Mondo del Lavoro-F.A.I.

 

 

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Giornata in memoria di Filippo Filippetti – anarchico livornese, antifascista, uccso dai fascisti

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Giornata in memoria di Filippo Filippetti
anarchico livornese, antifascista, ucciso dai fascisti

Sabato 2 agosto 2014

ore 18:30 Commemorazione presso la lapide
Via Provinciale Pisana 354, Livorno (andando verso Via Firenze, alla ex-scuola di fronte al circolo ARCI “Tamberi”)

dalle ore 21:00 Mostre, distribuzione stampa e materiale anarchico
presso il Teatro Officina Refugio, Scali del Refugio, Livorno

Filippo Filipetti, giovane anarchico, viene ucciso il 2 agosto 1922 dai fascisti mentre si oppone, assieme ad altri antifascisti, ad una spedizione punitiva contro Livorno.
Il 2 Agosto 1922 un gruppo di giovani antifascisti, tra i quali alcuni anarchici, ingaggia uno scontro armato nei pressi di Pontarcione con i camion dei fascisti. Muore nella sparatoria Filippo Filippetti, membro degli Arditi del Popolo, sindacalista dell’USI per il settore edile.
Nell’estate del 1922 si giocano le ultime per fermare la reazione antiproletaria: il paese è attraversato da un crescendo di aggressioni compiute dai fascisti nei confronti delle organizzazioni del movimento operaio e singoli militanti; si contano decine di morti fra gli antifascisti.
Da mesi l’Unione Anarchica Italiana e il giornale “Umanità Nova” si battono a sostegno del movimento degli Arditi del Popolo, per costituire un fronte unico proletario che organizzi la difesa.
Su iniziativa del Sindacato Ferrovieri Italiano è costituita l’Alleanza del Lavoro, a cui partecipano tutti i sindacati, con l’appoggio dell’Unione Anarchica, del Partito Repubblicano, del Partito Comunista e del Partito Socialista.
L’Alleanza del Lavoro indice uno sciopero generale ad oltranza per fermare le violenze fasciste a partire dalla mezzanotte del 31 luglio.
I fascisti finanziati da agrari e industriali, armati da Carabinieri ed Esercito, protetti dalla monarchia e dalla chiesa, aggrediscono le roccaforti operaie.
In molte città, fra cui Piombino, Ancona, Parma, Civitavecchia, Bari i fascisti vengono respinti anche grazie all’azione degli Arditi del Popolo. Nel momento in cui la resistenza operaia cresce, CGL e PSI, sperando in un ennesimo compromesso, si ritireranno dalla lotta, aprendo la strada alla rappresaglia armata del Governo.
Livorno è uno dei centri dello scontro. Tra il 1° e il 2 Agosto 1922 squadre fasciste provenienti da tutta la Toscana lanciano la caccia agli antifascisti livornesi, facendo irruzione nei quartieri popolari che resistono all’invasione.
Molti furono gli assassinati in quei giorni. Popolani, militanti comunisti, anarchici, repubblicani e socialisti, tra i quali Luigi Gemignani, Gilberto Catarsi, Pietro Gigli, Pilade Gigli, Oreste Romanacci, Bruno Giacomini e Genoveffa Pierozzi.
Negli scontri in periferia viene ucciso il giovane anarchico Filippo Filippetti.
Gli anarchici invitano tutti gli antifascisti a partecipare alla commemorazione.

Federazione Anarchica Livornese
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

Collettivo Anarchico Libertario
collettivoanarchico@hotmail.it
http://collettivoanarchico.noblogs.org/

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Due popoli, una terra, nessuno stato!

riceviamo e pubblichiamo

resistenza

(trad: Resistenza!)

Due popoli, una terra, nessuno stato!

Migliaia di palestinesi in fuga da Gaza, centinaia assassinati dalle forze armate israeliane negli attacchi di rappresaglia; il governo di Israele accusa quello di Gaza di essere terrorista, il governo di Gaza accusa quello di Israele di essere razzista e imperialista.

L’ennesimo attacco a Gaza è solo un altro episodio della lunga guerra di supremazia in Medio Oriente, guerra che ha già provocato centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi, miseria e devastazione in tutti i paesi.

Quanto è avvenuto e continua ad avvenire in quella martoriata regione dimostra che ogni governo è in realtà una banda criminale, che basa la sua politica di potenza sulle montagne di cadaveri che si lascia dietro. La guerra che combattono i governi mediorientali è voluta e protetta dalle grandi potenze, che a loro volta combattono le proprie guerre.

L’Italia sostiene direttamente la politica di guerra dello stato di Israele: proprio in questi giorni l’Alenia Aermacchi, del gruppo Finmeccanica, ha consegnato all’aviazione militare israeliana i primi due velivoli di una commessa di 30 caccia da addestramento M346. Inoltre, con l’operazione “Mare Nostrum”, lo stesso governo partecipa allo scontro imperialistico nel Mediterraneo ed è direttamente responsabile dei morti nei naufragi di chi cerca di raggiungere l’Italia.

La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana denuncia l’ennesima strage terroristica provocata dal governo israeliano, denuncia il ruolo dello stato italiano nella crescita del clima di guerra nel Mediterraneo, con l’acquisto degli F-35, con l’operazione “Mare Nostrum”, con il beneplacito alla costruzione, da parte della Marina USA, del MUOS di Niscemi.

Esprime la propria solidarietà alla popolazione palestinese, massacrata dai bombardamenti e dalle rappresaglie israeliane e schiacciata dalla sua classe politica che fonda il proprio potere sul militarismo dogmatico e sulla corruzione.

Invita a sostenere quanti in Israele e in Palestina si battono contro la guerra e per la solidarietà internazionalista, come il gruppo “Anarchici contro il Muro”; esprime la propria solidarietà e invita a sostenere quanti in Italia si battono contro il militarismo e l’imperialismo, a partire dalla manifestazione No-MUOS del 9 agosto a Niscemi. Ogni azione antimilitarista infatti è anche un concreto atto di denuncia contro le guerre, in solidarietà con le vittime dei massacri voluti dagli Stati e dalle classi dominanti.

Due popoli, una terra, nessuno stato!

Senza governi nessuna guerra!

Commissione di corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana

cdc@federazioneanarchica.org

http://federazioneanarchica.org/

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Resoconto dell’assemblea “DISOCCUPATI, SOTTOCCUPATI, PRECARI: L’UNIONE E’ LA NOSTRA FORZA!”

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Resoconto dell’assemblea “DISOCCUPATI, SOTTOCCUPATI, PRECARI: L’UNIONE E’ LA NOSTRA FORZA!

Si è tenuta mercoledì 2 luglio a Livorno, l’annunciata assemblea sulla disoccupazione, organizzata dal Collettivo Anarchico Libertario, dalla Federazione Anarchica Livornese e dalla CIB-Unicobas. Buona la presenza del pubblico, che ha partecipato attivamente al dibattito. L’assemblea è stata introdotta da quattro interventi: il primo intervento, riprendendo e ampliando quanto già pubblicato sull’opuscolo astensionista preparato dalla Federazione Anarchica Livornese in occasione delle ultime elezioni amministrative, ha descritto il disastro dell’occupazione a Livorno, a cui si accompagna il peggioramento dell’assistenza socio sanitaria e il fenomeno, sottovalutato, dell’emigrazione all’estero. L’intervento successivo ha preso in esame due settori specifici, quello del lavoro portuale e delle cooperative sociali, dove si intersecano ricorso sfrenato al lavoro straordinario e fenomeni di sottoccupazione. Il terzo tema affrontato è quello specifico della disoccupazione giovanile, con le misure prese dal governo col Piano Garanzia per i Giovani e con il decreto interministeriale Formazione in azienda – Apprendistato nella scuola di secondo grado, una vera e propria formazione alla precarietà, con riflessi negativi anche per l’occupazione nella scuola. L’ultimo intervento si è imperniato sugli aspetti politici della disoccupazione, sulla necessità di costruire un movimento unitario dei disoccupati e dell’unità di tutti gli sfruttati, disoccupati, sottoccupati, precari, lavoratori a tempo indeterminato per la riduzione dell’orario di lavoro, sulla base dell’autorganizzazione, dell’azione diretta, della sfiducia in chi è al governo e in chi vuole andarci.

Al termine dell’articolato dibattito, si è deciso di dare continuità all’iniziativa, utilizzando gli interventi per un opuscolo di propaganda, con l’obiettivo di organizzare delle iniziative pubbliche di agitazione, e di proporre una campagna nazionale su questi temi, anche qui con iniziative pubbliche di agitazione.

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DISOCCUPATI, SOTTOCCUPATI, PRECARI: L’UNIONE È LA NOSTRA FORZA!

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DISOCCUPATI, SOTTOCCUPATI, PRECARI:
L’UNIONE È LA NOSTRA FORZA!

Livorno è la città toscana con il più alto tasso di disoccupazione; drammatica la disoccupazione giovanile, che nel 2012 arrivava al 59% nella fascia 14/24 anni (al netto degli studenti), per non parlare degli scoraggiati, della cassa integrazione, delle liste di mobilità, degli esodati; collegata alla disoccupazione c’è anche l’emigrazione: Livorno ha più di 11mila residenti all’estero, il 7% degli abitanti, ed è all’unidicesimo posto tra i comuni italiani, ed è collegata anche la sottooccupazione: si tratta di lavoratori a tempo indeterminato che hanno un orario di lavoro inferiore a quello contrattuale, e percepiscono una retribuzione inferiore.
Intanto il nuovo sindaco non se ne occupa, segno dell’indifferenza e dell’impotenza delle istituzioni.

Il governo fa propaganda sulla disoccupazione giovanile: prima delle elezioni europee aveva annunciato un vertice europeo, annuncio che dopo le elezioni è stato rinviato a data da destinarsi. Al di là della propaganda, l’azione concreta del governo italiano e dell’Unione Europea ha come risultati il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli sfruttati, l’ulteriore crescita della precarietà e l’attacco alle libertà politiche e sociali. Il modello Renzi, di cui il job act fa parte, sta rendendo tutti i lavoratori ancor più precari di quanto non lo erano già.
La soluzione del problema della disoccupazione è nelle nostre mani: dobbiamo unirci, portare la nostra protesta tutti i giorni davanti alle istituzioni. I disoccupati hanno il diritto di rivendicare la casa e il soddisfacimento dei bisogni essenziali, per sé e le loro famiglie e, di fronte all’indifferenza delle istituzioni, provvedere con l’azione diretta.
Lo straordinario, il sabato lavorativo, il lavoro festivo, l’innalzamento dell’età per andare in pensione hanno aggravato la disoccupazione, hanno aggravato la condizione dei giovani.
Bisogna costruire un fronte di lotta comune fra disoccupati, precari e lavoratori a tempo indeterminato, per la riduzione dell’orario e del tempo di lavoro.
Ovunque persone senza lavoro e, accanto ad esse, mezzi di produzione inutilizzati, terreni incolti, a fronte di bisogni insoddisfatti, dalla casa, alla salute, all’istruzione; gli sfruttati possono risolvere questa contraddizione levando ai capitalisti il possesso dei mezzi di lavoro e quindi la direzione della produzione.
La soluzione dei nostri problemi non può venire né dai capitalisti né dalle istituzioni:
nessuna fiducia a chi è al governo e a chi vuole andarci!

Discutiamone insieme

Mercoledì 2 luglio alle ore 21,30, presso la sede della Federazione Anarchica Livornese – Via degli Asili 33, Livorno.

Organizzano:
CIB-Unicobas
Collettivo Anarchico Libertario
Federazione Anarchica Livornese

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Ancora sangue in Turchia

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Ancora sangue in Turchia

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Nel Kurdistan turco l’opposizione che da sempre la popolazione ha dimostrato contro la militarizzazione del territorio, si è sviluppata alla fine dello scorso maggio in un forte movimento di resistenza popolare contro la costruzione di nuove caserme militari. La militarizzazione del Kurdistan condotta dal governo turco guidato da Recep Tayyip Erdoğan, leader del partito conservatore-religioso AKP, è stata portata avanti nonostante il processo di pace in atto da quando il PKK, il 21 marzo del 2013, aveva annunciato il cessate il fuoco ed iniziato a ritirare i propri guerriglieri dal territorio turco.

Da aprile nuove azioni di protesta avevano posto l’attenzione sull’inasprimento della militarizzazione dei distretti orientali della Turchia e sull’accelerazione dei lavori per la costruzione di nuove postazioni militari. Dal 24 maggio poi la protesta si è estesa, assumendo forme più radicali. La popolazione ha infatti organizzato alcuni blocchi sulla strada Diyarbakir-Bingöl allo scopo di impedire il passaggio dei mezzi da lavoro per i cantieri delle installazioni militari, e per rallentare l’arrivo di nuove truppe.
Sabato 7 giugno le forze speciali turche hanno lanciato un attacco per disperdere i blocchi stradali a Lice, uno dei principali centri della resistenza. Nel corso degli scontri le forze di sicurezza turche hanno aperto il fuoco sui manifestanti disarmati, uccidendo Ramazan Baran, 24 anni, e Abdulbaki Akdemir, 50 anni. Altre persone sono rimaste ferite. Il giorno seguente manifestazioni contro la repressione ed in solidarietà con la popolazione di Lice si sono tenute in moltissime città della Turchia, tra cui Istanbul, Izmir e Adana. Ad Istanbul ci sono stati duri scontri tra manifestanti e polizia nei quartieri di Okmeydanı e Gazi; mentre a Diyarbakır, principale città del Kurdistan, migliaia di persone hanno preso parte al corteo funebre di Ramazan Baran, che si è trasformato in una vera e propria manifestazione di rabbia contro la brutalità della repressione messa in campo dal governo turco, al termine della quale ci sono stati duri scontri con la polizia.
La strage di Lice non ha fatto che estendere la protesta a tutto il Kurdistan. Nei giorni seguenti infatti si sono moltiplicate le manifestazioni, alle quali il governo turco ha reagito ancora con la brutale repressione. Il 9 giugno a Siirt un ottantenne è morto, sopraffatto dai gas lacrimogeni. Un altro ragazzo di sedici anni è stato ucciso domenica 15 giugno ad Adana, colpito alla testa da una granata stordente della polizia sparata a distanza ravvicinata. Sono quattro per ora i manifestanti uccisi dal terrorismo di Stato in questi giorni, i feriti sarebbero sedici, mentre tra i quasi duecento fermati, a diciannove sarebbe stato confermato lo stato di custodia.

I movimenti curdi hanno denunciato il comportamento del governo turco come provocatorio ed ipocrita, volto a far saltare ogni possibilità di soluzione per il processo di pace in corso, affermando che dall’inizio del processo l’esecutivo guidato da Erdoğan non ha fatto alcun passo reale nel senso della pacificazione.
Il governo turco in effetti ha continuato ad installare nuove strutture militari e ad inviare truppe di rinforzo in Kurdistan, tanto che già lo scorso anno si erano registrate manifestazioni contro le nuove caserme. Fu proprio nel distretto di Lice che, il 28 giugno 2013, le forze di sicurezza turche spararono su una manifestazione contro la costruzione di una avamposto militare della Gendarmeria, uccidendo il diciottenne Medeni Yıldırım e provocando diversi feriti.

Ancora una volta Lice è centro della resistenza popolare contro la militarizzazione condotta dal governo turco. Ancora una volta lo Stato turco reprime nel sangue ogni protesta.

Certamente però la tensione degli ultimi mesi in Kurdistan non è esclusivamente dovuta all’installazione di nuove strutture militari. La popolazione infatti, protestando contro la militarizzazione e la repressione, contesta non solo al governo l’atteggiamento provocatorio tenuto nell’ambito del processo di pace, ma anche la forte impronta autoritaria che, più in generale, caratterizza l’esecutivo di Erdoğan nella sua azione di governo. Questo avviene in un periodo complesso per la Turchia. In primo luogo il ciclo di lotte che si è aperto lo scorso anno con la rivolta nata da Gezi Park appare ben lontano dal concludersi, sembra anzi aver aperto nuovi scenari di conflitto sociale in Turchia. Il movimento della scorsa estate infatti sembra aver dato nuovo respiro alle lotte dei lavoratori, mentre l’opposizione alla repressione ed al fascismo del governo diviene naturale punto di contatto tra la sinistra rivoluzionaria turca ed i movimenti curdi.
In secondo luogo le elezioni presidenziali che si terranno nel mese di agosto saranno certamente un punto di svolta per il paese. Per la prima volta in Turchia si terranno infatti elezioni dirette per la Presidenza della Repubblica, carica dal ruolo fino ad ora limitato, ma che con le riforme volute dal governo verrà ad assumere nuove funzioni e ad estendere il proprio potere.
Proprio Erdoğan dovrebbe essere il candidato dell’AKP alla Presidenza, ma il suo nome non è stato ancora ufficializzato: il partito al governo infatti aspetterà la fine di giugno per esprimere il proprio candidato. Il CHP invece, partito della sinistra “kemalista”, repubblicana, autoritaria e laica, ha stretto il 16 giugno uno storico accordo con il partito ultranazionalista di estrema destra MHP, per esprimere un nome comune per le presidenziali: il candidato dei due principali partiti d’opposizione sarà Ekmeleddin İhsanoğlu, ex segretario generale dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, un candidato forte perché può far confluire all’opposizione anche parte dei voti religiosi.
Nelle elezioni presidenziali i due partiti che sostengono i diritti della popolazione curda e che siedono in parlamento, il BDP e l’HDP, giocheranno certo un ruolo determinante. Questi partiti hanno dichiarato che concorreranno al primo turno con un proprio candidato, mentre per il secondo turno valuteranno quale candidato possa dare garanzie su libertà, democrazia e questione curda.
In questa ottica il BDP e l’HDP non ritengono che la politica dell’AKP ed in particolare la figura di  Erdoğan possa offrire tali garanzie. Il 12 giugno, in un incontro con il leader del CHP Kemal Kılıçdaroğlu, esponenti di BDP e HDP avevano valutato come possibile il proprio sostegno, nel secondo turno delle votazioni, al CHP, qualora il candidato dell’opposizione assicuri le garanzie da essi richieste. Certo il patto stretto dal CHP con il partito ultranazionalista MHP, su posizioni razziste, legato ai Lupi Grigi, e che ha da sempre attaccato anche fisicamente le minoranze, potrebbe escludere il sostegno dei curdi al candidato dell’opposizione.

Mancano meno di due mesi al primo turno delle presidenziali e lo scenario elettorale appare sempre più fosco per gli sfruttati, per chi lotta contro l’oppressione. Ma noi sappiamo bene dove guardare, la soluzione è nella lotta contro il terrorismo di Stato e contro la devastazione capitalista, la soluzione è nelle lotte quotidiane, che si intrecciano creando reti di solidarietà, al di là dei confini e degli accordi di partito.

Dario Antonelli

 

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Questo articolo sarà pubblicato su “Umanità Nova” n. 21 del 22 giugno 2014.

Puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Garibaldi, Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso l’edicola Dharma Viale di Antignano 110, la Libreria Belforte in Via della Madonna e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20)

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LA SETTIMANA ROSSA CONTINUA!

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LA SETTIMANA ROSSA CONTINUA!

Sono passati cento anni dalla Settimana Rossa, un movimento popolare spontaneo di rivolta iniziato il 7 giugno del 1914 in seguito all’assassinio di tre dimostranti da parte dei carabinieri in Ancona. La rivolta si estese in moltissime città e terminò dopo una settimana a causa del tradimento dei dirigenti del PSI e della CGL, che si ritirarono dalla lotta determinando un ulteriore inasprimento repressivo
Il 7 giugno 1914 i gruppi anarchici, quelli antimilitaristi, l’Unione Sindacale Italiana, i giovani socialisti, il Partito Socialista e il Partito Repubblicano si erano accordati per una manifestazione di protesta antimilitarista e antimonarchica, da realizzarsi in tutto il Paese nel giorno in cui la monarchia celebrava la sua festa. L’eccidio di Ancona ha come risposta lo sciopero generale in città e in tutta Italia; il movimento si estende rapidamente nelle Marche e in Romagna, mentre scontri si hanno in tutte le principali città italiana, scontri che il governo affronta con la massima repressione, mobilitando completamente l’esercito.
Il movimento anarchico fu l’anima della lotta, come lo era stato nella campagna antimilitarista per la liberazione di Augusto Masetti.
Lo sviluppo del Movimento anarchico negli anni che precedettero la Settimana Rossa è legato al lavoro di chiarificazione teorica, all’elaborazione dei valori dell’anarchismo, al consolidamento delle relazioni fra gruppi e compagni, alla definizione di un programma comune e rivolto all’intervento nel movimento operaio, combattendo le influenze borghesi che penetravano nel movimento e superando l’individualismo fine a se stesso; allo stesso tempo in questi anni venivano anche precisati obiettivi pratici e di organizzazione rivoluzionaria.
Questo lavoro aveva visto come protagonisti Pietro Gori, Luigi Fabbri, Luigi Bertoni, Errico Malatesta, per citare solo i più noti, e si era sviluppato attraverso periodici, come “L’Agitazione”, “Il Pensiero”, “Volontà”.
Ricordare oggi la Settimana Rossa significa ricordare non solo il ruolo determinante delle lotte antimilitariste nello scontro con i governi, ma anche il percorso di sviluppo che attraversò allora il movimento anarchico, percorso che può darci utili insegnamenti nella costruzione di una forza rivoluzionaria all’altezza delle attuali esigenze di trasformazione sociale .

GIOVEDI’ 19 GIUGNO
presso
FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE v.Asili 33

serata di rievocazione, dibattito e attualizzazione
nel centenario della SETTIMANA ROSSA

ore 20 aperitivo
ore 21 dibattito

Federazione Anarchica Livornese
Collettivo Anarchico Libertario

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Fascisti italiani in Ucraina, a Donetsk come a Kiev.

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Fascisti italiani in Ucraina.

A Donetsk come a Kiev.

Dopo i numerosi articoli che nelle scorse settimane hanno fatto luce sulla presenza di fascisti italiani in Ucraina tra i gruppi armati neonazisti che sostengono e compongono il governo di Kiev, si ricordi in proposito il caso di Francesco Fontana, il 10 giugno RaiNews ha dato notizia dell’arrivo di un gruppo di volontari italiani a Donetsk per combattere le truppe di Kiev. La notizia è stata ripresa anche da altre testate italiane.

 

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/A-Donetsk-sono-arrivati-volontari-italiani-per-combattere-le-truppe-di-Kiev-9480d2a5-99e6-48d2-b884-36cad0c80999.html?refresh_ce


RaiNews indica questi volontari come “membri dell’organizzazione antifascista italiana Millennium” ed afferma che “sono giunti a Donetsk dove saranno inquadrati nelle milizie paramilitari filorusse comandate dal sedicente comandante in capo delle forze armate della Repubblica Popolare di Donetsk, Igor Strelkov.”
Stando all’articolo la notizia sarebbe stata lanciata dal portale russo Lifenes.ru, che avrebbe citato la pagina di Pavel Gubarev, Governatore del popolo della Repubblica di Donetsk.
Secondo quanto riportato da RaiNews, Gubarev afferma “che gli italiani «hanno espresso la volontà di sostenere la Repubblica Popolare di Donetsk nella sua resistenza contro le autorità di Kiev che conducono le operazioni militari contro il proprio popolo nel Sud-Est dell’Ucraina». Gli italiani saranno messi a disposizione del comandante in capo Igor Strelkov e intendono anche attivare un canale per la raccolta in Italia e l’invio a Donbass degli aiuti umanitari.”
L’articolo si chiude riportando che “Il sindaco popolare di Donetsk Pavel Gubarev ha confermato inoltre la presenza dei volontari russi e polacchi in diverse formazioni militari dei separatisti. Sempre secondo Gubarev, in breve i separatisti intendono costituire delle vere e proprie formazioni militari, una sorta di brigate internazionali composte da volontari stranieri, con la partecipazione di italiani, spagnoli, francesi e canadesi.”

Chi sono questi volontari?

L’articolo di RaiNews è corredato da una foto in cui tre persone tengono una bandiera tricolore italiana in cui campeggia, al centro, una stella rossa. Sullo sfondo una grande scritta “Новороссия” (Nuova Russia), che sovrasta, su una sagoma, la bandiera dell’omonimo Stato nella quale è rappresentata una croce di Sant’Andrea nei colori bianco, rosso e blu.

Lo Stato Federale della Nuova Russia è una confederazione nata ufficialmente il 24 maggio scorso in seguito ad un accordo tra le repubbliche di Donetsk e Lugansk, autoproclamatesi indipendenti dall’Ucraina nello scorso Aprile. Stessa bandiera e stesso nome ha il Partito della Nuova Russia, fondato circa un mese fa, di orientamento separatista e Pro-Russo, nonché fortemente influenzato dall’eurasiatismo del fascista russo Aleksandr Dugin, già ideologo del Partito Nazionalbolscevico russo. È proprio il Partito della Nuova Russia ad aver preparato e deciso la nascita del nuovo stato federale, la cui creazione è stata infatti dichiarata durante il primo congresso del partito il 22 maggio scorso, al quale era presente anche Dugin. Il termine Nuova Russia è ripreso dal nome della regione storica che coincide con i territori a nord del Mar Nero che, nel corso del XIX secolo, l’Impero Russo conquistò sottraendoli all’Impero Ottomano. Pavel Gubarev, il Governatore del Popolo della Repubblica di Donetsk che avrebbe accolto i volontari italiani, è anche leader del Partito della Nuova Russia. Gubarev ha militato in passato nel Partito Socialista Progressista d’Ucraina, ma anche nella formazione neonazista Unità Nazionale Russa (Русское Национальное Единство).

Ma in questo calderone di nazionalismo russo, neonazismo ed eurasiatismo, cosa c’entrano il tricolore con la stella rossa, un’organizzazione “antifascista” italiana e le “brigate internazionali”?

L’organizzazione italiana “Millennium” che ha inviato volontari a Donetsk non è certo antifascista. Il gruppo “Millennium” dichiara sul proprio sito di non essere “né neofascista né antifascista”. Infatti non sono neofascisti, sono nazisti.
“Millennium” ha organizzato assieme al Gruppo Alpha, organizzazione giovanile neonazista degli Hammerskin di Lealtà e Azione, un convegno al Politecnico di Milano il 17 gennaio scorso. In tale occasione 200 compagni intervenuti per fermare l’iniziativa neonazista vennero caricari dalla polizia davanti al Politecnico.
Ma non è tutto. Il gruppo “Millennium” è legato alla rivista “Eurasia” il cui direttore è il noto neofascista Claudio Mutti implicato nello stragismo nero.
Questi volontari italiani sono quindi membri di un gruppo che condivide l’eurasiatismo del fascista russo Aleksandr Dugin e il nazionalismo del Partito della Nuova Russia.
La matrice nazista del gruppo “Millennium” è ancora più chiara se si va a leggere il suo manifesto politico: “I Popoli, depauperati da ogni sovranità e potere decisionale, rendono ogni autorità alle minoranze che dirigono gli affari mondiali secondo il proprio interesse. Culture e religioni muoiono esangui sugli altari dei simulacri postmoderni. La nuova legge è il Caos.
In questo contesto Millennium afferma la propria azione ordinatrice. Millennium si identifica nel ruolo del partito rivoluzionario europeo, impegnato nella liberazione dell’Europa dal giogo unipolare e nell’edificazione di un paradigma culturale europeo. All’entropia incipiente, Millennium contrappone le leggi risorte della Giustizia, della Tradizione e della Comunità.”

Non ci è dato sapere se in questo caso è RaiNews ad aver giocato con la fantasia, tirando fuori sedicenti “organizzazioni antifasciste” e addirittura le “Brigate internazionali”, o se siano i neonazisti di “Millennium” a voler creare ulteriore confusione utilizzando simboli e parole d’ordine tipiche dell’antifascismo. Probabilmente sono entrambe le cose.

Tuttavia è chiaro che il gruppo “Millennium” fa parte di quella corrente rosso-bruna ed eurasiatista di chiara matrice nazista e che i suoi volontari a Donetsk sono dunque nazisti. La stessa corrente in cui si colloca il Partito della Nuova Russia, fautore dello Stato Federale della Nuova Russia.

Si deve quindi fare chiarezza sulla situazione in Ucraina, smascherando i gruppi neofascisti che agiscono nel conflitto. Bisogna rendersi conto che anche Donetsk come a Kiev i fascisti sono al governo, strumento delle potenze imperialiste che si contendono l’Ucraina.

Il caso dei volontari del gruppo nazista “Millennium” mostra quanto sia urgente riaprire un dibattito serio sulla situazione in Ucraina. Quanto accade oggi in Ucraina ci mostra cosa può accadere quando la classe lavoratrice è ridotta in ginocchio, divisa e disorientata, in questo caso da decenni di capitalismo di stato e da venti anni di capitalismo selvaggio. Per questo è importante chiarire le posizioni in un dibattito che rifiuti la propaganda delle potenze in campo e che metta al centro l’internazionalismo, coscenti che solo la forza dell’unità di classe che rompe le frontiere imposte dagli stati può fermare la guerra e può abbattere i regimi fascisti che oggi si fronteggiano in Ucraina.

 

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Ballottaggio? Si cambia con la lotta, non col voto!

pubblichiamo il testo del volantino che sarà diffuso durante il presidio astensionista di oggi giovedì 5 giugno. Appuntamento in Via Grande (angolo Via Cogorano, di fronte a Libreria Giunti) ore 17:30

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BALLOTTAGGIO?

SI CAMBIA CON LA LOTTA, NON COL VOTO!

La campagna elettorale per il ballottaggio che si terrà l’8 giugno a Livorno tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle sta toccando il ridicolo, da una parte come dall’altra. Fino al 25 maggio ogni lista, esibendo miseri programmi, puntava alla propria specifica affermazione demonizzando l’altra. Ora tutto è messo da parte per la ricerca delle alleanze: Intrighi, accordi, pressioni, voltafaccia, cambi di schieramento. Il ballottaggio mostra una volta di più il vero senso delle elezioni: accordi di potere, spartizione di seggi, compromessi per gestire l’esistente. Anche i nuovi arrivati sono ben disposti a “sporcarsi le mani”. Altro che cambiamento!

Chiunque vinca queste elezioni, la città continuerà ad essere devastata e saccheggiata dai nuovi amministratori proprio come dai vecchi. L’esperienza insegna che gli eletti, non sottoposti a controllo e revoca, finiscono sempre per tradire le promesse elettorali.

Chi governa imporrà, in nome dell’emergenza, della crisi, dei piani nazionali, delle compatibilità, gli interessi economici di pochi piuttosto che quelli della collettività.

Chi sarà all’opposizione si limiterà, quando lo riterrà opportuno, a qualche “lamentela”, stando perfettamente dentro il gioco istituzionale, che vuol dire non mettere in discussione l’equilibrio esistente.

Tutti sanno che la resistenza agli sfratti e alla disoccupazione, la lotta per la casa, così come l’opposizione ai piani di sperpero di risorse e aumento di nocività come il nuovo ospedale, il rigassificatore, il megainceneritore, la discarica del Limoncino, non è stata condotta in Consiglio Comunale dai mummificati rappresentanti delle minoranze, ma nelle piazze dai comitati, dai movimenti, dalle persone che si organizzavano per lottare.

L’organizzazione sociale, la produzione e la distribuzione dei beni, la gestione delle nostre città, l’esercizio delle libertà individuali e collettive, la difesa della salute e dell’ambiente, sono cose troppo importanti per essere delegate a poche persone!

Non delegare, non votare. Ti chiedono di scegliere tra la sicurezza del “vecchio” che ben conosciamo per i disastri prodotti sotto la maschera di sedicente sinistra e la presunta sfida di un “nuovo” che puzza già di vecchio e di compromesso con la destra. Non sottometterti al ricatto. Non scegliere il meno peggio.

L’alternativa è quella della mobilitazione in prima persona, della autorganizzazione nelle lotte sociali, della scelta antistituzionale.

Nella campagna elettorale la realtà degli sfruttati, del proletariato, della classe operaia non ha spazio. Lo spazio della classe antagonista è nel gesto antagonista al rito elettorale: l’astensionismo.

NON VOTARE, LOTTA!

Federazione Anarchica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

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