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Presidio di solidarietà con chi lotta in Turchia

Solidarietà con chi lotta in Turchia!

Mercoledì 05/06 a Livorno

Presidio in Piazza Grande (angolo Via Pieroni)

ore 17:30

 
ponte
Le brutalità della polizia turca che ha sgomberato ad Istanbul il 30 maggio un presidio pacifico a Gezi Park, nella centrale Piazza Taksim, ha scatenato un’ondata di proteste in tutta la Turchia.
 
La protesta contro la repressione governativa e la resistenza di strada si sono presto trasformate in una più vasta rivolta di massa contro il terrorismo di Stato, le politiche del governo, lo sfruttamento e la devastazione capitalista.

La lotta che oggi in Turchia è portata avanti da donne e uomini, lavoratori e studenti, curdi e rivoluzionari, è la nostra lotta. Appoggiamo chi lotta in Turchia contro la devastazione capitalista, contro il terrore di Stato e contro l’oppressione religiosa.

Federazione Anarchica Livornese, Collettivo Anarchico Libertario, Sinistra Critica, Partito Comunista dei Lavoratori

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“Amianto. Una storia operaia” presentazione del libro con l’autore Alberto Prunetti + cena sociale e canti popolari

Medicina Democratica sez. Livorno e Val di Cecina

Circolo Culturale Errico Malatesta

organizzano:

presentazione del libro:
“AMIANTO. UNA STORIA OPERAIA”

di (e con) Alberto Prunetti

Venerdì 7 GIUGNO ORE 18,15

presso Federazione Anarchica Livornese, Via degli Asili 33,  Livorno

A seguire Cena Sociale e canti popolari con Maria Torrigiani e Marco del Giudice

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Turchia – Le radici della rivolta

Pubblichiamo in anteprima l’articolo “Le radici della rivolta” sull’insurrezione popolare che in questi giorni sta avvenendo ad Istanbul, Ankara e altre città turche. L’articolo comparirà anche sul numero 20 di Umanità Nova, disponibile ad abbonati e distributori da giovedì 6 giugno.
istanbul

Turchia – Le radici della rivolta

 

Il 30 maggio la polizia turca si presenta con i bulldozer a Gezi Park, l’ultimo parco dell’area di Piazza Taksim, da giorni occupato pacificamente dal movimento che si oppone alla distruzione dell’ultimo spazio verde della zona.

Il parco viene sgomberato dalla polizia con brutalità. Oltre ai lacrimogeni e alle violenze sui manifestanti, la polizia incendia le tende degli occupanti e distrugge gli alberi che questi avevano piantato nel parco nei giorni precedenti.

L’occupazione di Gezi Park era cominciata il 28 maggio. Il parco si trova nella centrale Piazza Taksim, sulla sponda europea della città, una zona estremamente turistica ma anche un luogo simbolo di resistenza e di lotta per i lavoratori e per i rivoluzionari. La piazza in cui il Primo Maggio del 1977 furono uccisi 34 manifestanti. La piazza attorno alla quale anche quest’anno la polizia ha massacrato a forza di botte, lacrimogeni e idranti la folla scesa in piazza, nonostante i divieti, per la giornata internazionale dei lavoratori.

Questa volta la violenza della polizia ha incontrato però una reazione determinata e di massa.

Nonostante i continui attacchi della polizia, sempre più persone si sono unite alla resistenza di piazza. Dopo giorni di scontri ininterrotti, nei quali la polizia ha usato mezzi sempre più duri e violenti, alle 16 del primo giugno, i blindati iniziano a ritirarsi da Piazza Taksim, i cordoni dell’antisommossa arretrano e abbandonano la piazza. La resistenza di oltre un milione di manifestanti, la solidarietà praticata nelle strade, ha alla fine costretto il governo a fare almeno un passo indietro. In piazza ci sono tutti: donne e uomini, ecologisti, abitanti della zona, lavoratori, curdi, socialisti, anarchici, verdi, sindacati, repubblicani, ultras, attivisti delle ong. La rivolta non si ferma con la ritirata della polizia da Piazza Taksim, i manifestanti restano a presidiare la piazza, le barricate restano in piedi. In decine e decine di altre città continuano gli scontri e le proteste, a Ankarea e Izmir la polizia interviene con estrema violenza. Ormai si tratta di un’estesa rivolta contro un governo autoritario e conservatore, contro il terrorismo di stato, contro la devastazione capitalista.

 

Tutto questo per qualche albero?

Nessuno ha il diritto di aumentare le tensioni in Turchia usando come scusa alcuni alberi tagliati

Questo ha dichiarato il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan. Per quanto i media ufficiali, in Turchia come a livello internazionale, abbiano cercato soprattutto nei primi giorni di parlare solo di Gezi Park e della difesa degli alberi, le radici profonde di questo movimento di lotta sono ormai evidenti a tutti quelli che le vogliono vedere.

Già lo stesso movimento in difesa di Gezi Park non mira alla semplice salvaguardia del verde pubblico, ma si oppone all’intero processo di gentrificazione urbana in atto nella zona di Taksim. Detto in parole semplici, con gentrificazione si intende la trasformazione di aree urbane povere in aree ricche. Questo processo si traduce da una parte in abbattimento e cementificazione selvaggia, dall’altra in esclusione dei più poveri da tali aree, con conseguente abbassamento del livello di vita per le classi popolari. Nelle aree centrali di Istanbul questo processo è in corso già da anni. Interi quartieri vengono distrutti per lasciare spazio a complessi residenziali, grandi centri commerciali, alberghi di lusso, il costo della vita aumenta, aumenta la schiera degli emarginati, aumentano i profitti degli speculatori legati al partito di governo, l’AKP. Al posto del Gezi Park, Erdoğan vorrebbe far costruire un imponente centro commerciale, una moschea e un rifacimento delle caserme ottomane che si trovavano nella piazza prima della costruzione del parco.

Un progetto che sintetizza i cardini ideologici della sua politica: capitalismo sfrenato, conservatorismo religioso, nazionalismo in salsa neo-ottomana.

Riportare la Turchia ai fasti imperiali del periodo ottomano è uno dei ritornelli della retorica del governo turco. Per questo sono pronti già altri favolosi progetti: l’aeroporto più grande del mondo, la moschea con i minareti più alti del mondo, ed un nuovo canale parallelo al Bosforo.

Contro questi progetti di vera e propria devastazione sociale ed ambientale si sono sviluppati movimenti popolari. In particolare nella regione del Mar Nero si sono tenute negli ultimi anni numerose manifestazioni contro discariche, centrali nucleari, fabbriche inquinanti, autostrade e dighe.

La rabbia esplosa nelle piazze affonda le sue radici anche nel sempre più selvaggio sfruttamento imposto alla classe lavoratrice in Turchia. Milioni di persone nel paese lavorano in condizioni quasi servili, con salari bassissimi ed altissimi tassi di incidenti e morti sul posto di lavoro. Queste condizioni sono ancora più drammatiche negli appalti e nelle esternalizzazioni. A questo si accompagna una organizzazione fortemente gerarchica del lavoro e la repressione dei lavoratori che si organizzano autonomamente, nei sindacati rivoluzionari e di classe.

Un altro elemento determinante nell’esplosione delle rivolte è costituito dalle politiche islamiste conservatrici imposte dal governo. Quelle che giornali come “Repubblica” hanno liquidato come “proteste della birra” o, più romanticamente, “dei baci”, sono in realtà una reazione compatta della società turca al barbaro attacco alle libertà personali. Non si tratta di difendere uno stile di vita occidentale o di rivendicare il laicismo militare di Ataturk. Chi scende in piazza ha capito che il governo vuole completare il proprio sistema di dominio legalizzando ed istituzionalizzando una repressione religiosa che punta ad eliminare ogni libertà individuale. Le politiche di Erdoğan comprendono divieti sugli alcolici, divieti sulle relazioni pre-matrimoniali, ma soprattutto un attacco alle donne. Il governo vorrebbe infatti intervenire contro aborto e contraccezione, inoltre sta cercando di limitare le libertà di scelta della donna su un piano più generale, imponendole il lavoro domestico secondo un modello di sottomissione patriarcale.

Infine un ulteriore fattore di forte malcontento è dovuto alla politica interventista del governo turco nei confronti della Siria. Le mire imperiali del nazionalismo neo-ottomano varato da Erdoğan hanno portato la Turchia ad impegnarsi a livello internazionale e a intraprendere una guerra sporca contro un paese vicino. Una guerra che si sta estendendo anche in Turchia con già molti morti per bombe ed uccisioni: l’11 maggio a Reyhanlı-Hatay 52 persone sono rimaste uccise e 140 ferite dall’esplosione d due auto piene di esplosivo.

 

Il terrorismo di Stato innesca la rivolta.

Le brutalità di questi giorni perpetrate dalla polizia sono forse per molti di noi inimmaginabili.

La potenza degli idranti, i lacrimogeni CS lanciati fino ad esaurimento scorte, gli altri gas tossici ancora peggiori come il gas arancione. Le cariche dei blindati, che i turchi non a caso chiamano “panzer”. Le pallottole di gomma, le bombe lacrimogene sparate in testa ai manifestanti, i proiettili veri sparati dalla polizia e che hanno fatto almeno un morto. Le botte e le torture nei confronti degli arrestati, molti dei quali bisognosi di cure. Uno scenario terrificante che in buona parte era già andato in scena quasi un mese prima, durante le manifestazioni del Primo Maggio ad Istanbul, vietate dalle autorità. Un copione quasi quotidiano in Kurdistan, dove al di là della guerra con il PKK, lo Stato turco usa il pugno di ferro anche contro le normali manifestazioni dei curdi nelle città. Perché è così che lo Stato turco gestisce ogni tipo di dissenso, è una linea comune che unisce i governi repubblicani laici, le dittature militari e il governo islamico dell’AKP. Una linea fortemente autoritaria e repressiva che negli ultimi mesi in Turchia era andata ad inasprirsi ulteriormente e a farsi sempre più invasiva allo scopo di applicare senza esitazioni le politiche del governo. Forse è proprio per questo che l’ennesima violenza brutale della polizia contro una protesta pacifica nella simbolica Piazza Taksim ha scatenato una reazione tanto determinata e compatta in tutta la Turchia.

Alla brutalità della polizia ha risposto la solidarietà concreta nella rivolta sulle strade e sulle barricate. Case, Università, piccoli negozi hanno aperto le porte ai manifestanti. Medici e infermieri volontari hanno improvvisato ospedali negli edifici disponibili. Milioni di persone si sono unite alla resistenza contro il terrorismo di Stato. Al momento in cui scriviamo (sera del 03/06/13), non è ancora chiaro quale sia il numero dei morti. Un giovane è stato ucciso ad Ankara da un colpo di pistola alla testa sparato a bruciapelo dalla polizia, altre tre vittime sono state confermate. Gli arrestati e i feriti sono ormai incalcolabili. Non sappiamo come continueranno le proteste, ma soprattutto non sappiamo ancora quali possano essere i possibili scenari. Dopo questi giorni che sanciscono una prima sconfitta politica del governo AKP e del primo ministro, sono ancora da chiarire molti aspetti.

Primo fra tutti il ruolo dell’esercito, che ha sempre dominato la scena politica turca e che è stato non di rado protagonista di colpi di stato che con la scusa della difesa dell’integrità della nazione e della laicità dello Stato, sono serviti soprattutto ad eliminare l’opposizione di sinistra e rivoluzionaria. L’esercito infatti pur essendo stato “purgato” negli ultimi anni degli elementi golpisti o comunque invisi al governo, resta sempre un potente fattore in campo, con poteri di sorveglianza politica sul governo dati dalla stessa costituzione, anche se molto ridotti dal governo. Per ora sembra essere rimasto in disparte, anche se alcune testimonianze parlano di un atteggiamento benevolo dei militari nei confronti dei manifestanti. Certo la situazione militare della Turchia è attualmente molto complessa. Alla guerra in Siria si aggiunge l’incertezza della “tregua” con il PKK, proprio il 3 di giugno c’è stata, infatti, una sparatoria tra militari turchi e guerriglieri curdi.

 

Gli anarchici partecipano al movimento in tutta la Turchia, sono presenti nella resistenza nelle strade e difendono i manifestanti. Il gruppo di Istanbul Azione Anarchica Rivoluzionaria (Devrimci Anarşist Faaliyet) fa appello a organizzare iniziative di solidarietà internazionale, a sostenere la lotta contro il terrore di Stato e la devastazione capitalista.

 

In ogni caso qualunque siano gli sviluppi della situazione una cosa è certa. In questi giorni milioni di persone in Turchia hanno dimostrato un enorme coraggio e forse stavolta non sarà facile terrorizzare i lavoratori con le stragi o eliminare l’opposizione sociale con la legge marziale e il coprifuoco. Il ministro degli esteri Turco Ahmet Davutoglu ha dichiarato che le “Manifestazioni nuocciono all’immagine del Paese”. Se c’è una certezza che emerge da questi giorni di lutti e di rivolta è l’esempio che da Piazza Taksim si rivolge a tutto il mondo. 40 ore di battaglia nelle strade, 40 ore di solidarietà che hanno legato centinaia di migliaia di persone nel centro di Istanbul. 40 ore che hanno riscattato 40 anni di violenze, stragi, esecuzioni, incarcerazioni, esili. 40 anni di terrore di Stato. Per la prima volta dopo il Primo Maggio del 1977 si è rientrati a Taksim a testa alta.

 

Dario Antonelli

 

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Rivolta di massa in Turchia contro il terrorismo di Stato

riceviamo e pubblichiamo questo testo dalla Turchia.

istanbul

Rivolta di massa in Turchia contro il terrorismo di Stato

 

Dopo due giorni di protesta contro la gentrificazione urbana di Gezi Park (il più grande parco di Piazza Taksim, dove le aree verdi vengono continuamente distrutte), la gente ne ha avuto abbastanza della brutalità e della violenza della polizia.

 

Nel silenzio dei media, l’aumento degli attacchi del governo alle libertà individuali e le mire imperiali dello stato che cerca di trarre vantaggio dalla situazione in siria, hanno trasformato il recente conflitto in rivolta.

 

Gli scontri continuano durante tutto il giorno e la notte del 31 maggio. Almeno sette civili sono stati uccisi dagli attacchi della polizia, centinaia sono stati feriti, centinaia sono in stato di fermo di polizia e vengono picchiati e talvolta torturati dalla polizia.

 

Tutti i templi del capitalismo hanno dovuto chiudere a Taksim. C’è grande solidarietà nelle strade. Molti piccoli negozi, case e università hanno aperto le porte ai manifestanti. La Camera Turca degli Architetti e l’Ufficio Turco degli Ingegneri si sono trasformati in ospedale con medici e infermieri volontari che soccorrono e curano i manifestanti feriti.

 

In numerose zone di Istanbul le stazioni della polizia sono state assaltate. Gruppi fascisti sono stati attaccati dagli anarchici. Gli abitanti della sponda asiatica della città che volevano unirsi alla rivolta sono stati bloccati dalla polizia, ma dopo mezzanotte hanno camminato sull’autostrada, hanno attraversato a piedi il ponte sul Bosforo e lo hanno fatto.

 

Il primo ministro ha accusato i social network di diffondere notizie sulle uccisioni perpetrate dalla polizia allo scopo di innalzare la tensione, ed ha ironicamente chiamato fascisti coloro che condividono queste informazioni.

 

Le proteste si sono diffuse in tutta la Turchia. La gente è in strada ad Ankara, Izmir, Eskisehir, Isparta e in molte altre città.

 

Queste proteste non sono solo per Gezi Park come i media controllati dallo stato continuano a dire. Gli scontri sono ora espressione della rivolta di centinaia di migliaia di persone che protestano contro l’oppressione e la violenza dello Stato.

 

Noi come anarchici rivoluzionari siamo e saremo nelle strade, contro la violenza della polizia e il terrorismo di Stato.

 

Ci aspettiamo azioni di solidarietà da tutti gli anarchici e gli antiautoritari nel mondo.

 

Ovunque è Istanbul e ovunque è resistenza contro il terrorismo di Stato, la violenza della polizia e lo sfruttamento capitalista.

 

Azione Anarchica Rivoluzionaria

(Devrimci Anarşist Faaliyet)


01/06/13

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Il sangue politico, storia di cinque anarchici e di un dossier scomparso

SABATO 18 MAGGIO – ORE 18
La Federazione Anarchica Livornese organizza
la presentazione del libro “Il Sangue Politico”
presso la libreria Belforte, Via della madonna 31.
Sarà presente l’autrice, Nicoletta Orlandi Posti.

 

ilsanguepol

Questa è la storia di Gianni Aricò, di Angelo Casile, di Annelise
Borth, di Franco Scordo e di Luigi Lo Celso che trovarono la
morte a soli vent’anni in uno strano incidente stradale
sull’autostrada del Sole, nei pressi di Ferentino, la notte tra il
26 e il 27 settembre 1970. Erano partiti dalla Calabria per
portare a Roma, ai compagni della Federazione Anarchica
Italiana, un dossier di contro-informazione misteriosamente
scomparso dal luogo dell’incidente. La loro vicenda e il dossier
che avevano messo insieme si intreccia con alcune delle pagine
più oscure e insanguinate della storia italiana collegate da un
inquietante filo nero che parte da piazza Fontana, passa per i
moti di Reggio, la strage di Gioia Tauro, il golpe Borghese. E
ancora il caso Marini, l’omicidio De Mauro, la tragica fine di
Mastrogiovanni. Questa è la storia di cinque anarchici che
avevano scoperto cose che “avrebbero fatto tremare l’Italia”.
Questa è la storia di cinque ragazzi che capirono prima di altri
che l’Italia, un Paese che aveva sconfitto sul campo il fascismo,
non lo aveva però estirpato, consentendo a beceri individui
assetati di potere e di sangue di farlo rinvigorire e crescere
fino ai giorni nostri dove convivono vecchie e nuove dittature
con la loro carica di violenza e disumanità. Li hanno fermati.

Prefazione di Erri De Luca
Ed. Editori Riuniti

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Volantino in solidarietà con lo sciopero della sanità in Lombardia

Volantino distribuito oggi davanti all’ospedale di Livorno.

I lavoratori della sanità e dell’assistenza alla persona

della Lombardia scendono in sciopero l’8 maggio.

Le organizzazioni sindacali che hanno indetto lo sciopero puntano a generalizzare la lotta che si è sviluppata a partire dall’opposizione ai licenziamenti all’Ospedale San Raffaele di Milano e chiedono un contratto unico della sanità per tutti i lavoratori di strutture pubbliche o private, della sanità e dell’assistenza alla persona.

 

A questo si accompagna la denuncia dello smantellamento della sanità pubblica e privata, in accordo con la politica finanziaria del governo.

Il vecchio governo ha deciso un taglio alla spesa sanitaria, fino al 2015, pari a 6,8 miliardi di euro. Spese che, in rapporto al PIL (circa il 7,3%), ad oggi sono inferiori o pari a quelle di Francia, Germania, Svezia, GB, Olanda, Austria e ben inferiore alla media dei 27 paesi dell’UE.

In Lombardia l’assessore regionale alla sanità vuole chiudere un ospedale su cinque; nella sanità pubblica assistiamo al blocco dei contratti e a forme di taglio dei salari, mentre in quella privata è stato introdotto l’aumento dell’orario di lavoro di due ore settimanali senza aumento di salario, aumento insostenibile dei carichi di lavoro nel settore dell’Assistenza; tutto questo ovviamente ha conseguenze anche sui salari e sull’occupazione dei lavoratori delle ditte in appalto.

 

Le conseguenze per i cittadini sono gravissime: aumento delle liste d’attesa, chiusura di molti centri di cura, aumento delle prestazioni a pagamento: viene messo in discussione il diritto, riconosciuto dalla costituzione, alla salute per pagare gli interessi sul debito dello Stato italiano.

 

In Italia già oggi i cittadini pagano il 25% di tasca propria per visite mediche ed esami che il sistema sanitario non è più in grado di garantire in tempi e modi efficaci a causa dei tagli che si sono succeduti in questi anni. Un dato superiore alla media europea dove le prestazioni gratuite sono dell’85%.

Anche in Toscana la scure del Governo colpisce: riduzione del 20% dei posti di lavoro nelle aziende esterne dei servizi e degli appalti, il rapporto letti/abitanti arriverà al 3,15 per mille, ticket di 10 euro sugli esami computerizzati, malati che saranno costretti a spostarsi su tutto il territorio regionale per raggiungere gli ospedali dedicati alla loro patologia, abolizione del servizio di guardia medica, riduzione della rete dei laboratori di analisi, chiusura dei punti nascita dove si fanno meno di 500 parti, mentre l’anno prossimo saranno chiusi quelli che ne fanno meno di 1000.

Alla fine del 2012 abbiamo avuto la chiusura prolungata delle sale operatorie, con il personale mandato in riposo forzato e con decurtazione dello stipendio; la chiusura è stata usata per un’ulteriore riduzione dei posti letto nei reparti di chirurgia: questo è un altro esempio di come il governo regionale intenda affrontare i problemi della sanità.

A Livorno infine in provincia dovrà essere chiuso un ospedale, o Piombino o Cecina, mentre in città va avanti l’accorpamento e in pratica la sparizione delle specialistiche, la riduzione dei posti letto, il sovraccarico del Pronto Soccorso. Contemporaneamente si sono ridotti i distretti, così che i cittadini hanno più difficoltà ad avere prestazioni da quelli ancora funzionanti.

 

Il caso San Raffaele è emblematico, perché è una struttura privata ad alta specializzazione, un’”eccellenza”, come amano dire i politici, e nonostante questo è fallito. La politica della “sussidiarietà”, cioè del finanziamento pubblico delle strutture private, così come quella dell’eccellenza, che significa poche strutture centralizzate a discapito dei territori, sono smentite dai fatti. Oggi a difendere il diritto alla salute, a difendere i diritti dei cittadini sono rimasti solo i lavoratori della sanità in lotta.

Per questo oggi siamo solidali con lo sciopero in detto in Lombardia da COBAS Sanità, CUB Sanità, Si.COBAS, SLAI COBAS, USB, USI Sanità.

 

 

Sosteniamo la lotta dei lavoratori!

Sosteniamo il diritto alla salute!

 

Comitato cittadino per la difesa del diritto al lavoro

 

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In memoria di Franco Serantini

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Domenica 5 maggio a Pisa si è tenuta un’iniziativa in ricordo di Franco Serantini “Anarchico ventenne colpito a morte dalla polizia mentre si opponeva ad un comizio fascista”.

Il pranzo/incontro autorganizzato è stato promosso dal Gruppo Anarchico Kronstadt di Pisa. Un’iniziativa semplice, che però ha portato in Piazza Serantini una cinquantina tra compagne e compagni, coinvolgendo numerosi passanti. Dopo il pranzo in libertà, per il quale ciascuno ha portato qualcosa da mangiare e da bere, sono iniziati i canti, grazie anche alla presenza del Coro Controcanto pisano. Per tutto il pomeriggio la piazza alberata in cui è posto il monumento in ricordo di Franco è stata uno spazio d’incontro, di lotta e di memoria.

Aver ricordato Franco quest’anno, a 41 anni dalla sua morte, ha assunto un significato molto importante. Infatti, il qualunquismo politico e l’affarismo poltronistico dei politici di palazzo Gambacorti ha superato qualunque limite, proponendo di dedicare una strada cittadina di Pisa al missino fascista Niccolai. Perpetuare ancora oggi le lotte di coloro che allora, come Franco, si opponevano a una società classista e basata sullo sfruttamento dovrebbe servire da monito ai sedicenti politici che nel nome di una finta “pace bipartisan” calpestano tutto e tutti.

Per ricordare la figura di Franco Serantini riportiamo di seguito parte dell’appello di convocazione della manifestazione anarchica che lo scorso anno, a quarantanni dal 1972, portò in piazza a Pisa oltre mille compagne e compagni.

 

“Franco Serantini faceva parte del gruppo anarchico Pinelli di Pisa, che aveva sede in via San Martino. La volontà di lottare per una società di liberi e di eguali lo univa ai compagni ed a tanti altri giovani proletari, in una fase di grande fermento sociale; era sicuramente una pagina nuova della sua giovane e difficilissima vita, che aveva conosciuto l’abbandono, l’orfanotrofio e la durezza delle istituzioni.

L’impegno di Franco si dispiegava nelle iniziative sociali di quegli anni, come l’esperienza del “mercato rosso” nel quartiere popolare del CEP, ma anche, in senso specificamente politico, nella campagna contro la strage di Stato, per la difesa della memoria di Pinelli, per la scarcerazione di Valpreda e di altri compagni. Dopo le grandi lotte del ’68 e del ’69, padroni e fascisti cercavano di rialzare la testa rispondendo con la strategia della tensione e sferrando una feroce campagna antianarchica.

Il 5 maggio del 1972 Franco partecipa ad un presidio contro il comizio del fascista Niccolai.

Il presidio viene duramente attaccato dalla polizia. Franco viene circondato sul Lungarno Gambacorti da un gruppo di poliziotti del I Raggruppamento celere di Roma, e pestato a sangue. Portato nel carcere Don Bosco, Franco sta male, ma le sue condizioni vengono ignorate, nonostante si aggravino rapidamente. Dopo due giorni di agonia e coma, Franco muore. E’ il 7 maggio 1972. I suoi funerali vedono una grande partecipazione popolare.”

 

l’incaricato

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Primo Maggio di Resistenza ad Istanbul

articolo che uscirà sul prossimo numero di Umanità Nova (n.16 del 12 maggio 2013)

In Turchia il terrore di stato colpisce ancora le celebrazioni del Primo Maggio. Le autorità sono infatti tornate a vietare di fatto le manifestazioni ad Istanbul, negando ai sindacati l’accesso a Piazza Taksim, piazza simbolo per le lotte dei lavoratori, teatro nel 1977 nel corso di una grande manifestazione del Primo Maggio, del massacro di 34 manifestanti da parte di un commando armato e della polizia. Nel 1980 in Turchia la dittatura militare abolì la Giornata Internazionale dei Lavoratori vietandone le celebrazioni. Per molti anni la polizia ha attaccato i lavoratori che cercavano di raggiungere Piazza Taksim per celebrare il Primo Maggio, provocando numerosi feriti e uccidendo anche alcuni manifestanti. Negli ultimi anni il governo turco aveva istituito la “Giornata del lavoro e della solidarietà” come festa ufficiale permettendo, pur tra mille restrizioni, che in che il Primo Maggio si potessero svolgere le manifestazioni organizzate dai sindacati. La stampa per questo aveva riconosciuto al premier turco Erdoğan il merito di aver riportato la pace nelle manifestazioni del Primo Maggio a Istanbul. In realtà negli ultimi tre anni le manifestazioni si sono svolte con una rigida militarizzazione delle strade da parte di decine di migliaia di poliziotti, con posti di blocco in molti zone della città. Ma soprattutto Piazza Taksim è stata in questi anni totalmente circondata da reti e da un numero spropositato di uomini e mezzi blindati della polizia turca, i manifestanti per accedere alla piazza dovevano subire ulteriori controlli presentando i propri documenti ai varchi posti presso le reti.

Da qualche anno a questa parte la presenza anarchica al corteo del Primo Maggio è stata sempre più consistente e lo scorso anno lo stato turco ha lanciato una vera e propria operazione antianarchica. Prendendo a pretesto alcuni attacchi alle vetrine di banche e negozi simbolo del capitalismo avvenuti nel corso della manifestazione del 2012, la polizia turca ha perquisito e devastato sedi e abitazioni, arrestando 60 compagni, alcuni dei quali sono poi stati posti sotto processo.

Quest’anno lo stato turco è tornato a vietare Piazza Taksim ai sindacati per la manifestazione del Primo Maggio, facendo di tutto per impedire le manifestazioni. 22000 poliziotti sono stati impiegati nella città di Istanbul. Sono stati sospesi i trasporti, è stato chiuso il ponte di Galata che collega le due sponde del Corno d’Oro, sono stati attaccati i lavoratori ancora prima che raggiungessero la manifestazione, mentre il corteo, che comunque è riuscito a partire, è stato sciolto a colpi di idranti, lacrimogeni e blindati. Di seguito riportiamo il comunicato del gruppo Devrimci Anarşist Faaliyet (Azione Anarchica Rivoluzionaria).

Primo Maggio di Resistenza ad Istanbul

Negli ultimi tre anni, lo stato turco aveva concesso che i sindacati potessero “celebrare” il Primo Maggio in Piazza Taksim, una delle piazze simbolo per i rivoluzionari perché teatro del Primo Maggio di Sangue del 1977. Lo stato turco ha vietato Piazza Taksim quest’anno proprio come tre anni fa. In questi ultimi anni in cui il Primo Maggio è stato “legale”, lo stato ha cercato di far dimenticare alla gente il vero significato del Primo Maggio. Noi sappiamo che il Primo Maggio è il giorno di rivolta degli oppressi, dei lavoratori e dei rivoluzionari. È il giorno in cui ci solleviamo contro lo stato ed i capitalisti. Quest’anno lo stato ha cambiato la sua strategia per il Primo Maggio. Il governatore di Istanbul ha vietato tutti i trasporti nella città e installato posti di blocco per chi vuole protestare contro questa situazione.

I sicari dello stato e dei capitalisti pensano di poter provare con la forza a vietare la nostra libertà. Noi eravamo nelle strade non solo per la proibizione di Piazza Taksim e del Primo Maggio. Noi eravamo nelle strade contro i poteri che stanno rubando le nostre vite, contro i padroni che ci impongono la schiavitù, contro lo stato che è in sé un’ingiustizia. Noi eravamo nelle strade con il nostro striscione “Verso la rivoluzione, con l’azione anarchica” come nelle passate manifestazioni del Primo Maggio.

Il governatore di Istanbul, il segretario di stato e il primo ministro hanno dichiarato la proibizione del Primo Maggio come una difesa della “urban gentrification” di Piazza Taksim. Gli autobus, la metro, i tram e i traghetti sono stati cancellati. Nonostante questa cancellazione, migliaia erano a Şişli di fronte alla sede centrale del DİSK (Confederazione dei Sindacati Rivoluzionari, il più grande sindacato) per prepararsi ad andare verso Piazza Taksim.

Con gli slogan in turco ed in curdo “Il Primo Maggio siamo nella piazza del Primo Maggio” e “Viva il Primo Maggio” l’azione è iniziata. La polizia attacca i sindacati, le organizzazioni, i partiti politici e le persone che hanno provato a raggiungere Taksim. Molte persone sono state ferite dalla polizia che ha usato granate lacrimogene, idranti e pallottole di gomma. Dopo l’attacco della polizia tutti si sono riuniti di nuovo di fronte al palazzo dove ha sede il DİSK.

La polizia ha impedito alle ambulanze di raggiungere l’edificio del DİSK. La polizia ha bloccato l’edificio e ha attaccato lanciando all’interno del palazzo granate lacrimogene. Il terrore della polizia non si è limitato a Şişli e al palazzo del DİSK. La polizia ha attaccato brutalmente la gente a Beşiktaş, Mecidiyeköy e in altre parti di Istanbul.

Decine di persone sono state ferite nel corso della giornata dal terrore poliziesco. Due di questi feriti sono in pericolo di vita. 72 persone sono state fermate dalla polizia.

Gli anarchici erano nelle strade anche in altre città della Turchia per il Primo Maggio.

Malgrado il terrore di stato, il fuoco che i nostri compagni hanno acceso nel 1886 si estenderà nelle strade in ogni Primo Maggio. La rabbia degli oppressi vivrà contro le granate lacrimogene, le pallottole di gomma, i fermi, gli arresti e tutti i divieti.

DAF-Devrimci Anarşist Faaliyet (Azione Anarchica Rivoluzionaria)

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Primo Maggio a Carrara, Trieste, Parma

da anarres.info

Primo Maggio a Carrara, Trieste, Parma

Il Primo Maggio in molte località si riduce spesso ad una sfilata rituale del sindacalismo di Stato e degli apparati istituzionali.

primo-maggio-usi-3A Parma ormai da sei anni, sotto l’impulso dell’Unione Sindacale Italiana, sindacati di base, centri sociali, anarchici della FAI, gruppi antisfratto,  occupanti di case, reti di migranti danno vita ad una propria manifestazione che quest’anno ha raccolto più consensi di quella di CGIL, CISL, UIL.
Ascolta il resoconto di Massimiliano di Parma

A Trieste da decenni gli anarchici, pur partecipando al corteo del Primo Maggio. non sfilavano con uno spezzone proprio. Quest’anno l’area libertaria della città e gli anarchici dall’isontino, da Pordenone e dalla vicina Slovenia hanno dato vita ad uno spezzone di oltre 300 persone (in una manifestazione che ne raccoglieva circa duemila). 1maggio_2013_trieste
Ascolta la diretta con Federico di Trieste

carrara_primo_maggio_libertari_2013A Carrara il corteo del Primo maggio è tradizionalmente un corteo anarchico, che attraversa il centro cittadino con deposizioni di fiori alle lapidi di Ferrer, ai martiri del lavoro, ai rivoltosi del 1894 in Lunigiana, al monumento a Meschi.
Come ogni anno, prima del corteo ci sono i comizi.
Quest’anno il focus della manifestazione, oltre le questioni repressive, è stata la testimonianza di una lotta ancora piccola che potrebbe crescere, quella contro il terzo valico tra Genova e Tortona.

Ascolta il resoconto di Gianluca di Carrara

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Lo specchio rotto. Il Primo Maggio a Torino

da anarres.info

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Il Primo Maggio all’ombra della Mole è una giornata di lotta e di festa che coinvolge decine di migliaia di persone. Un enorme contenitore, che raccoglie tante anime, spesso molto diverse, talora esplicitamente contrapposte. La piazza del Primo Maggio torinese è lo specchio delle tensioni politiche e sociali che attraversano la città.

Uno specchio che quest’anno non è riuscito a riflettere un’immagine unica. Uno specchio spezzato in due in modo netto.
La distanza, già grande, tra gonfaloni, sindaci, sindacati di Stato, partito Democratico e l’altra piazza, quella di chi occupa le case vuote, si oppone al Tav, alla precarietà, alla servitù del lavoro, alla devastazione delle risorse, alla diseguaglianza per legge, quest’anno si è fatta enorme.

Come già lo scorso anno Fassino ha fatto il corteo tra gente che fischiava, protestava, esibiva cartelli. Gruppi organizzati che non hanno partecipato al corteo, ma soprattutto tante persone senza bandiera lì per gridare la propria incommensurabile distanza dall’apparato istituzionale.
Durante il comizio Fassino è stato fischiato da più parti, nonostante anarchici ed antagonisti fossero ancora ben lontani da piazza San Carlo.
Continua l’odissea dei Democratici. Lo scorso anno non erano riusciti ad entrare in piazza, perché gli anarchici si misero di traverso, obbligandoli a deviare. Quest’anno gli è stato impedito di sfilare, come da tradizione, in coda con gli altri partiti, dietro antagonisti ed anarchici.
I loro nerboruti difensori, il servizio d’ordine della Idra che pesta, bastona e usa spray al pepe senza troppi scrupoli, avevano annunciato già il giorno prima la loro diserzione perché contrari all’accordo con il PDL.
Senza picchiatori, il PD, accerchiato da una piazza ostile, ha dovuto farsi sorreggere dalla celere in assetto antisommossa, infilandosi in fretta in coda alle altre forze istituzionali. Oltre le prime file di contestatori, c’era un’intera piazza che premeva perché se ne andassero.

Dice bene il nuovo presidente del consiglio dei ministri, Enrico Letta, quando sostiene che il vero nemico del governo sono i tanti, ormai la maggioranza nel paese, che hanno scelto di non votare.
La nascita dell’esecutivo guidato da Enrico Letta è l’ultima tappa di un lungo processo di ridefinizione dei partiti istituzionali intorno a blocchi di interessi, che, alla bisogna, possono trovare spazio per una convergenza.
L’affermarsi di una democrazia autoritaria è il necessario corollario delle politiche di demolizione di ogni forma di tutela sociale attuate con disinvoltura dai governi centro sinistra come da quelli di centro destra. Se i meccanismi violenti della governance mondiale impongono di radere al suolo ogni copertura economica e normativa per chi lavora, la parola passa al manganello, alla polizia, alla magistratura. Se la guerra è l’orizzonte normale per le truppe dei mercenari tricolori presenti in armi in Afganistan come in Val Susa, la repressione verso chi si ribella non può che incrudirsi.
Gli esiti delle recenti elezioni hanno dimostrato la plasticità di una classe politica che ha saputo uscire dall’impasse dei numeri, mettendo nell’angolo le opposizioni.

Il Primo Maggio, distanti anche fisicamente dallo spezzone istituzionale, i movimenti di opposizione sociale hanno dato voce e visibilità a chi non è più disponibile a pagare perché i cento uomini più ricchi del mondo divengano sempre più ricchi mentre i tre quarti del pianeta sopravvivono a stento.
Tra i quattro e i cinquecento compagni e compagne hanno partecipato allo spezzone rosso e nero aperto dallo striscione “Né stato né padroni. Azione diretta”.
Il segnale che oggi i percorsi di autogestione e la pratica dell’azione diretta sono condivisi da sempre più persone, in un percorso collettivo che trova alimento nell’anarchismo sociale e, insieme, contribuisce a moltiplicarne nella pratica gli orizzonti.

La crisi morde sempre più forte, specie nelle nostre periferie, dove sono le pratiche di autogestione, riappropriazione e solidarietà a porre un argine alla guerra contro i poveri che i governi di centro sinistra e quelli di centro destra hanno promosso negli ultimi vent’anni.
Le esperienze più interessanti di questi anni sono quelle che hanno saputo coniugare autogestione e conflitto, individuando nell’esodo conflittuale un modo per costruire lottando e lottare costruendo. In una tensione che non si allenta ogni TAZ, ogni zona liberata, è una base per incursioni all’esterno. Parimenti ogni momento di conflitto riesce ad oltrepassare la mera dimensione resistenziale quando si innesta in pratiche di riappropriazione diretta di spazi politici e sociali.
La crisi della politica di Palazzo ci offre una possibilità inedita di sperimentazione sociale su vasta scala di un autogoverno territoriale che si emancipi dai percorsi istituzionali.

Un buon Primo Maggio. Un Primo Maggio di solidarietà e lotta.

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