Skip to content


La lotta per la vita – Promesse elettorali sulle spalle dei proletari

da Umanità Nova del 10 febbraio 2013

Puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso la Libreria Belforte in Via della Madonna e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

SABATO 9 PRESIDIO ASTENSIONISTA IN PIAZZA GRANDE (ANGOLO BAR SOLE) DALLE ORE 16:30

 

La lotta per la vita

Promesse elettorali sulle spalle dei proletari

Seguo distrattamente la campagna elettorale e mi sembra che i temi al centro del confronto fra le varie liste elettorali siano soprattutto la gara a chi ha rubato di più, la diminuzione delle tasse, la crescita economica.

Ammesso e non concesso che i conti dello Stato siano in equilibrio, la diminuzione delle tasse e la crescita economica implicano un aumento della pressione sui ceti popolari. Se il bilancio dello Stato, e ripeto se, è in equilibrio, la diminuzione delle tasse implica una riduzione delle entrate che va compensata o con un aumento delle entrate da altre fonti, oppure con una diminuzione delle uscite. In particolare, la diminuzione delle aliquote più alte dell’Irpef implica un aumento della pressione su quelle più basse, o un aumento dell’IVA, così per l’annunciata proposta dell’abolizione-rimborso dell’IMU; per dare un’idea del contenuto di classe di queste misure è significativo che non si parli di restituzione del fiscal drag, cioè del rimborso dell’aumento della pressione fiscale sui redditi più bassi, conseguenza dell’adeguamento delle retribuzioni all’inflazione.

Lo stesso discorso vale per le misure per la crescita economica: le idee in campo sono legate alle grandi opere, agli investimenti pubblici che, appunto, vanno trovati o con un aumento delle entrate (più tasse) o con una diminuzione delle uscite (più tagli). Anche in questo caso, la crescita è soprattutto dei profitti delle aziende beneficiate degli aiuti di Stato, banche o industrie: mentre a pagare è sempre il popolo lavoratore.

In sostanza, dietro la promessa di diminuzione delle tasse o di crescita economica, c’è sempre un conto che il governo farà pagare ai ceti popolari, perché un governo, qualsiasi governo, ha bisogno di una classe privilegiata, di una classe economicamente potente che lo appoggi in cambio della protezione contro le rivendicazioni degli sfruttati. Ci sono delle liste, che sicuramente non peseranno nella formazione del nuovo governo, che sostengono questa o quella proposta a favore dei proletari ma queste proposte o saranno ininfluenti sulla politica futura del governo, o saranno presto dimenticate perché ogni governo, se non può volere che la società si disfaccia, poiché allora verrebbe meno a sé ed alla classe sfruttatrice il materiale da sfruttare, non può nemmeno lasciare che la società si regga da sé senza intromissioni ufficiali, poiché allora il popolo si accorgerebbe ben presto che il governo non serve se non a difendere i proprietari che l’affamano, e si affretterebbe a sbarazzarsi del governo e dei proprietari. Per quanto belle siano le promesse elettorali, ogni partito che entri nell’area di governo sacrifica i bisogni, i diritti del popolo alla salvezza del Governo.

Alla domanda spontanea perché quelli che promettono non hanno attuato le misure nel periodo precedente, visto che hanno votato l’IMU, gli aumenti delle tasse e soprattutto i tagli, dalle pensioni, alla sanità, dalla scuola all’assistenza sociale, mentre hanno aumentato le spese militari e le dotazioni per le aggressioni all’estero, i complici delle ultime rapine, che ora si contendono i voti dei cittadini, rispondono che i tempi non erano maturi, e che dovevamo riconquistare la fiducia dei mercati e dell’Europa. Ma chi ci dice che dopo le elezioni i mercati e l’Europa, che evidentemente contano più della democrazia, della costituzione e del popolo, sovrano per il giorno delle lezioni, non chiedano nuovi sacrifici?

 

Mancano 7 miliardi?

L’ultimo bollettino della Banca d’Italia, pubblicato lo scorso gennaio, lanciava previsioni allarmanti sulla situazione economica italiana. Se la caduta del PIL di un punto percentuale nel 2013 può essere di difficile interpretazione, il fatto che nel 2012 manchino 3 miliardi al raggiungimento del pareggio è, appunto, un fatto. Ma fra le pieghe del Bollettino si capisce che nel 2013 il conto per i cittadino sarà ancora più salato: la riduzione del Prodotto Interno Lordo di un punto percentuale porta con sé la riduzione di 0,4-0,5% delle entrate fiscali, mentre aumentano le richieste per gli ammortizzatori sociali, per l’assistenza ecc.. C’è chi parla appunto di una manovra di 6-7 miliardi da compiere non appena il nuovo governo entrerà in carica; se il governo dovesse tentennare, il conto diventerebbe più salato.

Una manovra di queste dimensioni significa cento euro a testa, compreso neonati e pensionati, che si aggiungono ai salassi di fine 2012 e ai rincari scattati con il nuovo anno, e che renderebbe inevitabile l’aumento di quell’IVA, che stringe alla gola i consumatori italiani, che rovescia quella progressività dell’imposizione fiscale scritta sulla costituzione ma che i governi, anno dopo anno, svuotano di contenuto.

Nessuno dei partecipanti alla competizione elettorale affronta il problema della situazione reale dell’economia, dei conti pubblici; nessuno affronta le cause di questa situazione: i privilegi della Chiesa, delle banche, della casta militare, i soldi spesi inutilmente per le grandi opere, i costi più assurdi addebitati al pubblico erario, le spese folli per le missioni all’estero. In complesso un conto sempre più salato imposto a cittadini sempre più stremati.

I licenziamenti, i tagli ai salari e alle pensioni intaccano il tenore di vita, la possibilità di godere del tempo libero e degli svaghi, di avere un’abitazione confortevole, si arriva anche ad intaccare la spesa alimentare; i tagli alla sanità e la protezione data alle industrie inquinanti mettono in pericolo la nostra salute, mentre le continue guerre rischiano di scatenare una guerra generale.

Io credo che gli anarchici non aspetteranno che il prossimo governo ci faccia morire sempre di più di fame e di malattie senza reagire.

Non limiteremo la nostra protesta alla denuncia e alla controinformazione, così come non ci daremo all’autolesionismo, non ci rinchiuderemo in una miniera o in cima ad una torre.

Chi ci sta di fronte, chi ci governa e i docili strumenti a sua disposizione stanno lottando per la vita, per continuare a sfruttarci senza lavorare. Ma anche noi, noi anarchici, noi lavoratori, noi disoccupati, noi gente del popolo lottiamo per la vita, per una vita che sia degna di essere vissuta, per noi e per i nostri figli, per tutti, una vita che significa solidarietà, una società più giusta e più libera per tutti.

 

Tiziano Antonelli

Posted in Anarchismo, Generale.

Tagged with , , , .


Bombarda e dimentica – Mali, il nazionalismo francese alla ricerca del consenso

da Umanità Nova del 10 febbraio 2013

Puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso la Libreria Belforte in Via della Madonna e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese in Via degli Asili 33 (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20).

 

Bombarda e dimentica 

Mali, il nazionalismo francese alla ricerca del consenso

mascheramali

Sono trascorse quattro settimane dai primi bombardamenti francesi in Mali e già questa prima fase del conflitto sembra essersi conclusa.

 

La cronaca ci racconta un esercito francese forte, moderno e vittorioso, capace al medesimo tempo di difendere gli interessi della nazione e di intervenire al fianco dei “popoli amici” ex colonizzati.

In effetti, pur restando valido il vecchio copione dell’intervento umanitario e della lotta per la democrazia, l’immagine che domina la propaganda è quella dell’esercito liberatore.

Un’impostazione marcatamente militarista che emerge chiaramente nel dibattito politico come nella narrazione mediatica.

 

Questo senza dubbio rende più complessa l’opera di demistificazione che dobbiamo fare; non basta svelare la realtà della guerra e comprendere gli interessi politici ed economici che in essa si intrecciano. Se la guerra non viene più nascosta, ma cinicamente imposta come legittimo e giustificato strumento politico ed economico, siamo di fronte a una nuova aggressiva propaganda militarista.

 

Avevamo avuto un piccolo assaggio di questa propaganda con la guerra in Libia di due anni fa.

Anche allora la Francia giocò il ruolo di prima della classe, inaugurando con i bombardamenti quello che poi sarebbe divenuto un intervento NATO a sostegno di chi si ribellava al regime di Gheddafi. Il Patto Atlantico fece la parte del liberatore con i bombardamenti, un blocco navale e l’invio di armi e altri aiuti ai ribelli di Bengasi. La Francia, dando il via alle danze, confermò aggressivamente il proprio ruolo negli affari africani.

 

Sembra che proprio al conflitto libico si debba risalire per comprendere l’origine dell’attuale situazione in Mali. Le conseguenze destabilizzanti della guerra in Libia vengono infatti spesso utilizzate per sostenere la necessità della nuova avventura francese. In parte questo è vero, e se la tensione è salita nell’area è anche grazie, almeno in parte, allo sgretolamento dello stato libico e alla diffusione nel Sahel di grandi quantità di armi provenienti dai depositi di Gheddafi e dagli “aiuti ai ribelli” paracadutati dalla NATO. Ma non basta, stiamo parlando di un’area da sempre attraversata da grandi traffici, di armi e non solo, in cui il controllo degli stati è quasi assente. Il ruolo della crisi libica quindi avrebbe un peso relativo e certo non superiore ad altri fattori di destabilizzazione. Proprio tra questi fattori spuntano i soldi dell’emiro del Qatar Al Thani, che avrebbe finanziato i gruppi armati integralisti della regione. Va notato però che proprio con l’emiro Al Thani il presidente francese Hollande ha individuato obiettivi comuni che condurranno ad una coordinazione tra i due paesi nella crisi siriana. In questa situazione si sono esasperati i conflitti territoriali tra Nord e Sud del Mali, irrisolti da decenni, inaspriti dalla comparsa degli islamisti sulla scena politica e alimentati dalla Francia, che anche dopo l’indipendenza degli stati africani, non ha mai abbandonato i propri interessi neocoloniali.

Nel gennaio 2012 inizia così una guerra civile tra il governo centrale di Bamako e l’MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad) che reclama l’indipendenza per il Nord del Mali. In marzo la situazione precipita con un colpo di stato militare a cui segue la dichiarazione unilaterale d’indipendenza dell’Azawad. I gruppi armati jihadisti intanto prendono il controllo di alcune città del Nord. Sono la Francia e l’ECOWAS (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale) a trovare una soluzione politica che permette alla giunta golpista di inaugurare un governo “legittimo” di transizione, quel governo che nel dicembre scorso è stato poi deposto dagli stessi militari. In questo contesto di conflitto ha lavorato per mesi la diplomazia internazionale, in particolare la Francia, l’ONU e l’ECOWAS, al fine di creare le condizioni per un intervento militare che riportasse l’intera area sotto il controllo di Bamako.

L’avventura militare francese non nasce quindi come iniziativa di emergenza per fermare un’improvvisa avanzata dei terroristi. La Francia entra, assieme all’ECOWAS, in una guerra già in corso da mesi, dopo aver preparato a lungo un intervento in difesa dei propri interessi imperialistici nell’area.

 

Il ruolo giocato in questa guerra dalla Francia è quindi di primo piano: dopo aver alimentato le tensioni nella regione, aver sostenuto i governi golpisti e aver preparato le condizioni per un proprio intervento armato, si presenta come unico soggetto capace di riportare l’ordine e la sovranità legittima nel Mali. Ma il protagonismo francese in Africa non è certo una novità; non solo Parigi non ha mai abbandonato i propri interessi economici nella regione, ma come abbiamo visto in queste settimane di guerra, ci sono ancora basi militari francesi in terra africana perfettamente operative. N’Diamena e Abidjan, le due basi più vicine al Mali, sono infatti quelle da cui sono partiti sia i bombardamenti aerei, sia le truppe e i mezzi corazzati della Legione Straniera che hanno guidato l’avanzata sulle città occupate dai fondamentalisti islamici.

 

Il costante controllo militare su questa regione africana garantisce la salvaguardia degli enormi interessi delle imprese francesi nell’area. Gli interessi più evidenti sono quelli legati all’estrazione dell’uranio in Niger, dove la francese Areva progetta di aprire nel 2014 una nuova miniera che si andrebbe ad aggiungere alle tre già attive, siti minerari che fin dai primi bombardamenti la Francia ha militarizzato facendoli presidiare da riservisti delle forze speciali. Non va dimenticato che, oltre ai grandi profitti che rende l’uranio sia sul mercato civile che su quello militare, la Francia ha 19 centrali nucleari per un totale di 58 reattori sul suolo nazionale. Inoltre, quando si tratta di guerre gli interessi più grandi passano dal mercato delle armi. In Mali infatti l’industria militare francese farà affari d’oro e potrà anche usare il conflitto come “vetrina” per le sue produzioni di morte, come nel caso degli aerei caccia Rafale. Ma ci sono anche i giacimenti d’oro e di uranio in Mali e molti altri interessi nell’intera regione legati alla gestione dei porti, alle infrastrutture, ai lavori pubblici, alle telecomunicazioni.

 

Visto in questi termini, dal punto di vista militare, l’intervento francese potrebbe sembrare una grande operazione di polizia più che una guerra. Dopotutto si parla di un’area legata alla Francia da un passato coloniale che ha trovato una continuità con la forte presenza economica e militare francese che sussiste ancora oggi. Potrebbe sembrare un intervento finalizzato esclusivamente a mettere in sicurezza un territorio già posto, anche se indirettamente, sotto controllo.

Ma la Francia non è certo l’unica a cui preme una regione che non è distante dal gas algerino e dal petrolio libico. In un contesto che vede tra l’altro un’avanzata della Cina nel continente africano e il protagonismo russo nel traffico delle armi, a molti interessa tenere sotto controllo il Mali, il Sahel, e più in generale l’Africa occidentale. Proprio per questo le ingerenze non sono certo solo francesi, e se osserviamo meglio, quello che si svolge in Mali non è che l’aspetto più evidente ed esplosivo del conflitto tra diversi interessi imperialistici che concorrono in quella zona. La Francia è intervenuta per difendere le basi della propria economia colonialista, ma lo ha fatto mostrando al mondo che quel territorio è ancora sotto la sua influenza, e che anzi non può essere messo in alcun modo in discussione il suo ruolo militare e politico di “Gendarme d’Africa”. La guerra di Hollande è stata in questo senso un chiaro messaggio politico all’ONU, alla UE, agli Stati Uniti ed al resto della NATO.

 

Ma questa guerra si impone con forza anche nella politica interna e nella situazione sociale in Francia, un paese che inizia a “percepire il declino”, in cui la retorica della crisi e dei sacrifici sta iniziando a mietere posti di lavoro, libertà e diritti. Mentre l’esercito bombarda il Mali, il MEDEF (confindustria francese) bombarda i lavoratori. Si aumenta la precarietà per disciplinare il lavoro, mentre la PSA Citroen Peugeot prova a chiudere lo stabilimento di Aulnay scatenando la rabbia operaia, e la Renault vede bloccarsi per un semplice vizio di forma il piano di ristrutturazione che prevedeva il taglio di 8000 posti di lavoro. Inoltre questa nuova guerra imporrà ai lavoratori ulteriori e più gravi sacrifici.

Ma la Francia che va alla guerra è anche un paese attraversato da forti tensioni autoritarie e reazionarie. Nei primi giorni dell’intervento francese in Mali, a Parigi, centinaia di migliaia di persone hanno attraversato la città sotto i vessilli cattolici per una marcia omofoba. Il presidente François Hollande in questo contesto ha cercato di catalizzare nella “guerra contro il fondamentalismo islamico” queste spinte reazionarie.

Hollande infatti sabato 2 febbraio si reca in Mali ed è proclamato “eroe” dalla stampa francese. La guerra è una potente iniezione di nazionalismo nella società, crea consenso attorno al capo dello stato, chiede silenzio, rispetto dell’autorità ed unità nazionale di fronte al nemico.

 

La situazione in Italia non è certo diversa. L’impegno in Mali è passato in sordina per non turbare la campagna elettorale, ma in Africa occidentale come nelle altre missioni di guerra e occupazione in cui i militari italiani sono impegnati, il primo obiettivo è la difesa degli interessi imperialistici.

“Siamo in guerra” affermò la scorsa estate il governo, riferendosi alla politica economica e fiscale.

È la guerra dello stato e del capitale: sfruttamento, violenza, oppressione e saccheggio che non conoscono confini nazionali.

 

Non sappiamo ancora come andrà a finire l’avventura coloniale in Mali, quali saranno gli sviluppi dopo la conclusione di questa prima fase del conflitto. Ci troviamo di fronte ad una fase molto aggressiva del capitalismo in Europa, in cui al duro attacco padronale corrispondono forti spinte autoritarie che si concretizzano nel militarismo, nel nazionalismo, nella repressione del dissenso. Una risposta capace di fermare questo attacco può passare solo attraverso l’internazionalismo, l’antimilitarismo e la solidarietà di classe.

 

D. A.

Posted in Anarchismo, Antifascismo, Antimilitarismo, Generale, Internazionale.

Tagged with , , , , , , , , , , , .


Sabato 9/02 PRESIDIO ASTENSIONISTA in Piazza Grande

NON VOTARE

Non affidarti a chi tradisce i tuoi

interessi per sostenere banche, preti,

padroni, militari e caste varie.

SOLO LA LOTTA PUÒ ESSERE

DECISIVA

543820_392096044209305_2140263430_n

 

Sabato 9 febbraio

dalle ore 16:30

in Piazza Grande

 

PRESIDIO ASTENSIONISTA

volantini, striscioni, pannelli e microfono aperto

diffusione di libri e giornali anarchici

 

Venerdì 22 febbraio

dalle ore 18

presso la Federazione Anarchica Livornese

Via degli Asili 33

 

ASSEMBLEA – DIBATTITO

su astensionismo e prospettive di lotta

 

a seguire

aperitivo abbondante

musica, chiacchiere, libri e giornali

 

 

NON SEPPELLIRE LA LOTTA DENTRO

UN’URNA

LOTTA CON GLI ANARCHICI

 

Federazione Anarchica Livornese – F.A.I.

cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

 

Collettivo Anarchico Libertario

collettivoanarchico@hotmail.it

http://collettivoanarchico.noblogs.org

Posted in Anarchismo, Generale, Iniziative.

Tagged with , , , , , , , , , .


La fabbrica autogestita Metaleftikì Viomijanikì di Salonicco inizia a funzionare.

Fonte: http://verba-volant.info/es/comienza-a-funcionar-la-fabrica-autogestionada-de-viomijaniki-metaleftiki-industrial-minera/

La fabbrica autogestita di Metaleftikì Viomijanikì (Industria Mineraria) di Salonicco inizia a funzionare.

Nel maggio 2011 l’amministrazione della fabbrica Metaleftikì Viomijanikì (Industriaa Mineraria), una filiale di Filkeram-Johnson, azienda produttrice di piastrelle e materiali da costruzione, ha abbandonato la fabbrica della società senza pagare ai lavoratori gli stipendi arretrati di diversi mesi lavoro. In risposta, gli operai si sono astenuti dal lavoro a partire da settembre 2011. L’assemblea dei lavoratori del 25 gennaio 2013 ha deciso, quasi all’unanimità, che la fabbrica sarà autogestita dai lavoratori, senza padroni o altri parassiti e mediatori. La fabbrica autogestita aprir a metà febbraio 2013.

afisa kriti
Segue un comunicato dell’Iniziativa Aperta di Solidarietà e Appoggio alla Lotta dei Lavoratori di Metaleftikì Viomijanikì (Industria Mineraria), pubblicato sulla pagina web del Sindacato dei Lavoratori dell’impresa in autogestione (http://biom-metal.blogspot.gr/).

Nel cuore della crisi, i lavoratori della Metaleftikì Viomijanik (Industria Mineraria) attaccano il cuore dello sfruttamento e della proprietà

Con una disoccupazione salita al 30% ed il reddito dei lavoratori ridotto a zero, gli operai di Metaleftikì Viomijanikì (Industrial Minera) ne hanno abbastanza delle belle parole, delle promesse e dell’evasione fiscale. Senza salario e in sciopero dal maggio 2011, con la fabbrica abbandonata dai padroni, decidono, nel corso di una assemblea generale del loro sindacato, di rifiutare una lunga disoccupazione che appare inevitabile, e di lottare per prendere la fabbrica nelle proprie mani e gestirla essi stessi.

Con una proposta formale, da ottobre 2011, hanno chiesto la creazione di una cooperativa di lavoratori sotto il loro pieno controllo, richiedendo anche il riconoscimento giuridico per questo progetto come per quelli che seguiranno. Intanto affermano di aver già pagato la somma di denaro necessaria per riavviare il funzionamento della fabbrica. Questo denaro appartiene a loro, dal momento che sono quelli che producono la ricchezza della società. Il piano che è stato elaborato da loro stessi si è subito scontrato con l’indifferenza totale dello Stato e delle diverse burocrazie sindacali. Tuttavia, è stato accolto con grande entusiasmo dal movimento popolare che, attraverso la creazione dell’Iniziativa Aperta di Solidarietà a Salonicco, e con numerose iniziative in molte altre città, da almeno 6 mesi sta cercando di diffondere il messaggio di Metaleftikì Viomijanikì in tutta la società.

È l’ora di Metaleftikì Viomijanikì! I lavoratori non possono aspettare ancora che lo Stato in fallimento mostri nella pratica il proprio interesse ed il proprio appoggio teorico (Pure i 1000 euro di sostegno economico straordinario che aveva promesso il Ministero del Lavoro non sono arrivati nelle mani dei lavoratori, perché il Ministro dell’Economia Sturnaras non ha firmato la sovvenzione!). È l’ora che Metaleftikì Viomijanikì (Industria Mineraria) torni in funzione, come qualsiasi altra fabbrica che ha chiuso, che è fallita o che fa licenziamenti, ma nelle mani dei loro lavoratori, e non nelle mani di vecchi e nuovi padroni. La lotta non si può limitare a Metaleftikì Viomijanikì. Affinché si generalizzi e trionfi deve estendersi a tutte le fabbriche e le imprese che chiudono, perché solo grazie ad una rete di fabbriche autogestite e occupate che Metaleftikì Viomijanikì potrà sopravvivere e diventare il pioniere di una diversa
organizzazione della produzione e dell’economia, senza sfruttamento, senza disuguaglianze e gerarchie.

Le fabbriche chiudono uno dopo l’altra, i disoccupati raggiungono i 2 milioni e la maggior parte della società è condannata alla povertà e alla miseria dal governo tripartito della Troika dei partiti PASOK (partito socialista), ND (Nuova Democrazia, partito conservatore di destra), DIMAR (partito della sinistra democratica) così come dai governi precedenti. Noi chiediamo che le fabbriche passino nelle mani dei lavoratori, questa è la risposta necessaria al disastro che sperimentiamo tutti i giorni ed è l’unica risposta alla disoccupazione, per questo la lotta di Metaleftikì Viomijanikì è anche la nostra lotta.

Facciamo appello a tutti i disoccupati e i lavoratori, a tutti coloro che hanno sperimentato la crisi, affinché si schierino al fianco dei lavoratori di Metaleftikì Viomijanikì e li sostengano ora che cominciano a dimostrare nella pratica che gli operai possono fare a meno dei padroni. Chiediamo di partecipare a una carovana di lotta e di solidarietà che si concluderà con tre giorni di lotta a Salonicco. Noi vi chiediamo di prendere parte alla lotta e di organizzare la battaglia nelle vostre località con percorsi assembleari di democrazia diretta, senza burocrati, per rovesciare coloro che distruggono la nostra vita con uno sciopero generale ad oltranza di carattere politico! Così le fabbriche e tutta la produzione passeranno nelle mani dei lavoratori e potremo organizzare l’economia e la società che vogliamo: una società senza padroni!
È l’ora di Metaleftikì Viomijanikì! A lavoro!
Apriamo la strada ovunque per l’autogestione operaia. Apriamo la strada per una società senza padroni.

Eventi:

Domenica 10 febbraio:
alle 18:00 Assemblea delle Iniziative di Solidarietà di tutta la Grecia, nel cinema Alexandros

Lunedì 11 febbraio:
– Corteo dal centro di Salonicco (Kamara), alle 17:00
– Concerto nello stadio Ivanofio, alle 20:00

Martedì 12 febbraio:
Tutti alla fabbrica!
Concentramenti: h11:00 Kamara, h12:00 IKEA

Iniziativa Aperta di Solidarietà e Appoggio alla Lotta dei Lavoratori di Viomijanikí Metaleftikí (Industria Mineraria)

Il testo in greco: http://biom-metal.blogspot.gr/2013/01/blog-post_8563.html


Ελευθεριακή Συνδικαλιστική Ένωση – Διεθνείς Σχέσεις
Unione Sindacale Libertaria – Relazioni Internazionali

http://athens.ese-gr.org/

 

Posted in Anarchismo, Generale, Internazionale, Lavoro.

Tagged with , , , , , , , , , , .


02/02 Presentazione “Livorno ribelle e sovversiva” e cena sociale

livornoribelle 020213

Posted in Anarchismo, Antifascismo, Generale, Iniziative.

Tagged with , , , , , , , , , , , , .


“Livorno ribelle e sovversiva” presentazione del libro e cena sociale

livornoribelle

 

“Livorno ribelle e sovversiva, Arditi del popolo contro il fascismo 1921 – 1922”

Sabato 2 febbraio
presso la Federazione Anarchica Livornese
in Via degli Asili 33

ore 17:00
presentazione del libro
“Livorno ribelle e sovversiva” edito da BFS nel 2012,
interverranno Giorgio Sacchetti e l’autore Marco Rossi

a seguire cena sociale

L’esperienza degli Arditi del popolo rientra pienamente tra le “anomalie” storiche e politiche del secolo scorso, tanto che per lungo tempo è stata oggetto di una parallela rimozione, da destra come da sinistra, nelle ricostruzioni degli eventi successivi alla Prima guerra mondiale.

A Livorno l’arditismo popolare si ricollegò a quella tensione rivoluzionaria che aveva attraversato la composita collettività labronica durante le insorgenze risorgimentali e i conflitti sociali del Biennio rosso.

Fu così che – tra l’estate del 1921 e quella del ’22 – il sovversivismo dei quartieri proletari si oppose, con ogni mezzo necessario, allo squadrismo fascista. Questa fu a tutti gli effetti la prima strenua resistenza, anche se poi la memoria ufficiale ha preferito commemorare quella partigiana nella rituale
festa nazionale del Venticinque aprile, evitando di ricordare come quella guerra civile era iniziata e cancellando anche coloro che praticarono l’antifascismo prima che la violenza reazionaria diventasse regime.

Collettivo Anarchico Libertario
collettivoanarchico@hotmail.it ‐
http://collettivoanarchico.noblogs.org/

Federazione Anarchica Livornese ‐ F.A.I.
cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

Posted in Anarchismo, Antifascismo, Generale, Iniziative.

Tagged with , , , , , , , , , , , , .


Atene. 10.000 in corteo, liberati gli anarchici

atene corteo 2013 01 12

Nella mattinata del 12 gennaio si è svolta una grande manifestazione anarchica nel centro di Atene in difesa degli spazi occupati e per la liberazione dei compagni arrestati il mercoledì precedente dopo la rioccupazione di Villa Amalias e il nuovo sgombero dello squat.
In questo video si può vedere l’imponenza della manifestazione.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=gxcaICY2y2o

Nelle stesse ore i 92 compagni presi a Villa Amalias sono comparsi in tribunale, che ne ha deciso la liberazione con obbligo di firma bimensile.
Qui il comunicato degli arrestati, qui un piccolo gesto di solidarietà a Torino.
Qui potete ascoltare l’intervista rilasciata a radio blackout da un compagno del gruppo dei Comunisti Libertari di Atene, Gheorgo, il giorno prima del corteo
Di seguito il comunicato emesso oggi dai compagni e dalle compagne della Federazione Anarchica Italiana, riuniti a Milano per un incontro nazionale.

Sosteniamo le lotte dei compagni greci
Il Convegno Nazionale della FAI riunito a Milano esprime la propria solidarietà ai compagni greci che in questi ultimi giorni sono stati violentemente attaccati dalla polizia ellenica. Abbiamo assistito agli sgomberi di Villa Amalias e di Skaramaga, storici squat ateniesi simbolo del movimento e all’arresto di un centinaio di solidali che avevano rioccupato lo stabile di Villa Amalias.
Il movimento anarchico in Grecia ha saputo costruire, in questi anni, una forte risposta dal basso allo spietato attacco condotto contro i lavoratori.Una risposta fatta di azioni dirette, riappropriazione di spazi fisici, organizzazione di assemblee popolari nei quartieri, autogestione sui posti di lavoro. Una risposta che rifiuta le forme di delega che imprigionano la volontà di cambiare questo sistema che mostra, ogni giorno di più, i propri limiti. Una risposta che ha saputo aggregare intorno a se’ decine di migliaia di persone, lavoratori, studenti, disoccupati, greci e immigrati, perché la lotta è di tutti gli sfruttati, quale che sia la loro provenienza. Una risposta che fa paura ai padroni e allo stato perché dimostra che non solo esiste un’alternativa all’atomizzazione sociale, all’alienazione e allo sfruttamento ma che questa alternativa è necessaria, oggi più che mai.
È necessaria perchè è oramai evidente che il dominio di stato e capitale non fanno altro che distruggere qualsiasi rapporto sociale che non sia mediato dal denaro o da relazioni di dominio. Necessaria perchè la crisi che sta impoverendo i ceti popolari e i ceti medi non è altro che l’ennesima ruberia operata da chi gestisce soldi e potere.
Le compagne e i compagni greci hanno saputo costruire una risposta a questo crimine e per questo sono sotto attacco da parte della polizia, che ha dichiarato di voler sgomberare tutte le occupazioni elleniche, sostenuta in questo dai paramilitari nazisti di Alba Dorata. Non è un caso che in tempi di crisi e di mobilitazioni popolari gli apparati dello stato ricorrano alla bassa manovalanza fascista. Così fu in Italia nel Biennio Rosso, così è in Grecia nel 2013.
E infatti la Grecia non è distante dalla penisola italiana. Anche qui lo stato sta spazzando via i risultati di un secolo di lotte operaie e popolari. Anche qui si attaccano i movimenti sociali, si sgomberano i posti occupati, si pestano i lavoratori in lotta, si gasano gli studenti, si bastona chi si oppone alla devastazione ambientale e al militarismo. Per questo è necessario rifiutare la visione nazionalista della crisi, quella che ciancia di sovranità monetaria e nazionale come risposta all’Europa delle banche, di differenze antropologiche che generano la crisi, richiamandosi alle più tristi tesi razziste; una visione distorta che garantirà un maggiore rafforzamento dei dispositivi disciplinari e di dominio dello stato e che si esprime, nella sua forma più compiuta, nel sacrificio delle classi subalterne sull’altare delle guerre nazionaliste.
Le lotte degli anarchici in Grecia sono le nostre lotte, le nostre lotte sono quelle degli anarchici greci. Così come sono nostre le lotte di chi, ovunque nel mondo, si oppone allo sfruttamento classista, razzista e sessista, e costruisce, quotidianamente, una società di liberi ed eguali.
Invitiamo tutto il movimento alla massima solidarietà possibile.
Milano, 13 gennaio 2013

 

da: http://anarresinfo.noblogs.org/

Posted in Anarchismo, Antifascismo, Antimilitarismo, Generale, Internazionale, Repressione.

Tagged with , , , , , , , , , , , .


La carnevalata elettorale

da Umanità Nova del 13 gennaio 2013

Puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso la Libreria Belforte in Via della Madonna e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20)

La carnevalata elettorale

Non cadere nella trappola

mario-monti-viareggio

Sta girando su un blog la trama di un remake dal titolo Full Monti. La trama la conoscono tutti: Mario M e Mario D, due europeisti, si ingegnano per trovare degli espedienti per tirare avanti. Provano tra l’altro ad abbassare i salari, disintegrare i diritti dei lavoratori e le pensioni, prosciugare i redditi più bassi per continuare la politica delle aggressioni militari all’estero, salvaguardando i privilegi della Chiesa e dell’oligarchia finanziaria, senza accorgersi che tutto è stato già fatto.
Ma quando Mario M rischia di perdere il lavoro poiché è in arretrato con le riforme “ce lo chiede l’Europa”, pensa ad una soluzione un po’ drastica per tirarsi fuori da quel problema, e distrarre i cittadini che cominciano a protestare massicciamente.
Ispirato da un gruppo di europeisti professionisti che si esibiscono in Italia, ha l’idea di dar vita ad uno spettacolo pro-euro coinvolgendoli tutti (Bersani, Vendola, Casini, Cgil, Berlusconi ecc.). Lo spettacolo sarà un successo.”

Non è mia intenzione fare della facile ironia su chi crede che le prossime elezioni politiche siano un’occasione per fermare l’attacco che il governo porta alle condizioni di vita del proletariato e dei ceti popolari. La situazione è talmente tragica che l’ironia può persino sembrare offensiva per chi non ha la prospettiva di un lavoro, di un reddito, di una vecchiaia serena.

Sono molti, nonostante l’aumento dell’astensionismo, quelli che continuano a credere che, comunque, anche il voto dia il suo piccolo contributo a cambiare qualcosa, e sono molti, anche fra quelli con cui abbiamo condiviso le lotte contro le scelte di guerra, di miseria e di repressione del governo, a credere che il 24 e 25 febbraio, giorni delle prossime elezioni politiche, sia una scadenza importante anche per i movimenti di lotta.

Le delusioni di questi ultimi anni non hanno evidentemente insegnato nulla, come non ha insegnato nulla la parabola del socialismo legalitario, con il definitivo tramonto della presenza in parlamento dei partiti di ispirazione marxista: l’evoluzione parallela dei partiti socialdemocratici e di quelli che hanno usurpato il nome di comunista dovrebbero aver dimostrato che la lotta di emancipazione del proletariato si può svolgere solo al di fuori e contro le istituzioni statali, che ogni “lunga marcia” all’interno delle istituzioni termina con la subordinazione agli interessi della borghesia. Allo stesso modo dovrebbe aver insegnato qualcosa il fatto che la borghesia, di fronte ad una minaccia reale od immaginaria al suo capitale, non ha esitato a cacciare a calci nel sedere quanti credevano di poter attuare il socialismo pacificamente, dai banchi del parlamento. E li ha cacciati con al violenza fascista o con quella dell’esercito, anche se i socialisti legalitari disponevano della metà più uno dei voti!

 

Ma tant’è, la storia insegna solo che la storia non insegna niente a nessuno, così che ancora una volta ci troviamo a combattere questo tarlo elettorale, che mina le impalcature gettate per costruire, attraverso l’autogestione delle lotte, l’autogestione della società.

 

Ebbene, una obiezione sottile è quella che sostiene che qualcuno degli eletti in Parlamento tornerà comodo per la lotta contro la TAV e le vertenze sindacali; quindi tanto vale votarli. In realtà la questione non si pone in termini così semplici.

 

Innanzi tutto, ancora una volta, torna utile uno sguardo al passato: anche in anni recenti, ci sono stati eletti che si sono adoperati per questa o quel problema sollevato dai movimenti di lotta. Ma, o al di fuori del Parlamento c’era un movimento di lotta che faceva sentire la propria voce, che faceva capire al Governo e alla maggioranza che lo sosteneva che i cittadini sarebbero stati capaci di prendersi da soli quello che il Parlamento era indeciso a concedere, e allora anche i parlamentari di maggioranza hanno ceduto; oppure i cittadini si sono affidati completamente ai meccanismi istituzionali, e allora la maggioranza ha fatto orecchie da mercante. Un esempio clamoroso della protervia delle istituzioni, quando non sono incalzate da un movimento deciso, radicato, antiistituzionale, è dato dai referendum sull’acqua pubblica. E non si contano poi le volte che dai parlamentari è venuto solo l’appello ad avere fiducia nelle istituzioni, ad isolare i “violenti”, e così via.

Allora, riepilogando, per ottenere dei risultati è necessario costruire un movimento radicato, basato sull’autogestione e che usa lo strumento dell’azione diretta, solo sotto la minaccia di un movimento di questo tipo i parlamentari di opposizione potranno fare qualcosa di più che semplice tappezzeria. Ora, dobbiamo chiederci se, nella prospettiva della costruzione di un movimento di questo tipo, è utile o meno la partecipazione alle elezioni.

In queste settimane centinaia e centinaia di militanti, che abbiamo visto nelle lotte sindacali, nelle mobilitazioni ambientaliste o pacifiste, sono stati impegnati nelle complesse trattative per la formazione di cartelli elettorali, per l’elaborazione delle liste, per la definizione dei programmi. Il risultato è che la possibilità per ogni lista di entrare in Parlamento è inversamente proporzionale alla sua rappresentatività dei movimenti: cioè quanto più le liste cercano di esprimere i contenuti dei movimenti di massa, l’opposizione sociale alla politica dei governi che si sono succeduti in questi anni, tanto meno hanno possibilità di far eleggere qualche candidato. Ogni militante sincero che, pieno di buona volontà, abbia partecipato a qualcuna di queste riunioni dovrà ammettere di aver dovuto rinunciare, in tutto o in pare, a quello per cui ha lottato in questi anni.

 

Una volta definito il programma, c’è da definire le liste, c’è la lotta fra i vari gruppi, le varie correnti, i singoli candidati per spuntare un posto migliore: sono elementi di polemica, di divisione che si ripercuoteranno pesantemente sui movimenti di lotta.

La tattica elettorale, fin dal primo momento, porta con sé la rinuncia agli obiettivi condivisi e la divisione al nostro interno

Per chi si batte per l’unità e l’autonomia dei movimenti di lotta, per l’autorganizzazione e l’azione diretta, non resta altra scelta che l’opposizione alla tattica elettorale, che si esprime nell’astensionismo.

Bene ha fatto il movimento No TAV a diffidare ancora una volta chi vorrebbe strumentalizzare il movimento per la propria campagna elettorale.

 

Il popolo fa paura ai governanti quando si batte fuori e conto istituzioni, fuori e contro il parlamento, fuori e contro il governo, ma quando accetta la farsa del “popolo sovrano” fa la fine dei re del carnevale: viene portato in giro con una corona di cartapesta in testa per un giorno, e gabbato tutto l’anno! E proprio questo spera di ottenere Monti con le elezioni anticipate. Sta a noi non cadere nella trappola.

 

Tiziano Antonelli

 

Posted in Anarchismo, Generale.

Tagged with , , , .


Nello specchio della storia LIVORNO 1920: ASSEDIO ALLA QUESTURA

Nello specchio della storia

LIVORNO 1920: ASSEDIO ALLA QUESTURA

 

Il 4 maggio 1920 Livorno fu teatro di gravi conflitti a carattere insurrezionale, repressi nel sangue dalla forza pubblica, durante cui venne attaccato il palazzo della questura .

A differenza di Torino e Pola dove le forze dell’ordine aveva ucciso sei lavoratori, la giornata del Primo Maggio era appena trascorsa senza incidenti, con un corteo sindacale per le vie del centro conclusosi con un comizio al teatro Politeama dove erano intervenuti il socialista massimalista Nicola Bombacci e il segretario della Camera del Lavoro Zaverio Dalberto; all’Ardenza invece era stato tenuto il comizio indetto dagli anarchici con la partecipazione del sindacalista valdarnese Attilio Sassi. Inoltre, nel pomeriggio, un’altra adunata sindacale, con i medesimi oratori di quella della mattina, si era pacificamente svolta a Colline.

Dietro a tale apparente calma però, la tensione sociale in quel periodo era già molto alta in città a seguito delle agitazioni dei disoccupati e degli scioperi dei lavoratori portuali contro il potere padronale e la politica governativa; bastò infatti la notizia degli imprevisti fatti di Viareggio a far sfociare tale tensione in aperta rivolta.

A Viareggio una banale rissa sportiva seguita alla partita di calcio tra Lucca e Viareggio era degenerata in gravi disordini e quindi aveva assunto i caratteri di uno sciopero generale e di una sollevazione sovversiva.

Tutto era iniziato il 2 maggio quando, durante una zuffa scoppiata dopo il darby calcistico, i carabinieri avevano sparato e ucciso Augusto Morganti, un guardalinee con un passato di ex-tenente degli arditi di guerra che si era messo a capo della tifoseria viareggina. Di fronte a tale uccisione, la rabbia dei proletari viareggini tra i quali era molto forte la presenza anarchica dette vita ad un vero e proprio moto insurrezionale, tale da costringere i riottosi riformisti della Camera del Lavoro e del Partito socialista a dichiarare lo sciopero generale cittadino, mentre venivano disarmati i carabinieri ed assaltate le caserme dell’Arma.

Secondo quanto riferito dal corrispondente de «Il Telegrafo»: “Le donne, non tutte, si capisce, sono le più agitate, le più infuriate. Ne vedo a frotte, scarmigliate e discinte presso la Camera del Lavoro, ove sono esposti due vessilli, uno nero e l’altro rosso”.

Una volta che l’eco della situazione viareggina giunse a Livorno, immediatamente accese e fece dilagare il risentimento popolare, tanto da indurre la Camera del Lavoro a indire uno sciopero di protesta per il 4 maggio, aderendo all’invito del Sindacato ferrovieri e vedendo la convergenza del segretario, massimalista, Zaverio Dalberto, con le consistenti componenti anarchica e repubblicana della Camera del Lavoro.

Lo sciopero risultò esteso e compatto e, nel pomeriggio, una folla di lavoratori e sovversivi si radunò sotto la Camera del Lavoro in via Vittorio Emanuele (oggi via Grande), nei pressi di piazza Colonnella, in attesa di notizie da Viareggio e delle conseguenti decisioni del Consiglio delle Leghe ivi riunito. Nonostante la comunicazione che a Viareggio era stata decisa la cessazione del movimento, peraltro rimasto circoscritto, i dimostranti continuarono a rimanere in strada, mentre dalle finestre della Camera del Lavoro, i socialisti invitavano a tornare a casa, contraddetti dagli anarchici che sollecitavano i presenti a non fidarsi del governo e a continuare la lotta.

La situazione era ancora relativamente calma, con capannelli di gente impegnata a discutere sul da farsi; finchè carabinieri e militari presenti in forze circondarono la zona effettuando diversi fermi e bloccando le vie adiacenti.

A quel punto i presenti reagirono inveendo contro la presenza della sbirraglia, mentre sconosciuti assaltavano l’antistante armeria Soldaini e l’armeria Bertelli in via della Tazza (l’odierna via Piave), pur facendo uno scarso bottino consistente in rivoltelle per lo più inservibili, qualche fucile da caccia e alcuni coltelli.

Recatisi nella vicina questura in piazza Vittorio Emanuele, i sindacalisti socialisti Dalberto e Capocchi riuscirono, faticosamente, ad ottenere il rilascio degli arrestati, ma i carabinieri continuarono nella provocazione e in via Vittorio Emanuele alle sassate dei manifestanti risposero sparando – ginocchio a terra – coi moschetti e le rivoltelle sui proletari. Presi tra due fuochi, le vittime furono numerose: il socialista Flaminio Mazzantini, operaio ebanista di 48 anni e padre di otto figli, fu mortalmente colpito da due proiettili e Vittorio Volpini venne ferito in modo grave tanto da rimanere a lungo in pericolo di vita, ma si contarono almeno altri 14 lavoratori feriti dal piombo regio.

In risposta a tale eccidio, dopo le ore 21, un folto gruppo di sovversivi sparò alcune rivoltellate e lanciò tre ordigni esplosivi rudimentali contro il cancello della questura, ferendo alcuni carabinieri; quasi contemporaneamente nei pressi del porto venne lanciata una bomba a mano SIPE all’indirizzo del presidio composto da carabinieri e soldati che presidiavano la caserma Malenchini della guardia di finanza.

A seguito dell’accaduto la giunta esecutiva della Camera del Lavoro decideva, a tarda notte, la ripresa dello sciopero per l’indomani, mentre le forze di polizia eseguivano molti arresti, soprattutto tra gli anarchici ritenuti, senza alcuna prova, responsabili dell’assalto alla questura.

Così come a Viareggio, nel porto mediceo veniva fatto entrare un cacciatorpediniere della marina militare, mentre venivano fatti affluire, via mare, circa un migliaio di carabinieri e guardie regie.

I funerali di Mazzantini si trasformarono in un’enorme manifestazione proletaria (con sessantamila persone, secondo quanto riportato da «Umanità Nova»), con la partecipazione di tutte le organizzazioni di classe, oltre a socialisti, repubblicani e anarchici. Molti negozi avevano esposto la scritta “Chiuso per lutto proletario”. Il feretro era fiancheggiato da aderenti alla Lega Proletaria dei reduci di guerra, col nastro rosso al braccio, e seguito anche dai “ciclisti rossi” di cui Mazzantini era caposquadra. Nel nutrito spezzone anarchico, «La Gazzetta Livornese» riferì della presenza del gruppo di Ardenza, della sezione femminile anarchica, del Fascio rivoluzionario operaio e dell’associazione anticlericale “I nemici di Dio”. Alcuni incidenti si registrarono durante il corteo, soprattutto al passaggio davanti alla questura, tanto che al termine della giornata si contò un’altra quindicina di feriti, tra i quali otto donne.

L’ambasciatore inglese avrebbe annotato che “la città era stata per due giorni quasi completamente in mano ai rivoltosi”.

 

emmerre

 

 

 

Fonti.

Per la ricostruzione dei fatti sono state utilizzate le cronache pubblicate su «La Gazzetta Livornese» del 7-8 maggio 1920, su «Il Telegrafo» del 4 maggio e su «Umanità Nova» del 6, 7, 8 maggio 1920. Importante anche la ricerca di Tobias Abse, ‘Sovversivi’ e fascisti (1918-1922), pp. 75-11. Inoltre un riferimento è rintracciabile in Mimmo Franzinelli, Squadristi, p. 288. Al contrario è risultato del tutto inattendibile il racconto di Dino Frangioni che, in Il prezzo della libertà, riferisce di un “Eugenio Mazzantini ucciso tra i primi, ad opera delle guardie regie, durante una manifestazione antifascista”

 

Da Umanità Nova n.40 del 23 dicembre 2012

Posted in Anarchismo, Generale.

Tagged with , , , , , , , , .


Livorno reagisce alla politica del manganello

da: Umanità Nova n.38 del 9 dicembre 2012

Puoi acquistare il nuovo numero del settimanale anarchico presso le edicole di Piazza Damiano Chiesa e di Piazza Grande (angolo Bar Sole), presso la Libreria Belforte in Via della Madonna e presso la sede della Federazione Anarchica Livornese (apertura ogni giovedì dalle 18 alle 20)

Livorno reagisce alla politica del manganello

Repressione e rivolta

La settimana si è chiusa a Livorno con la riaffermazione da parte dei settori più combattivi della città del diritto a manifestare.

E’ bene riepilogare i fatti.

Venerdì 30 novembre si teneva a Livorno il comizio di Bersani, in occasione delle elezioni primarie del PD. La sede scelta era il Terminal Crociere, un edificio isolato all’interno di un parcheggio nella zona portuale, a cui si accede attraverso alcuni gradini.

Un gruppo di aderenti alla ex-caserma occupata decide di recarsi al Terminal Crociere per contestare pacificamente la presenza di Bersani, in solidarietà con le vittime degli arresti e delle perquisizioni nei confronti di membri del movimento No TAV. Giunti sul posto trovano un gruppo di lavoratrici della Sodexo di Pisa in lotta per il posto di lavoro. Ma trovano anche il servizio d’ordine del PD spalleggiato dalla DIGOS al gran completo e da un reparto antisommossa. I tentativi di entrare si concludono con tre cariche ed alcuni compagni contusi.

L’Ex-Caserma Occupata convoca un presidio per sabato 1° dicembre, con lo scopo di denunciare le cariche della sera precedente, presidio a cui partecipano anche la Federazione Anarchica Livornese e il Collettivo Anarchico e Libertario.

I compagni presenti (circa una quarantina) decidono di dar vita ad un presidio itinerante che, dopo alcune soste nel centro della città, si conclude in Piazza Cavour, nella zona pedonale. Poco prima dello scioglimento arrivano i reparti antisommossa di Polizia e Carabinieri che fronteggiano i manifestanti ed intimano di sciogliere il presidio; senza porre tempo in mezzo e senza che ci fossero state reazioni da parte dei manifestanti parte la carica, brutale e violenta come non ce n’erano mai state a Livorno. Nella carica vengono manganellati alla rinfusa manifestanti e passanti: due persone finiscono all’ospedale. Ma, dopo un primo sbandamento, il presidio si ricompone e i compagni rimangono a fronteggiare la polizia, mentre passanti solidali arrivano a dar man forte alle vittime della violenza. Appena la situazione si fa meno tesa e la polizia arretra, il presidio si scioglie e viene riconvocato per il giorno successivo, domenica alle ore 17, sempre in piazza Cavour, per riprendersi la libertà di di manifestazione e per dimostrare che non ci si piega di fronte alla repressione e alla violenza poliziesca.

Gli anarchici livornesi hanno subito rilevato l’estrema gravità dei fatti di sabato, un’aggressione a freddo di polizia e carabinieri nei confronti di manifestanti pacifici: scene a cui i cittadini di Livorno non sono abituati; la storica presenza anarchica, nutrita e radicata, la componente antagonista e antiistituzionale hanno garantito nei fatti una notevole agibilità politica; agibilità che evidentemente disturba il manovratore. Per citare il comunicato sui fatti di sabato: “è proprio l’anomalia Livorno che va normalizzata in un momento in cui le direttive governative sono chiaramente indirizzate in senso repressivo verso qualsiasi tipo di manifestazione di dissenso, dagli studenti, agli ambientalisti, agli operai, in un momento in cui va avanti la fascistizzazione dello stato e sotto la maschera della legalità si porta avanti la brutalità della repressione e del soffocamento dei diritti più elementari”. Nella giornata di sabato, le forze dell’ordine hanno fatto vedere ai livornesi un po’ di Val Susa, sia per la brutale violenza esercitata contro manifestanti pacifici, sia per l’atteggiamento da truppe di occupazione che hanno tenuto: il pattuglione che ha effettuato la carica si guardava soprattutto da possibili reazioni dei curiosi, e già dopo pochi minuti dopo la carica si trovava circondato da una folla ostile.

Domenica 2 dicembre l’annunciato presidio che era stato indetto in Piazza Cavour, si è trasformato in un corteo che è andato crescendo durante il percorso, fino a raggruppare più di mille persone, che esprimevano ad alta voce la loro protesta contro la polizia, contro il PD, contro il Governo. Livorno si è stretta solidale attorno alle vittime della repressione, e le pratiche messe in opera domenica pomeriggio, come la reazione popolare di fronte alla prefettura, sono il risultato del comportamento delle forze dell’ordine e delle scelte dei tutori dell’ordine pubblico.

A Livorno si registrano i più alti tassi di miseria, disoccupazione, inquinamento, suicidi: hanno tentato di togliere anche il diritto di manifestare, e la reazione è scattata immediata: anziché arrampicarsi sui tetti, o andare in giro con le mani alzate, domenica pomeriggio in centro non si vedeva una divisa, fuorché quella dei vigili urbani, e anch’essi a debita distanza dalla manifestazione.

Il corteo è partito dalla piazza teatro della violenza della polizia, Piazza Cavour, per snodarsi attraverso le vie cittadine fino alla Questura e alla Prefettura dove, la provocatoria presenza della polizia e i cancelli lasciati aperti hanno fatto da catalizzatore alla rabbia, e si sono avuti lanci di oggetti di vario tipo, che hanno costretto a chiudere i cancelli della Prefettura. Il corteo è poi proseguito fino a raggiungere di nuovo Piazza Cavour, dove si è sciolto, lasciando ai partecipanti la convinzione che la prossima volta polizia e carabinieri ci penseranno due volte prima di caricare un presidio pacifico.

Ora le istituzioni locali, dopo aver taciuto sulle violenze della polizia, si schierano a difesa delle istituzioni governative, dimostrando quanto i palazzi del potere, locali e nazionali, siano lontani dai sentimenti dei ceti popolari livornesi. Partiti e mezzi di comunicazione riprendono il vecchio ritornello della legalità: quando protestano i lavoratori, gli studenti, i precari, gli attivisti in difesa del territorio c’è sempre qualcosa di irregolare, di illegale. Il Governo intanto si fa beffe si questo ritornello, torce e viola la sua stessa legalità, quella Costituzione su cui ha giurato, se c’è da difendere un privilegio di quelle classi che gli garantiscono il consenso sociale, illudendosi di gestire le ricadute sociali sulla gran massa degli sfruttati con i reparti antisommossa e il manganello. Quanto è accaduto domenica a Livorno è un brusco risveglio per chi si culla in queste illusioni.

Posted in Anarchismo, Generale, Repressione.

Tagged with , , , , , , , , , , , .