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TESTIMONIANZE DA MANDURIA: INIZIATIVA E CENA SOCIALE

“…OVUNQUE UNO SFRUTTATO SI RIBELLI

NOI TROVEREMO SCHIERE DI FRATELLI…”

Primavera 2011: In seguito alle rivolte contro le dittature che hanno infiammato il Mediterraneo ed alle tragiche conseguenze della guerra in Libia, migliaia di giovani approdano in Italia alla ricerca di una vita migliore, ma viene impedito loro persino il transito verso i vari paesi europei. Sono imprigionati e chiusi nei CIE esistenti o nei campi profughi allestiti in fretta e furia, come a Manduria, in Puglia. Sopraffazioni, violenze, negazioni dei diritti fondamentali da parte di forze dell’ordine: questa la quotidianità di chi aspetta per mesi il permesso di soggiorno o il riconoscimento dello status di profugo. Questa è la tanto decantata legalità.

Estate 2011: dopo mesi la situazione è ancora irrisolta. La carcerazione immotivata alimenta esclusivamente l’esibizione razzista di controllo dello straniero, mantiene pretestuosamente una situazione di emergenza da gestire con militarizzazione, segregazione e brutalità. In Puglia, come ovunque, si moltiplicano fughe e proteste da parte degli immigrati; nel centro richiedenti asilo di Bari Palese esplode la rivolta.

Il governo vara misure pesantissime per i lavoratori, colpiti nei salari, nei diritti, nell’identità. La politica razzista diventa ancora più strategica; il razzismo resta uno dei pochi elementi in grado di dividere una massa pressoché indistinta di sfruttati, di impedire che si sviluppi solidarietà generalizzata.

SABATO 27 AGOSTO

presso FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE,
Via degli Asili 33

ore 20.30 CENA SOCIALE

ore 22 TESTIMONIANZE DA MANDURIA

Primavera 2011, report di un’esperienza diretta.

Proiezione di video e foto a cura di Irene, autrice dei resoconti su Umanità Nova

(per info e prenotazioni cena: 3331091165/3339861219)

Federazione Anarchica Livornese – F.A.I.

Collettivo Anarchico Libertario

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Rigassificatore: sicurezza zero ma il Comune spinge per affrettare i tempi

da: senzasoste.it

Nei giorni scorsi è apparso su QuiLivorno.it un articolo che riferiva di una riunione della commissione comunale sulla viabilità urbana che aveva all’ordine del giorno… il rigassificatore. Cosa ci incastra la commissione “viabilità urbana” con il rigassificatore non riusciamo a comprenderlo, ma lasciamo perdere. Dall’articolo veniamo informati che l’assessore Picchi è intervenuto presentando un documento in cui si chiede alla Regione Toscana di concludere l’iter del rapporto sulla sicurezza presentato dalla OLT, la società costruttrice del rigassificatore, in modo da poter dare inizio alle procedure di realizzazione dell’impianto. L’articolo prosegue con un paio di inesattezze. La prima riguarda il Comitato tecnico regionale, organo che deve dare il suo parere positivo al rapporto sulla sicurezza presentato da OLT: nell’articolo si sostiene che sarebbe un organo della Regione Toscana mentre il C.T.O è un apposito organismo, presieduto dal comandate del Corpo dei Vigili del Fuoco della Toscana, di cui la Regione Toscana è solo una dei componenti assieme ad altre istituzioni pubbliche, come ad esempio la Capitaneria di porto di Livorno. La seconda riguarda il porto dove si starebbe trasformando la ormai ex-gasiera Golar Frost in terminale di rigassificazione, denominato Toscana FSRU: non in Turchia come si sostiene nell’articolo ma a Dubai.

Quello che però colpisce è il fatto che l’assessore Picchi non si ponga alcun problema riguardo le questioni sulla sicurezza sollevate lo scorso autunno dalla commissione internazionale: 12 prescrizioni e 66 rilievi. Ci limitiamo ad elencare quelli più rilevanti:

la OLT non ha fornito alcuna prova del fatto che i bracci usati per il trasferimento del gas siano capaci di funzionare correttamente; vale la pena di osservare che il trasferimento del gas da nave a nave è la procedura più critica, punto cruciale di tutta l’operazione e che mai i bracci oggi disponibili sono stati usati per lo scambio di gas tra una nave e un rigassificatore pure galleggiante;

la OLT non ha fornito alcuna prova che il sistema di ormeggio tra le due navi, anche questo parte essenziale del sistema di trasferimento del gas tra le stesse, possa resistere alla rottura di uno dei cavi di ormeggio, possibile in caso di mare in tempesta, con il conseguente danneggiamento dei bracci di carico;

la OLT non ha preso in considerazione l’effetto che cattive condizioni meteo potrebbero avere sui bracci di scarico che collegano il terminale dalla gasiera durante le 12 ore durante le quali avverrebbe lo scarico del GNL. Vale la pena di osservare che nel 2001 proprio le non adatte condizioni metereologiche della zona costrinsero l’apposita commissione ministeriale a dare parere negativo alla realizzazione di un impianto offshore di GPL nelle stesse acque ;

la OLT non ha preso in considerazione gli effetti di una collisione fra il terminale e un’altra nave eppure quel tratto di mare è uno dei più transitati del Mediterraneo;

la OLT non ha fornito alcuna informazione sulla “nave guardiana”, quella che deve “assistere” il terminale 24 ore su 24, e soprattutto non ha dato nessuna garanzia sulla capacita di questa nave di impedire l’effettivo avvicinamento di un altro natante al terminale;

la OLT non ha neppure preso in considerazione la possibilità di attacchi terroristici;

la OLT non ha preso in considerazione il periodo in cui il terminale verrebbe messo in servizio, periodo in cui le probabilità di incidente sono maggiori;

la OLT ha ritenuto impossibile ciò che invece si è verificato con effetti devastanti (27 morti) all’impianto di liquefazione di Skikda, Algeria, nel 2004;

la OLT ha ripetutamente affermato erroneamente nel suo rapporto che il GNL versato in mare appena ritornato gas si alza e si dissolve rapidamente. E’ il caso di osservare che questo grossolano errore, evidenziato dalla Commissione internazionale, porta a sottostimare drasticamente la gravità degli effetti di un incidente;

la OLT ha fornito una spiegazione insufficiente delle misure prese per evitare il roll-over, cioè l’effetto della creazione di vapore all’interno dei serbatoi a seguito di una miscelazione di strati a differente densità e temperatura;

la OLT non ha fatto neppure cenno alla qualità del GNL che arriverebbe al terminale di Livorno, questione non secondaria perché il grado di pericolo presentato dal GNL dipende anche dalla sua “purezza”, cioè dalla percentuale di idrocarburi in esso contenuta.

Come si vede si tratta di questioni fondamentali, tanto più in una struttura che, finalmente, tutti ammettono essere la prima al mondo nel suo genere (dopo che per anni ci avevano riempito di bugie, su questo come su molti altri aspetti dell’affare rigassificatore)

La OLT ha risposto solo nel luglio scorso alle contestazioni della commissione internazionale ma queste “integrazioni” sono rimaste “segrete”: la Regione Toscana si è ben guardata dal pubblicarle sul proprio sito, come invece aveva fatto per la sintesi del rapporto di sicurezza e per il documento della commissione internazionale. Sulla questione sembra essere calato un silenzio tombale che non può che preoccupare. Come non può che preoccupare la indecente solerzia con la quale Comune e Confindustria cercano di affrettare i tempi per una risposta positiva che sblocchi l’iter autorizzativo.

Dobbiamo invece pretendere.

che la Regione Toscana pubblichi le integrazione presentate da OLT, in modo che tutti possano valutarle

che prima di ogni decisione il documento integrativo presentato dalla OLT venga analizzato dalla Commissione internazionale che ha sollevato i problemi.

Inviato a Senza Soste da M.Z.

11 agosto 2011

***

L’articolo citato di QUILIVORNO.it

LIVORNO – Si è riunita il 27 luglio la sesta commissione sulla vivibilità urbana che aveva all’ordine del giorno il rigassificatore: alla seduta era presente anche l’assessore Bruno Picchi, intervenuto per presentare un documento in cui si chiede che la Regione concluda al più presto la redazione del rapporto di sicurezza per poter dare inizio alle procedure di realizzazione dell’impianto, di cui si parla ormai dal 2002. La Regione Toscana, tramite la commissione tecnica regionale, è il solo ente preposto a valutare i rapporti sulla sicurezza per dare l’ok sui lavori. Solo due settimane fa da parte della società OLT Offshore LNG Toscana S.p.A, promotrice del progetto, sono state depositate le integrazioni al rapporto di sicurezza definitivo, ribadendo che non vi è alcun rischio di pericolo, e che il sito in cui sorgerà il rigassificatore può essere ritenuto sicuro e che non creerà problemi per chi si trova sulla terraferma.
Quel che è sicuro, aspettando il pronunciamento della Regione, è che dal mese di settembre la società OLT trasferirà i suoi uffici da Milano a Livorno, dove è già stato reclutato il personale che da settembre occuperà quegli uffici e che a maggio 2012, la nave che è al momento in costruzione in Turchia, verrà ormeggiata in mare aperto davanti al litorale pisano e dopo due mesi di prova, a ottobre 2012, entrerà in funzione, facendo essere Livorno la prima città al mondo a possedere un impianto di rigassificazione di questo tipo.

27 luglio 2011

Posted in Generale, Nocività-Salute.

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Appello per la libertà di espressione e manifestazione

Gli ultimi provvedimenti repressivi che hanno raggiunto compagne e compagni appartenenti a diverse realtà, hanno spinto diversi collettivi, singoli, soggetti politici e sindacali a ritrovarsi per organizzarsi di fronte ad una situazione ormai troppo grave di attacco alla libertà di espressione.
Dal confronto assembleare nasce questo appello, con il quale chiediamo a tutti i collettivi, i comitati, le associazioni, i gruppi, le organizzazioni politiche e sindacali, i partiti, di prendere posizione con dei comunicati su quanto sta accadendo in città. Si invitano inoltre tutti i soggetti interessati a partecipare e contribuire ad un percorso di opposizione alla stretta autoritaria in corso, che si intende sviluppare a partire dai prossimi mesi e di cui si discuterà nelle prossime scadenze assembleari che saranno in seguito comunicate.
Si indica in lunedì 22 agosto il giorno in cui inviare i comunicati alla stampa.

Quanto avvenuto in questi mesi, rende necessario denunciare la stretta autoritaria, l’attacco alla libertà di espressione e all’agibilità politica in corso in città. A Livorno, come in tutta Italia, sono colpiti coloro che sul lavoro, nella scuola e nelle piazze, lottano e decidono di non chinare la testa di fronte a delle condizioni di sempre maggiore sfruttamento ed oppressione, di fronte ad una crescente riduzione dei diritti e degli spazi di espressione, di fronte a tagli alla scuola e al sociale, di fronte all’attacco al mondo del lavoro.
E’ ormai da un anno che con provocazioni, intimidazioni, identificazioni, denunce ed altri provvedimenti, si tenta di criminalizzare ogni forma di conflitto sociale. Infatti nella maggior parte dei casi questi provvedimenti sono relativi a manifestazioni studentesche e sindacali, come nel caso dello sciopero generale del 28 gennaio 2011 o del corteo studentesco del 16 dicembre 2010.

Più volte negli ultimi tempi associazioni, collettivi, realtà politiche e sindacali, partiti e soggetti sociali, hanno denunciato questa grave situazione.

L’inasprimento del clima repressivo risponde alla volontà di soffocare ogni malcontento sociale, sia da parte di Questura e Procura, sia da parte della Giunta comunale, che con le scelte politiche intraprese si è resa responsabile della stretta autoritaria in città.

A tale proposito vale la pena ricordare l’assurda militarizzazione delle scale del Municipio, allo scopo di impedire l’esposizione di striscioni, a cui puntualmente si assiste quando si svolgono manifestazioni evidentemente non gradite all’amministrazione. Esempio ancora più chiaro e molto più concreto è la delibera del consiglio comunale di Livorno per dotare i vigili urbani di manganello e spray urticante. Quest’ultimo fatto chiarisce il modo in cui si intendono gestire le future situazioni di tensione sociale. Già abbiamo visto l’uso che è stato fatto negli ultimi tempi di quella che ormai viene chiamata “Polizia locale”, dall’uso della forza negli sfratti, alla persecuzione dei migranti al mercato e nelle zone del centro. Questa stretta autoritaria, sia a livello nazionale che locale, mira a colpire ogni malessere sociale e costituisce l’ennesimo attacco a chi già subisce sulla propria pelle gli effetti della manovra finanziaria, dell’accordo sindacale, dell’emergenza abitativa, della politica di guerra, della devastazione ambientale, dell’attacco alla salute, delle leggi razziste, dei tagli ai servizi e all’istruzione.

Nelle ultime settimane il clima in città si è fatto ancora più pesante.
11 persone denunciate per un totale di 17 denunce relative al corteo studentesco del 16 dicembre 2010, una manifestazione che si inseriva nel contesto della grande mobilitazione studentesca dello scorso autunno, animata dalla contestazione simbolica alla sede di confindustria e che non ha registrato particolari momenti di tensione. Fra le accuse l’accensione di lamperogeni o fumogeni durante i cortei (fatto fra l’altro usuale in ogni corteo), oppure deviazioni di cortei perseguite applicando il “democratico” art. 18 del TULPS, Regio Decreto del 1931, legge fascista meglio conosciuta come “assemblea non autorizzata”.

Una persona denunciata per essere salita sulle famigerate scalinate del Comune. Lo scorso 28 gennaio, durante lo sciopero generale dei sindacati di base, la polizia cercò di impedire agli autisti Atl in sciopero, ai lavoratori Asa e agli studenti di salire sulle scalinate per attaccare alcuni striscioni durante il comizio finale di lavoratori e rappresentanti sindacali. Alla fine lavoratori e studenti salirono ugualmente sulla scala.
Ad altre 6 compagni e compagne sono state prelevate le impronte digitali e sono state scattate foto segnaletiche, oltre che denunciate per “imbrattamento di cose altrui” e per “apologia di reato”. Tutto questo a causa di semplici adesivi attaccati in città.
Questi provvedimenti sono stati notificati tutti insieme nelle prime settimane di luglio.

Ma questo clima si prepara già da oltre un anno. Si ricordino i decreti penali di condanna (sempre per “accensione pericolosa”) recapitati a tre studenti per il corteo studentesco del 6 novembre 2009. Si ricordino le denunce a due studenti dell’Istituto Nautico per un tentativo di occupazione che si concluse con una trattativa che portò alla convocazione in quella scuola di un’assemblea permanente contro la politica scolastica del Governo. In quell’occasione le forze dell’ordine, tra minacce e provocazioni, identificarono decine e decine di minorenni.
Si ricordi la militarizzazione della città a cui abbiamo dovuto assistere più volte in questi ultimi due anni, sia per manifestazioni studentesche e sindacali, sia in altri casi. Come in occasione dell’incontro sulla “sicurezza” organizzato a marzo di quest’anno tra il sindaco di Livorno Cosimi ed il sindaco di Verona Tosi, uno degli esponenti leghisti più legati alla destra neofascista ed al tradizionalismo cattolico. La militarizzazione di una città completamente blindata, rese in modo chiaro l’idea di cosa significa per il sindaco Cosimi la “sicurezza”.
Dall’estate del 2009 decine e decine di denunce, 4 arresti, varie condanne.

Questa è la situazione a Livorno.

Denunce a chi spontaneamente contestava la presenza dei fascisti di Forza Nuova alla processione dei cattolici tradizionalisti a Montenero. Una montatura e 4 persone agli arresti per diversi mesi, per chi partecipava a Pistoia ad un’ assemblea sull’incostituzionalità delle ronde. Denunce e condanne a chi partecipa a manifestazioni studentesche e sindacali.

Questi provvedimenti sono del tutto pretestuosi. L’intenzione in questi casi è quella di colpire determinati compagni e compagne, di colpire certe posizioni politiche, di colpire percorsi unitari e legami di solidarietà che si sono costruite in questi anni. Che i fatti contestati non siano che dei pretesti è chiaro sia da come certi provvedimenti risultino quasi ridicoli, sia dal fatto che vengano colpiti, con particolare accanimento, quei compagni e quelle compagne più impegnati. Vengono prese di mira infatti quelle persone che spesso costituiscono le cerniere tra i vari collettivi e soggetti politici, che hanno un ruolo importante in quei meccanismi di solidarietà, collaborazione e confronto, che hanno permesso che in questa città si sviluppassero importanti percorsi di lotta.

Questa stretta autoritaria mira quindi a reprimere ogni forma di dissenso, costituendo un attacco diretto alla libertà di espressione e manifestazione. Un attacco diretto a chi lotta, ma soprattutto diretto a studenti, lavoratori, migranti, un attacco ad ogni malcontento sociale.
Per questo è necessario spezzare questa morsa ed estendere le maglie della solidarietà. Sostenere coloro che vengono colpiti da provvedimenti repressivi e rivendicare l’agibilità politica e la libertà di manifestazione. Contrastare la stretta repressiva ha bisogno di una specifica campagna politica che non può essere slegata dai percorsi di lotta che vedono protagonisti i lavoratori, gli studenti, i migranti.
Va infatti ricordato che quando si parla di stretta autoritaria, si parla dell’azione delle Questure e delle Procure, ma si parla anche della riduzione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, della precarietà, delle leggi razziste che ricattano e perseguitano i lavoratori immigrati, del militarismo e delle politiche di guerra. Lo si può vedere in Val di Susa, dove il governo ed il PD usano continuamente la violenza, giungendo fino a schierare l’esercito contro un movimento di resistenza popolare in difesa della salute. Lo si può vedere a Firenze, dove con una enorme montatura da oltre 90 indagati, si cerca non solo di affossare il movimento studentesco fiorentino ma di bloccare ogni forma di dissenso in città.

Con questo attacco, anche a Livorno si cerca di organizzare la repressione del malessere sociale.

Ma questa stretta autoritaria non può fermare il malcontento ormai diffuso. Non può spezzare la solidarietà che lega movimenti sociali, collettivi, soggetti politici e sindacali, né tanto meno potrà fermare le mobilitazioni dei prossimi mesi.

Coordinamento Studentesco Livornese
Collettivo Studentesco Universitario Livornese
Comitato di lotta per il lavoro
Unicobas Livorno
Cobas
C.S.A. Godzilla
Officina Sociale Refugio
Teatrofficina Refugio
Sinistra Critica
Collettivo Anarchico Libertario
Federazione Anarchica Livornese – F.A.I.

13/08/11

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Caporali alla TNT di Piacenza. Gesconet o Gesco Nord?

da:http://senzafrontiere.noblogs.org/

Nelle scorse settimane vi abbiamo parlato della lotta dei lavoratori delle cooperative “Stella” e “Vega” impiegati alla TNT di Piacenza.
A quanto ci risultava le due cooperative sarebbero appartenute al consorzio Gesconet. Gesconet ci scrive minacciando azioni legali, perché Stella e Vega non avrebbero nulla a che fare con loro.
Nonostante i modi poco urbani e il dubbio che questi signori, dalla consolidata fama di caporali, facessero i furbi, cancelliamo ogni riferimento al consorzio dagli articoli sulla lotta alla TNT.
Poi, con calma, facciamo le dovute verifiche.
Stella e Vega appartengono al gruppo Gesco Nord, le firme sulle ipotesi di accordo riportano la sigla “Gesco”. La scritta “Gesco Nord” sulla magliette dei lavoratori TNT di Piacenza è pressoché identica a quella che compare nella testata del sito di “Gesconet”.
Tutto si chiarisce da se. Anna Barbati, a nome del gruppo Gesco, dichiara che Gesco Nord si è costituito all’inizio dell’anno e non ha nulla a che fare con Gesconet.
È la stessa TNT a smentire, forse inconsapevolmente, Barbati: “Gesconet è dentro la Tnt da anni e all’inizio dell’anno ha scorporato il consorzio in Gesco nord e Gesco sud. Le persone all’interno e la dirigenza sono le stesse”.
A questo punto decidiamo di approfondire. Ne vengono fuori delle belle. Circa un anno fa venne aperta un’indagine sul mancato rispetto delle norme di sicurezza nel trasporto di radiofarmaci all’aeroporto di Linate. Neanche a dirlo la logistica era appaltata al gruppo Gesconet.

Malgrado una certa reticenza in gran parte della stampa ufficiale, Gesconet compare regolarmente, a volte solo un accenno, tra i gruppi implicati nel cosiddetto “traffico di clandestini”.
Al di là delle definizioni quello che conta è che Gesconet e i suoi cloni successivi sono “caporali” più o meno legali, che sfruttano all’osso i lavoratori, giocando sulle leggi che rendono ricattabili gli stranieri, specie se privi di permesso di soggiorno.
Il gioco è semplice e brutale.
Spesso in molte cooperative della logistica i soci lavoratori con le carte in regola vengono costretti, attraverso diverse forme di mobbing, a dimettersi. Al loro posto vengono assunti lavoratori con permessi di soggiorno falsi: per loro il licenziamento apre le gabbie del CIE anticamera della deportazione.
Proprio alla Tnt di Piacenza, i primi lavoratori minacciati di licenziamento sono stati quelli cui stava per scadere il permesso di soggiorno che, senza un contratto di lavoro, non avrebbero potuto sottoscriverne un altro.

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Bari. Otto ore di rabbia

da:http://senzafrontiere.noblogs.org/

Lunedì 1 agosto, Bari palese. È rivolta. Esplode la rabbia degli stranieri “parcheggiati” nel C.A.R.A., il centro per richiedenti asilo di Bari. Attendono, giorno dopo giorno, in un limbo del tutto simile ad un carcere, il riconoscimento dello status di rifugiati.
Dall’inizio dell’anno è iniziato l’iter solo per solo 506 delle 3731 domande presentate a Bari.
Da mesi attendono di sapere se avranno o meno il pezzo di carta, che per la legge, fa la differenza tra esistere e non esistere.
Non ne possono più. Sono stanchi del silenzio, della mancanza di risposte, dell’impossibilità di spostarsi altrove, di costruirsi una vita, di cercare un lavoro che non sia la schiavitù riservata a chi non ha diritti da far valere.
In 200 scendono in strada all’alba. Prima incendiano materassi e suppellettili nel centro che, nonostante le porte aperte, somiglia sin troppo ad una gabbia.
Otto ore di rabbia. Occupano la stazione e bloccano il traffico sulla statale, gridando “libertà. La polizia risponde con lacrimogeni e manganelli.
Due giorni dopo era prevista la riunione di una commissione tecnica cui avrebbe partecipato anche il sottosegretario Mantovano: loro miravano a far pressione per ottenere il permesso per motivi umanitari.
Mantovano, dopo la rivolta, annuncerà l’istituzione di una seconda commissione per sveltire le procedure ma – al tempo stesso prometterà “tolleranza zero”.

Il bilancio della giornata è pesante: una ventina di manifestanti feriti e 28 arrestati.
Intanto i media parlano di un’indagine volta a svelare una regia nazionale delle rivolte. Negli stessi giorni nei CARA del sud serpeggia la rivolta da Mineo a S. Anna di Capo Rizzuto, dove la sera stessa i richiedenti asilo scendono in strada, bloccando la statale 106 jonica. La polizia carica e due manifestanti vengono arrestati.
I media parlano di “infiltrati”, sostenendo che la rivolta era “troppo” ben pianificata e si era dimostrata la conoscenza di “tattiche di guerriglia”.
Come sempre, per chi ha il potere e per i tutori dell’ordine costituito, l’azione diretta autorganizzata è qualcosa di difficile da mandare giù.

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Foto della commemorazione di Filippo Filippetti

Il primo agosto è stato commemorato l’anarchico livornese Filippo Filippetti, muratore, sindacalista USI ed ardito del popolo, ucciso dai fascisti nel 1922, mentre si opponeva ad una spedizione punitiva.
L’iniziativa alla lapide di Via Provinciale Pisana, organizzata dalla Federazione Anarchica Livornese e dal Collettivo Anarchico Libertario, ha visto anche la partecipazione dell’A.N.P.P.I.A, e la presenza dell’A.N.P.I.

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Polizia Municipale, il corpo più odiato dalla popolazione livornese

da: senzasoste.it


Ci risiamo. L’ennesimo episodio di tensione tra vigili urbani e ambulanti senegalesi nella zona del Mercato ha portato all’arresto di un giovane, con l’accusa, prontamente rilanciata dalla stampa locale, di aver addirittura tentato di strangolare una vigilessa.
Nessuno di noi era presente, ma chi conosce i senegalesi sa che si tratta di persone tranquille e benvolute da tutti. Si contano sulle dita di una mano gli episodi di violenza in cui sono rimasti coinvolti. Sappiamo però che da una vita è in corso una vera e propria persecuzione a danno degli ambulanti, con uno spreco di risorse pubbliche che ha dell’assurdo e metodi da ronde leghiste da parte di alcuni poliziotti e poliziotte municipali.

Questa guerra ai senegalesi non si giustifica neanche con la necessità di rispondere a richieste o petizioni dei cittadini. La popolazione livornese ha sempre solidarizzato con gli ambulanti, aiutandoli a nascondere la merce, avvertendoli della presenza delle “ronde”, protestando vivacemente con i vigili, inviando alla stampa locale lettere di protesta e appelli alla tolleranza. Tranne qualche isolato razzista: guarda caso quando succede qualche tafferuglio al mercato è sempre presente il solito commerciante, sempre pronto a testimoniare contro gli immigrati e a scrivere alla stampa locale lettere di fuoco contro l’abusivismo.
La filastrocca della legalità che viene usata per giustificare queste indegne retate non regge: se davvero si vuole colpire la vendita di merci contraffatte si vada a sequestrarle a chi le produce e le mette in circolazione, e non a lavoratori che le hanno già pagate e dalle quali dipende la loro sopravvivenza. Si dice che dietro ci sia la camorra: forse tremano le gambe? È più facile fare i Rambo con chi deve vendere quattro accendini per arrivare in fondo al mese?

Questo dovrebbe essere l’ABC per un’amministrazione che si dice di sinistra, ma forse il recente incontro tra il sindaco Cosimi e il suo collega fascista veronese Tosi ha partorito più frutti di quanti ce ne potessimo aspettare. E ci sarebbe da fare un discorso, una volta per tutte, su quali e quanti progetti di cooperazione internazionale e di integrazione degli immigrati ha promosso negli ultimi anni il Comune di Livorno. Ricordando, come ultimo esempio poco edificante, la gestione cialtrona dell’emergenza immigrati dal Nordafricacon quattro ragazzi relegati nelle campagne di Monterotondo senza neanche il minimo tentativo di accoglierli nella nostra comunità (e di questo ne parleremo a tempo debito visto che pochi giorni fa membri della maggioranza stessa hanno criticato l’operato dell’amministrazione).

Ma tornando ai vigili, qui ormai il problema non è più soltanto quello del rapporto con gli immigrati: non si contano più gli episodi in cui semplici cittadini lamentano atteggiamenti di arroganza e ottusità da parte della Polizia municipale. Ma fanno dei corsi di formazione? Glielo insegnano in Comune a tenere atteggiamenti provocatori? Dov’è scritto che l’intervento dei vigili debba immancabilmente creare situazioni di tensione? Dov’è scritto che questo corpo di polizia debba venire usato contro i cittadini e non per offrire un servizio alla comunità?

Molto tempo fa, a seguito di un altro episodio come quello che stiamo commentando, scrivevamo: “gli fanno fare gli agguati agli immigrati e alle macchine in divieto di sosta anziché mandarli a fare vigilanza contro la speculazione edilizia, le discariche abusive, i reati ambientali, o tanti altri problemi su cui hanno competenze specifiche. Ci piacerebbe sapere quante risorse vengono impiegate per la verifica di irregolarità nell’edilizia e quante per tartassare i senegalesi”. Non solo da allora la situazione non è migliorata ma è gravemente peggiorata.

Perché, a dire la verità, ora i vigili ci vanno a occuparsi dei problemi ambientali: al Limoncino ad esempio, dove hanno fatto i controlli a quelli che hanno firmato la petizione contro la discarica, seguendo una lista fornita dal padrone. E ci vanno ai blocchi organizzati dai livornesi per difendere il loro territorio, ma per multare i pedoni per intralcio alla circolazione e chiedere i documenti a chi protesta. Legalità, certo. L’utilizzo dei vigili in termini sempre più esplicitamente repressivi è una dimostrazione evidente di quanto questa amministrazione non si ponga più neanche il problema del consenso ma si muova sul territorio come un potere coloniale con il solo obiettivo di imporre balzelli e di garantire i profitti dei suoi “grandi elettori”. Sarà un caso, ma l’ultimo articolo sul manganello ai vigili è uscito subito dopo la contestazione del Comitato del Limoncino in Consiglio comunale. La contestazione è dell’11 luglio e il 16 il Tirreno “lancia un messaggio” riprendendo la questione.

Eppure, come ricordavamo qualche giorno fa sul nostro sito, il sindaco Cosimi nel 2003 dichiarava che i vigili a Livorno non avrebbero avuto i manganelli ma le triglie. Forse è per condire le triglie che gli hanno dato in dotazione lo spray al peperoncino. Oltre naturalmente ai manganelli, a riprova di un’amministrazione che nel rapporto con i livornesi si sente tranquillamente in diritto di dire tutto e il contrario di tutto, promettere e non mantenere, inventarsi balle. O di esultare scompostamente per un referendum che non ha raggiunto il quorum, alla faccia di chi dovrebbe promuovere la partecipazione e su di essa basare la propria legittimità politica. Attenzione, perché in futuro, con una crisi sempre più grave che acuirà il disagio sociale, la tentazione sarà quella di rispondere con un controllo del territorio in chiave esclusivamente repressiva. Le stellette e gli stivaloni al posto dell’assistente sociale, del medico, dell’autista dell’autobus.

La responsabilità della situazione che si è creata è quindi dell’amministrazione comunale, ma prima che succeda il peggio è necessario dare un segnale inequivocabile e arrivare alle dimissioni del comandante dei vigili. L’opposizione per una volta faccia il suo, magari si organizzi una raccolta di firme, ma si intervenga prima che qualcuno si comprometta o succeda qualcosa di grave. (red.)

4 agosto 2011

In foto il comandante della Polizia Municipale Riccardo Pucciarelli (foto tratta da edipol.it)

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Una finanziaria di guerra

da: http://federazioneanarchica.org


Come al solito i potenti sono tutti d’accordo. Il presidente della repubblica, il capo del governo, il ministro dell’economia, i leader politici di maggioranza e della sedicente opposizione.
Mentre l’Istituto Nazionale di Statistica ci informa che in Italia ci sono 8 milioni di poveri, di cui 3 milioni sotto la soglia di povertà assoluta, questi signori hanno deciso, tutti insieme e in tempi record, di far pagare tutti i costi della crisi a chi la crisi l’ha subita tutta: i pensionati, i precari, i lavoratori dipendenti, i disoccupati, le donne, gli immigrati.
I tagli alle cosiddette “agevolazioni” fiscali, introdotte a suo tempo per compensare l’aumento delle aliquote per i redditi più bassi, colpiranno, per l’appunto, solo i redditi più bassi. Tra l’altro, di fronte ad un gettito richiesto dall’aumento della pressione fiscale di 4 miliardi nel 2013 e di 20 miliardi nel 2014, questi tagli prevedono un aumento del prelievo fiscale, a carico delle sole famiglie più povere, di 8 miliardi nel 2013 e di 40 miliardi nel 2014.
L’introduzione dei ticket nei pronti soccorsi e per le ricette trasforma la malattia in un lusso.
Se avessero voluto risparmiare 22 miliardi di Euro avrebbero bloccato il TAV in Val Susa o avrebbero ritirato le truppe dall’estero.
Se ne avessero voluti risparmiare 23 (tanto valgono le indennità percepite dai politici locali e nazionali) avrebbero potuto tagliarsi gli stipendi e i benefit e invece hanno introdotto surrettiziamente un emendamento che comporterà l’aumento della diaria dei parlamentari di 3/400 euro al mese. 
Visto che, nonostante questa manovra, non hanno neanche risolto il problema del disavanzo (con lo stesso sistema già adottato in Grecia) aspettiamoci una nuova crisi del debito a breve che servirà a far passare l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni per tutti, l’aumento dell’IVA e la vendita di qualche monumento nazionale (come ha già fatto il Comune di Roma con il regalo del Colosseo a Della Valle). 
Con buona pace di chi si illudeva nel cambiamento determinato dal referendum gli enti locali saranno comunque costretti a vendere le imprese partecipate e le municipalizzate (e non solo gli acquedotti) per non dichiarare fallimento.

Lo sappiamo noi e lo sanno milioni di lavoratori, precari, studenti, senza casa, specie se donne: la finanziaria scarica il peso della crisi sui poveri e rimpolpa le tasche dei ricchi. Niente di nuovo sotto il sole.
La disoccupazione – già fortissima – sarà aggravata dal blocco del turn over negli impieghi pubblici come dalle norme che perpetuano la precarietà. Chi lavora farà ancora più fatica ad arrivare a fine mese. L’ennesimo attacco alle pensioni renderà sempre più difficile la vita di milioni di anziani poveri. Gli ennesimi tagli nei servizi sociali aumenteranno le spese per i lavoratori. Queste misure, messe insieme, faranno sì che tanti dovranno ridurre le spese. Ed ogni riduzione di spesa, in questo sistema perverso, significa ulteriore aumento della disoccupazione perché se la gente non compra, la produzione non può che diminuire.
La crisi, pretesto di ogni furto legalizzato dalle tasche dei più poveri, alimenta se stessa.
In questi anni tutti gli interventi voluti dall’Unione Europea non hanno avuto altro effetto che allargare la crisi: la cura aggrava il male anziché eliminarlo. L’esempio greco è sotto gli occhi di tutti: buona parte della popolazione ellenica lo ha capito benissimo e non vuole altri interventi, non vuole altri prestiti destinati a calmare per un po’ la fame infinita degli istituti bancari.

È tempo di invertire la marcia. In questi anni l’unico paese uscito da una crisi è stata l’Argentina, dove l’estendersi dell’azione diretta e di forme di autogestione popolare territoriale, nonché lo sviluppo di esperienze di economia solidale hanno costretto i governi a scelte del tutto diverse.
In Europa gli sfruttati islandesi hanno dato un segnale forte e chiaro, gettando a mare le ricette di lacrime e sangue e spingendo per l’attuazione di politiche solidali.
Nel Mediterraneo del Sud e nella stessa Europa le proteste sono spesso sfociate in vere e proprie rivolte contro le politiche governative. In alcuni casi le stesse istituzioni – comprese quella della democratica Europa – sono state delegittimate dalle piazze.
La schiavitù salariata – per chi non vive sfruttando gli altri – in questo sistema sociale è l’unico orizzonte possibile. Ma sempre più sfruttati lottano per cambiare radicalmente l’orizzonte.
Anche in Italia i movimenti dell’ultimo anno paiono alludere ad una rinata voglia di autonomia, ad una maggiore consapevolezza della necessità di guadagnarsi un futuro migliore, senza delegare a uno dei due poli o ai sindacati concertativi e complici di governo e padroni il proprio futuro.

Serve tuttavia che le lotte si estendano, che la solidarietà sia il cemento di un movimento radicale e radicato, che sappia spezzare il consenso intorno allo Stato e al capitalismo, per difendere la dignità, la libertà, le condizioni di vita delle classi oppresse e sfruttate.
Ma la difesa non basta. Occorre cambiare registro, occorre che le lotte siano il terreno in cui attecchiscono i semi di una società diversa, egualitaria ed autogestionaria.
Ormai i segnali ci sono tutti: basta saperli ascoltare e fare propri.
A dieci anni da Genova, a dieci anni dalla fine del movimento contro la globalizzazione, serve quel passo in più che mancava allora.
Grecia, Spagna, Portogallo, Egitto, Val Susa sono il segno forte del vento che cambia.
Un vento che questa volta non va imbrigliato nelle vele stanche della democrazia partecipata, del capitalismo dal volto umano, del sindacalismo concertativo ma non troppo.
Non serve un nuovo partito, non serve un nuovo movimento dei movimenti: l’autonomia degli oppressi e degli sfruttati si esprime in modo diretto, dal basso sviluppando movimenti di lotta radicali e radicati.
La gente comune, quella stanca di pagare ed obbedire, sta riprendendo in mano il proprio destino.
È tempo di cambiare rotta.

Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana

Commissione di Corrispondenza
Federazione Anarchica Italiana
Corso Palermo, 46 – 10152 Torino
www.federazioneanarchica.org
Tel. 333 3275690

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Anarchico livornrese, antifascista, ucciso dai fascisti

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Viva Gaetano Bresci!

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