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Cronache dalla Maddalena occupata

riceviamo e pubblichiamo

Cronache dalla Maddalena occupata

Assedio
Venerdì 22 luglio. Al presidio della centrale, dopo il ponte sulla Dora, è
il giorno dell’accerchiamento. Zaini, limoni, bottigliette di acqua e
malox, maschere antigas di tutte le fogge spuntano da ogni parte. Da una
settimana la polizia asserragliata dietro i due sbarramenti che chiudono
l’accesso alla strada dell’Avanà, spara lacrimogeni ai No Tav che cingono
d’assedio il fortino messo su dallo Stato alla Maddalena occupata.
Basta un battitura più intensa, un pezzo di rete tagliata per scatenare la
rappresaglia con idranti e gas nocivi. Ma i No Tav hanno la testa dura. Il
tam tam di movimento diffonde le notizie sulle maschere che costano meno,
su quelle che durano di più, sui posti dove comperarle. Quelle per il
verderame, mi dice una compagna, dovrebbero tenere 8 ore ma con i gas CS
dopo solo 20 minuti il filtro è da cambiare.
I più incoscienti e temerari usano mascherine da ospedale o fazzoletti
bagnati.
Alcuni passano da Giaglione, altri si incamminano sul sentiero No Tav, che
collega la “centrale” con la zona della Baita, girando intorno al piazzale
occupato. Il sentiero con tanto di segnavia “No Tav” è stato aperto,
pulito e segnato nei giorni precedenti.
Un breve scroscio di pioggia apre la serata che torna presto limpida. In
ogni angolo partono ritmiche le battiture: c’è gente sulla strada che
scende alla centrale come su quella che porta al bivio per la Ramats. Sul
sentiero “No Tav” lampeggiano centinaia di luci: un serpentone che
picchietta la montagna di lievi brillii. Alla centrale, lungo la strada e
nel fortino/pollaio in cima ci sono fari potentissimi, che illuminano a
giorno il filo spinato, i container, parte delle vigne.
La potenza debole e arrogante degli occupanti frantuma la notte, nasconde
il cielo, come nel set di un film di guerra. La guerra dichiarata dallo
Stato italiano alle popolazioni ribelli di quest’angolo di nord ovest.
Dal lato Giaglione viene acceso un falò sotto i piloni dell’autostrada,
mentre il gruppo partito dalla centrale raggiunge la gabbia. Gli uomini in
divisa sparano: una pioggia di lacrimogeni si abbatte sui No Tav, volano
sassi e scoppia qualche bomba carta. La polizia decide per l’ennesima
volta di chiudere la A32 tra Susa e Oulx.
Dalla strada che scende a Chiomonte e dal paese il fragore delle battiture
sale sempre più forte. Tutti gli sguardi sono diretti verso l’altro
versante della montagna da cui si leva un fumo denso bianco, come un
calderone.
Chi è lì ma lontano dalla mischia guarda con partecipazione e affetto. “Ma
quelli chi sono?” Saranno i poliziotti?” “No, No! quelli non escono dal
pollaio!” “Tua figlia è là? L’hai sentita?” “No, meglio di no, chiamo
dopo”.
Sento un compagno: “come stai? Tutto bene?” “Sì, adesso va bene: ci
eravamo persi, ma poi ho ritrovato il sentiero. Per poco non ruzzolavo
giù: fortuna che un altro compagno mi ha pescato al volo. Ci hanno
ammazzati di gas”.
Un fuoco d’artificio spezza la notte.

Da Kabul a Chiomonte: via gli alpini!
Sabato 23 luglio, Baita Clarea. I No Tav della rete “torino&cintura sarà
dura” si sono dati appuntamento per una giornata antimilitarista. Prima di
pranzo facciamo un giro alle gabbie e raccogliamo due borsate di bossoli
di lacrimogeni. Incrociamo forestali e poliziotti che stanno facendo lo
stesso lavoro, per far sparire le tracce della notte precedente. Insistono
per vedere le nostre carte di identità e poi si allontanano.
Intorno alle gabbie hanno sbancato con le ruspe per rendere più difficile
avvicinarsi: all’interno stazionano all’ombra dell’autostrada una
cinquantina di poliziotti e finanzieri. Un cingolato sposta qualche
jersey.
Gli alpini della Taurinense, gli ultimi arrivati nel fortino della
Maddalena, se ne stanno lontani dalle reti.
Il governo, dopo lungo tergiversare, ha deciso di impiegare l’esercito in
Val Susa. Ospitare in albergo poliziotti, carabinieri, finanzieri e
forestali costa troppo: gli alpini dormono in caserma. Dopo la guerra in
Afganistan, nei CIE della penisola o nelle periferie delle nostre città
sono pronti per la Maddalena.
Nel pomeriggio andiamo alle gabbie per un rumoroso saluto ai nuovi
arrivati: collane di fiori, bombe di coriandoli, uno striscione con la
scritta “Da Kabul a Chiomonte: via gli alpini!”.
Attacchiamo alle reti carta e plastica trasparente, dove ciascuno scrive
il proprio messaggio ai nuovi arrivati “Soldà fora d’le bale!”, “Gli
alpini attaccano la gente delle alpi”, “No a tutte le guerre!”.
Poi parte la battitura sul cancello. Una buona mezz’ora e poi si va.
Lungo la recinzione hanno chiuso col filo spinato il camminamento che
consentiva di salire alla strada asfaltata ma il modo di salire lo
troviamo lo stesso: arriviamo sulla strada dell’Avanà, apriamo lo
striscione e partiamo in corteo verso la centrale. A metà strada ci viene
incontro la polizia in assetto antisommossa, che ci spiega a gesti che non
possiamo andare oltre. Gli argomenti sono rozzi ma inequivocabili.
Arriva anche la digos: sono nervosi ed incazzati. È la seconda volta in
due settimane che, in barba a divieti e cancelli, filo spinato e guardie
armate, torniamo sulla strada che porta alla Maddalena.
Alcuni poliziotti ci scortano indietro… sul sentiero sbagliato! Quando i
tutori dell’ordine costituito decidono di salutarci, torniamo sui nostri
passi ed imbocchiamo l’erto cammino dell’andata.
Non hanno abbastanza filo spinato, né guardie armate per serrare la
montagna in una morsa: c’è sempre chi si inventa il modo di passare.

Qui trovi qualche foto della giornata:

I No Tav al corteo storico con la Gemma di Susa
Sabato 23 luglio, Susa. È in programma la sfilata storica per le strade
della città. Questa volta ci sono anche i No Tav con tanto di bandiere e
l’ultima creazione di Piero Gilardi: la sindaca di Susa in gommapiuma con
in braccio tutti i doni malefici del Tav. Assisa su un baldacchino
partecipa anche lei alla sfilata: la sindaca originale alla vista del
proprio doppio si allontana in tutta fretta.
Al termine della sfilata si accodano anche i No Tav. Sfiliamo gridando
“giù le mani dalla Valsusa!” “via le truppe di occupazione”. Molti
applaudono, gli unici fischi vengono da un gruppetto vicino ai Lazzaro e
ai Martina i due imprenditori che per soldi stanno erigendo le
fortificazioni alla Maddalena.
Si chiude in bellezza con foto ricordo davanti al palazzo del Comune.

Qui puoi vedere alcune foto della serata segusina:

Alpini del popolo, gas, un ferito grave
Domenica 24 luglio, presidio No Tav alla Centrale. I No Tav che hanno
fatto l’alpino sono tanti in Valsusa: hanno partecipato alla difesa della
Maddalena e sono presenti all’assedio, veri “alpini del popolo”. Come gli
ex arditi della prima guerra mondiale, che scelsero di opporsi al
fascismo, hanno deciso di schierarsi contro l’occupazione militare della
loro valle.
Discorsi, canti, e poi la marcia per il sentiero No Tav sino alla al
piazzale. Dall’altra parte della gabbia ci sono i reduci dell’Afganistan,
i secondini dei CIE, mercenari che hanno scelto il mestiere delle armi.
Come ogni sera, nell’area del presidio ci sono incontri, chiacchiere,
bambini che giocano. Sul primo dei due cancelli che serrano la strada
dell’Avanà comincia la battitura. Un pezzo di cancello viene giù. La
reazione dei poliziotti è immediata: sparano centinaia di cartucce di gas
CS, incuranti dei bambini, degli anziani, della folla domenicale che
mangia e beve.
La gente reagisce con composta calma. I genitori portano i bimbi lontano
lungo il fiume: ne vedo uno sui sei sette anni, il fazzolettino davanti
alla bocca, che guarda con occhi larghi il fumo denso ed acre, che poco a
poco raggiunge l’area del presidio, si insinua tra le tende, invade la
cucina. Chi l’ha indossa la maschera antigas, prende un fazzoletto
bagnato, afferra un limone. Nessuno scappa.
I ragazzi corrono, afferrano i lacrimogeni e li buttano nella Dora o nelle
bacinelle sempre pronte al presidio.
Qualcuno va sulla statale e blocca il traffico.
Un No Tav si avvicina al cancello per scattare qualche foto: gli sparano
un candelotto in faccia rompendogli il naso e la mandibola, tagliandogli
labbra e palato. Lo soccorre un medico No Tav, poi va all’ospedale di Susa
dove lo ricuciono.
Il giorno dopo La Stampa oserà scrivere che i No Tav hanno usato i bambini
come scudi umani. Dell’uomo con la faccia spaccata non farà parola.

La testimonianza di Alessandro, l’uomo ferito dal candelotto:
http://www.youreporter.it/video_FERITO_GRAVE_DA_LACRIMOGENO_IN_VAL_DI_SUSA

Carabinieri e sassi
Lunedì 25 luglio, presidio No Tav alla centrale. Una serata fredda e calma.
La notizia del giorno è l’attacco subito dalla Italcoge la notte
precedente: un camion distrutto, altri danneggiati. Naturalmente i
giornali puntano subito il dito sui No Tav, dimenticando che spesso le
ditte bollite come quella segusina subiscono attentati, che, grazie alle
assicurazioni, garantiscono loro denaro liquido.
Il giorno dopo è previsto un presidio davanti all’Italcoge: se qualcuno
spera che i No Tav rinuncino si sbaglia. Di grosso. L’assemblea del
presidio conferma l’iniziativa.
Nella notte i carabinieri sono schierati come statuine del presepe
sull’alto muraglione accanto agli sbarramenti.
Chi prova a passare sul ponte rischia una sassata: i militari ammazzano il
tempo giocando con le pietre. Niente di speciale, solo sassolini. Chi ha
l’auto al di là del ponte lo attraversa di corsa.

Collaborazionisti
Martedì 26 luglio, viale Couvert, Susa. Dalle sei del mattino circa
duecento No Tav salutano in ingresso e in uscita i mezzi dell’Italcoge,
una delle ditte che dal 27 giugno collabora con le forze del disordine
statale nel costruire il fortino della Maddalena.
Slogan, bandiere, un tappo della benzina che parte e poi torna. Su tutto
una cantilena orecchiabile che diventa subito contagiosa. “Come mai, come
mai, vi chiamate operai? Siete servi degli sbirri e non vi lamentate mai!”
Una sorta di forca caudina dove camion ed auto sono obbligate a passare,
senza tuttavia che vi sia un blocco delle partenze.
Chi collabora con gli occupanti la deve trovare dura.
Una bandiera No Tav viene issata sul pennone che svetta all’ingresso del
piazzale dell’Italcoge.
La mattinata prosegue con un presidio informativo nella limitrofa piazza
del mercato. Su un banchetto piazzato sotto lo striscione “prodotti del
Tav” vengono esposti centinaia di bossoli di gas CS. Volantini e brevi
comizi informano chi passa.
Una goccia nel mare dell’informazione al servizio del Si Tav. Una goccia
corrosiva.

Qui alcune foto scattate all’Italcoge e al mercato:

Le storie raccontate dai giornali del giorno dopo sono molto diverse.
Da mesi provano senza successo a dividere i buoni dai cattivi, i
valligiani dai facinorosi di pianura. Al di là delle diverse posizioni
politiche tutti hanno le idee chiare: i violenti, i devastatori, chi lucra
sulle vite di tutti per il profitto di pochi siede sui banchi del governo
e su quelli dell’opposizione.
Chi ordina di gasare i bambini in Val Susa è lo stesso criminale ha appena
deciso il rifinanziamento della “missione” militare in Afganistan. Lì i
bambini non hanno scrupoli ad ammazzarli.

Maria Matteo

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Giornata in ricordo di Filippo Filippetti

Anarchico livornese, antifascista,  ucciso dai fascisti

 

Lunedì 1 agosto 2011

ore 18:30

Commemorazione presso la lapide

Via Provinciale Pisana 354

(andando verso Via Firenze, alla ex-scuola di fronte al circolo ARCI “Tamberi”)

 

dalle ore 21:00

Serata di memoria antifascista

Mostre, interventi, distribuzione stampa e materiale anarchico

Al Teatro Officina Refugio, Scali del Refugio 8

 

Filippo Fillipetti, giovane anarchico, viene ucciso il 2 agosto 1922 dai fascisti mentre si oppone, assieme ad altri antifascisti, ad una spedizione punitiva contro Livorno.

Il 2 Agosto 1922 un gruppo di giovani antifascisti, tra i quali alcuni anarchici, ingaggia uno scontro armato nei pressi di Pontarcione con i camion dei fascisti di ritorno dall’aver assassinato i fratelli
Gigli la sera prima. Muore nella sparatoria Filippo Filippetti, membro degli Arditi del Popolo, sindacalista dell’USI per il settore edile.

Dopo un crescendo di aggressioni compiute dai fascisti nei confronti delle organizzazioni del movimento operaio, sedi sindacali, politiche e culturali, e singoli militanti, con decine di morti fra gli antifascisti, i sindacati indicono uno sciopero generale ad oltranza per fermare le violenze.

I fascisti, finanziati da agrari ed industriali, armati dai Carabinieri e dall’Esercito, protetti dalla monarchia e dai circoli militari e clericali, aggrediscono le roccaforti operaie, ma sono dovunque
respinti.

Livorno è uno dei centri dello scontro; militanti anarchici socialisti e comunisti cadono sotto il piombo fascista, ma nei quartieri proletari si resiste all’invasione.

Solo quando la CGL e il PSI, sperando in un ennesimo compromesso, si ritireranno dalla lotta il Governo potè aprire la strada ai fascisti mandando Esercito e Carabinieri a disarmare gli oppositori,
sostituendo gli amministratori di sinistra con commissari prefettizi.
In uno di questi scontri cadde Filippo Filippetti.

Gli anarchici invitano tutti gli antifascisti a partecipare alla commemorazione.

 

Federazione Anarchica Livornese – F.A.I.

cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it

 

Collettivo Anarchico Libertario

collettivoanarchico@hotmail.it

http://collettivoanarchico.noblogs.org

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No Tav. L’assedio e la ruspa

riceviamo e pubblichiamo:

 

Sabato 15 luglio, Baita Clarea. Una bella giornata ci saluta sin dal
mattino. La banda di “Torino&Cintura sarà dura” arriva alla spicciolata:
ci sono anche un paio di operai Fiat in sciopero. Siamo armati di tutto
punto: fischietti, pentole e coperchi, un amplificatore portatile, tre
megafoni.
In mattinata facciamo un po’ di giri. La Baita è ancora un’oasi, ma poco
oltre è il caos. Due file di gabbie con filo spinato rinchiudono blindati
e ruspe: gli unici operai che si vedono stanno lavorando a rinforzare le
difese, i poliziotti se ne stanno raccolti all’ombra dell’autostrada.
L’area archeologica è circondata da jersey di cemento armato e ferro, i
pali indicatori sono divelti, l’area pic nic devastata, in terra troviamo
ancora i bossoli dei gas asfissianti, il prato alle spalle dell’ex Museo
si è trasformato in un deposito. Ovunque jersey e sbarramenti. Sul
piazzale sventola il tricolore delle truppe di occupazione. Garrisce su
una gabbia cinta di filo spinato, metafora reale della violenza dello
Stato. Dall’autostrada arriva un camion carico di altri jersey, che
vedremo poi sotto l’autostrada pronti a venire piazzati.
Alla baita ci scambiamo formaggio e frittate di pasta, costolette e panini.
Poi si parte. Saliamo alle recinzioni e ci fermiamo un po’ a suonare e
battere le pentole. La gabbia si riempie subito di digos che vanno su e
giù.
Poi decidiamo di salire: non c’è sentiero, la salita, già erta, è resa
difficile dal filo spinato. Ma alla fine c’è la ricompensa: arriviamo
sulla via dell’Avanà proprio davanti al cancello piazzato a chiudere la
parte finale della strada. Lì scateniamo gli strumenti, mentre a turno
infliggiamo agli occupanti la lettura delle 150 ragioni No Tav.
Poi arriva una ruspa. Di fronte alle nostre bandiere si ferma e pianta il
cingolo nell’asfalto, rompendolo. Vanno avanti i Digos per scortarla, poi
ci spintonano a lato con energia. Per far entrare il mezzo escono dal
fortino anche i finanzieri. Alla fine passa tra fischi e megafonate:
dietro alla grata che lo nasconde al mondo l’autista è una sorta di
automa.
Nel tardo pomeriggio scendiamo: i più decidono di tornare alla baita, dove
scopriranno che poliziotti e forestali hanno fermato e perquisito tre No
Tav. Ad uno vorrebbero persino impedire di arrivare alla Baita.
In cinque decidiamo di scendere dalla strada dell’Avanà sino alla
centrale: i digos ci seguono, i carabinieri all’ingresso sgranano gli
occhi alla vista della nostra bandiera. Al cancello i cattolici stanno
recitando le loro preghiere. Veniamo accolti con felice stupore.
L’assedio continua. Torneremo.

Qui potete vedere alcune delle foto che abbiamo scattato ieri:
http://www.flickr.com/photos/58952321@N07/sets/72157627082860105/show/

Info: notavautogestione@yahoo.it

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Emergenza casa. Due famiglie occupano la vecchia sede abbandonata della Circoscrizione 1: il video

circ_1_occupazioneNel pomeriggio di oggi due famiglie hanno occupato la vecchia Circoscrizione 1 di via delle Sorgenti, da tempo abbandonata a se stessa dall’amministrazione comunale come altre numerose strutture in città.

Il video dell’occupazione

Le due famiglie sono reduci da altrettanti sfratti e da mesi di infruttuosi colloqui e domande con l’assessorato al Sociale per l’assegnazione di una casa popolare: la risposta? “Nonostante abbiate i requisiti – queste le parole dell’assessore Cantù – non abbiamo dove mettervi. Non ora almeno, magari tra qualche mese”. Tra le scuse accampate i tagli del governo, la crisi, i furbi nelle case popolari, ecc. La realtà, come ha poi ammesso lo stesso Cantù, è che l’amministrazione ha sottovalutato il problema abitativo per anni. Adesso Livorno si ritrova con quaranta sfrattati al mese (500 l’anno) e nessuno sa come fare, soprattutto perchè la maggioranza lo sono per la cosiddetta morosità incolpevole, coloro che ad un certo punto perdono il lavoro e smettono di pagare l’affitto. Proprio come le due famiglie occupanti.
Magari se non si fossero venduti molti immobili di proprietà pubblica il problema sarebbe stato di più facile soluzione. Forse se non si fossero vendute le case popolari ce ne sarebbero molte di più (un tempo ce n’erano 12.000, ora 7.000 e molta più gente senza lavoro). Peccato che mentre tutti dicano a parole che il problema è grave, per mancanza di risorse e incompetenza niente si muova.
La sede della vecchia Circoscrizione 1 di via delle Sorgenti è una struttura pubblica tenuta vuota senza motivo in un momento in cui andrebbero riempiti anche i garage pur di dare un tetto alla gente. Una struttura che deve immediatamente essere inserita nel lotto degli edifici per l’emergenza abitativa.
Questa occupazione segue di pochi giorni quella di via Bonomo, quando è stato occupato un ambulatorio di proprietà del Comune chiuso da dieci anni e del quale tutti si erano dimenticati: in quel caso la risposta del sindaco è stata quella di inviare venti sceriffi travestiti da vigili per sgomberare l’immobile e mettere la famiglia occupante in albergo per una settimana. Forse la storia si riproporrà oggi o domani: forse verranno a sgomberare e denunciare famiglie che hanno diritto ad una casa popolare o ad una struttura d’emergenza che non c’è. Famiglie che devono avere il diritto, a prescindere da quello che possa dire il sindaco, di non fare dormire i propri figli in macchina.
Perché il dramma dell’emergenza abitativa non può e non deve essere risolto con la forza e con l’arroganza di vigili o polizia, ma con la logica. Per questo è necessario e doveroso adibire velocemente nuovi locali ad uso abitativo senza obbligare i cittadini a fare da soli quello che dovrebbe fare gente pagata da noi che invece ragiona di comprare un palazzo da 850.000 euro per metterci l’archivio del Tribunale.

Link: Occupazione di via Bonomo. Emergenza casa, i nodi vengono al pettine

(red.) 13 luglio 2011

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Val Susa. Domenica resistente

riceviamo e pubblichiamo

 

Domenica 10 luglio, baita No Tav nei boschi della Val Clarea. Sin dal mattino numerosi No Tav si incontrano alla casetta: vengono raccolti altri sacchi di porcherie lasciate dalle truppe di occupazione. In giornata tre No Tav con un camioncino vanno a recuperare e caricare i sacchi neri riempiti il giorno prima dai volontari No Tav che hanno risposto all’appello per la pulitura dei boschi alla Ramats. Uomini della digos guardano, ridono e non sanno che tanta volgarità non offende chi lavora ma da la misura di chi se ne fa vanto.

I bambini giocano, la gente chiacchiera, tanti si danno da fare per polenta e cibarie. Gli alberi nascondono le rete e per un po’ sembra che l’armonia dei nostri giorni si sia ricomposta.

Dopo pranzo un centinaio di No Tav va alle reti. I poliziotti sono pochi ma crescono presto di numero: dal “loro” lato il terreno è ingombro di cartacce, immondizia. Sembra proprio una gabbia.

I prigionieri sono loro: prigionieri dell’arroganza di un potere che vince con la violenza ma mostra tutta la propria debolezza politica e morale di fronte ad una comunità che resiste e non sia arrende.

Tanti battono con i sassi le reti: tre colpi ed un pezzo di filo viene via. Poi la gente torna alla baita. Nel tardo pomeriggio parte un’assemblea: tante voci, tante idee che, sedimentandosi, daranno corpo alla lotta dei prossimi giorni. Tanti insistono sulla necessità di organizzarsi per far diventare permanente il presidio alla Baita.

Poi, prima di raccogliere con cura ogni rifiuto, ancora un giro alle reti.
Battiture e slogan.
L’assedio continua.

Federazione Anarchica Torinese – FAI

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Una notte di ordinaria follia: ragazzo malmenato e arrestato davanti alla Normale

da: www.autautpisa.it

Una sera come tante, piazza Cavalieri gremita di gente, e poco più in là il sontuoso palazzo della Normale. Ecco, il delirio che si svilupperà di lì a poco coinvolge più questo secondo luogo che non il primo, sempre sulla bocca di tutti negli ultimi tempi per la cosiddetta “movida”.

Succede che c’è una festa in Normale, privata, nel senso per gli studenti della Normale e pochi altri, insomma una festa esclusiva che si svolge nel cortile interno della scuola d’eccellenza. L’entrate è su via Consoli del Mare, tre vigilanti tengono d’occhio gli ingressi, altri stanno poco più indietro.

Arriva un gruppo di ragazzi, chiede di entrare, ma niente, il numero cresce, ma i vigilantes rispondo a brutto muso: niente, non si entra.

Ne nasce un diverbio, che finisce di lì a poco, quando i vigilantes chiudono il portone per impedire a chiunque di entrare. Ma non basta, i vigilante chiamano i carabinieri, che arrivano con una volante, insieme a due della polizia.

All’arrivo dei tutori dell’ordine qualcuno va verso piazza Cavalieri per continuare la sua serata, altri spiegano ai poliziotti il perchè sono lì, ovvero c’è una festa a cui non fanno entrare. Nel frattempo qualcuno esce dalla festa con l’intento di risolvere il problema e porge dei “pass” per entrare. A quel punto tutti ci riprovano, si ritenta ad entrare, dal portone che finalmente si è riaperto.

Niente, i vigilantes incominciano a parlare di una lista, a cui se non sei iscritto non passi, e ovviamente ripartono le polemiche.

Intanto uno dei carabinieri incomincia a chiedere i documenti, con tono minaccioso e con dei modi che incominciano a far alzare la tensione.

Appena dopo aver preso gli estremi di un ragazzo passato di lì per caso, esce Dario, uno studente della Normale che era dentro alla festa. Dario è preoccupato ed esce per capire che sta succedendo fuori dalla scuola di eccellenza per cui sta svolgendo un dottorato. Esce anche perchè fuori, molte delle persone le conosce, e vuole evitare il peggio. Appena esce viene bloccato dal carabiniere di cui sopra, che ribattezziamo “testa quadrata”. Testa quadrata prende Dario con un po’ troppo vigore e tutti si girano per capire che sta succedendo. Dario chiede spiegazioni, ma testa quadrata non ne vuol sapere di darne, chiede i documenti con fare minaccioso. Dario dunque gli spiega chi è, ma prima dei documenti vuole sapere perchè sono lì e cosa sta succedendo. Quello che succede dopo ha dell’incredibile. Testa quadrata incomincia a strattonare Dario, sembra volerlo caricare in macchia per portarselo via. Sale lo sdegno e tutti si mettono a cercare di impedire che Dario venga preso. Testa quadrata infila al volo le manette a Dario, e continua a tirarlo per un braccio, prima, perfino per i capelli dopo. Dall’altra parte i ragazzi tentano di non permettere che Dario finisca in caserma, ma dopo aver tirato un po’ di botte in aria, tra cui una serie proprio a Dario, testa quadrata insieme ai colleghi riesce a infilare il ragazzo in macchina.

Dario sale in macchina dopo 15 minuti di parapiglia, in cui si è preso anche un paio di cazzotti dal carabiniere. Dario sale in macchina che sanguina e il carabiniere che sale alla guida, nonostante due ragazzi si siano messi di fronte alla macchina, preme il piede sull’accelleratore e parte, scaraventando via i contestatori.

Quello che succede dopo è semplice. Un centinaio di persone si muove in direzione della caserma dei carabinieri, per andare a chiedere spiegazioni, per riavere indietro Dario. Urla e cori, caserma blindata, Dario è dentro. “Dario libero” gridato fino alle quattro del mattino, quando finalmente riesce ad entrare in caserma il suo avvocato.

Nel frattempo arriva pure l’ambulanza, chiamata dalla gente fuori, che non viene fatta entrare. Ritornerà e finalmente potrà entrare alle cinque e mezzo del mattino.

Verso le cinque i giovani sono ancora tutti lì, quando l’avvocato esce e dice che non c’è nulla da fare, fino a lunedì Dario rimane dentro.

Al momento sappiamo che Dario non ha fatto niente, ma dovrà rimanere dentro fino a lunedì, quando un magistrato deciderà il da farsi. Sappiamo che Dario è stato prelevato intorno alle tre del mattino, ma fino alle sei non è stato possibile farlo visitare dai medici del pronto soccorso.

Sappiamo che gli è stato riscontrato un trauma cranico, un trauma contusivo escoriativo ai polsi e una ferita sotto il mento. Sappiamo che è sotto shock, e lo siamo anche noi, perchè il motivo di tutto questo è incomprensibile.

Si respira una brutta aria sotto la torre.

Alle due alcuni degli amici di Dario, insieme ai presenti di questa notte, hanno convocato una conferenza stampa di fronte alla caserma dei carabinieri.

 

Posted in Generale, Repressione, Scuola/Università.

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Torino. Fiaccolata no Tav e saluto al carcere

riceviamo e pubblichiamo:

Torino. Un bel segnale la fiaccolata di ieri sera a Torino: tanta gente,
decisa a non abbassare la testa, a denunciare la militarizzazione
dell’area della Maddalena, trasformata in un fortino pieno di uomini in
armi. Altro che cantiere!
A Torino come in Val Susa non bastano i gas, le botte, i lacrimogeni
sparati come proiettili, la criminalizzazione feroce, i feriti e gli
arresti a fermare la lotta popolare.
Nonostante le ambiguità del testo di indizione, gli oltre ventimila
partecipanti alla marcia hanno dimostrato di avere le idee chiare, di non
essere disposti a dividere chi resiste all’invasione in buoni e cattivi.
I cattivi, quelli veri, siedono nei consigli di amministrazione delle
banche e delle aziende, che si apprestano a spartirsi la torta Tav; i
cattivi, quelli veri, sono i partiti di governo ed opposizione che
vogliono imporre con la forza delle armi un’opera inutile, dannosa,
costosissima.
I cattivi sono al ministero dell’Interno: Maroni, non pago delle violenze
e delle torture che gli uomini ai suoi ordini hanno inflitto a chi ha
assediato la Maddalena il 3 luglio, a chi l’ha difesa il 27 giugno, oggi
sostiene che in Val Susa ci sono “millecinquecento terroristi pronti ad
uccidere”.
Una follia. La lucida follia di un criminale politico che ha deciso che la
miglior cura per chi protesta, per chi si ribella, per chi non si piega
alla violenza dello Stato sono galera e manganello.

Dopo la fiaccolata un centinaio di No Tav, prima di tornare a casa, è
passato dal carcere Le Vallette, per fare un saluto ai quattro ragazzi
arrestati domenica.
Fuochi d’artificio hanno bucato la notte malata di questa tristissima
periferia torinese, dove il confine tra il carcere e la galera quasi non
si vede. Una mezz’ora di saluti accolti con calore dai prigionieri, che
hanno risposto con grida e battiture.

Sarà dura. Resisteremo.

I No Tav della rete “Torino e cintura sarà dura”, che in questo mese e
mezzo di lotta alla Maddalena, nonostante il pressante impegno in alta Val
Susa, hanno continuato a fare iniziative di informazione e lotta a Torino
e, in particolare in borgata Lesna.
Dopo numerosi presidi, volantinaggi ed un’affollatissima assemblea
all’istituto Albe Steiner
mercoledì 13 presidio No Tav,
sabato 15 luglio dalle 17
assemblea/festa/incontro popolare con interventi, musica, banchetto
informativo
ai giardini di via Monginevro angolo via Rizieri

Di seguito uno dei volantini distribuiti in piazza ieri sera.

Ribelli, banditi, partigiani

Il Tav tra Torino e Lyon è un ingranaggio di una macchina “legale” di
drenaggio di soldi pubblici per fini privati. A destra come a sinistra,
tutti siedono alla stessa tavola imbandita. Tutti raccontano le stesse
favole di progresso e ricchezza, mentre si rubano il nostro futuro, mentre
saccheggiano il territorio, mentre sottraggono risorse alla vita nostra e
dei nostri figli. A Torino come in Val Susa.
Grandi opere e guerra: è il motivo dominante di questi anni. Si spende per
armi e soldati, si spende per arricchire i soliti pochi. Ma i soldi per le
scuole, gli ospedali, i trasporti per chi studia e chi lavora non ci sono
mai.
A sei anni dalla ripresa di Venaus siamo tornati ai blocchi di partenza.
Nel 2005 la gente No Tav poteva farcela senza delegare a nessuno, tanto
meno ai professionisti della politica, il proprio futuro. Bastava dire no
al tavolo di trattativa e continuare con la pratica dell’azione diretta.
Sarebbe bastato rifiutare la delega in bianco agli amministratori, dire
che quel tavolo non lo volevamo.
Oggi altri soggetti si affacciano sull’agone politico, nella speranza di
poter rappresentare e capitalizzare in voti una comunità resistente, che,
al momento buono non si tira indietro di fronte alla violenza dello Stato.
Sono gli stessi che denunciano la scelta del governo di trattare come
questione di ordine pubblico la lotta al supertreno ma non dedicano una
sola parola alle migliaia di No Tav gasati, colpiti da bossoli di
lacrimogeno, umiliati. Non una parola per i torturati, per gli arrestati,
per i feriti e gli intossicati nell’assedio della Maddalena occupata. È la
stessa sinistra giustizialista che vorrebbe l’Italia salvata da giudici,
gli stessi giudici che hanno inviato una pioggia di avvisi di garanzia a
chi lotta contro il Tav.
SEL e IDV sostengono la giunta Fassino ma fanno l’occhiolino ai No Tav. Un
gioco sporco. Un gioco già visto, al di là delle sigle che cambiano, al di
là delle poltrone che girano.

È appena iniziata una lunga estate di lotta e resistenza.
Il governo ha messo in campo tutta la sua forza: uomini in armi per le
strade, una campagna di criminalizzazione mediatica, nel tentativo fallito
di dividere i buoni dai cattivi.
Alla conferenza stampa dello scorso lunedì i No Tav hanno detto “i black
bloc siamo noi”.

A chi si affanna a cercare compatibilità con l’ordine che ci governa, ci
sfrutta, ci nega sin la libertà di dire la nostra vogliamo ricordare che
in questo paese la legalità sono vent’anni di cantieri, inquinamento,
taglio delle falde, rumore, camion, discariche. Legalità sono i militari
in strada, la guerra, le bombe e l’occupazione in Afganistan. Legalità
sono i regali fatti ai padroni, che lucrano sulle vite di chi lavora e si
prendono i beni comuni. Legalità è imporre con la forza un’opera che non
vogliamo. Legalità è il Tav.
Se lo Stato dice che un uomo è illegale, perché nato povero, se lo Stato
dice che difendersi dalla speculazione è illegale, se la Libera Repubblica
della Maddalena è illegale, occorre chiedersi se ciò sia legittimo.
Noi e con i noi i tanti che hanno resistito e resistono alla violenza
delle truppe di occupazione diciamo di no. Come i nostri nonni e i nostri
padri sappiamo che le ragioni della libertà, della giustizia sociale,
della solidarietà sono dalla parte dei ribelli, dei banditi, dei nuovi
partigiani.
Lo Stato ha eretto una gabbia con reti e filo spinato, occupando e
devastando il territorio. Oggi alla Maddalena c’è un deserto
militarizzato.

Per 37 giorni il popolo No Tav ha resistito alla Maddalena, sapendo che
era illegale. Per 37 giorni ha costruito barricate, sapendo che era
illegale.
Alla Maddalena, giorno dopo giorno, la comunità resistente si è raccolta
nei boschi e lungo la strada: brevi assemblee e lunghe giornate di lavoro,
perché tutto fosse a posto, la barricata come la cucina da campo, il
cartello informativo come il comunicato stampa.
Lunedì 27 giugno abbiamo chiuso le nostre barricate e ci siamo saliti
sopra: per oltre quattro ore abbiamo resistito alla pinza che frantumava
le reti cui eravamo aggrappati, ai gas che tagliavano il respiro e
bruciavano la pelle, ai colpi di manganello e agli insulti.
I militari hanno vinto e si sono presi il piazzale e i boschi,
distruggendo tanto di quello che avevamo costruito con pazienza, fatica e
amore in oltre un mese e mezzo di lotta, di autogestione, di incontro e
scambio solidale.
In nome della legge, che è sempre la legge del più forte. La legge dello
Stato.
Domenica 3 luglio le comunità resistenti d’Italia si raccolte a Chiomonte
per assediare le gabbie di acciaio erette alla Maddalena.
Chi se la sente scende dai sentieri, gli altri scelgono la strada: ma la
giornata è di tutti.
L’assedio va avanti per ore ed ore. I No Tav scendono dai sentieri e
premono contro le reti. Scendono dalla Ramats, si affacciano da Giaglione,
attraverso la via delle Gorge. Anche alla Centrale, una volta defluito il
corteo dove tanti hanno scelto di portare i propri bambini, comincia la
pressione contro le recinzioni.
In tanti hanno imparato la lezione impartita a suon di gas e manganellate
durante l’attacco di polizia alla Libera Repubblica: chi si è comperato la
maschera antigas, chi quelle semplici da ospedale, chi si limita ad un
fazzoletto bagnato. Tutti hanno i limoni, le pastiglie di Malox da
sciogliere, il ventolin. Caschi di tutte le fogge difendono il capo dei
manifestanti.
Nonostante le protezioni, al termine della giornata i feriti saranno
tantissimi, impossibile contarli tutti, perché solo i più gravi vanno in
ospedale: gli altri vengono curati sul posto da medici e infermieri No
Tav.

Durante le lunghe ore dell’assedio la gente che per età o per salute non
ce la fa ad essere in mezzo ai boschi non si allontana, e sostiene con
passione chi è in prima fila nell’assedio. Alla Baita – trasformata in
ospedale da campo – i feriti sono accolti da applausi e urla di sostegno;
dai curvoni che salgono a Chiomonte la gente grida forte quando arriva la
notizia che una rete è saltata. La gente dei boschi e quella della strada
è la stessa gente, le stesse facce, la stessa storia fatta delle mille
storie di ciascuno di noi.

Vent’anni di lotta, di autogestione, di continuo interrogarsi sul come e
il perché hanno dato i loro frutti. Un movimento che rifugge la violenza,
perché la violenza è quella feroce degli Stati, degli eserciti, delle
guerre, sa che quando si viene attaccati e invasi occorre difendersi.
L’etica della convinzione e quella della responsabilità si coniugano e
raggiungono un felice equilibrio quando si radicano nella prassi
quotidiana di un movimento dalle tante anime e sensibilità.
Le reti devono andare giù, la terra deve essere difesa. È una questione di
dignità. Niente di tutto questo è legale, ma contro chi fa guerra, chi
sfrutta, chi tortura, chi invade e ferisce, ribellarsi è sempre giusto.

Alla Maddalena gas e manganelli hanno cantato la canzone della democrazia
reale, che non è tradita ma si tradisce.
Chi ha spezzato le barricate della Libera Repubblica, chi ha voluto
imporre con la forza militare il proprio dominio deve sapere che non potrà
lavorare in pace, che verrà contrastato giorno dopo giorno dai No Tav,
finché se ne andrà.

In questi anni in tanti hanno imparato che la libertà non si mendica ma si
prende, che le regole di un gioco truccato devono essere violate, che solo
costruendo un percorso di autogestione dal basso dei territori e della
politica potremo cambiare di senso alla storia.

La posta in gioco è ben più alta della semplice opposizione ad un progetto
inutile, costoso, devastante.
Senza giustizia sociale, senza uguaglianza reale, senza libertà di
scegliere in prima persona non c’è futuro, non c’è libertà.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese
Corso Palermo 46
Riunioni, aperte a tutti gli interessati, ogni giovedì dopo le 21
fai_to@inrete.it – 338 6594361

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Val Susa. Fumo e aria fresca

I partigiani della Val di Susa

da Umanità Nova n. 23 del 10 lug 2011

Domenica 3 luglio, Val Susa. Un’altra pagina della nostra storia fatta
delle mille storie individuali che si intrecciano e si moltiplicano.
Lo striscione dei bambini che apre il corteo, la banda che suona, gli
striscioni, il popolo delle mille resistenze d’Italia che si mescola in un
grande corteo. Così grande che le menzogne della Questura saranno più
sfacciate del solito. Tanta gente con un unico grande obiettivo: stringere
d’assedio il fortino costruito alla Maddalena dalle truppe di occupazione.
Chi ha spezzato le barricate della Libera Repubblica, chi ha voluto
imporre con la forza militare il proprio dominio deve sapere che non potrà
lavorare in pace, che verrà contrastato giorno dopo giorno dai No Tav,
finché se ne andrà.
Il corteo si snoda per ore da Exilles lungo la statale e di lì in discesa
in mezzo ai piloni dell’autostrada sino alla barriera di acciaio e filo
spinato piazzata all’ingresso della salita verso la Maddalena, poco dopo
la centrale idroelettrica. C’è anche lo spezzone rosso e nero degli
anarchici sociali, che a centinaia hanno risposto da tutt’Italia
all’appello per la manifestazione, dividendosi tra il corteo e l’assedio
dai tanti sentieri. Nei giorni precedenti in moltissime città avevano dato
vita ad iniziative di solidarietà e sostegno alla lotta in Val Susa.
Quando il corteo arriva alla centrale molti No Tav si fermano nei boschi,
mangiano e si preparano all’assedio, altri si dispongono lungo la strada
che sale al paese di Chiomonte, altri ancora raggiungono il campo sportivo
dove si conclude la parte di manifestazione cui hanno aderito anche
sindaci ed amministratori.
Chi se la sentiva è sceso dai sentieri, gli altri hanno scelto la strada:
ma la giornata è di tutti.
L’assedio va avanti per ore ed ore. I No Tav scendono dai sentieri e
premono contro le reti. Scendono dalla Ramats, si affacciano da Giaglione,
attraverso la via delle Gorge. Anche alla Centrale, una volta defluito il
corteo dove tanti hanno scelto di portare i propri bambini, comincia la
pressione contro le recinzioni.
In tanti hanno imparato la lezione impartita a suon di gas e manganellate
durante l’attacco di polizia alla Libera Repubblica: chi si è comperato la
maschera antigas, chi quelle semplici da ospedale, chi si limita ad un
fazzoletto bagnato. Tutti hanno i limoni, le pastiglie di Malox da
sciogliere, il ventolin. Caschi di tutte le fogge difendono il capo dei
manifestanti: chi indossa quelli da cantiere, chi mette quelli da moto o
da bici: gli alpinisti si distinguono per il materiale tecnico usato da
chi arrampica.
Nonostante le protezioni, al termine della giornata i feriti saranno
tantissimi, impossibile contarli tutti, perché solo i più gravi vanno in
ospedale: gli altri vengono curati sul posto da medici e infermieri No
Tav. Qualcuno va su con in faccia i segni dei colpi ricevuti la settimana
precedente.
La baita dei resistenti, a margine del borgo Clarea, viene ripresa dal
corteo partito da Giaglione e si trasforma in ospedale da campo.
I poliziotti diranno di aver avuto 200 feriti: una dottora del CTO,
intervistata dal TG3 dichiarerà che tanti sono scivolati o sono vittima di
malori da caldo e stress. Si fa davvero fatica a provare compassione per
questi servi sciocchi e crudeli, ma chi ci riesce dimostra la diversa
qualità morale che oppone i resistenti ai lanzichenecchi del governo.
L’assedio va avanti per ore ed ore: dalla mattina sino a sera. Chi si
affaccia alle reti viene accolto da un fitto lancio di lacrimogeni CS,
un’arma da guerra, che altrove è stata bandita dalle manifestazioni. I
colpi spesso sono diretti sulle persone con effetti devastanti. I feriti
più gravi sono centrati da lacrimogeni sparati a distanza ravvicinata.
Come se non bastasse poliziotti e carabinieri lanciano sassi: li tirano da
dietro la recinzione, li scagliano dall’autostrada sui manifestanti che
stanno sotto.
Chi può si difende e tira a sua volta sassi. La lotta è impari, ma i
resistenti non mollano. Sui fronti di Ramats, Giaglione e della Centrale i
No Tav continuano per oltre sei ore il loro assedio. In un paio di punti
la recinzione cede alla pressione. La polizia continua a gasare: i
manifestanti arretrano ma poi tornano ad avanzare. La forza delle proprie
ragioni è più tenace della ragioni della forza bruta.
Chi cade in mano alle truppe dello Stato viene offeso e torturato. Un
ragazzo, con un braccio spezzato mentre cercava di difendere il capo dalle
manganellate di una decina di energumeni che lo pestavano a terra,
racconta di una giornata di umiliazioni e paura. Disteso su una barella
continua ad essere colpito da calci e pugni: un colpo di spranga gli
spezza il naso, è innaffiato da un bicchiere di orina. Ben tre ambulanze
vengono mandate indietro: resta senza cure in una barella al sole per
oltre tre ore.
Un carabiniere, anche lui scivolato e caduto in terra, viene abbandonato
dai propri camerati: saranno i No Tav a riportarlo tra i suoi.
Quattro manifestanti vengono arrestati e condotti nel carcere di Torino.
Maroni, i cui uomini hanno ferito, torturato ed offeso pretende che i
resistenti siano accusati di tentato omicidio.
Durante le lunghe ore dell’assedio la gente che per età o per salute non
ce la fa ad essere in mezzo ai boschi non si allontana, e sostiene con
passione chi è in prima fila nell’assedio. Alla Baita i feriti sono
accolti da applausi e urla di sostegno; dai curvoni che salgono a
Chiomonte la gente grida forte quando arriva la notizia che una rete è
saltata. Alcuni tentano anche una sortita dal fiume per dare man forte a
chi resiste più in alto.

Il giorno successivo i giornali racconteranno un’altra storia, ripetendo
un copione già scritto e usurato da anni: la litania della gente pacifica
e dei cattivi Black Bloc, l’opposizione tra i tranquilli valligiani e i
professionisti venuti da fuori.
Politici e politicanti per un momento si illuderanno di poter finalmente
spezzare il movimento, dividendo tra buoni e cattivi, tra pacifici e
violenti. Ma si sbaglieranno. Una comunità resistente, una comunità che si
è reinventata tale sfuggendo alle trappole dei media, imparando a capire
da se come stanno le cose, una comunità che tante volte ha assaggiato
sulla propria pelle la violenza dello Stato, non si fa abbindolare tanto
facilmente.
La gente dei boschi e quella della strada è la stessa gente, le stesse
facce, la stessa storia fatta delle mille storie di ciascuno di noi.
Nella conferenza stampa indetta il giorno dopo a Chiomonte verrà detto
forte e chiaro: nei boschi e sulle strade non c’erano Black Bloc, c’era
una comunità resistente, che si è difesa dagli attacchi riuscendo a
riprendersi la Baita e buttando giù, qua e là, la rete.

Sono passati dieci anni da Genova. Il sole estivo a tanti ricorda
quell’altro luglio, quando il movimento contro la globalizzazione perse la
sua grande occasione. Era il momento giusto per tessere a trama fitta
fitta una rete solidale tra chi lotta per un mondo dove lucro,
sfruttamento, disuguaglianza, comando scompaiano, divengano parole
cancellate dal lessico comune, relegate tra i residui di un passato da
dimenticare.
Un obiettivo importante che non si seppe centrare, perché chi si candidava
al governo dell’opposizione, chi voleva far leva sui movimenti per
costruire le proprie carriere politiche, chi parlava di municipalismo ma
finiva con il candidare i propri uomini nelle liste di centro sinistra,
non poteva permettere troppa autonomia ai movimenti.
Fecero male i propri conti, perché il vento stava cambiando in peggio:
qualcuno raccattò una poltrona, altri restarono a mani vuote.
D’altra parte i militanti più radicali nella pratica non seppero aprire
interlocuzioni sui contenuti, oltre che sulla prassi. E la prassi, scissa
da una forte progettualità autogestionaria, non indica altro che se
stessa. E in se stessa si esaurisce.
La criminalizzazione in questo contesto divenne sin troppo facile.
I media inventarono favole cattive per tenere buoni ed obbedienti i
bambini e troppi adulti pensarono che fossero vere. I buoni e i cattivi,
chi era dentro e chi era fuori. La barriera di carta e menzogne di quel
luglio divenne ben così alta e robusta che ancora oggi soffoca.
Le botte, i gas, le torture, gli insulti, gli inermi massacrati per le vie
di Genova e nelle caserme degli uomini dello Stato quasi passavano in
secondo piano. I cattivi in nero divennero l’alibi che quasi giustificò la
violenza di polizia e carabinieri, la feroce repressione compiuta dal
governo Berlusconi ma preparata dal governo D’Alema.
Ma Genova, dopo dieci anni non possiamo non riconoscerlo, era soprattutto
un enorme palcoscenico. I potenti della terra riuniti in una città ridotta
ad avamposto di frontiera tra uomini in armi e, intorno la folla
eterogenea, molteplice venuta a rovinarne la festa, a mettere in luce la
trama feroce di chi governa un mondo attraversato da ingiustizie
intollerabili.
Poi venne l’11 settembre, la guerra permanente contro il terrorismo, e
quel movimento piano piano si esaurì. L’opposizione alla guerra non seppe
mai farsi movimento vero, capace di mettere in difficoltà chi bombardava
in nome della democrazia. Quella guerra non è mai finita. Ed è anche
nostra responsabilità non averla saputa fermare.

In questo luglio, tra i piloni dell’autostrada e i sentieri ripidi della
montagna, dove la valle si stringe e dirupi si fanno scoscesi, abbiamo
scritto un’altra storia.
Non per caso.
Vent’anni di lotta, di autogestione, di continuo interrogarsi sul come e
il perché hanno dato i loro frutti. Un movimento che rifugge la violenza,
perché la violenza è quella feroce degli Stati, degli eserciti, delle
guerre, sa che quando si viene attaccati e invasi occorre difendersi.
L’etica della convinzione e quella della responsabilità si coniugano e
raggiungono un felice equilibrio quando si radicano nella prassi
quotidiana di un movimento fatto di tante anime e tante diverse
sensibilità.
Le reti devono andare giù, la terra deve essere difesa. È una questione di
dignità. Niente di tutto questo è legale, ma contro chi fa guerra, chi
sfrutta, chi tortura, chi invade e ferisce, ribellarsi è sempre giusto.
Genova è lontana, lontanissima. Anche allora c’era chi scelse di fuggire
lo spettacolo, mirando a coniugare radicalità e radicamento. Una scelta
che oggi a dieci anni di distanza mostra tutta la propria forza.
Ci hanno intossicati di gas, ci hanno chiamati criminali, hanno riempito
di fumo il chiarore del nostro luglio. Ma non è bastato a cancellare
l’aria fresca di questo movimento.
L’assedio continua. Ogni giorno.

Maria Matteo

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Occupazione di via Bonomo. Emergenza casa, i nodi vengono al pettine

da: senzasoste.it

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Nei mesi scorsi abbiamo più volte affrontato il problema dell’emergenza abitativa nella nostra città. Abbiamo più volte ragionato di come l’amministrazione non sia più in grado di gestire il problema in maniera efficace a causa del palese disinteresse nei confronti dei diritti elementari di ogni cittadino, cittadina a favore del guadagno di pochi speculatori e lobbies economiche.
Ieri abbiamo assistito alla prima dimostrazione “pubblica” ·di quanto avevamo in precedenza spiegato. Una famiglia con un bambino di tre anni è stata sfrattata per morosità incolpevole dopo diversi anni·di regolare pagamento dell’affitto. Il padre del bambino ha perso il lavoro trovandosi di fatto nell’impossibilità di continuare a pagare l’affitto.
Dopo innumerevoli incontri infruttuosi con l’assessore e alcuni dirigenti dell’ufficio casa e visto l’imminete rischio di finire per strada, la famiglia ha deciso di occupare un fondo comunale sfitto da diversi anni che ospitava in precedenza un’associazione. Dopo alcuni giorni dall’occupazione si presentano alla porta tre vigili in borghese spacciandosi come semplici incaricati dell’ufficio emergenza abitativa. Una volta dentro si qualificano e comunicano alla mamma del bambino che se non fosse uscita entro l’una avrebbero proceduto con uno sgombero coatto. In cambio offrono 5 giorni d’albergo.
In maniera molto spontanea, davanti all’appartamento si raccolgono numerosi aderenti dell’Assemblea cittadina sugli spazi sociali ed esponenti dell’unione inquilini. Come di consueto i presenti hanno dovuto putroppo assistere all’inettitudine e all’inesperienza dei vigili urbani livornesi che hanno subito perso la calma minacciando tutti di arresto e denunce se non avessero sciolto immediatamente il picchetto. Contemporaneamente si tenta di trovare una soluzione politica che puntualmente non arriva. Il sindaco ha confermato quanto detto dall’assessore: il comune non può offrire più di una settimana di albergazione. Nel tardo pomeriggio, intanto, il numero dei funzionari di polizia aumenta. Si presentano i famosi o famigerati vigili appartenenti al gruppo sicurezza e decoro urbano, ai quali si aggiungono Carabinieri, Guardia di finanza e la Polizia provinciale. Tutta questa militarizzazione di fronte ad una giovane famiglia con bambino così piccolo non ha certamente aiutato il clima e la ricerca di una soluzione. Solo in serata è stato possibile ottenere altre 24 ore per permettere alla famiglia di avere un ulteriore incontro con l’assessore.
Tralasciando i numerosi particolari che hanno caratterizzato in modo spiacevole la giornata di ieri – prima di tutto l’atteggiamento arrogante ed aggressivo della Municipale – è doveroso testimoniare di come, dirigenti e politici in primis, si cerchi di criminalizzare un comportamento indiscutibilmente pacifico come quello tenuto dalla famiglia in questione. La scelta di occupare un immobile da parte della famiglia è stata una scelta imposta dalla realtà. O così o per strada. Nella nostra città ci sono centinaia di locali pubblici tenuti sfitti, ma fino ad ora sono state fatte solo semplici promesse e un nulla di fatto. Ci chiediamo che fine facciano le decine di famiglie che ogni settimana affrontato situazioni simili a quella descritta, senza poter contare su un appoggio istituzionale e umano come avvenuto in questo caso, (per ora solo umano visto la latitanza delle istituzioni).
Attualmente, la famiglia si è trovata costretta ad accettare l’albergazione per non incorrere in inutili denunce. Purtroppo tra una settimana il rischio concreto è quello di finire in mezzo ad una strada. L’assemblea spazi sociali continuerà a seguire la faccenda monitorando i comportamenti e le eventuali proposte dell’Amministrazione.
Resta la consapevolezza che un problema reale è scoppiato e non si vedono soluzioni dalla politica istituzionale nel breve periodo. E’ importante che chiunque si trovi in questa situazione prenda il coraggio di uscire fuori e denunciare. Soluzioni individuali non portano da nessuna parte, cause collettive possono seriamente cambiare il destino dei tanti edifici pubblici sfitti e vuoti, in attesa magari di concorrere nell’ennesima speculazione edilizia. (red)

6 luglio 2011

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Comunicato sui fatti di Via Bonomo

 

Martedì 5 Luglio una giovane coppia con un figlio di 3 anni, costretta da tempo a vivere in auto, ha occupato dei locali sfitti da anni in Via Bonomo di proprietà del Comune di Livorno.

Questo non è che l’ultimo e più evidente segnale di una emergenza abitativa giunta ormai al collasso.

Non è più solo una questione statistica, non c’è bisogno di snocciolare dati per capire la situazione in cui sono costrette a vivere in città migliaia di persone. Per questo, quello che è successo in Via Bonomo è stato visto con simpatia e solidarietà dagli abitanti della zona e dalle molte persone che martedì sono accorse per sostenere gli occupanti.

L’amministrazione locale teme che azioni come queste possano essere un esempio per i tanti che sono costretti a vivere in condizioni abitative disastrose.

Per questo, fin dai primi momenti, sono stati mobilitati per eseguire lo sfratto decine di agenti tra Polizia Municipale, Carabinieri, Guardia di Finanza e DIGOS. Questa è l’arroganza e la prepotenza del potere che vuole punire chi cerca di uscire dalle condizioni in cui viene costretto a vivere.

Solo grazie alla spontanea solidarietà di tutte quelle persone che martedì e mercoledì hanno sostenuto gli occupanti, ma soprattutto grazie alla decisione con cui la giovane coppia ha rivendicato il diritto all’abitazione, lo sgombero non c’è stato. La punizione esemplare per far capire a chi è sfruttato che deve stare al suo posto non c’è stata.

Dopo una trattativa la coppia ha ottenuto alcuni giorni di albergazione in una pensione, nell’attesa che il Comune di Livorno trovi una soluzione. Questo chiaramente è solo un piccolo passo, ed è probabile che il Comune non rispetti le promesse.

Come Collettivo Anarchico Libertario riteniamo positivo che si sviluppino meccanismi di solidarietà e resistenza come quelli che si sono mossi attorno a questa occupazione. Esprimiamo solidarietà alla giovane coppia, come a tutti coloro che vivono l’emergenza abitativa.

 

Collettivo Anarchico Libertario

collettivoanarchico@hotmail.it

http://collettivoanarchico.noblogs.it

07/07/2011

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