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PISA Venerdì 20: BENEFIT Umanità Nova + Dibattito “Fermiamo le armi, e iniziamo da qui! La guerra e il nostro territorio”

Venerdì 20 gennaio

ROOTS AND CULTURE

SERATA BENEFIT PER IL SETTIMANALE ANARCHICO UMANITÀ NOVA
Al Cantiere San Bernardo, Via Pietro Gori

Dalle ore 18
“Fermiamo le armi, e iniziamo da qui!
La guerra e il nostro territorio”

Dibattito con la partecipazione del Coordinamento Antimilitarista di Livorno

Il territorio tra Pisa e Livorno è segnato da una forte militarizzazione. La presenza della Folgore, della Accademia Navale, della 46a Brigata aerea e delle forze speciali dell’esercito e dei carabinieri fanno di questa zona un nodo strategico per le politiche di guerra dello stato italiano. Sta a noi rompere questa dinamica a partire dall’opposizione alla nuova base militare del Tuscania a Coltano e dall’ampliamento di Camp Darby. L’aeroporto di Pisa e il porto di Livorno hanno un ruolo sempre più importante nel trasporto di materiale bellico anche verso l’Ucraina. Per solidarizzare con i disertori ucraini e russi quindi, e sostenere una coerente posizione antimilitarista e internazionalista contro Putin e contro la Nato dobbiamo cominciare da qui. La solidarietà internazionale parte innanzitutto dalle inziative contro le piattaforme della guerra sul nostro territorio. La recente campagna contro l’azienda Cheddite le cui munizioni sono state usate dalla polizia iraniana, per sparare fucilate sui manifestanti, è un esempio. Opporsi alla produzione bellica, al traffico di armi, alle basi, alla militarizzazione del territorio è un primo passo per inceppare gli ingranaggi del militarismo e della guerra.

Intendiamo costruire su questa base una discussione circolare con tuttx lx interessatx

Dalle ore 20

Apericena vegetariana e

Dj Set ReggaeRootsDub

strettamente su vinile

RootsMilitantHiFi

(RankingTeo-VbraOne-Rastantò)

Circolo Anarchico Vicolo del Tidi

Cantiere San Bernardo

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Da venerdì è in edicola a Livorno il primo numero di Umanità Nova del 2023

Da venerdì è in edicola a Livorno il primo numero di Umanità Nova del 2023

Umanità Nova si può trovare in distribuzione anche a Livorno:
Bar Dolcenera angolo via della Madonna via avvalorati
Edicola Piazza Grande Angolo Via Cogorano
Edicola Piazza Attias lato Corso Amedeo
Edicola Via Verdi angolo Via San Carlo
Edicola Via Garibaldi 7
Edicola Piazza Damiano Chiesa
Edicola piazza Aldo Moro
Edicola viale Antignano 115

 

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2012 – 2022 L’esempio del Rojava

articolo pubblicato sull’ultimo numero di Umantià Nova dello scorso anno, il numero 32 del 18 dicembre 2022

2012 – 2022 L’esempio del Rojava

Tra gli anniversari che hanno segnato questo anno 2022 che si sta andando a concludere, tra tante vicende storiche, uno riguarda un fatto che dieci anni fa fece poca notizia, ma che diede avvio ad un processo, ancora in corso, che ha suscitato negli anni enorme attenzione per aver liberato un grande potenziale rivoluzionario in una zona segnata da uno dei più violenti conflitti interimperialisti degli ultimi decenni.

Il 19 luglio del 2012 iniziava quella che è conosciuta come Rivoluzione del Rojava. Nel contesto della guerra civile siriana, nel vuoto di potere lasciato dal regime di Assad che si trovava indebolito, le Unità di Difesa del Popolo (YPG), milizia del Partito dell’Unità Democratica (PYD), assunsero il controllo della città di Kobanê, lungo il confine tra Siria e Turchia, occupando gli edifici governativi e le vie di accesso alla città. Da quel momento, in quella parte settentrionale della Siria che i curdi chiamano Rojava, il Kurdistan Meridionale in territorio siriano, si avvia un vero e proprio processo rivoluzionario. Le forze delle autorità centrali vengono esautorate e allontanate, le YPG e le YPJ assumono il controllo del territorio e il Movimento per una Società Democratica (TEV-DEM), organizzazione ombrello creata dal PYD, riorganizza la società con l’obiettivo di applicare il confederalismo democratico. Il confederalismo democratico è il nuovo paradigma ideologico elaborato in seno al movimento curdo e adottato dal Movimento delle Comunità Curde (KCK) negli anni 2000. Del KCK fa parte il PYD ma anche il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) attivo nel Bakur, il Kurdistan Settentrionale in territorio turco e i corrispettivi partiti attivi nelle aree segnate dalla presenza curda in territorio iraniano e iraqeno. È il movimento che fa riferimento ad Abdullah Öcalan, fondatore del PKK in carcere dal 1999, e che dichiara di aver abbandonato tra gli anni ‘90 e gli anni 2000 l’ideologia marxista-leninista per abbracciare il confederalismo democratico, un paradigma ideologico eclettico, che assumendo anche riferimenti libertari propone una prospettiva ecologista, femminista e democratica. Ma il principale cardine del confederalismo democratico è il rifiuto dello stato-nazione, un nodo chiave per un partito che si fa portavoce di una minoranza, quella curda, in una regione, quella mesopotamica, marcata dalla presenza di stati di matrice fortemente nazionalista, come la Turchia, la Siria, l’Iran e l’Iraq. Dopo decenni di guerriglia con l’obiettivo dell’indipendenza, per la costruzione di una nuova entità statale basata sull’identità curda, la prospettiva cambia radicalmente. Viene abbandonata l’idea di indipendenza attraverso un nuovo stato-nazione con propri confini, e viene sostituita dalla creazione di forme di autogoverno territoriale che possano rappresentare la pluralità culturale dei diversi popoli della regione, senza confini predeterminati, senza un’unica identità linguistica, etnica o culturale. È in questa prospettiva che il TEV-DEM avvia la costituzione di forme di autogoverno: cooperative, case del popolo, case delle donne, un sistema politico decentrato su più livelli, dal consiglio di quartiere, al cantone, fino al livello più alto, un sistema che non è mai divenuto nel corso degli anni monopartitico.

Questo processo si inseriva in un contesto molto particolare. Nel 2011 il Mediterraneo è una delle aree in cui è più forte il conflitto tra le istituzioni e i movimenti di contestazione nati nel quadro della grande crisi economica globale del 2007/2008. Ma se in Europa i movimenti di classe non riescono a scalfire le politiche di macelleria sociale e la contestazione della classe politica non fa che generare nuove forme di legittimazione del potere più autoritarie, lungo la costa sud del Mediterraneo invece un vero e proprio ciclo insurrezionale travolge le dittature. Dopo Tunisia, Libia ed Egitto anche la Siria viene toccata da questo dirompente movimento che viene chiamato “primavere arabe”. Le potenze globali e regionali per evitare che questi processi possano mettere in discussione l’ordine neocoloniale e con esso lo stesso ordinamento sociale, decidono di intervenire sia con l’impegno militare diretto, sia con l’appoggio a “nuovi” gruppi di potere, sia creando bande ed eserciti “controrivoluzionari” o comunque incaricati di assicurare sul campo gli interessi del governo che li arma. Questo porta in Siria alla guerra civile. Nel momento in cui la guerra spazza via dallo scenario della Siria ogni possibilità di una trasformazione sociale dal basso, l’autogoverno del Rojava rappresenta, non senza contraddizioni, uno spazio in cui dare concretezza alle aspirazioni di libertà che animavano i movimenti di quegli anni.

La situazione interna della Turchia giocò anch’essa un ruolo importante. Con la sanguinosa repressione tra la primavera e l’estate del 2013 dell’ampio movimento di protesta che era nato a Gezi Park ad Istanbul contro il modello autoritario e affaristico del governo conservatore religioso guidato dall’AKP di Erdoǧan, la sinistra rivoluzionaria e l’opposizione in genere cercano una strategia per il rovesciamento del blocco di potere al governo. Quando si chiude ogni margine per le trattative di pace tra il governo di Ankara e il movimento curdo, la prospettiva diviene chiara: unire la forze per il cambiamento da una parte e dall’altra del confine, tra Turchia e Rojava. Tra il 2014 e il 2015 questa prospettiva cresce e matura insieme alla solidarietà internazionale che conosce, tra l’esodo della popolazione Ezida dalle montagne di Shengal e l’assedio di Kobanê, il momento di massima attenzione. Dal 2015 fino al 2016, con lo stragismo e la guerra interna lo stato turco scatena una repressione feroce per eliminare fisicamente le opposizione e impedire con la forza lo sviluppo concreto di una prospettiva comune di liberazione tra Siria e Turchia.

Negli anni il processo rivoluzionario è stato sempre sotto attacco da più parti e molti sostengono che si sia di fatto arrestato. Spesso anche su queste pagine, come in molte iniziative pubbliche, abbiamo affrontato, anche su un piano critico, i limiti e le contraddizioni di quella che non si è comunque mai qualificata come “rivoluzione anarchica”, ma che senza dubbio rappresenta un esperimento di trasformazione sociale eccezionale in tempi come questi, e non può non suscitare non solo il nostro interesse ma anche il nostro impegno solidale. La guerra portata dalla Turchia, per procura o in forma diretta, con le successive invasioni di Afrin nel 2018, di Serekaniye nel 2019 e oggi con i bombardamenti su Kobanê. La necessità di portare guerra allo Stato Islamico e alle varie gang controrivoluzionarie della regione. Gli intrighi militari e diplomatici delle potenze presenti sul campo, dagli USA alla Russia, all’Iran, fino alle stesse truppe di Damasco, hanno spesso isolato l’esperienza del Rojava, dimostrando come stati formalmente nemici trovino facilmente un accordo quando si tratta di assestare un colpo a una pericolosa prospettiva rivoluzionaria. La guerra continua ha certamente indebolito la prospettiva di profondo cambiamento sociale oltre che politico. È uno dei problemi più classici della storia dei movimenti rivoluzionari, quello della contraddizione tra guerra e rivoluzione. Ma le contraddizioni, gli elementi da discutere sono molti. La questione della proprietà privata in un’economia prevalentemente agricola e disastrata dalla guerra, la questione dell’estrazione delle risorse fossili, la costituzione della Amministrazione Autonoma della Siria del Nord Est e lo spettro della cristallizzazione delle istituzioni statali che potrebbe rendere ineffettive le forme di autogoverno, l’amministrazione della giustizia, la gestione delle migliaia e migliaia di prigionieri di guerra cittadini di paesi europei che si rifiutano di riprenderli, preferendo lasciarli come elemento destabilizzante in Rojava. Elementi che non potrebbero essere riassunti in un breve articolo, che non renderebbe il debito spazio a questioni così importanti e a come si sono sviluppate nel corso di un decennio.

Ma una cosa è certa, se anche questa esperienza dovesse spaventosamente finire con una guerra, se anche le contraddizioni dovessero prendere il sopravvento e bloccare il processo di trasformazione, il Rojava avrebbe comunque uno straordinario esempio da dare al mondo. Il rifiuto dell’egemonia e il riconoscimento della natura plurale della società è probabilmente il messaggio più originale e importante di questo processo. Uno dei più visibili risvolti concreti di questo assunto è la costruzione di forme di convivenza, cogestione, cooperazione tra le diverse identità, popolazioni e culture presenti in quella regione. Questo è un aspetto che non è mai venuto meno nell’esperienza del Rojava, non è mai arretrato, anzi è cresciuto e si è sviluppato nel tempo. Molti solidali quando si iniziò a parlare del Rojava, con uno sguardo non sempre libero da lenti neocoloniali, esaltavano l’importanza di queste pratiche di convivenza e tolleranza in una terra da sempre segnata da conflitti settari, religiosi ed etnici, dal massacro delle minoranze, dalla guerra “tribale”, dall’oppressione delle donne, dal dominio di sangue di un gruppo sull’altro. Ma la vera importanza di tutto questo penso che l’abbiamo potuta capire solo adesso. Mentre nella civile Europa si torna a combattere in nome del nazionalismo etnico e linguistico, e le menzogne sull’identità culturale e di sangue diventano, di nuovo, un discrimine tra “amici” e “nemici”. Nel contesto di guerra in Europa persino alcuni soggetti tra quelli che sostenevano politicamente la rivoluzione in Rojava oggi si schierano a sostenere il “diritto alla difesa” di un popolo, che parli ucraino o russo. Superare l’idea di popolo come unità linguistica ed etnica che costituisce una nazione, riconoscere la pluralità della composizione culturale di una regione, la divisione in classi delle società, il ruolo oppressivo degli stati, sembra essere diventato difficile nell’Europa di oggi. Possiamo trovare delle risposte proprio in quelle terre che molti ritenevano “tribali”. La prospettiva del confederalismo democratico propone delle possibili strade, rifiutando lo stato nazione, riconoscendo la pluralità, rifiutando la polarizzazione imposta dalla guerra e sviluppando una terza via. Dopotutto il movimento curdo approda al confederalismo democratico dopo la feroce guerra che nei primi anni ‘90 provocò massacri e devastazione dei villaggi nel Kurdistan Settentrionale in territorio turco. Il confederalismo democratico fu il tentativo di costruire una strategia di pace. Non intesa come assenza di guerra o come accordo tra i governi, ma come solidarietà tra le classi oppresse e sfruttate. Un aspetto spesso trascurato che ci mostra il valore rivoluzionario della pace.

Dario Antonelli

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Presidio di solidarietà e benvenuto per i naufraghi

Domani appuntamento alle 7:30 in fondo a Via del Molo Mediceo

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IL GOVERNO OSTACOLA I SOCCORSI IN MARE – LIVORNO SOLIDALE E ANTIRAZZISTA SALUTA L’ARRIVO DELLA LIFE SUPPORT E DELLA SEA EYE 4

pubblichiamo di seguito il comunicato della rete Livorno solidale e antirazzista di cui facciamo parte e con cui abbiamo organizzato la presenza al porto nekka giornata di oggi e di domani
IL GOVERNO OSTACOLA I SOCCORSI IN MARE – LIVORNO SOLIDALE E ANTIRAZZISTA SALUTA L’ARRIVO DELLA LIFE SUPPORT E DELLA SEA EYE 4
La mattina di oggi, 22 dicembre, al molo 75 del porto di Livorno è attraccata la Life Support di Emergency con a bordo 142 naufraghi. Dalle 6.30 di stamani a pochi metri dalla banchina alcune decine di persone hanno animato un presidio spontaneo in solidarietà con i naufraghi. Alcuni striscioni sono stati esposti al presidio e al monumento dei Quattro Mori. Questa notte alcunx antirazzistx hanno appeso sul muro del molo novo, di fronte a dove è poi attraccata la Life Support un grande striscione con un messaggio chiaro “Refugees Welcome”. Per domani mattina alle 10 è previsto l’arrivo della Sea Eye con a bordo 108 naufraghi. Anche per domani 23 dicembre è importante una presenza solidale al porto di Livorno.
Di seguito il comunicato che abbiamo condiviso come Livorno antirazzista e solidale, di cui fanno parte diverse realta politiche e sociali.
Livorno solidale e antirazzista rivolge un saluto di benvenuto ai naufraghi che saranno sbarcati nel nostro porto, probabilmente fra il 22 e il 23 dicembre.
Ringrazia gli equipaggi di Life Support e Sea Eye 4, e quanti si adoperano per aiutare queste persone ad affrontare questo momento drammatico della loro vita.
Purtroppo però la scelta di portare i naufraghi fino a Livorno viene dal Ministero degli Interni e non risponde alle esigenze delle persone soccorse, anzi rischia di rappresentare un nuovo ostacolo al soccorso dei naufraghi che sono stati salvati al largo della Libia e che sono stati costretti a patire altri tre giorni di navigazione, passando davanti a decine di altri porti. Per questo uniamo la nostra voce alla protesta di Emergency e delle altre organizzazioni che si occupano del soccorso in mare, denunciando la manovra del governo che punta a rendere insostenibile alle organizzazioni il costo dei soccorsi attraverso l’indicazione di porti sicuri estremamente distanti dalle aree di soccorso. Tutto questo avviene mentre il governo sta mettendo in campo nuove regole assassine per impedire di fatto le attività delle Ong per il soccorso in mare dei naufraghi.
Se qualche politicante pensa di poter fare di Livorno e del suo porto l’ennesimo palcoscenico per le proprie campagne di odio e per fare propaganda elettorale sulla pelle della gente ha sbagliato posto. Sul salvataggio dei naufraghi non si discute. Chi viene a fare passerella rischia di fare uno scivolone.
Segnaliamo inoltre una strana coincidenza tra questa operazione e l voci insistenti sull’apertura di un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) in Toscana, veri e propri lager per senza documenti, la cui apertura era stata impedita fino ad oggi dalla mobilitazione popolare.
Fanno pena le prese di posizione dei gruppi estremisti e fuori dalla realtà come la Lega che, in uno squallido gioco delle parti, non perde occasione per scagliarsi contro le decisioni dello stesso governo di cui fa parte.
Questa decisione del governo si unisce ad altre scelte autoritarie e antipopolari, ad una finanziaria che trova soldi solo per la Chiesa, i militari e i capitalisti, tagliando il reddito di cittadinanza e venendo meno alle promesse di aumento delle pensioni minime.
Livorno anche in questa occasione conferma la sua storia:
QUI NESSUNO È STRANIERO
Livorno antirazzista e solidale

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CHEDDITE ARMA LA DITTATURA IRANIANA – Immagini dal presidio

Oggi insieme al Coordinamento Livornese per il ritiro delle missioni militari all’estero di cui facciamo parte, alla Comunità iraniana di Pisa e a tante altre realtà eravamo di fronte alla Cheddite di Livorno, dove vengono prodotti i proiettili con cui la polizia iraniana spara sui manifestanti. Una importante iniziativa di solidarietà internazionalista e di denuncia per sostenere chi in questi mesi si rivolta in Iran e per fermare la produzione e il traffico di armi. Con la solidarietà, l’iniziativa unitaria e l’azione diretta possiamo fermare il traffico di armi.

 

 

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CHIUDERE IL 41BIS LIBERTÀ PER TUTTX – Dibattito il 16 dicembre alla FAL

CHIUDERE IL 41BIS

LIBERTÀ PER TUTTX

 

Solidarietà con Alfredo, Anna, Juan e Ivan

VENERDÌ 16 DICEMBRE

PRESSO LA FAL

In Via degli Asili 33, Livorno

Ore 20 cena aperitivo

Ore 21 dibattito

Interverrà l’avvocato Sauro Poli de foro di Firenze, tra i promotori dell’appello contro la deriva repressiva antianarchica

Federazione Anarchica Livornese

Collettivo Anarchico Libertario

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Giovedì 15 ore 12 PRESIDIO ALLA CHEDDITE – STOP ARMI PER LA REPRESSIONE IN IRAN

PROIETTILI LIVORNESI SPARATI SUI MANIFESTANTI IN IRAN!

BASTA INVIO D’ARMI ALLA TEOCRAZIA IRANIANA E AI REGIMI AUTORITARI E MILITARISTI!

SOLIDARIETÀ CON CHI SI RIVOLTA IN IRAN! STOP AL COMMERCIO DI ARMAMENTI!

LIVORNO SIA CITTÀ DI PACE, NON COMPLICE DI TEOCRAZIE E IMPERIALISMI

È notizia di qualche giorno fa: la polizia in Iran spara sui manifestanti con proiettili prodotti qui. Nella capitale dell’Iran, a Teheran, e in molte delle principali città, sono state rinvenute, dopo che la polizia era intervenuta sparando con i fucili sui manifestanti, cartucce recanti il marchio 12*12*12*12* utilizzato solo dall’azienda Cheddite.

La Cheddite è un’azienda italofrancese con sede a Livorno che produce cartucce per armi leggere. Non è la prima volta che le cartucce Cheddite sono utilizzate nelle strade sui manifestanti, ne era già stato denunciato il diffuso impiego l’anno scorso da parte del regime militare birmano. Dal 2014 risulta registrata al Registro del Ministero della Difesa per le imprese esportatrici di armamenti ai sensi della Legge 185/90. In quanto produttrice di proiettili leggeri e da caccia le esportazioni della Cheddite possono essere sottoposte a controlli meno rigorosi rispetto alle armi da guerra, in base alla legge 110/75. Tuttavia la vendita di armi anche leggere all’Iran è illegale dal momento che già dal 2011 il paese è sottoposto all’embargo totale della vendita di ogni tipo di arma utilizzabile per la repressione delle proteste di piazza.

L’ipotesi più probabile è che queste armi siano state vendute all’impresa turca Zsr Patlayici Sanayi A.S. e che in seguito questa abbia “triangolato” verso l’Iran. Un passaggio simile pare essersi verificato già nel 2021 verso la Birmania. Dal 2011 l’Italia ha esportato 85,8 milioni di euro di cartucce alla Turchia, che a sua volta nello stesso periodo ha esportato 7,06 milioni di euro di cartucce all’Iran. (Fonte: Domani del 30 novembre 2022).

Siamo pienamente solidali con la rivolta in Iran contro il Governo religioso di Raisi. È il protagonismo delle classi sfruttate e oppresse, dei giovani, delle donne, che sta aprendo percorsi di liberazione e possibilità rivoluzionarie nella regione, mentre le sanzioni del Governo USA hanno contribuito a fortificare la parte più reazionaria della società e della politica iraniana, colpendo le classi popolari e le fasce più fragili della popolazione.

Vogliamo chiarezza su questa vendita di armi, punta dell’iceberg di un export di armi diretto verso fulgide democrazie come l’Egitto, la Turchia o l’Arabia Saudita, che è proseguito senza variazioni sensibili tanto durante i Governi Conte, quanto durante il Governo Draghi e l’attuale Governo Meloni. L’impunità di cui gode la lobby degli armaioli italiani è arrivata al punto tale che Guido Crosetto, ex presidente dell’Aiad, la Federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza affiliata a Confindustria, è ora Ministro della Difesa del Governo Meloni.

I governi Draghi e Meloni e i partiti che li hanno sostenuti hanno fatto carta straccia della legge 185/90 che vieta la vendita e la cessione di armi a paesi in guerra inviando ingenti rifornimenti di armamenti all’Ucraina.

La città di Livorno, dove oltre alla Cheddite ha sede la Leonardo-Finmeccanica, importante porto di transito internazionale, a due passi dalla base militare americana di Camp Darby, non vuole essere un luogo di produzione e transito di strumenti di morte e repressione.

PRETENDIAMO L’IMMEDIATO STOP DELLE ESPORTAZIONI DELLA CHEDDITE VERSO LA TURCHIA

STOP ALL’ESPORTAZIONE DI ARMI VERSO LA TURCHIA E GLI ALTRI PAESI AUTORITARI E/O IN GUERRA, COME PREVISTO DALLA LEGGE 185/90

NON VOGLIAMO ESSERE COMPLICI DI GUERRA E REPRESSIONE! COSTRUIAMO PACE, DISARMO E SOLIDARIETÀ!

GIOVEDÌ 15 DICEMBRE H 12 PRESIDIO DAVANTI ALLA CHEDDITE

Coordinamento livornese per il ritiro delle missioni militari

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Solidarietà con Alfredo, Anna, Juan e Ivan in sciopero della fame

Solidarietà con Alfredo, Anna, Juan e Ivan in sciopero della fame
Chiudere subito il 41 bis
Libertà per tutte e tutti

Dal 20 ottobre Alfredo Cospito ha iniziato uno sciopero della fame all’interno del carcere di Bancali a Sassari. Sta conducendo questa estrema forma di lotta contro il regime carcerario del 41 bis a cui si trova sottoposto e contro l’ergastolo ostativo che gli potrebbe essere inflitto dal Tribunale d’Assise d’Appello di Torino. In suo sostegno Anna Beniamino, Juan Sorroche e Ivan Allocco sono a loro volta entrati in sciopero della fame.

Sosteniamo la lotta di Alfredo Cospito, e di tuttx coloro che in varie forme si oppongono al 41 bis, all’ergastolo ostativo e ad altre forme di isolamento come l’Alta Sorveglianza. Nella già aberrante istituzione del carcere, il 41 bis e l’ergastolo ostativo rappresentano vere e proprie forme di tortura. Il 41 bis con l’isolamento e le enormi restrizioni su aria, visite, telefonate, corrispondenza, mira all’annientamento delle facoltà e della persona stessa. L’ergastolo ostativo impedisce l’accesso ai cosiddetti benefici penitenziari, quali lavoro esterno, domiciliari, permessi di uscita, a coloro che condannati per specifici reati non collaborano con la giustizia statale, mira a piegare la persona non solo e non tanto per ottenere realmente informazioni ma come forma di sottomissione.

In una fase come quella attuale, segnata da una crescente repressione nei confronti dei movimenti di lotta e delle forme di dissenso stiamo assistendo vera e propria deriva giudiziaria antianarchica denunciata fermamente in un appello promosso a ottobre da venti avvocati che ha presto superato le cento firme.

In tale contesto schierarsi al fianco di coloro che lottano contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo diviene importante su più livelli.

Per respingere l’applicazione di queste vere e proprie forme di tortura nei confronti di Alfredo Cospito.

Per fermare la deriva giudiziaria antianarchica, per cui sempre più frequentemente chi si richiama alle idee anarchiche viene condannato a pene gravissime, sottoposto a regimi carcerari speciali, perseguito per reati spropositati rispetto ai fatti contestati. Basti pensare che alle classiche montature dei reati associativi si sono aggiunti negli ultimi anni il reato di tentato omicidio, l’aggravante di terrorismo e addirittura il reato di strage contro la sicurezza dello stato. Quest’ultimo, come sottolineato da più parti, viene in questa deriva repressiva utilizzato per definire fatti che non hanno provocato vittime, mentre non è stato utilizzato né per la Strage di Piazza Fontana, né per la Strage di Bologna.

Per impedire che lo specifico caso e la più generale stretta autoritaria in atto creino dei precedenti, conducendo ad una sempre più diffusa applicazione del 41 bis nella repressione politica, e ad una più generale deriva di repressione del dissenso, fino alla sistematica applicazione di un vero e proprio diritto penale del nemico.

Per colpire il programma di galera e manganello del nuovo governo, che nel suo primo provvedimento, il decreto-legge 162 del 31 ottobre, fissa ulteriori sbarre alla gabbia dell’ergastolo ostativo inasprendo di fatto questa misura.

Per estendere a settori più larghi questa lotta. Perché nei fatti gli scioperanti della fame stanno portando avanti una lotta per tuttx. Non si tratta solo di lottare contro le aberranti condizioni di carcerazione riservate ad alcuni, che comunque sarebbe necessario. Si tratta di una lotta per la libertà di tuttx.

In questi mesi, al di là delle profonde differenze tra le le varie parti, numerosi gruppi, collettivi e personalità hanno espresso solidarietà con chi sta conducendo lo sciopero della fame. Sarebbe importante però che le prese di posizione si trasformassero in iniziativa concreta, perché l’impegno solidale e la lotta al 41 bis dovrebbe avere carattere più largo e di massa.

Nel 2022 si è registrato nelle carceri italiane il più alto numero di suicidi degli ultimi 10 anni, insieme ai casi di pestaggi che vengono denunciati e al massacro avvenuto nei penitenziari durante le rivolte nel marzo 2020, ciò rappresenta la drammaticità della condizione carceraria. Ma la sola privazione della libertà costituisce già una violenza quotidiana. La lotta contro il 41 bis, l’ergastolo ostativo e l’Alta Sorveglianza oltre a respingere la deriva repressiva in corso, può servire a mettere in discussione il carcere e l’ordinamento sociale che lo ha prodotto, quello di un mondo fondato dell’oppressione e lo sfruttamento. Per la libertà di tutte e tutti.

Collettivo Anarchico Libertario
12/12/22

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Dal gruppo anarchico Karala di Ankara: Dichiarazione sulla guerra

Dal gruppo anarchico Karala di Ankara: Dichiarazione sulla guerra

Nella notte del 9 novembre le terre del Rojava e del sud del Kurdistan sono state bombardate dagli aerei del TSK (Esercito Turco). Le YPG hanno annunciato che il centro della città di Kobane, un ospedale sulla collina di Miştenur, la foresta di Kobane, una centrale elettrica, i granai e molti villaggi sono stati bombardati. Gli invasori, che non hanno ottenuto risultati con le armi chimiche e con numerose operazioni di invasione per mesi, hanno diretto questa volta i loro sforzi contro il Rojava, la terra della rivoluzione.

L’attacco al Rojava, che è stato presentato come una ritorsione per il massacro ad Istanbul della scorsa settimana, in via Istiklal nella zona di Taksim, è un attacco contro il popolo proprio come quello di Istanbul. Entrambi gli attacchi sono stati pianificati nello stesso luogo. Le bombe che ieri hanno colpito gli ospedali in Rojava e le bombe che hanno ucciso i bambini a Taksim sono parte della stessa operazione. Il responsabile di entrambi è lo stato con tutte le sue istituzioni e organizzazioni.

Lo stato turco sta facendo tutto quello che può per prevenire la lotta per la libertà delle popolazioni oppresse. Questi attacchi vanno ben oltre i preparativi elettorali di una forza politica. Indicare il motivo di questi attacchi in un’elezione la cui data non è neanche ancora fissata è sbagliato, così come attribuirne la responsabilità solo al blocco di potere AKP-MHP. I mestatori e gli speculatori parlamentari che pensano anche che le eclissi solari siano legate alle elezioni, creando disinformazione, che è la parte più importante degli attacchi dello stato, sono complici dei massacri.

Gli invasori, che per mesi hanno negoziato l’approvazione degli USA e della Russia per invadere il Rojava, hanno trovato l’ultima risorsa nella cospirazione che hanno messo in atto con l’attacco a Taksim. La principale ragione di questi attacchi, che è possibile lascino spazio ad un’invasione via terra nei prossimi giorni, è la sopravvivenza dello stato. Lo stato turco ha costruito tutte le sue politiche su questa necessità elementare. Per uno stato che persegue politiche di negazione, annichilimento e assimilazione verso le popolazioni oppresse come uno stato nazione, in accordo con i suoi principi fondanti, la lotta per la libertà dei popoli che si oppongono a queste politiche è la principale minaccia.

Lo stato, per sua natura, è ostile alla rivoluzione del Rojava, che esiste come la lotta per la liberta delle popolazioni oppresse. Per questi invasori che sono ostili alla libertà, non c’è scelta possibile se non la distruzione della distruzione della rivoluzione del Rojava. Questa è la principale ragione dei massacri che hanno avuto luogo tra il 7 giugno e il 1 novembre 2015, ed è la stessa cosa che sta avvenendo oggi. Lo stato come è nella necessità di ogni altro centro di potere, o distruggerà la rivoluzione, o sarà distrutto.

Per questo interesse dello stato, è sempre lo stesso nemico ad aver compiuto le stragi alla Stazione dei treni di Ankara, a Suruç e in Istiklal e ad aver bombardato le popolazioni oppresse Miştenur, Afrin, Serekaniye. Dobbiamo fare in modo che la voce di Kobane, città della resistenza, sia udita. Siamo al fianco dei popoli del Rojava contro gli stati invasori.

I popoli che resistono vinceranno! Siwar hatin pêya çûn!*

*Sono arrivati a cavallo, se ne andranno a piedi. (proverbio curdo)

KARALA

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