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Appunti per un quadro sulla situazione abruzzese

da: Umanità nova, settimanale anarchico, n.26
del 5 luglio 2009,
anno 89,
Tutti G8 per terra, Speciale Abruzzo.

 

 

Una regione pre-sisma

Pur non prendendo in considerazione il lavoro nero e sommerso,
né l’ambiguità insita nei numeri relativi al lavoro
atipico e precario (cioè 2/3 dei lavoratori abruzzesi), i dati
della rilevazione della forza lavoro ISTAT del primo trimestre 2009
parlano ugualmente da soli. Sottolineando altresì che l’ISTAT
considera che le persone in cassa integrazione guadagnino come se
fossero occupate, il 2009 si apre per la regione con la seguente
situazione: la forza lavoro conta in totale 548.000 persone, quindi
12.000 unità in meno rispetto al primo trimestre 2008. La
popolazione occupata ammonta a 495.000 unità, con un calo di
26.000 occupati su base annuale, pari al 5%. In relazione alla fascia
d’età 15-64 anni, il tasso di attività scende da 63,9% a
62,2%; il tasso di occupazione scende da 59,6% a 56,0%. Il tasso di
disoccupazione sale da 6,9% a 9,7%, posizionandosi ben al di sopra
della media nazionale. Per settori di attività, l’occupazione
regionale è di 20.000 unità in agricoltura (meno 11.000
rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, con una
diminuzione esclusiva dei lavoratori autonomi del settore), di 156.000
nell’industria (meno 6.000, pari a –3,7%); in questo caso la
diminuzione è attribuibile soltanto al lavoro dipendente; di
319.000 nei servizi, in diminuzione di 9.000 unità tutti fra i
lavoratori dipendenti. I lavoratori dipendenti nel complesso scendono
di 24.000 unità, quelli autonomi calano di 2.000. Le persone in
cerca di lavoro risultano essere 53.000 e crescono di 24.000
unità rispetto al primo trimestre 2008. In sintesi, possiamo
dedurre che al primo trimestre 2009 la situazione generale regionale si
presenta abbastanza difficile, risentendo non solo della crisi
economica nazionale e internazionale, ma anche di cause strutturali
endogene che, giorno dopo giorno, vengono sempre più a galla.

Un Abruzzo post-sismico

A maggio si contano circa 30.000 sfollati e 160 tendopoli sul
territorio. Lo SPI-CGIL denuncia la presenza di 4.000 over75 e 18.000
over65 accampati. Molti di loro non si muovono più dalle tende.
Aumentano bronchiti, broncopolmoniti e malattie infettive. Decine di
migliaia le persone senza più casa; migliaia le persone che
hanno perso il lavoro; migliaia le persone che non percepiscono
reddito. Ciononostante, già all’indomani del sisma che il 6
aprile ha devastato il capoluogo di regione e buona parte della
provincia aquilana, oltre alla conferma del taglio di 1.500 posti nel
settore scuola (1.100 insegnanti e 400 ATA), all’annosa e pesantissima
questione del precariato di pubblica amministrazione e sanità
(centinaia e centinaia; 1.500 sono solo i lavoratori della casa di cura
Villa Pini di Chieti del gruppo Angelini da sei mesi senza stipendio),
continuano a registrarsi quotidianamente tagli, chiusure di aziende e
di attività produttive, licenziamenti, ricorsi selvaggi a cassa
integrazione. Ricordiamo il licenziamento collettivo di 120 operai
della Sorgente Santa Croce spa di Canistro Terme, dove i lavoratori
avevano chiesto di fermare per un’ora la produzione in occasione dei
funerali di Stato e del lutto nazionale. La richiesta scatena le ire
del datore di lavoro: pur senza permesso, i lavoratori abbandonano la
fabbrica per rendere ugualmente omaggio alle vittime e per questo
vengono licenziati. L’improvvisa chiusura della Transcom a L’Aquila e
la messa in mobilità dall’oggi al domani di tutto il personale
(360 unità). Il taglio dei 70 posti Tils, società di
formazione per conto di Telecom Italia, impiegati nel sito della Reiss
Romoli. Già in difficoltà i lavoratori dell’Ama (Azienda
mobilità aquilana, di proprietà del comune di L’Aquila),
le aziende di trasporto Paoli Bus, Sistema e Arpa speculano sulla
situazione, facendo immediatamente ricorso alla cassa integrazione in
deroga. Utilizzo selvaggio della cassa integrazione anche per i
metalmeccanici della Sevel di Atessa e della Val di Sangro (imprese
dove sono impiegati circa diecimila lavoratori), che ha provocato un
forte impatto sui redditi e sulla condizione sociale dei lavoratori.
Complessivamente, l’utilizzo della cassa integrazione ordinaria
è in aumento pazzesco, tanto che l’Abruzzo passa nel mese di
maggio – a un solo mese dal terremoto – dal settimo al quinto posto tra
le regioni italiane nell’utilizzo della CIG per numero di ore e numero
di lavoratori. Dopo Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna,
c’è l’Abruzzo: oltre 3 milioni e 100.000 ore, quasi 19.000
lavoratori in cassa ordinaria, senza contare la straordinaria, gli
ammortizzatori in deroga e i contratti a termine non rinnovati alla
scadenza. La crisi della Sevel di Atessa getta peraltro ombre di
difficoltà sul futuro di tante altre piccole aziende
dell’indotto, costrette a fare i conti con i drastici tagli Fiat e con
la riduzione della produzione. La Sevel, dopo i licenziamenti e le
centinaia di contratti non rinnovati, ha deciso di non prorogare alla
società Albasan di Cassino – i cui dipendenti sono tutti
abruzzesi – l’appalto di alcuni servizi logistici all’interno dello
stabilimento del Ducato, in Val di Sangro. Dal primo luglio i
lavoratori Albasan saranno senza lavoro. Difficoltà anche per i
dipendenti della Solfer, azienda dell’indotto Honda della Val di Sangro
a rischio chiusura. I lavoratori hanno ricevuto la comunicazione
dell’azienda che annuncia l’avvio delle procedure di licenziamento per
8 dei 20 addetti. L’azienda, scaricando sui lavoratori i costi della
crisi, vorrebbe trasferire la lavorazione in Umbria chiudendo la
fabbrica abruzzese.

Le proposte dei movimenti di base

Nell’arco di un mese, gradualmente si spengono sia l’attenzione
dell’opinione pubblica sia i riflettori dei media sul disastro che ha
colpito il territorio aquilano, contribuendo volutamente a determinare
una pericolosa involuzione delle politiche di intervento in atto.
Giustificando il tutto con l’urgenza di gestire una "fase di
transizione verso la normalità", alla popolazione e alla
comunità sono state sottratte le proprie capacità
organizzative, politiche e gestionali, nonché la volontà
di essere soggettività attive, partecipi e determinanti nella
riorganizzazione della vita sociale e politica. Poi la spaventosa
militarizzazione del territorio, quasi da sembrare un laboratorio di
repressione, uno stato di polizia. Poi il D.L. 39/09, cioè il
"decreto Abruzzo", il "decreto-truffa", che delega a Bertolaso la
progettazione e la realizzazione di "moduli abitativi destinati ad una
durevole utilizzazione… in attesa della ricostruzione". E non solo.
Tutta la gestione dell’emergenza-ricostruzione, "dall’ordine pubblico"
all’attuazione di quanto previsto nel decreto-truffa, è nelle
mani di Bertolaso-Berlusconi.
La situazione provinciale, se vista nel quadro complessivo, è
molto grave, più grave di quanto si possa immaginare: la regione
Abruzzo, infatti, con un deficit pubblico che ammonta ad oggi a quasi 4
miliardi di euro, è impegnata con il commissario di governo
nella realizzazione di un piano di rientro caratterizzato da una
politica di tagli indiscriminati alla spesa sociale che, in relazione
alla situazione determinatasi con il sisma, rappresenta un elemento di
forte destabilizzazione. Un deficit che – va ricordato – si è
fortemente aggravato negli ultimi 10 anni a causa della gestione
"familiare" della sanità, sia di centrodestra che di
centrosinistra (Pace-DelTurco), che ha concesso, all’insegna di una
libertà senza uguaglianza, privilegi ai privilegiabili con
immense regalie, determinando il crescente disservizio di cui noi
continuiamo a pagare e a subire sulla nostra pelle le conseguenze.
I movimenti di base, nel definire concretamente le priorità e
gli aiuti indispensabili per la più veloce ripresa di una
quotidianità che si avvicini ad una qualche forma di
normalità, e nell’elaborare un piano d’intervento capace di dare
risposte concrete alle esigenze e ai bisogni reali dei lavoratori e
della popolazione colpita dal sisma, si sono fin da subito messi in
moto nel denunciare che il superamento della condizione non passa
affatto attraverso l’idea di una new town, quale risposta
all’inagibilità di fatto dell’intera città di L’Aquila e
dei centri abitati limitrofi, ma necessariamente per quelli che sono i
reali bisogni della collettività. Da questo punto di vista si
è rimarcata l’assoluta inadeguatezza delle risorse stanziate dal
governo con il decreto-truffa per la ricostruzione – diluite, fra
l’altro, in 24 (ventiquattro!) anni, e, per di più, subordinate
a giochi di prestigio e a "liberi esperimenti creativi" quali lotterie,
giochi a premi, crediti d’imposta che non vi sono, innalzamento dei
tickets, etc. – che, nonostante il gran da farsi dell’apparato
propagandistico governativo, sono risultate agli occhi di tutti
evidentemente insufficienti.
Per far fronte a questa fase è stata elaborata e proposta una
piattaforma sociale di lotta e mobilitazione, che, nei suoi aspetti
essenziali, può essere schematicamente riassunta come segue.
L’azzeramento dell’intero deficit regionale: tale provvedimento
permetterebbe al governo regionale di intraprendere le azioni
necessarie alla ripresa economica (molte sono le industrie che hanno
chiuso e altre rischiano di farlo), di ricostruzione delle abitazioni e
degli edifici pubblici distrutti nello stesso luogo, il monitoraggio e
la messa in sicurezza di tutti gli edifici della regione stanziando il
3% del bilancio regionale.
Il diritto alla casa per tutti.
L’immediata stabilizzazione di tutti i precari del pubblico impiego: in
particolare quelli della sanità impegnati, come tutti,
nell’emergenza sanitaria regionale dettata dagli oltre mille feriti del
sisma e dalla scomparsa dell’ospedale S. Salvatore dell’Aquila.
L’immediato ripristino delle funzionalità primarie: risposta
immediata alla crisi abitativa con l’utilizzo, anche attraverso la
requisizione temporanea, di case private sfitte e/o non abitate come
prima casa per evitare il fenomeno "deportazione" verso il territorio
rivierasco.
Mantenimento prioritario del sistema sanitario e assistenziale che non
può essere delegato a ospedali da campo male attrezzati e male
organizzati così come non può essere "scaricato" sulle
altre Asl che vivono il dramma storico della carenza di personale e che
hanno il problema della non assicurazione dei LEA per i loro stessi
assistiti.
Attenzione particolare alla ripresa delle attività didattiche
nelle scuole e della università (anche per le sue
specialità ed eccellenze di rilevanza nazionale).
Il blocco immediato del taglio di circa 1.400 posti di lavoro nella
scuola (tra insegnanti ed amministrativi) operati dal Decreto Gelmini
nella regione e l’assunzione di altri precari nella scuola, al fine di
evitare l’esodo massiccio di studenti dalle scuole aquilane.
Il mantenimento dell’Università degli Studi de L’Aquila nel
territorio, la stabilizzazione di tutti i precari e l’applicazione di
un vero diritto allo studio, attraverso l’erogazione di borse di studio
in termini di gratuità dei servizi quali trasporti, mensa,
libri, alloggio, etc. per tutti gli studenti colpiti direttamente e
indirettamente dal sisma. L’estensione dell’indennità di
disoccupazione di € 800 non solo agli operatori commerciali ma a tutti
coloro che a far data dal 6 aprile 2009 erano ufficialmente in
attività lavorativa e che attualmente sono senza lavoro. Tale
indennità deve essere erogata senza sospensioni fino alla
ripresa dell’attività lavorativa.
È opinione condivisa che queste sono le fondamentali emergenze e
esigenze, e quindi questi devono essere gli aspetti fondamentali della
ricostruzione. È importante ora focalizzare e programmare gli
interventi, tenendo conto che i tempi sono sempre più ristretti
e che le risorse economiche ci sono: il governo deve solo avere voglia
di trovarle.

Il protagonismo, le richieste e la protesta della popolazione

Molto importante è stato l’impegno portato avanti dai comitati
di cittadini costituitisi all’indomani del sisma, promotori
innanzitutto del processo di ricomposizione del tessuto sociale e
connettivo, poi di iniziative assembleari di critica al decreto-truffa
e delle manifestazioni aquilane di protesta del 30 maggio e del 3
giugno. Quest’attivismo è confluito nell’attivazione della rete
dei comitati, nella "campagna 100%", nell’organizzazione della
mobilitazione romana del 16 giugno davanti Montecitorio. In
quest’ultima hanno partecipato un migliaio di persone, quelli che
vivono ancora nelle tende e quelli "deportati" sulla costa, tutti
solidali con una città "sciacallata e svenduta". La
consapevolezza crescente è che nessuno regalerà nulla,
che ogni piccolo diritto va gridato e preteso a voci unite, che quello
che sta succedendo a L’Aquila è lo specchio di un programmatico
e costante processo di sottrazione e restringimento degli spazi di
democrazia. La chiave di volta di una ricostruzione efficiente è
quella dal basso, in cui i cittadini siano forze attive nel pretendere
trasparenza, partecipazione e ricostruzione al 100%. La parola d’ordine
è: "paesi e città li ricostruiamo noi!". La "campagna
100%", di cui si riportano i tratti essenziali, sintetizza molto bene
l’impegno e l’insieme delle istanze su cui vertono le battaglie in
corso dei comitati.

100% ricostruzione
Gli edifici distrutti o danneggiati dal sisma devono essere tutti
ricostruiti o riparati. È quel che è accaduto negli altri
terremoti. È quello che deve essere assicurato anche alla
città di L’Aquila e al suo territorio. I limiti ai finanziamenti
introdotti per i terremotati aquilani in relazione a distinzioni fra
tipi di edifici, di proprietà, di danno sono inaccettabili. Al
recupero e al restauro del patrimonio storico-artistico, urbanistico e
monumentale devono essere assicurati i fondi e le competenze
necessarie. I finanziamenti previsti non lasciano alcuna speranza circa
la sorte dell’insieme straordinario di beni architettonici, artistici,
culturali in genere che il terremoto ha così duramente ferito.
Al loro recupero e alla restituzione ai cittadini del centro storico
vanno destinate norme specifiche e finanziamenti adeguati. Bisogna dare
a scuole e università la certezza di riaprire, in autunno, i
loro battenti in città. Si ripari, si ricostruisca, si
allestiscano sedi provvisorie. Si dia certezza alle famiglie. Si
riportino a L’Aquila le sedi universitarie che sono state incautamente
disperse. Si creino le condizioni perché le amministrazioni
pubbliche tornino a L’Aquila con il complesso delle loro
attività. Non si lavora alla rinascita di una città
capoluogo di regione frammentando e disperdendo le sue funzioni. Non si
restituisce una parvenza di vita normale ai cittadini rendendoli nomadi
fra una sistemazione remota e un lavoro dislocato altrove. Alla
ricostruzione si assicurino finanziamenti adeguati e certi, in tempi
rapidi. Il decreto affida il reperimento di fondi al taglio delle spese
e al ricavato di nuovi "gratta e vinci", ma la ricostruzione non
è un gioco e va pagata con soldi veri e sicuri. La stima dei
danni, e quindi dei costi, deve essere coerente con la comparazione
fatta con i danni del terremoto di Umbria e Marche, che sono stati
valutati di 4 volte inferiori. I 45 milioni di euro di finanziamento in
quattro anni previsti dal decreto sono meno di uno specchietto per le
allodole, certo non la premessa della rinascita economica. Ma senza
lavoro la città muore comunque. Bisogna dare certezza immediata
di un compenso adeguato a chi ha subito la prevaricazione
dell’esproprio. Famiglie già duramente colpite dal terremoto
sono state private di un reddito possibile, dei proventi di
un’attività agricola familiare, della prospettiva di uno spazio
dove allestirsi almeno una sistemazione provvisoria. Il decreto prevede
per loro un compenso ignoto, che conosceranno forse fra sei mesi.

100% partecipazione
I cittadini devono essere coinvolti nelle scelte che tracciano il loro
futuro. Le decisioni che oggi si assumono condizionano in maniera
stringente la vita presente e segneranno la storia della città e
dei suoi abitanti per i prossimi decenni. È inaccettabile che
siano calate dall’alto, ignorando la volontà di coloro dei quali
determineranno il destino. Le scelte tornino al territorio. Siano
ripristinate tutte le forme di "tutela del cittadino" che la normativa
di gestione del dopoterremoto ha derogato, dal pieno diritto di accesso
agli atti amministrativi, alla tutela dell’ambiente, dalle disposizioni
in materia di espropriazione per pubblica utilità, al codice dei
contratti pubblici.

100% trasparenza
Il flusso del denaro deve essere sempre visibile, tracciabile, chiaro.
La provenienza dei finanziamenti, la loro destinazione, i costi della
gestione dell’emergenza e della ricostruzione, l’impiego delle
donazioni e le spese della Protezione civile devono essere messi a
disposizione dei cittadini, in forma comprensibile, in dettaglio e in
tempo reale. Le decisioni assunte e le loro ragioni devono essere
comunicate con tempestività e trasparenza. I piani e i programmi
di intervento, i loro autori, le informazioni e i dati sui quali essi
si fondano, devono essere messi a disposizione dei cittadini per tempo
e con chiarezza. Ciascuna istituzione deve render noto senza reticenze
il ruolo che ha svolto e sta svolgendo, assumendosene la doverosa resposabilità.

 Da subito
Siano resi ai cittadini nelle tendopoli i loro diritti inviolabili, di
informazione, di circolazione, di assemblea. Si rimuovano i divieti
pretestuosi e non necessari che offendono gli uomini liberi, tanto
più se in condizioni di bisogno, e si trattino gli abitanti dei
campi come uoimini, non come ospiti incapaci. Si restituiscano gli
abitanti alla città. Si lavori a soluzioni alternative alla
costosa sistemazioni in albergo, lontano dai propri concittadini e dai
propri luoghi. Questa deportazione priva di certezze è la
premessa dello spopolamento. Si torni indietro rispetto alla decisione
inumana del lungo soggiorno nelle tende. Il caldo dell’estate, il
freddo dell’autunno e forse dell’inverno, la convivenza forzata, il
disagio dei servizi igienici precari e comuni infliggono una sofferenza
intollerabile a chi ha perso già tutto. Si restituisca ai
cittadini al più presto, come è accaduto per gli altri
terremoti, la dignità e il conforto di un alloggio decoroso e
privato nel quale ritrovare la parvenza di una vita propria. Si riveda,
di conseguenza, in maniera sostanziale il piano C.A.S.E.
È, nella sua forma attuale, una soluzione inaccettabile per i
lunghi tempi di permanenza nelle tende che impone, devastante per un
territorio rurale, nel quale inserisce palazzine urbane e una
densità di popolazione che trasformano i paesi in periferie,
insufficiente per le esigenze di alloggi alle quali nei prossimi mesi
si dovrà fare fronte, tanto più perché fondata
sulla scommessa che la terra smetta di tremare. Si dia risposta alle
giuste richieste dei vigili del fuoco. La gratitudine meritata con la
competenza, la vicinanza, il rischio corso per portarci aiuto ci pone
al loro fianco.

edo

 

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