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Per un 8 marzo di lotta – presidio a Livorno

PER UN 8 MARZO DI LOTTA

Il 13 febbraio migliaia e migliaia di donne sono scese in piazza, spinte dal bisogno di riprendere parola e visibilità. Le donne da sempre lottano contro gli incessanti attacchi all’autodeterminazione e alla libertà di scelta sui propri corpi e sulle vite.
L’appello nazionale conteneva dei limiti, evidentissimi e rilevati da più parti: una identificazione della donna nei ruoli familistici e patriarcali di …madre, sposa etc, assunti come modello di dignità; un incitamento al moralismo legato alla valorizzazione delle donne perbene, alla negazione del corpo e della sessualità.
A Livorno è andato in scena il peggio del peggio. La liturgia della manifestazione del 13 febbraio è stata quella della recita scolastica: poesiole, intervento delle autorità, canzoncine e lancio di palloncini. La giornata è stata costruita evitando accuratamente di attivare un percorso che avrebbe potuto portare ad una partecipazione di massa, ma che avrebbe potuto anche dare spazio a voci critiche come invece è accaduto in altre città.
In queste settimane un’assemblea di donne autoconvocata sta costruendo una presenza di piazza per il prossimo 8 marzo. L’obiettivo è quello di evidenziare quali siano le reali istanze delle donne ma anche degli uomini (almeno di tutti coloro che non si identificano con lo stereotipo di maschio italiano). La questione del lavoro come nodo centrale per avanzare nella lotta di liberazione e autonomia. La questione delle donne migranti, sfruttate sia perchè donne e sia perchè prive di identità vedendo legata la propria posizione giuridica ad un permesso di soggiorno. La questione della violenza vera e propria. In Italia la prima causa di morte per le donne tra i 15 e i 30 anni è l’omicidio da parte di fidanzati e/o mariti. Infine la questione, in generale, della mercificazione dei nostri corpi, trattati come tranci di manzo dalla pubblicità, vessati dalle potiche omofobe e sessite in tema di diritto all’aborto e alla maternità consapevole.
Dedichiamo idealmente l’8 marzo alle lavoratrici della Omsa dello stabilimento di Faenza che oggi si vedono portare via reddito e quindi la possibilità di autonomia per colpa di politiche scellerate e capitaliste che trasferiscono la loro azienda – in attivo – a produrre e sottopagare altre donne in Serbia.

Invitiamo tutti e tutte a partecipare e portare il proprio contributo
martedì 8 marzo dalle ore 17 in piazza Attias.

Assemblea 8 marzo 2011 Livorno

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Solidarietà! comunicato del Collettivo anarchico libertario

Dopo mesi di privazione della libertà, tra carcere, arresti domiciliari e restrizioni, la condanna di cinque dei sei compagni imputati per i fatti dell’11 ottobre 2009 a Pistoia, non è che una conferma della montatura e della volontà repressiva che è stata il vero motore di questa vicenda.

Come Collettivo Anarchico Libertario abbiamo fin da subito sostenuto quei compagni e quelle compagne che l’11 ottobre vennero portate nella questura di Pistoia in seguito all’irruzione delle forze dell’ordine nel circolo dove stavano partecipando ad un’assemblea regionale. Abbiamo espresso fin da subito la nostra solidarietà nei confronti di quei sette compagni che poi vennero ingiustamente accusati.

Dopo la sentenza che ha visto assolvere Alessandro Orfano, e condannare Elisabetta Cipolli, Selvaggio Casella, Vittorio Colombo, Alessandro della Malva e Yuri Bartalozzi, siamo ancora più certi della natura esclusivamente repressiva di questa operazione.

Questo è ormai chiaro e pubblico, grazie alla controinfomazione e al sostegno che, come noi, anche altri soggetti politici e sindacali, associazioni e singoli, hanno saputo portare.

Continueremo per questo a sostenere in ogni modo i compagni e le compagne, fino a quando non saranno liberati definitivamente dal peso di questa operazione repressiva.

 

Collettivo Anarchico Libertario

 

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Solidarietà! comunicato della F.A.L.

La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Livornese – FAI esprime la propria solidarietà nei confronti dei cinque imputati per alcuni atti compiuti da ignoti nei confronti della sede di un’organizzazione neofascista a Pistoia, nell’ottobre 2009.

Gli imputati si sono sempre proclamati innocenti, le testimonianze dell’accusa si sono rivelate contraddittorie, così come le motivazioni della condanna.

La montatura costruita attorno a questo caso ha portato a questa scandalosa sentenza.

I danni oggetto della causa sono di modica entità, come riconosce la stessa magistratura, le testimonianza dell’accusa sono contraddittorie, mentre una controinchiesta ha messo in luce le connivenze tra neofascisti, questura e procura. Intanto gli imputati sono stati sottoposti a gravi misure restrittive, protratte lungamente nel tempo.

Al di là delle contraddizioni legali, la mobilitazione antifascista e contro la repressione può aiutare questi giovani vittime delle macchinazioni poliziesche.

 

Per la Commissione di Corrispondenza

Tiziano Antonelli

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Tutto il potere ai soviet, non al partito

da umanità nova, settimanale anarchico, del 27 febbraio 2011, n.6

 

 

Tutto il potere ai soviet, non al partito

 

1° marzo 2011: 90° anniversario della Comune di Kronstadt.

 

Kronstadt è una città-fortezza e porto sull’isola di Kotlin, nel Golfo di Finlandia. Fa parte dell’oblast’ di Leningrado e ne costituisce il principale porto militare.

Conquistata all’inizio del 1700 agli Svedesi, gli zar ne fecero una fortezza e una delle più importanti basi navali.

Le idee rivoluzionarie si erano diffuse fra gli operai dell’arsenale e fra i marinai della flotta già alla fine del 1800: quando nel 1905 scoppiò la prima rivoluzione russa, Kronstadt si unì agli insorti, divenendo una protagonista di quella insurrezione.

Nel febbraio 1917, ancora una volta marinai e operai insorsero giustiziando i principali ufficiali zaristi e costituendo un Soviet di cui difesero continuamente l’autonomia. Il Soviet di Kronstadt mise a disposizione i propri membri per partecipare alle principali iniziative rivoluzionarie: nell’ottobre fu l’incrociatore Aurora a dare il segnale dell’insurrezione, mentre distaccamenti di marinai e operai furono inviati sui fronti più lontani là dove la minaccia controrivoluzionarie era più forte, tanto che i bolscevichi definirono Kronstadt “onore e vanto della Rivoluzione russa”.

All’interno della città, intanto, l’esperienza rivoluzionaria va avanti. Alla caduta dell’Impero zarista, viene proclamata la nascita della Repubblica di Kronštadt, che già indicava un orientamento federalista, progressivamente orientata a un socialismo più umano e meno autoritario, definibile come anarco-comunismo, o comunismo libertario.

Mentre i bolscevichi invitano le masse ad aspettare le decisioni del governo provvisorio, il soviet di Kronstadt (come altri in tutto il paese) dà inizio a interventi di abolizione della proprietà privata, ridistribuzione delle risorse e delle case ai cittadini, azioni di democrazia diretta di varia natura.

La vita partecipativa del soviet di Kronštadt godeva della disponibilità dell’enorme cortile interno della fortezza, capace di più di 30 000 posti, dove si svolgevano gli incontri ed i dibattiti dei comitati.

«Tutto il potere ai Soviet e non ai partiti» fu una delle parole d’ordine che caratterizzarono la rivolta comunitaria in senso propriamente anarchico, in contrapposizione alla burocratizzazione e centralizzazione della maggior parte dell’azione conseguente alla rivoluzione d’ottobre.

La crescente centralizzazione delle decisioni nel Consiglio dei Commissari del Popolo, le iniziative tendenti a limitare l’autogestione delle fabbriche e a sostituirla con la farsa del controllo operaio, il “comunismo di guerra” che aveva accentuato la contrapposizione tra città e campagna provocarono proteste e scioperi in tutto il paese. A Pietrogrado gli scioperi furono soffocati nel sangue, e una delegazione del soviet di Kronstadt che si reca in città per raccogliere informazioni viene arrestata.

Il 1°marzo 1921 i marinai della flotta del Baltico, la guarnigione e i lavoratori di Kronstadt si ribellano alla dittatura bolscevica che sta esautorando il potere operaio costruito attraverso i soviet durante la rivoluzione russa.

Dopo 18 giorni di lotta, la Comune viene soffocata dall’Armata Rossa guidata da Trotskij.

Il periodo in cui si svolge l’insurrezione di Kronstadt è molto delicato per la rivoluzione sovietica: il rafforzamento della dittatura bolscevica va di pari passo con il soffocamento del potere operaio sulla produzione e nella società: di lì a pochi giorni si tiene il X congresso del partito bolscevico, che vara la Nuova Politica Economica, che reintroduce elementi di capitalismo al posto del “comunismo di guerra”.

Dittatura bolscevica, repressione del movimento operaio e restaurazione capitalistica sono tre elementi che vanno di pari passo: nonostante la sconfitta, i marinai e gli operai di Kronstadt impongono uno stop a tutto questo e frenano la restaurazione del capitalismo in Russia, che dovrà attendere ancora molti anni.

 

Tiziano Antonelli

t.antonelli@tin.it

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Vincennes. Incendi, botte e sciopero della fame

da: http://senzafrontiere.noblogs.org

Venerdì 25 febbraio. Nel Centro di detenzione amministrativa – CRA – di Vincennes gli immigrati sono in sciopero della fame da quattro giorni. Sono in lotta contro le espulsioni e le condizioni di vita. Il comandante della struttura “il baffo” ha cercato di calmare gli scioperanti, rispondendo ad un recluso che chiedeva di poter esporre le proprie ragioni ai giornalisti: “tieni la bocca chiusa!
Intorno alle 19 c’è stato un principio d’incendio in una camera della prima sezione e poi anche nella seconda sezione. L’intera struttura resta al buio mentre gli elicotteri sorvolano il Centro.
Impossibile mettersi in contatto con la prima sezione: il telefono risulta irraggiungibile.
Un prigioniero, immobilizzato con un tonfa alla gola, è stato pestato e poi gettato con violenza a terra da poliziotti incappucciati. Non risulta sia stato portato all’ospedale.

Sabato 26 febbraio. Un prigioniero detta al telefono il comunicato redatto dagli immigrati di Vincennes.
“Noi, algerini, tunisini, egiziani, libici, marocchini, e di tutti gli altri paesi, continuiamo lo sciopero della fame cominciato quattro giorni fa nel centro di detenzione di Vincennes. Uno sciopero della fame sino alla morte.
Tra di noi ci sono persone che sono in Francia, “integrate” da 15 o 20 anni, tutta la loro famiglia è in Francia e ora la Francia li espelle.
Noi chiediamo la cessazione delle espulsioni verso quei paesi, dove governanti dittatori e corrotti ci hanno obbligato ad emigrare per poter sopravvivere.
Per alcuni di noi l’espulsione comporterebbe prigione e tortura.
Non ne possiamo più di molestie e controlli di polizia, chiediamo quello che oggi ci viene negato, una carta di soggiorno che ci permetta di vivere dignitosamente.
Le rivolte nei nostri paesi non impediscono ai consolati qui in Francia di firmare per la nostra espulsione. Ogni giorno sono programmati voli per le deportazioni.
In questa prigione veniamo maltrattati e, come è capitato la scorsa notte, pestati da agenti con il volto coperto. Qui non c’è più riscaldamento né acqua calda.
Chiediamo la protezione della Francia, aiuto e solidarietà, chiediamo la cessazione immediata della deportazioni verso i paesi del Nordafrica.

Noi continueremo lo sciopero della fame e ci opporremo ad ogni tentativo di deportazione, sia via mare che in aereo.
Vincennes, sabato 26 febbraio, ore 10.”

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1° marzo 2011: 90° anniversario della Comune di Kronstadt.

Tutto il potere ai soviet, non al
partito

1° marzo 2011: 90° anniversario della
Comune di Kronstadt.

Il 1°marzo 1921 i marinai della flotta
del Baltico, la guarnigione e i lavoratori di Kronstadt si ribellano
alla dittatura bolscevica che sta esautorando il potere operaio
costruito attraverso i soviet durante la rivoluzione russa.
Dopo 18 giorni di lotta, la Comune
viene soffocata dall’Armata Rossa guidata da Trotskij.
Il periodo in cui si svolge
l’insurrezione di Kronstadt è molto delicato per la rivoluzione
sovietica: il rafforzamento della dittatura bolscevica va di pari
passo con il soffocamento del potere operaio sulla produzione e nella
società: di lì a pochi giorni si tiene il X congresso del partito
bolscevico, che vara la Nuova Politica Economica, che reintroduce
elementi di capitalismo al posto del “comunismo di guerra”.
Dittatura bolscevica, repressione del
movimento operaio e restaurazione capitalistica sono tre elementi che
vanno di pari passo: nonostante la sconfitta, i marinai e gli operai
di Kronstadt impongono uno stop a tutto questo e frenano la
restaurazione del capitalismo in Russia, che dovrà attendere ancora
molti anni.

Martedì 1° marzo 2011, alle ore 21,00
presso la sede della Federazione
Anarchica Livornese – FAI
Via degli Asili 33 – Livorno
conferenza-dibattito:
“Gli insegnamenti delle rivoluzioni
passate per la rivoluzione di oggi”

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Profughi, galere, affari

da: http://senzafrontiere.noblogs.org/

Il tempo è galantuomo e, prima o poi, il conto lo si paga sempre. Oggi l’Europa si trova a fronteggiare un brusco aumento dei flussi migratori dai paesi del Nordafrica, ovvero quei paesi incendiati nelle ultime settimane da rivolte popolari inedite, contro il caro-vita, per la libertà, contro l’autoritarismo di regimi pluridecennali foraggiati proprio dalle classi dirigenti occidentali.
Tunisia ed Egitto, su tutti. Ma anche Algeria, Yemen, Bahrein, Libia. Popoli incredibilmente giovani rispetto alle medie anagrafiche di un’Europa vecchia e malconcia, e altrettanto affamati di futuro. Dopo la caduta di Ben Alì in Tunisia e di Mubarak in Egitto, a tremare sono gli altri dittatori del Maghreb. Anche il colonnello Gheddafi, una vecchia conoscenza del governo italiano, comincia a sudare freddo e reagisce con la ferocia che lo contraddistingue.
Sono più di 5.000 gli immigrati, per lo più tunisini, approdati in Sicilia e nelle sue isole minori come Lampedusa e Pantelleria. Un esodo massiccio e abbastanza prevedibile dopo le rivolte dei giorni scorsi. In particolare, la situazione politica e sociale in Tunisia è in continuo mutamento: i sostenitori di Ben Alì non mollano ed è palpabile la sensazione che possano innescarsi meccanismi da guerra civile se la transizione non riuscirà a fare piazza pulita dei residui del vecchio regime. La gente comune è spaventata, e tenta il tutto per tutto. L’Italia rappresenta, oggi più di ieri, il primo passo per spiccare il volo verso il futuro in Europa. Come al solito, la risposta del governo italiano è in linea con la miseria dei suoi esponenti.
Il ministro dell’Interno Roberto Maroni parla di emergenza umanitaria, ma i dispositivi che si stanno predisponendo – con l’immarcescibile Protezione civile – fanno pensare a una gestione da internamento di massa davvero inquietante. Maroni parte dal presupposto che le migliaia di immigrati che stanno arrivando in Italia sono tutti “clandestini” e, in quanto tali, vanno trattati alla stregua dei criminali. Pertanto, il governo sta procedendo alla individuazione di strutture per la “accoglienza” di queste persone purché queste strutture siano controllabili, fuori dai centri abitati e impermeabili a tentativi di evasione.
Un concetto di accoglienza, quello di Maroni, che conosciamo benissimo. Per far fronte all’emergenza, è stato riaperto il Centro d’Identificazione ed Espulsione di Lampedusa. Poi sarà riaperto il CIE di Caltanissetta con annesso Centro per richiedenti asilo, una struttura che era stata praticamente messa fuori uso un anno e mezzo fa da una durissima rivolta di immigrati. Anche Trapani viene mobilitata con il suo piccolo, ma famigerato, lager – il CIE “Serraino Vulpitta” – con il più capiente centro per rifugiati di contrada Salinagrande, e con molte altre strutture sparse in provincia e saldamente controllate dalla Caritas.
Nel resto della Sicilia, saranno utilizzati conventi, strutture ecclesiastiche, alberghi in disuso. A Palermo si prevede l’impiego dell’area in cui sorgeva la Fiera del Mediterraneo: capannoni e edifici che un tempo ospitavano la famosa (e fallimentare) fiera campionaria, potrebbero contenere 200 persone. Ma è nella Sicilia orientale che il governo ha davvero superato se stesso. A parte l’ipotesi agghiacciante di allestire delle tendopoli nel ragusano e nel siracusano, in provincia di Catania il governo vorrebbe impiegare il Villaggio degli aranci, un complesso residenziale che ospitava i militari di stanza nella base Usa di Sigonella. Settemila posti in un’area rigorosamente militarizzata e facilmente controllabile. Settemila posti per altrettanti richiedenti asilo che vivono in tutta Italia e che verrebbero convogliati a Mineo, nella piana di Catania, sradicati dai territori in cui – a grande fatica – stanno rifacendosi una vita. Un’ipotesi davvero allucinante ma che rappresenterebbe un’occasione ghiotta per il proprietario del residence, l’azienda parmigiana Pizzarotti, che proprio non sapeva come fare per utilizzare quelle 404 villette dopo il rifiuto del governo Usa a rinnovare il canone d’affitto. Adesso pagherà il governo italiano, sicuramente con i soldi che Maroni ha chiesto, pestando i piedi, all’Unione europea.
Insomma, con l’aumento degli sbarchi aumentano anche le occasioni di profitto per chi lucra su un modello di gestione dei flussi migratori che non ha niente a che fare con l’accoglienza. Dopo aver investito tutto sulla repressione e sulla criminalizzazione dei migranti e del loro status di clandestini, il governo italiano deve fare i conti con migliaia di persone che avrebbero tutto il diritto di chiedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari alla luce delle condizioni sociali e politiche in cui versano i loro paesi di origine. Per loro, il trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione, e il successivo rimpatrio, sarebbero un abuso giuridico ancora più intollerabile, così come l’internamento coatto in qualunque altra struttura circondata e guardata a vista da poliziotti, preti e militari.

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Appello per l’8 marzo

APPELLO PER L’8 MARZO

La recente giornata di mobilitazione delle donne del 13 febbraio ha dimostrato limiti e potenzialità. I limiti, evidentissimi e rilevati da più parti, erano palesi nei contenuti dell’appello nazionale: una identificazione della donna nei ruoli familistici e patriarcali di madre, sposa etc, assunti come modello di dignità; un incitamento al moralismo legato alla valorizzazione delle donne perbene, alla negazione del corpo e della sessualità . Questi gli stereotipi, da sempre proposti dalla cultura patriarcale- religiosa e fortemente combattuti dal femminismo, su cui si è costruito l’appello a manifestare per la dignità delle donne. Accanto a questi, “nuovi” stereotipi, legati ad una società sempre più violenta e maschilista, alla logica di uno stato razzista e in guerra: la valorizzazione delle donne di successo, delle donne in divisa, delle donne che esprimono l’identità nazionale e religiosa, delle donne che si identificano con le istituzioni patrie.

Un appello che ha generato però anche critiche e dibattito. Una giornata rigidamente pianificata all’interno della campagna antiberlusconiana, che però, in molte città, ha dovuto fare i conti con presenze vivaci, critiche e demistificatorie. Quindi il 13 febbraio ha espresso anche delle potenzialità, o almeno una voglia di essere in piazza anche con contenuti diversi da quelli

canonicamente determinati

A Livorno la liturgia della manifestazione del 13 febbraio è stata quella della recita scolastica: poesiole, intervento delle autorità, canzoncine e lancio di palloncini. La giornata è stata costruita evitando accuratamente di attivare un percorso che avrebbe potuto portare ad una partecipazione di massa, ma che avrebbe potuto anche dare spazio a voci critiche.

Consapevoli della necessità di intervenire su un terreno irrinunciabile come quello della autodeterminazione delle donne, di dare voce ad un lavoro e ad un’elaborazione che che tante e tanti di noi non hanno mai trascurato, di denunciare le politiche sessiste che la chiesa e i vari governi hanno attuato negli anni, lanciamo un appello per costruire , a livello locale, una iniziativa nella giornata dell’otto marzo. Ci rivolgiamo a collettivi, gruppi, associazioni, organizzazioni politiche e sindacali, singole e singoli che condividano le seguenti tematiche e che le vogliano arricchire con ulteriori contributi:

– contro la riproposizione moralistica dei ruoli patriarcali e del familismo

– contro la mortificazione del corpo femminile, per la libertà sessuale e per il diritto all’autodeterminazione

– per denunciare le politiche sessiste dello stato, della chiesa, di questo e di altri governi

– per denunciare la cultura della gerarchia, della violenza,del dominio maschile sul corpo femminile

– per denunciare qualsiasi strumentalizzazione politica delle donne (vedi attuale campagna antiberlusconi, ma anche recente campagna razzista sugli stupri commessi da stranieri precedente all’approvazione del pacchetto sicurezza)

– contro la politica di tagli sulle spese sociali che lega sempre più le donne ai ruoli tradizionali

– contro l’imposizione della crisi e della precarietà che si scaricano sui settori sociali più deboli, limitando ulteriormente la loro autonomia

per altro ancora

proponiamo di incontrarci per avviare la discussione e la costruzione di un’iniziativa a Livorno l’8 marzo

giovedì alle ore 9.30 presso la saletta riunioni dell’Unicobas via Pieroni 27, terzo piano.

FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE

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SABATO 19 PRESIDIO ANTIRAZZISTA

SABATO 19 FEBBRAIO

ORE 17 PIAZZA GRANDE (angolo via pieroni)

PRESIDIO ANTIRAZZISTA

CONTRO LA CAMPAGNA RAZZISTA DEL GOVERNO

Decine di morti in mare, dispersi, centinaia di persone trattenute con la forza a Lampedusa, molte già imprigionate nei Centri di Identificazione ed Espulsione o nei Centri per richiedenti asilo. Un finanziere italiano apre il fuoco su un’imbarcazione carica di gente, sfiorando la strage.

Questo è il bilancio di poche settimane di sbarchi a Lampedusa. Circa cinquemila persone, soprattutto di origine tunisina, hanno raggiunto le coste di Lampedusa e della Sicilia.

Il ministro dell’interno Maroni ha subito dato il via alla campagna razzista, lanciando un inesistente allarme “invasione” dalle coste di Tunisia ed Egitto, dove nell’ultimo mese le rivolte hanno fatto cadere i governi dittatoriali in carica.

Quando in un paese avviene un radicale sconvolgimento politico, è normale che si sviluppino dei fenomeni migratori. Ci possono essere profughi, rifugiati politici, persone che cercano una vita migliore. Qui non ci troviamo di fronte all’ ”esodo biblico” di cui parla il governo.

Se pensiamo che nel 2008 le donne e gli uomini sbarcati in Sicilia furono oltre 34000, questi cinquemila non rappresentano certo una “invasione”.

E’ con questa campagna razzista che il governo alimenta la paura. Maroni rilancia la sua guerra e propone addirittura di inviare un contingente italiano in Tunisia per bloccare le partenze.

Intanto viene riaperto il C.I.E. di Lampedusa, mentre altre strutture di “accoglienza” vengono improvvisate.

I primi arrivati vengono smistati nei vari Centri di Espulsione esistenti. La propaganda parla di accoglienza, ma nel C.I.E. di Torino scatta lo sciopero della fame ed a Gradisca d’Isonzo scoppia una vera e propria rivolta.

Nel canale di Sicilia, dopo le decine di morti e le imbarcazioni disperse, al posto dei soccorsi arriva FRONTEX, l’agenzia europea per la sorveglianza delle frontiere, una vera e propria polizia europea con il ruolo di contrasto dell’immigrazione.

In questo momento è necessario rompere il muro della propaganda razzista del governo.

Affermare la libertà di circolazione delle donne e degli uomini, opporsi a tutti i Centri di Espulsione, veri e propri lager e strumenti di ricatto ed oppressione.

CHIUDERE TUTTI I CENTRI DI ESPULSIONE

Assemblea contro i Centri di Espulsione – Livorno

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CIE: rivolta a Gradisca, sciopero della fame a Torino

Dopo un periodo di relativa calma la rabbia degli immigrati torna a
esplodere nella struttura gradiscana.
Non sappiamo quando sia iniziata la rivolta.
Un’attivista antirazzista che passava di lì riferisce che intorno alle 20
al di là delle mura si vedeva un gran fumo. Poi sono arrivati i vigili del
fuoco e un’ambulanza.
L’onda lunga delle proteste che investono da giorni numerosi CIE, da Bari a Restinco, da Modena a Torino, è arrivata anche a Gradisca.
Proprio ieri, trasferiti con un volo speciale da Lampedusa, erano arrivati 50 tunisini. Trenta richiedenti asilo sono stati portati al CARA, gli
altri sono stati rinchiusi nel CIE.
La situazione potrebbe diventare ancora più incandescente, perchè le
migliaia di tunisini approdati in pochi giorni in Italia potrebbero essere l’avanguardia di un esodo molto più ampio.

Al CIE di Torino gli immigrati sono in sciopero della fame da sabato sera.
La maggior parte di loro viene dalla Tunisia. Sono preoccupati per le
famiglie, non riescono a mettersi in contatto e temono per la loro sorte.
Tutti sentono il vento di libertà che viene dal nordafrica.
La sezione delle donne è stata svuotata per far posto agli immigrati
approdati a Lampedusa.
Domenica notte un gruppetto di antirazzisti ha fatto un veloce saluto ai reclusi: petardi, battitura di ferri, slogan. Da dentro si è levato un
gran fragore.

Mercoledì 16 febbraio alle 18 presidio al CIE. Appuntamento all’incrocio tra corso Brunelleschi e via Monginevro.

http://senzafrontiere.noblogs.org/

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