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Lettera dei lavoratori Fiat di Tychy a quelli di Pomigliano

La lettera di un gruppo di lavoratori della fabbrica di Tychy, in
Polonia, ai colleghi di Pomigliano d’Arco che stanno per votare (il 22
giugno) se accettare o meno le condizioni della Fiat per riportare la
produzione della Panda in Italia.

(Questa lettera è stata scritta il 13 giugno, alla vigilia del
referendum a Pomigliano d’Arco in cui i lavoratori sono chiamati a
esprimersi sulle loro condizioni di lavoro. La Fiat ha accettato di
investire su questa fabbrica per la produzione della Panda che al
momento viene prodotta a Tychy in Polonia. I padroni chiedono ai
lavoratori di lavorare di sabato, di fare tre turni al giorno invece di
due e di tagliare le ferie. Tre sindacati su quattro hanno accettato
queste condizioni, la Fiom resiste)

La Fiat gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la
produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e
superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto
di lavoro e ne avrebbero creati degli alti. E a Tychy lo abbiamo fatto.
La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d’Europa e non sono
ammesse rimostranze all’amministrazione (fatta eccezione per quando i
sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o
contrattano i turni del weekend)

A un certo punto verso la fine dell’anno scorso è iniziata a girare
la voce che la Fiat aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo
in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia
pensa di poter fare di noi quello che vuole. L’anno scorso per esempio
ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni
record di produzione.

Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il
lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo “Giorno di Protesta”
dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato
come l’anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere?

Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare
condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno
capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è
disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate
dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre.

In qusesti giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia
lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per
mostrare alla Fiat che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro
condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli.
Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere
troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo
lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e
adesso ci troviamo nella loro stessa situazione.

E’ chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo
continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e
lottare per i nostri interessi internazionalmente.

Per noi non c’è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e
iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e
sabotare l’azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa
addosso.

Lavoratori, è ora di cambiare.

Il testo della lettera in inglese:

Letter to FIAT

The following is a letter sent from an underground group of workers
in Fiat Poland in Tychy.

It was written on June 13, on the eve of a referendum in Pomigliano
d’Arco near Naples. The workers there are being asked to decide about
their work conditions. Fiat agreed to invest money in this plant for
production of the Panda, which is currently produced in Tychy, Poland.
But the bosses would like people to agree to work on Saturday, to
increase the number of daily shifts from 2 to 3 and cut down on breaks.
Three of the four trade unions in Fiat’s Pomigliano d’Arco plant have
agreed to these conditions. Those three unions have agreed to let their
members vote in a referendum which will ask whether the veto of the
fourth trade union should be rejected or not.

LETTER FROM FIAT WORKERS

Fiat is playing games with the workers. First, it moves production to
Poland and tells its employees that they must work hard, be flexible
and exceed all production norms to keep their jobs. All is done very
well in Tychy – there can be no complaint of the management (… except
when unions ask for raises or bonuses for their very productive workers
or question work on the weekend.) Tychy plant is Fiat’s biggest and most
efficient in Europe.

At the end of last year, we began to hear rumors that now Fiat wants
to move jobs to Italy again and since that time there is some fear in
Tychy plant. Fiat Polska thinks now it can do as it likes with us. They
gave bonuses only 40% of last year, despite the fact that we broke all
records in production.

They think people won’t fight because they are afraid they will be
the ones to lose jobs. But we are angry. Third “Day of Protest’ of
workers in Tychy scheduled for June 17 will not be as polite as the
last. What do we have to lose now?

Workers in Italy are being asked to accept worse conditions. All the
time, Fiat shows workers that if they don’t agree, they will lose jobs.
If they don’t work like slaves, somebody else will. We know that the
hard work of our Italian colleagues is taken for granted by Fiat, just
like our work was.

We hoped that Fiat unions in Italy would fight. Not so we may keep
our jobs in Tychy, but to show resistance to such work conditions. Our
unions, our workers, have been weak. We felt we were not in a position
to fight, that we were poor, begging Fiat for any job. We let down
Italian workers, whose jobs we got. Now the same is happening to us.

It is clear that this is a no-win situation for any worker. We cannot
go on like this any longer, competing against each other for jobs. We
need to unite and fight for our interests internationally.

For us, there is nothing left to do in Tychy but go down fighting
instead of on our knees. We will encourage our colleagues to acts of
resistance and sabotage against the company which sucked us dry for
years and now spits us out.

Workers, it is time for change!

Tychy, June 13, 2010

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Terni: BOMBA FASCISTA ALLA SEDE COBAS

*_BOMBA FASCISTA ALLA SEDE COBAS_*

Questa mattina, [giovedì 17 giugno n.d.r.] alle ore 1,26,
a Terni, in Via del Lanificio, è stata
fatta scoppiare una bomba
carta davanti al Centro Sociale Germinal
Cimarelli, in cui ha la sede
provinciale anche la Confederazione Cobas.

E’ un atto gravissimo
di chiara matrice fascista, sia per le modalità
che per la
tempistica, un atto che non ha precedenti nella nostra
regione e che
apre scenari inquietanti.

E’ un gesto inaudito che peggiora il
già pesante clima di intimidazione
che da qualche tempo grava sulla
nostra città, che si aggiunge agli
“avvisi orali” del Questore di
Terni contro 12 persone (tra cui il
coordinatore provinciale della
nostra organizzazione sindacale)
diffidate per aver organizzato
pubbliche manifestazioni antifasciste e
per aver contrastato le
iniziative xenofobe della Lega Nord o alle
dichiarazioni di esponenti
del centro destra locale che legittimano di
fatto gli squadristi di
casapound.

Questo atto gravissimo è una sfida alla democrazia,
alla libertà di
pensiero, di parola, di attività politica e
sindacale; ha l’obiettivo di
spaventare i cittadini, di indurli a
stare zitti, proprio nel momento in
cui il Governo attua con i suoi
provvedimenti economici una vera e
propria macelleria sociale, che
sta, finalmente, suscitando le proteste
delle più diverse categorie
sociali, di cui il recente blocco degli
scrutini è stata la
dimostrazione più evidente.

In questa situazione, i neofascisti
dimostrano semplicemente di aver
appreso la lezione dei loro
antenati: essere i cani da guardia della
borghesia capitalistica,
soprattutto quando questa attraversa crisi
economiche devastanti come
è quella odierna. Non ci lasciamo intimidire
e ribadiamo che il
fascismo è la soppressione di ogni libertà
individuale e civile, il
bavaglio ad ogni forma di democrazia e
l’oppressione da parte del più
forte,che si nasconde nell’ombra.

La Confederazione Cobas non
solo denuncia questo atto, non solo ne mette
in risalto la viltà, ma
chiama anche le/i cittadine/i alla
mobilitazione, alla vigilanza
democratica e, soprattutto, ad
intensificare le lotte sociali, poiché
questo è il modo migliore, per
sbarrare la strada agli sgherri
fascisti ed ai loro mandanti che
vogliono essere anche i padroni
delle nostre vite.

CONFEDERAZIONE COBAS DI TERNI

*_COMUNICATO
STAMPA- BOMBA FASCISTA DAVANTI AL CENTRO SOCIALE CIMARELLI_*

Stanotte
giovedi 17 giugno alle ore 01.26 è esplosa una bomba carta
davanti
al cancello del Centro Sociale Autogestito Germinal Cimarelli,
sede
anche dell’Organizzazione Sindacale “COBAS”. Due compagni che si
trovavano
nel centro di documentazione, posto al primo piano, hanno
sentito
dei rumori all’esterno. Quando si sono affacciati hanno visto
una
macchina che si allontanava velocemente, poi il bagliore
dell’esplosione
ed infine hanno sentito il boato. Tanta la paura nel
quartiere,
alcuni cittadini svegliati dall’esplosione hanno dato
prontamente
l’allarme e in breve è intervenuta una macchina dei
Carabinieri che
hanno solo potuto accertare l’accaduto. Risultava
sottratto anche uno
striscione politico in solidarietà con la Palestina
affisso lungo
via del Lanificio

”/Ci riteniamo fortunati – /dichiarano i
ragazzi presenti nello stabile/
– perché ci trovavamo all’interno
della struttura e non nel giardino
perché altrimenti l’ordigno ci
sarebbe esploso addosso/”.

L’attentato è di chiara matrice
fascista, sia per la dinamica che per la
tempistica. Nella notte,
intorno alle ore 24.00, erano stati visti
appartenenti
all’organizzazione neofascista Casapound attaccare uno
striscione a
Ponte le Cave. Altre volte era accaduto che i neofascisti
attaccassero
manifesti e striscioni a Terni, ma mai ci saremmo aspettati
un
attacco contro la nostra sede.

Riteniamo che questo “/salto di
qualità/” sia figlio della
legittimazione che questi individui hanno
ricevuto grazie all’azione
intimidatoria che il Questore ha messo in
atto con gli “avvisi orali”
contro coloro che avevano contestato i
neofascisti all’aviosuperficie.
Ricordiamo che il Questore nelle
notifiche degli avvisi orali agli
antifascisti definisce i
neofascisti“/un gruppo di sportivi
paracadutisti/”.

L’attentato
avviene dopo che da parte di esponenti del PDL e della
destra locale
sono state espresse dichiarazioni di legittimazione degli
stessi
“paracadutisti”. Vorremmo sapere cosa hanno da dire i signori
Raffaele
Nevi e Alfredo De Sio che proprio ieri hanno parlato nei nostri
confronti
(che denunciavamo la grave intimidazione della Questura
attraverso
gli “avvisi orali” alle pubbliche proteste antifasciste) di
“/linguaggio
di altri tempi che evoca scenari inesistenti alimentando
tensioni
strumentali e pericolose/”. Ricordiamo a lorsignori che i
linguaggi
delle destre e dei servizi in Italia sempre si sono espressi
con le
bombe, gli esplosivi e le intimidazioni, da piazza Fontana alla
strage
alla stazione di Bologna.

Ci troviamo ora nella situazione
paradossale in cui, chi ha manifestato
pubblicamente contro l’entrata
dei fascisti di casapound in città, si
trova attaccato da più
fronti:

· da quello istituzionale con gli “avvisi orali” del
Questore che sono
atti intimidatori che violano la libertà personale

·
da quello amministrativo attraverso multe di oltre 5.000 € fatte dai
vigili
urbani,

· da quello politico-militare con la bomba carta
neofascista fatta
esplodere ieri notte.

Abbiamo impedito
l’entrata dei fascisti di casapound a Terni perchè *_il
fascismo è un
pratica razzista e violenta, è squadrismo e l’episodio di
questa
notte ne è l’ulteriore conferma._* Questi soggetti diffondono
odio
tramite la paura ed il razzismo. Terni non si spaventerà di fronte
a
chi è stato vinto dalla storia, davanti allo squadrismo neofascista.

Il
Centro Sociale e tutte le realtà della RAT (Rete Antifascista
Ternana)
continueranno a lottare contro questi individui a difesa di una
città
civile, democratica, antifascista e multiculturale, che fonda le
sue
radici nel lavoro, nella solidarietà, nella Resistenza e
nell’integrazione
sociale.

E’ per questo che lanciamo un appello per la
solidarietà e la vigilanza
democratica a tutte le persone, le
associazione e le istituzioni
democratiche della nostra città.

Terni
resiste.


CSA Germinal Cimarelli

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Comunicato F.A.L. – UN ALTRO OMICIDIO BIANCO A LIVORNO

Livorno 17/06/2010
Federazione Anarchica Livornese – FAI
Commissione di Corrispondenza
Via degli Asili, 33
57126 Livorno

UN ALTRO OMICIDIO BIANCO A LIVORNO.

Dopo Dashnor Qalliaj, un altro lavoratore muore nell’area del porto di
Livorno.
Francesco Ratti, camionista spezzino di 46 anni, è stato travolto da uno
dei tubi che trasportava,
caduto durante le operazioni di scarico.
La Federazione Anarchica Livornese esprime la propria solidarietà ai
familiari, agli amici e ai
compagni di lavoro delle due vittime.
Mentre le condizioni di vita e di lavoro degli operai peggiorano
continuamente, fino ad essere uccisi
per gli infortuni e le malattie professionali, il Governo attenua le
norme per la sicurezza, smantella
la medicina del lavoro, chiude, con la scusa della mancanza di fondi,
l’Ispesl, l’Istituto superiore per
la prevenzione e la sicurezza sul lavoro.
Chi agita la paura della crisi spinge i lavoratori ad accettare
qualsiasi condizione: i nuovi traffici, i
nuovi lavori sono pagati dagli operai con il proprio reddito, la propria
salute, la propria vita.
La Federazione Anarchica Livornese ritiene indispensabile ricostruire la
solidarietà di classe: non si
lavora dove non c’è sicurezza, non si lavora al di sotto della tariffa
sindacale, non si lavora dove non sono garantiti i diritti dei lavoratori.
L’unione di tutti i proletari, al di là delle differenze di lingua o di
colore della pelle, è l’unica arma
per conquistare una vita degna di essere vissuta, un salario decente,
per attenuare la schiavitù del
lavoro.

Per la Commissione di Corrispondenza

della Federazione Anarchica Livornese – FAI
Tiziano Antonelli

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Un altro omicidio sul lavoro: muore a Varco Galvani un camionista della Lorenzini

da:senzasoste.it

 

morti_cantiere

Un
altro omicidio sul lavoro, solo a due giorni di distanza dalla morte
dell’operaio albanese nel cantiere Azimut all’altezza dei bacini di
riparazione. Sui quotidiani di questa mattina appare chiara la gravità
delle responsabilità di chi martedì scorso doveva vigilare sul cantiere e
sulla sicurezza: quell’operaio non doveva essere lì e la magistratura
aveva dissequestrato il bacino proprio a condizione che lì non si
lavorasse. Un fatto chiaro che dovrebbe far parlare di omicidio e non di
disgrazia.

Non era ancora sbollita la rabbia nel
leggere quegli articoli che in mattinata è morto un altro operaio nel
porto di Livorno, precisamente al Varco Galvani. Un camionista di 46
anni dipendente della Lorenzini è stato travolto da un tubo di 16 metri
mentre stavano scaricandolo dal suo camion.
 

Un’altra vittima del lavoro, un’altra
famiglia distrutta, un’altra serie di responsabilità che non verranno
punite abbastanza. Speriamo di non dover registrare anche un’altra
giornata di reazione blanda, se non d’indifferenza, da parte della città
e dei lavoratori a questo ennesimo omicidio.

Intanto il porto si è fermato per sciopero fino alle 19.30.

red. 17 giugno 2010

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Morto un operaio al cantiere navale, comunicato del Collettivo

Ieri è morto un operaio a Livorno.
Dashnor Qalliaj era al primo giorno di lavoro per una ditta
appaltatrice all’interno del cantiere navale Benetti.

Dietro le dichiarazioni dei politici,
delle istituzioni, della Azimut-Benetti, dietro lo scaricabarile
delle responsabilità, c’è la realtà dei fatti: Dashnor è stato
ucciso.

E’ stato ucciso da chi negli appalti
gioca al ribasso sulle vite degli operai, è stato ucciso da chi
sfrutta quotidianamente i lavoratori, è stato ucciso dalle
istituzioni che sostengono le politiche padronali, è stato ucciso da
chi ricatta i lavoratori migranti con la minaccia del carcere,
dell’emarginazione, dei nuovi lager e dell’espulsione, da chi cerca
ogni giorno di rompere i legami di solidarietà tra i lavoratori.

E’ neccessario lottare per la sicurezza
sul lavoro e per respingere i sempre più forti attacchi del
padronato. L’unico lavoro sicuro è quello gestito liberamente dai
lavoratori senza lo sfruttamento, la rapina e l’oppressione dei
padroni e dello stato.

Siamo vicini ai familiari, agli amici
ed ai compagni di lavoro di Dashnor Qalliaj.

 

16/06/2010

Collettivo Anarchico Libertario

collettivoanarchico@hotmail.it – http://collettivoanarchico.noblogs.org/

 

 

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Joy è libera?

da:http://noinonsiamocomplici.noblogs.org/post/2010/06/15/joy-libera

“Joy è libera!”. Venerdì 11 giugno la notizia rimbalzava qua e là sul
web prima ancora che Joy arrivasse in un primo luogo di sosta per
riposarsi per poi successivamente spostarsi in una “casa protetta”,
nonostante le preziose raccomandazioni date da Be Free all’epoca della
liberazione di Florence. Addirittura il giornale Liberazione ne
annunciava l’avvenuta “regolarizzazione”, mentre nel Cie di Modena Joy
ancora aspettava che le dessero il permesso di soggiorno.
Joy,
infatti, è uscita dal Cie di Modena, dopo aver aspettato per quattro
interminabili ore rispetto all’orario che le era stato comunicato, con
un permesso di “protezione umanitaria” – che è ben diverso dalla libertà
per come la intendiamo noi.

Ovviamente ci fa immenso piacere
che sia uscita dal circolo Cie-carcere-Cie. Ma la lotta contro i Cie non
deve fermarsi qui e i facili entusiasmi non ci appartengono.

L’undici
giugno abbiamo imparato quanto non sia facile garantire la sicurezza –
quella vera! – di una donna immigrata, in particolare se vittima di
tratta. E questo ci ha spinte ad una riflessione: se la vicenda di Joy
non fosse diventata “pubblica”, dando vita a mobilitazioni di piazza in
tante città italiane, molto probabilmente sarebbe già stata rimpatriata e
data in pasto ai suoi sfruttatori; ma, d’altra parte, questo esser
diventata una figura “pubblica” ha rappresentato per lei (e per chi era
con lei quel giorno), nel momento più delicato, un pericolo reale.
Dunque ci chiediamo se sia possibile agire con accortezza ed
intelligenza, senza perdere spessore politico e rispettando fino in
fondo la storia di una donna.
Noi crediamo di sì, e ringraziamo Joy
di avercelo insegnato.

Le auguriamo di cuore che possa al più
presto trovare la libertà, quella vera, al di là di percorsi protetti
che, se pure “per il suo bene”, ancora per molti mesi
sovradetermineranno la sua vita imponendole privazioni – ad esempio
l’impossibilità di tenere con sé il cellulare o di uscire, almeno i
primi tempi, per conto proprio.

Auguriamo di cuore a chi ha
accettato la sua presa in carico – a fronte di associazioni che si sono
vergognosamente arrampicate sui vetri per trovare pretesti e
giustificare il rifiuto – di poter a sua volta imparare da Joy con la
fiducia e la sensibilità necessarie.

Prima di partire per la
città in cui trascorrerà i prossimi mesi, Joy ha voluto lasciarci un
messaggio in più lingue per tutte e tutti coloro che, per quasi un anno,
non l’hanno mai lasciata sola nelle mani degli aguzzini – anche a costo
di denunce e manganellate.
Ringraziamo Macerie che si è data
disponibile per raccogliere questo saluto.

[Data la delicatezza
estrema della situazione, la scorsa settimana avevamo deciso che la
notizia dell’uscita di Joy l’avremmo data non prima di oggi. Chiara,
semplice, e con un invito a continuare la lotta femminista contro i Cie,
senza bisogno di aggiungere altro. Ma le cose sono andate diversamente e
allora ci è sembrato importante fare alcune considerazioni che speriamo
possano essere utili a tutte quelle che intendono proseguire la lotta
contro i Cie a fianco delle donne immigrate]

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ASSASSINI

era al primo giorno di lavoro…

 

INCIDENTI LAVORO: OPERAIO CADE IN MARE E MUORE A LIVORNO

LIVORNO

(ANSA) – LIVORNO, 15 GIU – Un operaio è morto questa mattina
dopo essere caduto in mare mentre stava lavorando all’interno del
cantiere navale Azimut Benetti di Livorno.
Poco dopo le 9 l’uomo, un
albanese di 38 anni, secondo una prima ricostruzione della Polmare,
sarebbe finito in acqua dopo aver perso l’equilibrio mentre camminava
lungo la banchina del cosiddetto “bacino galleggiante” del cantiere. E’
scattato l’allarme e sono partite le ricerche condotte dai sommozzatori
dei vigili del fuoco e dai mezzi della Guardia Costiera. Quando, dopo
una rapida ricerca dei soccorritori, l’uomo è stato individuato e
riportato in superficie era già morto. Sul posto ora si trova anche il
magistrato di turno della Procura di Livorno Antonio Giaconi che sta
coordinando le indagini.
(ANSA).

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Comunicato di un gruppo di detenuti del CIE di Ponte Galeria (Roma)

A tutte le persone che vivono in questo paese
A tutti coloro che credono ai giornali e alla televisione

Qui dentro ci danno da mangiare il cibo scaduto, le celle dove
dormiamo hanno materassi vecchi e quindi scegliamo di dormire per terra,
tanti tra di noi hanno la scabbia e la doccia e i bagni non funzionano.
La carta igenica viene distribuita solo 2 giorni a settimana, chi fa le
pulizie non fa nulla e lascia sporchi i posti dove ci costrigono a
vivere.

Il fiume vicino il parcheggio qui fuori è pieno di rane e zanzare
che danno molto fastidio tutto il giorno, ci promettono di risolvere
questo problema ma continua ogni giorno.

Ci sono detenuti che vengono dai CIE e anche dal carcere che sono
stati abituati a prendere la loro terapia ma qui ci danno sonniferi e
tranquillanti per farci dormire tutto il giorno.

Quando chiediamo di andare in infermeria perchè stiamo male,
l’Auxilium ci costringe ad aspettare e se insistiamo una banda di 8-9
poliziotti ci chiude in una stanza con le manette, s’infilano i guanti
per non lasciare traccia e ci picchiano forte.

Per fare la barba devi fare una domandina e devi aspettare, 1 giorno a
settimana la barba e 1 i capelli.
Non possiamo avere la lametta.

Ci chiamano ospiti ma siamo detenuti.

Quello che ci domandiamo è perchè dopo il carcere dobbiamo andare in
questi centri e dopo che abbiamo scontato una pena dobbiamo stare 6 mesi
in questi posti senza capire il perchè.
Non ci hanno identificato in carcere? Perchè un’altra condanna di 6
mesi?

Tutti noi non siamo daccordo per questa legge, 6 mesi sono tanti e
non siamo mica animali per questo hanno fatto lo sciopero della fame
tutti quelli che stanno dentro il centro e allora, la sera del 3 giugno,
è cominciata così:

ci hanno detto: “se non mangi non prendi terapie” ma qui ci sono
persone con malattie gravi come il diabete e se non mangiano e si curano
muoiono.

Uno di noi è andato a parlare con loro e l’hanno portato dentro una
stanza davanti l’infermeria dove non ci sono telecamere e l’hanno
picchiato.
Così la gente ha iniziato ad urlare di lasciarlo stare.
In quel momento sono entrati quasi 50 poliziotti con il loro materiale e
con un oggetto elettrico che quando tocca la gente, la gente cade per
terra.
Le guardie si sono tutte spostate sopra il tetto vicino la caserma dei
carabinieri qui dentro, dove sta il campo da calcio.
Dalla parte sinistra sono entrati altri 50 poliziotti.

Quando abbiamo visto poliziotti, militari, carabinieri, polizia,
finanza e squadra mobile ufficio stranieri (che sono i più infami) sui
tetti, uno di noi ha cercato di capire perchè stavano picchiando il
ragazzo nella stanza.
«Vattene via sporco » un poliziotto ha risposto così.
In quel momento siamo saliti tutti sopra le sbarre e qualcuno ha
bruciato un materasso e quindi i poliziotti si sono spavenati e sono
andati fuori le mura per prendere qualcuno che scappava.

Da quella notte non ci hanno fatto mangiare nè prendere medicine per
due giorni.

Abbiamo preso un rubinetto vecchio e abbiamo spaccato la porta per
uscire e quando la polizia ha visto che la porta era aperta hanno preso
caschi e manganelli e ha picchiato il più giovane del centro, uno
egiziano.
L’hanno fatto cadere per terra e ci hanno picchiati tutti anche con il
gas, hanno rotto la gamba di un algerino e hanno portato via un vecchio
che la sua famiglia e i sui figli sono cresciuti qui a Roma, hanno
lanciato lacrimogeni e hanno detto che noi abbiamo fatto quel fumo per
non far vedere niente alle telecamere. Così hanno scritto sui giornali.

Eravamo 25 persone e alcune uscivano dalla moschea lontano dal
casino, ma i giornali sabato hanno scritto che era stato organizzato
tutto dentro la moschea e ora vogliono chiuderla.
La moschea non si può chiudere perchè altrimenti succederebbe un altro
casino.

Veniamo da paesi poveri, paesi dove c’è la guerra e ad alcuni di noi
hanno ammazzato le famiglie davanti gli occhi.
Alcuni sono scappati per vedere il mondo e dimenticare tutto e hanno
visto solo sbarre e cancelli.

Vogliamo lavorare per aiutare le nostre famiglie solo che la legge è
un po’ dura e ci portano dentro questi centri.
Quando arriviamo per la prima volta non abbiamo neanche idea di come è
l’Europa.
Alcuni di noi dal mare sono stati portati direttamente qui e non hanno
mai visto l’Italia.

La peggiore cosa è uscire dal carcere e finire nei centri per altri 6
mesi.

Non siamo venuti per creare problemi, soltanto per lavorare e avere
una vita diversa, perchè non possiamo avere una vita come tutti?
Senza soldi non possiamo vivere e non abbiamo studiato perchè la povertà
è il primo grande problema.
Ci sono persone che hanno paura delle pene e dei problemi nel proprio
paese.
Per questi motivi veniamo in Europa.

La legge che hanno fatto non è giusta perchè sono queste cose che ti
fanno odiare veramente l’Italia.
Se uno non ha mai fatto la galera nel paese suo, ha fatto la galera qua
in Italia.
Vogliamo mettere apposto la nostra vita e aiutare le famiglie che ci
aspettano.

Speriamo che potete capire queste cose che sono veramente una
vergogna.

Un gruppo di detenuti del CIE di Ponte Galeria

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Lunedì 14 Giugno PRESIDIO CONTRO LA MANOVRA

da: unicobaslivorno.it

LUNEDI’
14 GIUGNO


PRESIDIO SOTTO LA PREFETTURA
ALLE ORE
17

CONTRO
LA
MANOVRA GOVERNATIVA CHE PREVEDE IL BLOCCO
DEI CONTRATTI
FINO AL 2013, IL BLOCCO DEGLI SCATTI DI
ANZIANITA’
E QUINDI PENSIONI E LIQUIDAZIONE RIDOTTE DEL
10-15
%

organizzato da:

Unicobas

USB

Comitato di lotta per il diritto al lavoro

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Mercoledì 16 ore 21, riunione per proseguire il percorso contro i C.I.E.

Si conferma per mercoledì sera la riunione per decidere gli sviluppi del
percorso che abbiamo avviato localmente contro la costruzione del
C.I.E. in toscana.
L’appuntamento è quindi per mercoledì 16 giugno
ore 21:30 presso la FAL in via degli asili 33.
C’è da tirar le fila
del presidio della settimana scorsa e da valutare le future iniziative,
tra le altre si era parlato di una assemblea pubblica-dibattito da fare
entro la fine di giugno.
Si invita a far girare l’appuntamento a
tutti coloro che potrebbero essere interessati, il percorso infatti è
sempre aperto a tutti coloro che individualmente o collettivamente
intendono opporsi senza compromessi ai nuovi lager.

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