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AMMAZZATO IL COMPAGNO ANARCHICO FRANCESCO MASTROGIOVANNI


da Liberazione del 13 agosto 2009
di Daniele Nalbone
Francesco Mastrogiovanni è morto legato al letto del reparto
psichiatrico dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania alle 7.20 di
martedì 4 agosto. Cinquantotto anni, insegnante elementare originario di
Castelnuovo Cilento, era, per tutti i suoi alunni, semplicemente "il
maestro più alto del mondo". Il suo metro e novanta non passava
inosservato. Inusuale fra la gente cilentana. Così come erano fuori dal
comune i suoi comportamenti, «dolci, gentili, premurosi, soprattutto
verso i bambini» ci racconta la signora Licia, proprietaria del
campeggio Club Costa Cilento. E’ proprio lì che la mattina del 31 luglio
decine di carabinieri e vigili urbani, «alcuni in borghese, altri armati
fino ai denti, hanno circondato la casa in cui alloggiava dall’inizio di
luglio per le vacanze estive». Uno spiegamento degno dell’arresto di un
boss della camorra per dar seguito a un’ordinanza di Trattamento
Sanitario Obbligatorio (competenza, per legge, solo dei vigili urbani)
proveniente dalla giunta comunale di Pollica Acciaroli.
Oscuri i motivi della decisione: si dice per disturbo della quiete pubblica.
Fonti interne alle forze dell’ordine raccontano di un incidente in cui,
guidando contromano, alcune sere prima, avrebbe tamponato quattro
autovetture parcheggiate, «ma nessun agente, né vigile, ha mai
contestato qualche infrazione e nessuno ha sporto denuncia verso
l’assicurazione» ci racconta Vincenzo, il cognato di Francesco.
Mistero fitto, quindi, sui motivi dell’"assedio"

, che getta ovviamente
nel panico Francesco.
Scappa dalla finestra e inizia a correre per il villaggio turistico,
finendo per gettarsi in acqua. Come non bastassero carabinieri e vigili
urbani «è intervenuta una motovedetta della Guardia Costiera che
dall’altoparlante avvertiva i bagnanti: "Caccia all’uomo in corso"»
racconta, ancora incredula, Licia. Per oltre tre ore, dalla riva e
dall’acqua, le forze dell’ordine cercano di bloccare Francesco che,
ormai, è fuori controllo. «Inevitabile » commenta suo cognato «dopo
quanto gli è accaduto dieci anni fa».
Il riferimento è a due brutti episodi del passato «che hanno distrutto
Francesco psicologicamente» spiega il professor Giuseppe Galzerano, suo
concittadino e carissimo amico, come lui anarchico. Il 7 luglio 1972
Mastrogiovanni rimase coinvolto nella morte di Carlo Falvella,
vicepresidente del Fronte universitario d’unione nazionale di Salerno:
Francesco stava passeggiando con due compagni, Giovanni Marini e Gennaro
Scariati, sul lungomare di Salerno quando furono aggrediti, coltello
alla mano, da un gruppo di fascisti, tra cui Falvella. Il motivo
dell’aggressione ce la spiega il professor Galzerano: «Marini stava
raccogliendo notizie per far luce sull’omicidio di Giovanni, Annalisa,
Angelo, Francesco e Luigi, cinque anarchici calabresi morti in quello
che dicono essere stato un incidente stradale nei pressi di Ferentino
(Frosinone) dove i ragazzi si stavano recando per consegnare i risultati
di un’inchiesta condotta sulle stragi fasciste del tempo».
Carte e documenti provenienti da Reggio Calabria non furono mai
ritrovati e nell’incidente, avvenuto all’altezza di una villa di
proprietà di Valerio Borghese, era coinvolto un autotreno guidato da un
salernitano con simpatie fasciste.
Sul lungomare di Salerno, però, Giovanni Marini anziché morire, uccise
Falvella con lo stesso coltello che questi aveva in mano.
Francesco Mastrogiovanni fu ferito alla gamba. Nel processo che seguì,
Francesco venne assolto dall’accusa di rissa mentre Marini fu condannato
a nove anni.
Nel 1999 il secondo trauma. Mastrogiovanni venne arrestato «duramente,
con ricorso alla forza, manganellate, e calci» spiega il cognato
Vincenzo, per resistenza a pubblico ufficiale. Il motivo? Protestava per
una multa. In primo grado venne condannato a tre anni di reclusione dal
Tribunale di Vallo di Lucania «grazie a prove inesistenti e accuse
costruite ad arte dai carabinieri». In appello, dalla corte di Salerno,
pienamente prosciolto. Ma le botte prese, i mesi passati ai domiciliari
e le angherie subite dalle forze dell’ordine lasciano il segno nella
testa di Francesco.
«Da allora viveva in un incubo» racconta Vincenzo fra le lacrime.
«Una volta, alla vista dei vigili urbani che canalizzavano il traffico
per una processione, abbandonò l’auto ancora accesa sulla strada e fuggì
per le campagne. Un’altra volta lo ritrovammo sanguinante per essersi
nascosto fra i rovi alla vista di una pattuglia della polizia ». Eppure
da quei fatti Mastrogiovanni si era ripreso alla grande, «tanto da
essere diventato un ottimo insegnante elementare», sottolinea l’amico
Galzerano, «come dimostra il fatto che quest’anno avrebbe finalmente
ottenuto un posto di ruolo, essendo diciottesimo nella graduatoria
provinciale».
Era in cura psichiatrica ma si stava lasciando tutto alle spalle. Fino
al 31 luglio.
Giorno in cui salì «di sua volontà» sottolinea Licia del campeggio Club
Costa Cilento «su un’ambulanza chiamata solo dopo averlo lasciato
sdraiato in terra per oltre quaranta minuti una volta uscito
dall’acqua». Licia non potrà mai dimenticare la frase che pronunciò
Francesco in quel momento: guardandola, le disse: «Se mi portano
all’ospedale di Vallo della Lucania, non ne esco vivo». E così è stato.
Entrò nel pomeriggio di venerdì 31 luglio per il Trattamento Sanitario
Obbligatorio. Dalle analisi risultò positivo alla cannabis. La sera
stessa venne legato al letto e rimase così quattro giorni. La misura non
risulta dalla cartella clinica, ma è stata riferita ai parenti da
testimoni oculari. E confermata dal medico legale Adamo Maiese, che ha
riscontrato segni di lacci su polsi e caviglie della salma durante
l’autopsia. Legato al letto per quattro giorni, quindi. Fino alla morte
sopravvenuta secondo l’autopsia per edema polmonare.
Sulla vicenda la procura di Vallo della Lucania ha aperto un’inchiesta e
iscritto nel registro degli indagati i sette medici del reparto
psichiatrico campano che hanno avuto in cura Mastrogiovanni. Intanto
oggi alle 18, nel suo Castelnuovo Cilento, familiari, amici e alunni
porgeranno l’ultimo saluto al "maestro più alto del mondo".

—–

da
http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=69419&sez=CAMPANIA

*Salerno, morte all’ospedale psichiatrico
i medici: solo delle falsità*

SALERNO (13 agosto) – Francesco Mastrogiovanni è deceduto per un edema
polmonare provocato da un’insufficienza ventricolare sinistra. Sul suo
corpo sono state riscontrate lesioni su polsi e caviglie, segno
dell’utilizzo di legacci abbastanza spessi, plastica rigida o
addirittura filo di ferro. Comunque, lesioni derivanti da una forte
pressione esercitata con strumenti non leciti. Ma ora i medici legali
della procura vorranno capire anche il motivo scatrenante di un edema
polmonare che ha poi determinato l’infarto. Sono alcuni dei dati emersi
dall’autopsia effettuata ieri mattina sul cadavere di Francesco
Mastrogiovanni, il maestro di scuola elementare di Castelnuovo Cilento
sul cui decesso indaga la procura di Vallo della Lucania.

Mastrogiovanni ricoverato il 31 luglio scorso all’ospedale San Luca in
seguito ad una crisi di nervi e conseguente certificato di trattamento
sanitario obbligatorio è morto dopo quattro giorni di degenza. La
procura della Repubblica ha aperto una indagine, diretta dal pm
Francesco Rotondo, a carico del primario Michele Di Genio e i medici
Rocco Barone, Raffaele Basto, Amerigo Mazza, Annunziata Buongiovanni,
Michele Della Pepa, Anna Angela Ruberto.

Ieri l’autopsia e la scoperta di profonde lesioni a polsi e caviglie. È
soprattutto su quest’ultimo aspetto che si incentrano le indagini della
Procura di Vallo della Lucania. Le lesioni, infatti, starebbero ad
indicare l’allettamento forzato del paziente e sull’eventuale
accanimento dei sanitari si incentrano le indagini. Durante l’esame del
corpo, disposto dal sostituto procuratore Francesco Rotondo, è stata
rilevata in effetti la presenza di profonde lesioni ai polsi e alle
caviglie, dovute a uno stato di contenzione prolungato, con l’utilizzo
di mezzi fisici.

Una pratica estremamente invasiva, che però nella cartella clinica di
Mastrogiovanni non è mai menzionata né, tanto meno, motivata come
prevede la legge. È, infatti, ammessa solo in uno stato di necessità e
deve durare poche ore, fino alla terapia chimica. Mastrogiovanni,
invece, secondo l’ipotesi choc all’esame degli inquirenti, sarebbe
rimasto legato al letto per più giorni.

Nella sua cartella clinica, inoltre, ci sarebbe un "buco" di oltre 10
ore rispetto ai trattamenti a cui il maestro è stato sottoposto prima di
morire, ovvero dalle ore 21 del 3 agosto fino alle 7,20 del giorno
successivo, quando i medici del reparto ne hanno constatato il decesso.
Durante l’autopsia sono stati eseguiti anche prelievi di tessuti che
saranno analizzati in un centro specializzato di Napoli. I risultati
potranno contribuire a chiarire il quadro clinico complessivo.

All’esame ha assistito per la procura pure uno psichiatra nominato come
consulente, per la famiglia i legali Caterina Mastrogiovanni e Loreto
D’Aiuto oltre al medico legale Francesco Lombardo. C’erano, poi, quasi
tutti i medici indagati, il loro nutrito collegio legale e i loro
consulenti, lo psichiatra Michele Lupo e il medico legale Giuseppe
Consalvo. L’ipotesi di reato, di cui devono rispondere i sanitari, è
omicidio colposo, salvo che dall’esame della cartella clinica e delle
video registrazioni sequestrate non emergano differenti profili di
responsabilità
. Ad essere determinanti sono soprattutto le riprese
girate nella camera di Mastrogiovanni durante il trattamento di ritenuta
e subito dopo la sua morte, per verificare le azioni degli indagati.

In ogni caso l’inchiesta sembra destinata ad allargarsi all’acquisizione
delle cartelle cliniche degli altri pazienti sottoposti a trattamenti
psichiatrici nell’ospedale San Luca e forse in tutta l’ex Asl Salerno 3.
I funerali si svolgeranno oggi alle 18,30 nella chiesa di Santa Maria
Maddalena a Castelnuovo Cilento.

Puntuale la replica dei medici: «Finora sono state scritte solo
falsità». È il commento di Federico Conte e Antonio Conte, avvocati di
Angela Ruberto e Michele Di Genio, rispettivamente medico e direttore
del dipartimento di Psichiatria dell’ospedale ‘San Luca’ di Vallo della
Lucania (Salerno), a proposito delle notizie relative al decesso di
Francesco Mastrogiovanni.

«Contestiamo quanto finora pubblicizzato a mezzo stampa perchè
destituito di qualsiasi fondamento – ha detto Antonio Fasolino, insieme
a Francesca Di Genio legale del primario di Psichiatria, Michele Di
Genio – Il professor Mastrogiovanni è giunto in ospedale a seguito di
una emanazione di un’ ordinanza di ‘trattamento sanitario obbligatorio’
da parte del comune di Pollica. I sanitari dell’ospedale di Vallo della
Lucania hanno seguito il protocollo previsto per casi come questo».

Elisabetta Manganiello

—–
da
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/vallo-della-lucania-salerno-francesco-mastrogiovanni-e-morto-nel-reparto-di-psichiatria-aveva-lesioni-profonde-sui-polsi-e-sulle-caviglie-78376/

Vallo della Lucania, Salerno/ Francesco Mastrogiovanni è morto nel
reparto di psichiatria: aveva lesioni profonde sui polsi e sulle caviglie

ospedale1Aveva lesioni su polsi e caviglie l’uomo deceduto lo scorso 4
agosto nel reparto di Psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania,
in provincia di Salerno.

È uno dei dati emersi dall’autopsia effettuata sul cadavere di Francesco
Mastrogiovanni che di professione faceva il maestro della scuola
elementare di Castelnuovo Cilento. Sul decesso sta indagando la procura
di Vallo della Lucania: Mastrogiovanni era stato ricoverato il 31 luglio
all’ospedale San Luca in seguito ad una crisi di nervi. Era rimasto là
per quattro giorni prima di morire per edema polmonare riconducibile ad
una crisi cardiaca.

L’autopsia ha confermato quello che era emerso ad un primo esame
esterno: il cadavere aveva profonde lesioni a polsi e caviglie, e per
questa ragione erano partite le indagini della Procura. Le lesioni
infatti, starebbero ad indicare che il paziente è stato legato
forzatamente al letto: su un eventuale accanimento dei sanitari, si
stanno concentrando le indagini.

Dall’autopsia è emersa anche la presenza nel corpo di cannabinoidi. Gli
inquirenti stanno anche visionando le registrazioni delle telecamere a
circuito chiuso presenti nel reparto, dalle quali potrebbero emergere
nuovi elementi decisivi per chiarire le eventuali responsabilità
.

Sono sette al momento gli indagati del reparto di Psichiatria
dell’ospedale Vallo della Lucania; tra questi c’è anche il primario
Michele Di Genio.


www.radioblackout.
org/palinsesto/stato-terapeutico

Posted in Generale.


Pubblicate foto Filippetti


PUBBLICATE NELLA SEZIONE ALBUM (CON UN PO’ DI RTARDO) LE FOTO DELL’INIZIATIVA IN RICORDO DI F.FILIPPETTI

http://collettivoanarchico.noblogs.org/album/02-08-09-foto-commemorazione-filippetti

 

Posted in Iniziative.


Rivolte nei CIE

dopo la rivolta a Gradisca, in questi giorni anche a Torino e a Milano sommosse nei centri.


da indymedia lombardia


Dopo avere scoperto che a moltissi di loro è
stato prorogato il termine di uscita dal Centro di altri due mesi, i
reclusi di Corelli hanno dato vita ad una nuova sommossa. In questo
momento la polizia in assetto antisommossa sta usando gli idranti e
tenta di entrare nelle gabbie. Forse alcune detenute sono state
picchiate.


Ascolta la diretta su: http://www.autistici.org/macerie/


Dopo due tentativi di assalti c’è un momento di calma, poi la battaglia riprende: http://www.autistici.org/macerie/


Alla fine, la polizia riesce ad entrare nelle camerate, e ritorna
“la calma”. Ci sono vari feriti e sostanzialmente non ci sono notizie
delle donne: nella loro sezione c’è ancora tensione, sono terrorizzate
e hanno paura di parlare. Ascoltate le drammatiche testimonianze che
abbiamo raccolto alla fine della battaglia, testimonianze di due
reclusi che ora sono rinchiusi in due stanze differenti su http://www.autistici.org/macerie/


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Rivolta in corso Brunelleschi


Il secondo giorno di sciopero della fame al Cpt di corso
Brunelleschi è già un giorno di rivolta. Dopo aver rifiutato il cibo a
colazione e a pranzo, i reclusi nel pomeriggio cominciano a gridare
tutti assieme «libertà! libertà!». Esasperati dalle condizioni di
reclusione, preoccupati per la salute di alcuni reclusi svenuti per i
primi effetti dello sciopero della fame, in contatto con il centro di
via Corelli a Milano in lotta da giorni, resisi conto che l’estensione
a 180 giorni di reclusione li colpisce direttamente, dentro cominciano
a spaccare il primo ostacolo che li separa dalla libertà: le porte.
Intanto, a rincuorarli, fuori dal Centro si forma un rumorosissimo
presidio di solidali. La polizia, che da ieri gira in tenuta
antisommossa, carica. E per ben due volte i reclusi tengono, non
fuggono, resistono. Alla terza carica la polizia e i militari riescono
a sfondare, e picchiano giù duro. Nel frattempo, il presidio fuori si
disperde, assediato da poliziotti e alpini. In serata, la situazione si
tranquillizza, e la polizia vuole l’ultima parola, con una specie di
perquisa con cani e macchine fotografiche.


Ascolta le dirette su: http://www.autistici.org/macerie/


altri links


http://www.informa-azione.info/milano_corelli_in_subbuglio/


http://www.informa-azione.info/torino_sciopero_della_fame_nel_cie_di_corso_brunelleschi_i_reclusi_circondati_dalla_polizia


http://piemonte.indymedia.org/article/5545


 


 


 

Posted in Antirazzismo.


Solidarietà agli antifascisti – comunicato della F.A.L.

Livorno 19/07/2009
Federazione Anarchica Livornese – F.A.I.
Commissione di Corrispondenza
Via degli Asili 33
57126 Livorno


                                    Solidarietà ai giovani di Montenero
La commissione di corrispondenza della F.A.L., preso atto della notizia passata sui media la scorsa
settimana di nuove indagini su quanto avvenuto a Montenero il 13 giugno u.s.,
rileva che il modo in cui la notizia è stata data dai media cittadini, dove si parla di assalto al
santuario, attacco alla processione ecc., sembra una campagna ben orchestrata tendente
ad avvalorare una versione distorta dei fatti;

precisa che a detta degli stessi organizzatori la manifestazione religiosa era stata strumentalizzata da un raggruppamento fascista “nonostante la nostra precedente contrarietà” (vedi comunicato del Coordinamento Benedetto XVI pubblicato sulla
stampa cittadina il 16/06/2009), e come dimostra il comunicato di Forza Nuova del 13/06/2009, prima organizzazione politica a prendere posizione sull’accaduto, prima che la notizia fosse data dai mezzi di comunicazione;


ricorda che la manifestazione religiosa si è svolta senza ostacoli e si è conclusa regolarmente
                con la messa al Santuario prima dell’arrivo delle forze dell’ordine;

fa presente    che i giovani presenti a Montenero in forma spontanea e non organizzata si sono limitati
                ad esprimere la loro contrarietà al fatto che una manifestazione religiosa, una delle tante
                che I gruppi fondamentalisti tengono in città indisturbati da anni, venisse
                strumentalizzata da un raggruppamento fascista, e si son tenuti ben lontani dal Santuario;

condanna        l’atteggiamento dei mezzi di comunicazione cittadini che, nonostante i comunicati
                emessi da varie associazioni cittadine, continuano a dare credito alla versione degli
                estremisti di destra, criminalizzando la protesta spontanea di giovani antifascisti,
                cattolici e non;

rinnova        la propria solidarietà ai giovani colpiti dagli avvisi di garanzia, e si impegna a
                promuovre una campagna politica per ristabilire la verità dei fatti;

invita          le organizzazioni antifasciste e del movimento operaio a impegnarsi a loro volta affinché
                questi giovani non restino soli.
               

                 Per la Commissione di Corrispondenza
                della Federazione Anarchica Livornese – FAI
                            Tiziano Antonelli

Posted in Antifascismo, Repressione.


Anarchico, antifascista, ucciso dai fascisti – 2 Agosto, una giornata in ricordo di F.Filippetti

Domenica
2 agosto 2009

Giornata
in ricordo di Filippo Filippetti

anarchico,
antifascista, ucciso dai fascisti


ore
18.00

Commemorazione
presso la lapide

Via
Provinciale Pisana 354

(
andando verso Via Firenze, alla ex-scuola di fronte al circolo ARCI
“Tamberi”)


Filippo
Fillipetti, giovane anarchico, viene ucciso il 2 agosto 1922 dai
fascisti mentre si oppone, assieme ad altri antifascisti, ad una
spedizione punitiva contro Livorno.

Il
2 Agosto 1922 un gruppo di giovani antifascisti, tra i quali alcuni
anarchici, ingaggia uno scontro armato nei pressi di Pontarcione con
i camion dei fascisti di ritorno dall’aver assassinato i fratelli
Gigli la sera prima. Muore nella sparatoria Filippo Filippetti,
membro degli Arditi del Popolo, sindacalista dell’USI per il settore
edile.

Dopo
un crescendo di aggressioni compiute dai fascisti nei confronti delle
organizzazioni del movimento operaio, sedi sindacali, politiche e
culturali, e singoli militanti, con decine di morti fra gli
antifascisti, I sindacati indicono uno sciopero generale ad oltranza
per fermare le violenze.

I
fascisti, finanziati da agrari ed industriali, armati dai Carabinieri
e dall’Esercito, protetti dalla monarchia e dai circoli militari e
clericali, aggrediscono le roccaforti operaie, ma sono dovunque
respinti.

Livorno
è uno dei centri dello scontro; militanti anarchici socialisti e
comunisti cadono sotto il piombo fascista, ma nei quartieri proletari
si resiste all’invasione.

Solo
quando la CGL e il PSI, sperando in un ennesimo compromesso, si
ritireranno dalla lotta il Governo potè aprire la strada ai fascisti
mandando Esercito e Carabinieri a disarmare gli oppositori,
sostituendo gli amministratori di sinistra con commissari prefettizi.
In uno di questi scontri cadde Filippo Filippetti.

Gli
anarchici invitano tutti gli antifascisti a partecipare alla
commemorazione.


ore
20.00

Cena

presso
la Federazione Anarchica Livornese

Via
degli Asili 33

(comunicare
la presenza al 3339861219)


a seguire

serata
musicale

"canti
antifascisti e anarchici"

con Donato e
Pierino


FEDERAZIONE
ANARCHICA LIVORNESE (FAI) –

V.degli
Asili 33, tel.Tel. 0586 885210

aperta
tutti i giorni dalle 14:30 alle 19:30

COLLETTIVO
ANARCHICO LIBERTARIO –

collettivoanarchico@hotmail.it
http://collettivoanarchico.noblogs.org/

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Così fan tutti – Donne e notizie

da:Umanità Nova, settimanale anarchico, n.26
del 5 luglio 2009,
anno 89

 

Alcuni giorni fa a Milano, Monica, una donna di 33 anni viene uccisa dal marito davanti all’asilo della figlia.
Qualche giorno prima una prostituta romena era stata caricata sull’auto
di servizio da due finanzieri in divisa e costretta, contro la sua
volontà, a un rapporto sessuale. In entrambi i casi gli uomini
sono giovani e italiani. Cose di poco conto, poche righe sui giornali
che la dicono lunga sulla differenza tra donne e donne e tra uomini e
uomini. Della donna romena non si dice neppure il nome, quella italiana
scompare il secondo giorno. E se gli aguzzini non fossero stati
italiani?
La frequenza altissima di omicidi familiari e di maltrattamenti, la
mercificazione del corpo delle donne che viene contrabbandata per
emancipazione, l’insignificanza o la subalternità della donna
nella vita politica (e il fatto che i due partiti vincenti delle ultime
elezioni – Lega e Idv – siano proprio quelli più maschilisti
dovrebbe far riflettere) descrive bene quanto il "nostro" paese sia
"progredito e democratico".
Da noi fa certo notizia il furto operato da un immigrato: l’omicidio di
una donna per mano del marito italiano fa un po’ meno notizia e le
"ronde" non sono certo state pensate per entrare nelle case, anche se
lì si consuma il maggior numero di violenze.
Il nostro "paese civile" vede nel diverso, sia esso donna o straniero,
l’essere inferiore cui addossare le colpe, su cui riversare il proprio
malessere o la propria aggressività. Ma se alcune donne non
fanno notizia, altre invece sì: ad esempio fanno notizia le
escort di Berlusconi, ed anche in questo caso non per ciò che
esse sono, ma in rapporto a un maschio. Perché, per loro, la
donna ha valore solo in rapporto ad un uomo.
C’è sicuramente ipocrisia in questo scandalizzarsi per i
comportamenti maschilisti del primo ministro. In fin dei conti fa
quello che fanno tutti: utilizza le donne belle, per divertirsi e far
divertire. Anzi: compensarle con qualche carica istituzionale in fondo
è un riconoscimento inusuale di cittadinanza e
rispettabilità. Ed è anche una affermazione  di che
cosa siano le cariche politiche: solo merce.
Il corpo delle donne appartiene a padri, mariti, fratelli: esso
è sempre stato disciplinato per legge, dentro e fuori le mura
domestiche (la legge sulla procreazione assistita è uno dei
migliori esempi, anche se molti sembrano averla scordata ). Proprio
come una volta le figlie venivano date in matrimonio per saldare
alleanze tra clan, oggi i corpi di donne diventano utili per ricatti
tra protagonisti maschi, mezzo per relazioni di potere puramente
maschili.
Eppure le donne hanno altro da dire: quando hanno preso la parola per
smascherare un potere che passa attraverso i corpi e le esperienze
più profonde delle persone, gli uomini hanno chiuso gli occhi
per non vedere e  le orecchie per non sentire. Oggi la parola
femminismo sembra passata di moda, anche se i cambiamenti avvenuti nel
rapporto tra donne e uomini sono visibili a tutti.
Ma è proprio la libertà che abbiamo affermato negli anni,
ribaltando le regole morali e le categorie concettuali che oggi fa
ancora paura e che dobbiamo con forza riproporre.

R.P.

Posted in Antisessismo.


Grecia. La polizia attacca e incendia un campo profughi

riceviamo e pubblichiamo.

Non lontano dal porto di Patrasso è sorto negli ultimi anni un
insediamento abusivo, dove approdano i rifugiati afgani diretti nel nostro
paese. Negli ultimi due anni numerosi sono stati i tentativi (falliti) di
sgombero, le operazioni repressive e le manifestazioni di protesta dei
rifugiati appoggiati da gruppi anarchici e associazioni antirazziste. Nel
settembre del 2008 vi si era svolto un campo No Border.
Intorno alle 5 del mattino di domenica 12 luglio la polizia ha circondato
il campo. Secondo le testimonianze dei presenti quattro cittadini greci
che si trovavano nei pressi per esprimere solidarietà sono stati
immediatamente arrestati. Subito dopo la polizia è entrata nel campo
bloccando i rifugiati e dando il via al lavoro di demolizione. Mentre
l’operazione era in corso, ad una delle estremità del campo è divampato
“misteriosamente” un incendio che nel giro di qualche ora ha distrutto
buona parte delle baracche. Quelle rimaste in piedi sono state abbattute
dalla polizia.

Sul sito della BBC c’è un video che mostra la demolizione e l’incendio.
http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/8146597.stm

Gli afgani fuggono una guerra feroce: il governo greco li accoglie con
manganelli e fuoco. La guerra è anche in Grecia.

Ecco un elenco di indirizzi e numeri di telefono utili per chi vuole dire
la propria ai responsabili dell’attacco al campo profughi di Patrasso:

Ambasciata di Grecia presso lo Stato Italiano
Via S. Mercadante 36
00198-Roma
Tel. 06.8537551
Fax 06.8415927
gremroma@tin.it
Ufficio dell’Addetto alla Difesa dell’Ambasciata di Grecia in Italia
Viale Rossini, 4
00198-Roma
Tel. 06.8553100
Fax 06.85354014

Ufficio Commerciale dell’Ambasciata di Grecia in Italia
Viale Parioli, 10
00198-Roma
Tel. 06.80690758
Fax 06.80692298
oey@ambasciatagreca.191.it

Ufficio Stampa dell’Ambasciata di Grecia in Italia
Via Rossini, 4 00198 Roma
Tel. 06.8546224/068419719
Fax 06.8415840
ufficiostampa@ambasciatagreca.it
Consolato Generale di Napoli
Via A.Gramsci,5
80122-Napoli
Tel. 081-7611243-7611075
Fax081-666835
Email: congrena@tin.it
Consolato Onorario di Ancona
Corso Mazzini, 122
60100- Ancona
Tel. 071-56260
Fax 071-56260
Consolato Onorario di Bari
Via Amendola 172/C
70126-Bari
Tel e fax 080-5468049, 5461657
Consolato Onorario di Bologna
Via dell’Indipendenza 67/2
40128-Bologna
Tel. 051-4213273
Fax 051
Consolato Onorario di Brindisi
Via Tarantini, 52
72100-Brindisi
Tel. 0831-563405
Fax 0831-590543
Consolato Onorario di Catania
Viale Ionio 134
95129-Catania
Tel. e Fax 095534080
Consolato Onorario di Firenze
Via Cavour, 38
50129-Firenze
Tel/fax 055-2381482
Email: gr.consolato@iol.it
Consolato Onorario di Livorno
p.zza Attias, 13
57100-Livorno
Tel/fax 0586-265687
Consolato Onorario di Palermo
Via Noto, 34
90141-Palermo
Tel 091-6259541
Fax 091-308996
Consolato Onorario di Perugia
Via Sant’Ercolano, 12
06121-Perugia
Tel 075-5735140-5736145
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Posted in Antirazzismo.


Avvoltoi su L’Aquila

da: Umanità nova, settimanale anarchico, n.26
del 5 luglio 2009,
anno 89,
Tutti G8 per terra, Speciale Abruzzo.


Il terremoto è un evento naturale le cui conseguenze possono
però essere, ricorrendo talune circostanze, tragiche. Tra le
circostanze che più concorrono a trasformare quest’evento
naturale in tragedia, la principale è l’ingordigia degli uomini.
Il terremoto avvenuto alle 3:32:29 del 6 aprile 2009 a L’Aquila non si
è sottratto a questa regola, cerchiamo di vederne in dettaglio
alcuni perchè.
Innanzi tutto questo dell’Aquila è stato un terremoto annunciato
e chi aveva la responsabilità di avvertire la popolazione e di
prevenire la catastrofe si è ben guardato dal farlo.
Che L’Aquila fosse a forte rischio sismico lo si sapeva da sempre.
I terremoti hanno una loro storia, studiata perché i terremoti
tendono a ripetersi nelle stesse zone e con modalità simili. Il
primo terremoto di cui si ha notizia all’Aquila dovrebbe essere
dell’849, registrato a Roma, ma con epicentro in Abruzzo. Dalle scarse
notizie di allora a quelle più complete degli episodi sismici
successivi, si sa che tutti i terremoti nell’Aquilano di una certa
entità (ce ne sono documentati nel 1315, 1456, 1461, 1498, 1646,
1731,1786, 1791, 1809, 1848, 1849, 1887, 1916, 1958 e 1985) si sono
presentati come periodi sismici più o meno lunghi con molte
scosse, proprio come quest’ultimo.
In Italia, dal 1961 ad oggi, ci sono stati 13 terremoti con magnitudo
superiore a 5,5. Tra gli studiosi ci si aspettava che si verificasse, a
breve, un nuovo evento sismico. Per questo motivo era stata elaborata
una mappa con la distribuzione delleprobabilità, in base alle
aree, degli eventi sismici di magnitudo superiore a 5,5 che si
sarebbero potuti verificare in Italia tra il 2008 e il 2012. La zona
con la maggiore probabilità (30%) era proprio quella di L’Aquila
e provincia. La mappa, resa pubblica in un convegno di geologi a Napoli
a metà aprile, girava da inizio 2008 tra gli addetti ai lavori.
Uno studio del 1998 dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
(INGV) aveva realizzato una mappa dell’Italia dividendo le zone in base
al rischio sismico (l’avrete probabilmente vista: è una mappa
con l’Italia dipinta in verde, giallo, arancione e rosso). L’Aquila era
considerata tra le zone a massimo rischio (colore rosso). Di questo
studio non se ne è curato nessuno fino al 2002 quando, dopo il
terremoto a San Giuliano di Puglia dove morirono 26 bambini nel crollo
della loro scuola elementare, è scattata in Italia l’ennesima
"emergenza terremoti" e si è deciso di adottare la mappa
dell’INGV per prescrivere, in base al rischio sismico della zona,
particolari cautele nella realizzazione delle costruzioni.
Nell’ordinanza della presidenza del consiglio dei ministri 3274/2003,
L’Aquila però ridiventa a rischio "2" (come le zone arancioni
della mappa). Questo perché le zone a rischio "1" hanno vincoli
estremamente rigidi. Non si possono costruire case con più di un
piano, bisogna usare particolari rinforzi di cemento armato, mettere
più ferro e più cemento nelle mescole ed avere
particolari accorgimenti architettonici. La Regione Abruzzo, che deve
recepire l’ordinanza, è una delle pochissime regioni italiane a
non modificare in modo più restrittivo la mappa governativa.
Intanto, nel 2004, l’INGV realizza una nuova mappa e L’Aquila rimane di
colore rosso. Una nuova ordinanza governativa (3519/2006) fa
ridiventare L’Aquila a rischio "1", ma la regione Abruzzo fa finta di
non accorgersene e lascia tutto così com’era.  
Inoltre a L’Aquila erano mesi che si susseguivano scosse telluriche,
anche di qualche entità. La popolazione era allarmata, spesso
qualcuno trascorreva la notte in macchina e si stavano aprendo crepe
nei muri delle case.
Infine, giusto la settimana precedente, un geologo, Gioacchino
Giampaolo Giuliani, che effettua studi sulla prevedibilità dei
terremoti usando il radon, aveva previsto, a Sulmona (dopo che la
mattina c’era stata una scossa di magnitudo 4) un evento sismico molto
violento nel pomeriggio, determinando il panico tra i sulmonesi.
Dati questi precedenti gli aquilani avevano ottime ragioni per essere
preoccupati, così quando il 29 marzo scorso si era verificata
una scossa un po’ più violenta delle altre, Bertolaso aveva
fatto riunire in gran fretta, il giorno successivo, la Commissione
Grandi Rischi proprio a L’Aquila per tranquillizzare la popolazione.
La Commissione Grandi Rischi, a cui tutti i dati sopra citati erano
noti, ha preferito fare finta di nulla, considerare "improbabile che ci
sia a breve una scossa come quella del 1703" e raccomandare controlli a
"controsoffittature, camini, cornicioni in condizioni precarie".
Insomma, invece di dire, secondo un normale principio precauzionale,
che c’era la possibilità di un terremoto, anche violento,
invitando a mettere in sicurezza i palazzi a rischio e magari
raccomandando l’inserimento di L’Aquila in zona "1" per il rischio
terremoti, si è limitata a dire di fare attenzione alla
possibile caduta di qualche intonaco!
Ovviamente la responsabilità per cui un terremoto di magnitudo 6
in Giappone non fa una vittima ed uno di magnitudo più bassa a
L’Aquila fa trecento morti non è solo di questi esimi luminari,
che hanno sottovalutato il pericolo.
Questi signori sanno bene che, più che alla scienza, devono la
pagnotta quotidiana ai buoni rapporti con il potere politico di cui
sono ben attenti ad ascoltarne i desideri. Ed il potere politico da
sempre utilizza le catastrofi e le "emergenze" per specularci sopra.
Un esempio di come vengono gestite le emergenze in Italia c’è
stato con il recentissimo scandalo (denominato, in modo un po’
triviale, tengen-topa) che ha visto coinvolto Berlusconi, non nella
veste di attempato pedofilo con la minorenne di turno (quello era lo
scandalo precedente), ma in quella, a lui più abituale, di
puttaniere.
Alla ricerca dei motivi per cui un signore pugliese dovesse portare
delle prostitute nel letto del presidente del consiglio, i giudici
pugliesi sono incappati in una grossa società pugliese, la Sma,
che si occupa, ma guarda tu il caso, di sistemi e servizi per la
protezione ambientale e la gestione di rischi naturali.
Il proprietario di questa società (Enrico Intini) ha pagato una
consulenza di 150.000 Euro ad una società di Giampaolo Tarantini
(il procacciatore di "escort" per l’"utilizzatore finale" Berlusconi).
Il motivo per cui questa consulenza sarebbe stata resa era quello di
far entrare la società di Intini nella lista di società a
cui la protezione civile si rivolge (senza gare d’appalto e senza
riferimento ai prezzi di mercato) per risolvere le emergenze italiane.
La consulenza poi si sarebbe concretizzata con una riunione, alla fine
del 2008, nella sede del Dipartimento della Protezione Civile, in cui
Tarantini avrebbe accompagnato Intini da Bertolaso.
Siccome poi non ci sono state commesse per la società di Intini,
Bertolaso non è entrato (per lo meno finora) in quest’inchiesta.
Incidentalmente segnaliamo un tratto comune tra Tarantini e Bertolaso:
entrambi riescono ad avere ottimi rapporti con i politici, di qualunque
schieramento siano.
Intini, oltre che di Berlusconi, di Greco e di Matarrese, è
intimo di Giuseppe Tedesco, ex assessore della Giunta Vendola, dimesso
perché coinvolto in una truffa alla sanità regionale e
neo parlamentare del Partito Democratico. Bertolaso è transitato
indenne dalla prima alla seconda repubblica, vedendo passare, rimanendo
fermo al Dipartimento protezione Civile, tutti i governi che si sono
succeduti in Italia negli ultimi 15 anni.
Non volendo divagare sulla cosa, ci limitiamo a rilevare come questa
vicenda sia indicativa della totale discrezionalità adottata
nella scelta delle società fornitrici della Protezione Civile.
Il fatto che le ditte che gestiscano le emergenze in Italia siano
scelte in questo modo, fa capire perché in Italia  vengano
gestite come "emergenze" anche eventi assolutamente prevedibili, come i
mondiali di nuoto, le olimpiadi di ciclismo o la gestione dei monumenti
a Roma. Per non parlare delle emergenze, come quella dei rifiuti che
durano per 15 anni, senza che ci sia nessuna volontà di
risolverle, visto che hanno creato un’economia dell’emergenza, con
migliaia di famiglie che vivono proprio di questo.
Questi precendenti non fanno sperare nulla di positivo per gli abitanti de L’Aquila che vivono sfollati.
Ad oggi ci sono 22.870 persone censite in 142 tendopoli. Altri 30.500
aquilani sono ospitati nelle strutture alberghiere lungo la costa
(21.000) o in case private.
Le promesse di Berlusconi, confermate anche di recente da Bertolaso,
sono di realizzare alloggi in legno per 15.000 persone prima del nuovo
anno.
Ora, le prime nevi, a L’Aquila, ci sono a settembre e si annuncia in
ogni caso un autunno sotto la neve per tutti i terremotati ed
aldilà della banale constatazione che di case non ne è
stata ancora costruita neanche una, mi sembra che ci sia qualche conto
che non torna. Gli sfollati (i dati sopra citati sono della protezione
civile) sono 53.370. Le persone cui daranno casa sono 15.000. Ma che
fine fanno gli altri 38.370 terremotati? O forse Berlusconi pensa di
ripromettere, a natale, di ospitare le persone nelle sue case (a
proposito, mi piacerebbe sapere chi, tra le tante persone portate a
villa Certosa con l’aereo di stato, fosse un terremotato abruzzese) o
di mandare in crociera tutti?
L’unica cosa che potrà garantire un inverno non all’addiaccio ai
terremotati aquilani sarà la lotta in prima persona, per
ottenere il diritto di vivere con dignità.


Fricche

Posted in Generale.


Appunti per un quadro sulla situazione abruzzese

da: Umanità nova, settimanale anarchico, n.26
del 5 luglio 2009,
anno 89,
Tutti G8 per terra, Speciale Abruzzo.

 

 

Una regione pre-sisma

Pur non prendendo in considerazione il lavoro nero e sommerso,
né l’ambiguità insita nei numeri relativi al lavoro
atipico e precario (cioè 2/3 dei lavoratori abruzzesi), i dati
della rilevazione della forza lavoro ISTAT del primo trimestre 2009
parlano ugualmente da soli. Sottolineando altresì che l’ISTAT
considera che le persone in cassa integrazione guadagnino come se
fossero occupate, il 2009 si apre per la regione con la seguente
situazione: la forza lavoro conta in totale 548.000 persone, quindi
12.000 unità in meno rispetto al primo trimestre 2008. La
popolazione occupata ammonta a 495.000 unità, con un calo di
26.000 occupati su base annuale, pari al 5%. In relazione alla fascia
d’età 15-64 anni, il tasso di attività scende da 63,9% a
62,2%; il tasso di occupazione scende da 59,6% a 56,0%. Il tasso di
disoccupazione sale da 6,9% a 9,7%, posizionandosi ben al di sopra
della media nazionale. Per settori di attività, l’occupazione
regionale è di 20.000 unità in agricoltura (meno 11.000
rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, con una
diminuzione esclusiva dei lavoratori autonomi del settore), di 156.000
nell’industria (meno 6.000, pari a –3,7%); in questo caso la
diminuzione è attribuibile soltanto al lavoro dipendente; di
319.000 nei servizi, in diminuzione di 9.000 unità tutti fra i
lavoratori dipendenti. I lavoratori dipendenti nel complesso scendono
di 24.000 unità, quelli autonomi calano di 2.000. Le persone in
cerca di lavoro risultano essere 53.000 e crescono di 24.000
unità rispetto al primo trimestre 2008. In sintesi, possiamo
dedurre che al primo trimestre 2009 la situazione generale regionale si
presenta abbastanza difficile, risentendo non solo della crisi
economica nazionale e internazionale, ma anche di cause strutturali
endogene che, giorno dopo giorno, vengono sempre più a galla.

Un Abruzzo post-sismico

A maggio si contano circa 30.000 sfollati e 160 tendopoli sul
territorio. Lo SPI-CGIL denuncia la presenza di 4.000 over75 e 18.000
over65 accampati. Molti di loro non si muovono più dalle tende.
Aumentano bronchiti, broncopolmoniti e malattie infettive. Decine di
migliaia le persone senza più casa; migliaia le persone che
hanno perso il lavoro; migliaia le persone che non percepiscono
reddito. Ciononostante, già all’indomani del sisma che il 6
aprile ha devastato il capoluogo di regione e buona parte della
provincia aquilana, oltre alla conferma del taglio di 1.500 posti nel
settore scuola (1.100 insegnanti e 400 ATA), all’annosa e pesantissima
questione del precariato di pubblica amministrazione e sanità
(centinaia e centinaia; 1.500 sono solo i lavoratori della casa di cura
Villa Pini di Chieti del gruppo Angelini da sei mesi senza stipendio),
continuano a registrarsi quotidianamente tagli, chiusure di aziende e
di attività produttive, licenziamenti, ricorsi selvaggi a cassa
integrazione. Ricordiamo il licenziamento collettivo di 120 operai
della Sorgente Santa Croce spa di Canistro Terme, dove i lavoratori
avevano chiesto di fermare per un’ora la produzione in occasione dei
funerali di Stato e del lutto nazionale. La richiesta scatena le ire
del datore di lavoro: pur senza permesso, i lavoratori abbandonano la
fabbrica per rendere ugualmente omaggio alle vittime e per questo
vengono licenziati. L’improvvisa chiusura della Transcom a L’Aquila e
la messa in mobilità dall’oggi al domani di tutto il personale
(360 unità). Il taglio dei 70 posti Tils, società di
formazione per conto di Telecom Italia, impiegati nel sito della Reiss
Romoli. Già in difficoltà i lavoratori dell’Ama (Azienda
mobilità aquilana, di proprietà del comune di L’Aquila),
le aziende di trasporto Paoli Bus, Sistema e Arpa speculano sulla
situazione, facendo immediatamente ricorso alla cassa integrazione in
deroga. Utilizzo selvaggio della cassa integrazione anche per i
metalmeccanici della Sevel di Atessa e della Val di Sangro (imprese
dove sono impiegati circa diecimila lavoratori), che ha provocato un
forte impatto sui redditi e sulla condizione sociale dei lavoratori.
Complessivamente, l’utilizzo della cassa integrazione ordinaria
è in aumento pazzesco, tanto che l’Abruzzo passa nel mese di
maggio – a un solo mese dal terremoto – dal settimo al quinto posto tra
le regioni italiane nell’utilizzo della CIG per numero di ore e numero
di lavoratori. Dopo Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna,
c’è l’Abruzzo: oltre 3 milioni e 100.000 ore, quasi 19.000
lavoratori in cassa ordinaria, senza contare la straordinaria, gli
ammortizzatori in deroga e i contratti a termine non rinnovati alla
scadenza. La crisi della Sevel di Atessa getta peraltro ombre di
difficoltà sul futuro di tante altre piccole aziende
dell’indotto, costrette a fare i conti con i drastici tagli Fiat e con
la riduzione della produzione. La Sevel, dopo i licenziamenti e le
centinaia di contratti non rinnovati, ha deciso di non prorogare alla
società Albasan di Cassino – i cui dipendenti sono tutti
abruzzesi – l’appalto di alcuni servizi logistici all’interno dello
stabilimento del Ducato, in Val di Sangro. Dal primo luglio i
lavoratori Albasan saranno senza lavoro. Difficoltà anche per i
dipendenti della Solfer, azienda dell’indotto Honda della Val di Sangro
a rischio chiusura. I lavoratori hanno ricevuto la comunicazione
dell’azienda che annuncia l’avvio delle procedure di licenziamento per
8 dei 20 addetti. L’azienda, scaricando sui lavoratori i costi della
crisi, vorrebbe trasferire la lavorazione in Umbria chiudendo la
fabbrica abruzzese.

Le proposte dei movimenti di base

Nell’arco di un mese, gradualmente si spengono sia l’attenzione
dell’opinione pubblica sia i riflettori dei media sul disastro che ha
colpito il territorio aquilano, contribuendo volutamente a determinare
una pericolosa involuzione delle politiche di intervento in atto.
Giustificando il tutto con l’urgenza di gestire una "fase di
transizione verso la normalità", alla popolazione e alla
comunità sono state sottratte le proprie capacità
organizzative, politiche e gestionali, nonché la volontà
di essere soggettività attive, partecipi e determinanti nella
riorganizzazione della vita sociale e politica. Poi la spaventosa
militarizzazione del territorio, quasi da sembrare un laboratorio di
repressione, uno stato di polizia. Poi il D.L. 39/09, cioè il
"decreto Abruzzo", il "decreto-truffa", che delega a Bertolaso la
progettazione e la realizzazione di "moduli abitativi destinati ad una
durevole utilizzazione… in attesa della ricostruzione". E non solo.
Tutta la gestione dell’emergenza-ricostruzione, "dall’ordine pubblico"
all’attuazione di quanto previsto nel decreto-truffa, è nelle
mani di Bertolaso-Berlusconi.
La situazione provinciale, se vista nel quadro complessivo, è
molto grave, più grave di quanto si possa immaginare: la regione
Abruzzo, infatti, con un deficit pubblico che ammonta ad oggi a quasi 4
miliardi di euro, è impegnata con il commissario di governo
nella realizzazione di un piano di rientro caratterizzato da una
politica di tagli indiscriminati alla spesa sociale che, in relazione
alla situazione determinatasi con il sisma, rappresenta un elemento di
forte destabilizzazione. Un deficit che – va ricordato – si è
fortemente aggravato negli ultimi 10 anni a causa della gestione
"familiare" della sanità, sia di centrodestra che di
centrosinistra (Pace-DelTurco), che ha concesso, all’insegna di una
libertà senza uguaglianza, privilegi ai privilegiabili con
immense regalie, determinando il crescente disservizio di cui noi
continuiamo a pagare e a subire sulla nostra pelle le conseguenze.
I movimenti di base, nel definire concretamente le priorità e
gli aiuti indispensabili per la più veloce ripresa di una
quotidianità che si avvicini ad una qualche forma di
normalità, e nell’elaborare un piano d’intervento capace di dare
risposte concrete alle esigenze e ai bisogni reali dei lavoratori e
della popolazione colpita dal sisma, si sono fin da subito messi in
moto nel denunciare che il superamento della condizione non passa
affatto attraverso l’idea di una new town, quale risposta
all’inagibilità di fatto dell’intera città di L’Aquila e
dei centri abitati limitrofi, ma necessariamente per quelli che sono i
reali bisogni della collettività. Da questo punto di vista si
è rimarcata l’assoluta inadeguatezza delle risorse stanziate dal
governo con il decreto-truffa per la ricostruzione – diluite, fra
l’altro, in 24 (ventiquattro!) anni, e, per di più, subordinate
a giochi di prestigio e a "liberi esperimenti creativi" quali lotterie,
giochi a premi, crediti d’imposta che non vi sono, innalzamento dei
tickets, etc. – che, nonostante il gran da farsi dell’apparato
propagandistico governativo, sono risultate agli occhi di tutti
evidentemente insufficienti.
Per far fronte a questa fase è stata elaborata e proposta una
piattaforma sociale di lotta e mobilitazione, che, nei suoi aspetti
essenziali, può essere schematicamente riassunta come segue.
L’azzeramento dell’intero deficit regionale: tale provvedimento
permetterebbe al governo regionale di intraprendere le azioni
necessarie alla ripresa economica (molte sono le industrie che hanno
chiuso e altre rischiano di farlo), di ricostruzione delle abitazioni e
degli edifici pubblici distrutti nello stesso luogo, il monitoraggio e
la messa in sicurezza di tutti gli edifici della regione stanziando il
3% del bilancio regionale.
Il diritto alla casa per tutti.
L’immediata stabilizzazione di tutti i precari del pubblico impiego: in
particolare quelli della sanità impegnati, come tutti,
nell’emergenza sanitaria regionale dettata dagli oltre mille feriti del
sisma e dalla scomparsa dell’ospedale S. Salvatore dell’Aquila.
L’immediato ripristino delle funzionalità primarie: risposta
immediata alla crisi abitativa con l’utilizzo, anche attraverso la
requisizione temporanea, di case private sfitte e/o non abitate come
prima casa per evitare il fenomeno "deportazione" verso il territorio
rivierasco.
Mantenimento prioritario del sistema sanitario e assistenziale che non
può essere delegato a ospedali da campo male attrezzati e male
organizzati così come non può essere "scaricato" sulle
altre Asl che vivono il dramma storico della carenza di personale e che
hanno il problema della non assicurazione dei LEA per i loro stessi
assistiti.
Attenzione particolare alla ripresa delle attività didattiche
nelle scuole e della università (anche per le sue
specialità ed eccellenze di rilevanza nazionale).
Il blocco immediato del taglio di circa 1.400 posti di lavoro nella
scuola (tra insegnanti ed amministrativi) operati dal Decreto Gelmini
nella regione e l’assunzione di altri precari nella scuola, al fine di
evitare l’esodo massiccio di studenti dalle scuole aquilane.
Il mantenimento dell’Università degli Studi de L’Aquila nel
territorio, la stabilizzazione di tutti i precari e l’applicazione di
un vero diritto allo studio, attraverso l’erogazione di borse di studio
in termini di gratuità dei servizi quali trasporti, mensa,
libri, alloggio, etc. per tutti gli studenti colpiti direttamente e
indirettamente dal sisma. L’estensione dell’indennità di
disoccupazione di € 800 non solo agli operatori commerciali ma a tutti
coloro che a far data dal 6 aprile 2009 erano ufficialmente in
attività lavorativa e che attualmente sono senza lavoro. Tale
indennità deve essere erogata senza sospensioni fino alla
ripresa dell’attività lavorativa.
È opinione condivisa che queste sono le fondamentali emergenze e
esigenze, e quindi questi devono essere gli aspetti fondamentali della
ricostruzione. È importante ora focalizzare e programmare gli
interventi, tenendo conto che i tempi sono sempre più ristretti
e che le risorse economiche ci sono: il governo deve solo avere voglia
di trovarle.

Il protagonismo, le richieste e la protesta della popolazione

Molto importante è stato l’impegno portato avanti dai comitati
di cittadini costituitisi all’indomani del sisma, promotori
innanzitutto del processo di ricomposizione del tessuto sociale e
connettivo, poi di iniziative assembleari di critica al decreto-truffa
e delle manifestazioni aquilane di protesta del 30 maggio e del 3
giugno. Quest’attivismo è confluito nell’attivazione della rete
dei comitati, nella "campagna 100%", nell’organizzazione della
mobilitazione romana del 16 giugno davanti Montecitorio. In
quest’ultima hanno partecipato un migliaio di persone, quelli che
vivono ancora nelle tende e quelli "deportati" sulla costa, tutti
solidali con una città "sciacallata e svenduta". La
consapevolezza crescente è che nessuno regalerà nulla,
che ogni piccolo diritto va gridato e preteso a voci unite, che quello
che sta succedendo a L’Aquila è lo specchio di un programmatico
e costante processo di sottrazione e restringimento degli spazi di
democrazia. La chiave di volta di una ricostruzione efficiente è
quella dal basso, in cui i cittadini siano forze attive nel pretendere
trasparenza, partecipazione e ricostruzione al 100%. La parola d’ordine
è: "paesi e città li ricostruiamo noi!". La "campagna
100%", di cui si riportano i tratti essenziali, sintetizza molto bene
l’impegno e l’insieme delle istanze su cui vertono le battaglie in
corso dei comitati.

100% ricostruzione
Gli edifici distrutti o danneggiati dal sisma devono essere tutti
ricostruiti o riparati. È quel che è accaduto negli altri
terremoti. È quello che deve essere assicurato anche alla
città di L’Aquila e al suo territorio. I limiti ai finanziamenti
introdotti per i terremotati aquilani in relazione a distinzioni fra
tipi di edifici, di proprietà, di danno sono inaccettabili. Al
recupero e al restauro del patrimonio storico-artistico, urbanistico e
monumentale devono essere assicurati i fondi e le competenze
necessarie. I finanziamenti previsti non lasciano alcuna speranza circa
la sorte dell’insieme straordinario di beni architettonici, artistici,
culturali in genere che il terremoto ha così duramente ferito.
Al loro recupero e alla restituzione ai cittadini del centro storico
vanno destinate norme specifiche e finanziamenti adeguati. Bisogna dare
a scuole e università la certezza di riaprire, in autunno, i
loro battenti in città. Si ripari, si ricostruisca, si
allestiscano sedi provvisorie. Si dia certezza alle famiglie. Si
riportino a L’Aquila le sedi universitarie che sono state incautamente
disperse. Si creino le condizioni perché le amministrazioni
pubbliche tornino a L’Aquila con il complesso delle loro
attività. Non si lavora alla rinascita di una città
capoluogo di regione frammentando e disperdendo le sue funzioni. Non si
restituisce una parvenza di vita normale ai cittadini rendendoli nomadi
fra una sistemazione remota e un lavoro dislocato altrove. Alla
ricostruzione si assicurino finanziamenti adeguati e certi, in tempi
rapidi. Il decreto affida il reperimento di fondi al taglio delle spese
e al ricavato di nuovi "gratta e vinci", ma la ricostruzione non
è un gioco e va pagata con soldi veri e sicuri. La stima dei
danni, e quindi dei costi, deve essere coerente con la comparazione
fatta con i danni del terremoto di Umbria e Marche, che sono stati
valutati di 4 volte inferiori. I 45 milioni di euro di finanziamento in
quattro anni previsti dal decreto sono meno di uno specchietto per le
allodole, certo non la premessa della rinascita economica. Ma senza
lavoro la città muore comunque. Bisogna dare certezza immediata
di un compenso adeguato a chi ha subito la prevaricazione
dell’esproprio. Famiglie già duramente colpite dal terremoto
sono state private di un reddito possibile, dei proventi di
un’attività agricola familiare, della prospettiva di uno spazio
dove allestirsi almeno una sistemazione provvisoria. Il decreto prevede
per loro un compenso ignoto, che conosceranno forse fra sei mesi.

100% partecipazione
I cittadini devono essere coinvolti nelle scelte che tracciano il loro
futuro. Le decisioni che oggi si assumono condizionano in maniera
stringente la vita presente e segneranno la storia della città e
dei suoi abitanti per i prossimi decenni. È inaccettabile che
siano calate dall’alto, ignorando la volontà di coloro dei quali
determineranno il destino. Le scelte tornino al territorio. Siano
ripristinate tutte le forme di "tutela del cittadino" che la normativa
di gestione del dopoterremoto ha derogato, dal pieno diritto di accesso
agli atti amministrativi, alla tutela dell’ambiente, dalle disposizioni
in materia di espropriazione per pubblica utilità, al codice dei
contratti pubblici.

100% trasparenza
Il flusso del denaro deve essere sempre visibile, tracciabile, chiaro.
La provenienza dei finanziamenti, la loro destinazione, i costi della
gestione dell’emergenza e della ricostruzione, l’impiego delle
donazioni e le spese della Protezione civile devono essere messi a
disposizione dei cittadini, in forma comprensibile, in dettaglio e in
tempo reale. Le decisioni assunte e le loro ragioni devono essere
comunicate con tempestività e trasparenza. I piani e i programmi
di intervento, i loro autori, le informazioni e i dati sui quali essi
si fondano, devono essere messi a disposizione dei cittadini per tempo
e con chiarezza. Ciascuna istituzione deve render noto senza reticenze
il ruolo che ha svolto e sta svolgendo, assumendosene la doverosa resposabilità.

 Da subito
Siano resi ai cittadini nelle tendopoli i loro diritti inviolabili, di
informazione, di circolazione, di assemblea. Si rimuovano i divieti
pretestuosi e non necessari che offendono gli uomini liberi, tanto
più se in condizioni di bisogno, e si trattino gli abitanti dei
campi come uoimini, non come ospiti incapaci. Si restituiscano gli
abitanti alla città. Si lavori a soluzioni alternative alla
costosa sistemazioni in albergo, lontano dai propri concittadini e dai
propri luoghi. Questa deportazione priva di certezze è la
premessa dello spopolamento. Si torni indietro rispetto alla decisione
inumana del lungo soggiorno nelle tende. Il caldo dell’estate, il
freddo dell’autunno e forse dell’inverno, la convivenza forzata, il
disagio dei servizi igienici precari e comuni infliggono una sofferenza
intollerabile a chi ha perso già tutto. Si restituisca ai
cittadini al più presto, come è accaduto per gli altri
terremoti, la dignità e il conforto di un alloggio decoroso e
privato nel quale ritrovare la parvenza di una vita propria. Si riveda,
di conseguenza, in maniera sostanziale il piano C.A.S.E.
È, nella sua forma attuale, una soluzione inaccettabile per i
lunghi tempi di permanenza nelle tende che impone, devastante per un
territorio rurale, nel quale inserisce palazzine urbane e una
densità di popolazione che trasformano i paesi in periferie,
insufficiente per le esigenze di alloggi alle quali nei prossimi mesi
si dovrà fare fronte, tanto più perché fondata
sulla scommessa che la terra smetta di tremare. Si dia risposta alle
giuste richieste dei vigili del fuoco. La gratitudine meritata con la
competenza, la vicinanza, il rischio corso per portarci aiuto ci pone
al loro fianco.

edo

 

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MARCELLO SI RICORDA, MARCELLO SI VENDICA! SABATO 11 LUGLIO, ORE 17: PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE “LE SUGHERE”

da:indymedia

Perchè il ricordo di Marcello Lonzi, ucciso 6 anni fa dai secondini
durante un pestaggio selvaggio nel carcere "Le Sughere" di Livorno, non
venga mai cancellato.
Perchè Marcello purtroppo non è stato e non sarà il solo.
Perchè sappiamo che lo stato uccide, per mano di polizia e carcerieri, nelle patrie galere e nelle nostre strade.
Perchè le vessazioni e le torture non vengono inflitte solo in luoghi
lontani, ma anche nelle nostre "democratiche" città. Nell’indifferenza
sta la macabra e scomoda realtà delle cose, a due passi dalle nostre
case, dai nostri posti di lavoro, basta solo alzare finalmente la testa.
Perchè non rimarremo mai indifferenti e non ci volteremo mai dall’altra
parte di fronte alle nefandezze e agli orrori che lo stato per il
profitto e il mantenimento del proprio èpotere, elargisce a piene mani,
ogni giorno, perchè sappiamo che lo stato non processerà mai se stesso
e che la giustizia non si trova nei tribunali.
E la rabbia arderà sempre piu’ nei nostri cuori, e la asolidarietà si fa arma.
A sei anni9 dall’11 luglio 2003 lo stato continua a difendere i suoi scagnozzi.
Per noi sin dal primo giorno gli assassini di Marcello hanno un nome: le guardie, il carcere, lo stato.

MARCELLO SI RICORDA, MARCELLO SI VENDICA!
SABATO 11 LUGLIO, ORE 17: PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE "LE SUGHERE"

Dalla mamma di Marcello:

Mio figlio e’ morto l’11 luglio nel 2003 nel carcere Le Sughere di
Livorno. Faceva molto caldo come oggi, ero li’ sola a combattere, o per
meglio dire, cominciavo una battaglia piu’ grande e pericolosa di me.
Ricordo chiaramente che i secondini fecero di tutto per non farmi
lasciare un mazzo di fiori li’, su quel piccolo spazio in un angolo
vicino al cancello del carcere. Erano in 5, una donna e 4 uomini, fu
proprio lei, un’ ispettrice che guardandomi negli occhi mi disse che
non potevo lasciare lasciare li’ i fiori. Poi, vedendo la mia
insistenza, mi chiese:”Signora, ma ha pagato la tassa al comune?
Perche’ sta occupando un suolo pubblico!” Non credevo a quelle parole,
mio figlio era morto, lo avevano ucciso, ma per loro c’era solo
freddezza e indifferenza.
Oggi a distanza di 6 anni, grazie a voi tutti! alle persone che ho
conosciuto personalmente, ma un grazie particolare va a coloro che sono
venuti da lontano per starmi vicino nella mia battaglia per la verita’.
Senza voi tutti non so se sarei riuscita ad andare avanti, perche’ la
forza me l’avete trasmessa, di mio c’e’ che sono una che non molla. Ci
sono stati degli indagati, e siamo arrivati quasi al capolinea, una
battaglia che piano piano abbiamo percorso insieme, ed insieme la
dobbiamo vincere.

SABATO 11/7 DALLE ORE 17 SARO’ ANCORA DAVANTI AL CARCERE PER RICORDARE
L’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI MIO FIGLIO MARCELLO. SPERO CHE SAREMO IN
TANTI.
UN ABBRACCIO FORTE E UN GRAZIE A TUTTI

MARIA CIUFFI


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