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REPRESSIONE A FIRENZE: Comunicato del Coordinamento Studentesco Livornese

11/05, firenze:
LA POLIZIA ATTACCA GLI STUDENTI MEDI A COLPI DI CASCHI E MANGANELLI
AL TERMINE DI UN CORTEO SPONTANEO
NUMEROSI FERITI E DENUNCIATI


Lunedì 11 a Firenze davanti al Liceo Michelangelo la Rete dei Collettivi Studenteschi Fiorentini aveva
organizzato una "merenda autoorganizzata" e un presidio contro la repressione nelle scuole e la
soppressione degli spazi autogestiti.
Questo presidio era stato organizzato in seguito alla decisione del preside del Michelangelo, candidato
a Firenze per il centro-sinistra nella lista di Renzi, di vietare alla Rete dei Collettivi di riunirsi
nell’Aula Autogestita, nella quale da tempo si svolgevano le assemblee della Rete.
Questo atto del preside è solo uno degli ultimi tentativi di reprimere, criminalizzare ed isolare gli
studenti della Rete dei Collettivi, gli unici a portare avanti a Firenze una lotta autoorganizzata nelle scuole;
già al Liceo da Vinci al Collettivo Studentesco Autonomo era stato proibito di riunirsi all’interno
della loro scuola.
Il presidio di lunedì aveva portato in piazza circa 60 studenti, a dimostrazione del fatto che denunce,
provvedimenti disciplinari, minacce ed atti repressivi fuori e dentro le scuole non sono riuscti in
questi mesi ad isolare gli studenti della Rete, a bloccare la lotta autoorganizzata.
Vista la presenza di decine di studenti al presidio, è partito dal Michelangelo un corteo studentesco
spontaneo che ha attraversato il centro, fermandosi davanti alla prefettura per poi ritornare di
fronte al Liceo.
Praticamente a fine corteo, a 200 metri dalla scuola, un agente della DIGOS ha aizzato l’antisommossa
contro gli studenti che gli stavano urlando di smettere di filmare i manifestanti. Improvvisamente
quindi gli studenti sono stati caricati prima a colpi dei caschi che ancora la polizia non aveva
indossato e poi a colpi di manganello. Un ragazzo minorenne ferito gravemente al volto è stato
ricoverato con gli zigomi rotti e lesioni ad un occhio, altri hanno dovuto far ricorso al pronto
soccorso, alcuni sono stati fermati e portati in Questura.
Quanti sono riusciti a scppare si sono poi mossi, dalla Facoltà di Lettere e Filosofia, sotto la
Questura per chiedere il rilascio dei fermati e denunciare le violenze subite.
La polizia ha caricato di nuovo, c’è stata una sassaiola e poi una dura carica
che ha disperso il presidio. Sono stati fermati e portati in Questura altri studenti che stavano
scappando, presi dalla polizia che aveva dato il via ad una caccia all’uomonelle strade circostanti.
Quanto è successo a Firenze lunedì è gravissimo, l’attacco della polizia a corteo ormai terminato
e le cariche sotto la Questura confermano il ruolo repressivo e provocatorio delle forze dell’ordine,
finalizzato ad isolare chi lotta.
Alcuni studenti sono finiti in ospedale, alcuni saranno denunciati per manifestazione non autorizzata,
oltraggio, lesioni e danneggiamento.
Ma non sono riusciti ad isolare, anzi, hanno solo rafforzato i legami di solidarietà tra le realtà
studentesche, hanno mostrato qual’è il vero mestiere delle forze dell’ordine.
Vorrebbero infliggere colpi duri agli studenti autoorganizzati di firenze, togliere loro ogni spazio di
azione politica, di autogestione e di intervento, metterli in ginocchio perché nel prossimo anno
scolastico non costituiscano più un problema.
Questi attacchi, che non vanno a danneggiare solo la Rete ma tutti gli studenti fiorentini,
possono esser respinti solo aprendo spazi di intervento là dove la repressione vorrebbe chiuderli,
impedendo con la solidarietà attiva l’isolamento delle realtà studentesche in lotta.

Per questo come Coordinamento Studentesco Livornese abbiamo organizzato mercoledì 13, sotto la
Prefettura di Livorno un presidio di solidarietà agli studenti fiorentini caricati dalla polizia, al quale hanno
partecipato circa una trentina di persone e che si è concluso con un volantinaggio nelle piazze del centro
e con l’affissione di alcuni striscioni.

ESTENDERE LA SOLIDARIETA’,
RILANCIARE LA LOTTA!

COORDINAMENTO STUDENTESCO LIVORNESE

Posted in Scuola/Università.


CONTRO LE POLITICHE SECURITARIE DEL GOVERNO

Normal
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14

-Per la solidarietà tra gli sfruttati

-Per la libertà di espressione, di manifestazione, di sciopero

-Per l’affermazione dell’autonomia delle donne

 

SABATO 4 APRILE

ASSEMBLEA DIBATITO

Presso la F.A.L. in via degli asili 33

 

SABATO 18 APRILE ORE 17

PRESIDIO

P.ATTIAS

 

 

Collettivo Anarchico Libertario

Federazione Anarchica Livornese

Posted in Iniziative.


CONTRO LE POLITICHE SECURITARIE

NO AL RAZZISMO, ALLO SFRUTTAMENTO, ALLA REPRESSIONE DEL DISSENSO

 

Ogni giorno ci viene
ripetuto che la criminalità è in aumento, soprattutto a causa di persone
immigrate; ma è veramente così?
Il governo bombarda i cittadini con questa campagna di paura e di odio razzista
sfruttando abilmente gli organi di informazione, che alimentano il senso di
paura nel tessuto sociale, aprendo la strada, in nome della “ sicurezza”, a
provvedimenti fortemente autoritari e repressivi nei confronti degli strati
sociali più deboli. Il risultato di queste politiche è l’aumento della
repressione da parte dello stato: si vuole arginare il malcontento sociale
spostando l’attenzione su questioni spesso fittizie e montate ad arte,
favorendo frammentazione e divisione tra quelle fasce sociali che potrebbero
contrastare l’ordine politico ed economico.
La questione della violenza sessuale è, in questo senso, esemplare: secondo le
statistiche del 2007 il 90% degli stupri avvengono all’interno delle mura domestiche
o comunque per mano di familiari e conoscenti,mentre
solo il10% è attribuibile ad estranei. Quello che viene evidenziato ogni giorno
dai mezzi di comunicazione è invece il contrario: i canali d’informazione
concentrano l’attenzione solo su quei "casi esemplari" che permettono
di diffondere nell’immaginario della popolazione l’equazione
immigrato=criminale / immigrato=stupratore.

Per comprendere a fondo quello che sta accadendo è importante analizzare alcuni
aspetti della questione.
b
IL MODO IN CUI VIENE CREATA L’ "EMERGENZA SICUREZZA" NELLA
ATTUALE SITUAZIONE POLITICA.


-L’USO STRUMENTALE DEGLI STUPRI AL FINE DI FOMENTARE L’ODIO RAZZIALE.

 

-LA RIDUZIONE DEL RUOLO
DELLA DONNA A PRIMA PROPRIETA’ DEL MASCHIO,
CHE DEVE ESSERE PROTETTA DALLO "STRANIERO INVASORE".

-L’USO DEI FENOMENI DI INTOLLERANZA E DI ODIO RAZZIALE
APPOSITAMENTE ALIMENTATI ALLO SCOPO DI CREARE ANTAGONISMI E ROMPERE I LEGAMI DI
SOLIDARIETA’ ESISTENTI TRA QUEGLI STRATI SOCIALI CHE POSSONO METTERE IN PERICOLO
L’ORDINE POLITICO ED ECONOMICO.

 

  

Collettivo Anarchico Libertario

Federazione Anarchica Livornese (F.A.I.)                                                                

Posted in Antirazzismo.


Stupri e guerra: il corpo delle donne come terreno di contesa. 1991-2009

http://www.womenews.net/spip3/spip.php?article3758

 

Quanto siamo coscienti delle trame di senso che legano quanto
accade intorno

a noi?

Stupri e guerra: il corpo delle donne come terreno di contesa.
1991-2009

Riceviamo da "Articolo 3 – Osservatorio sulle
discriminazioni", che opera a
Mantova dall’aprile 2008 e
che ringraziamo per la collaborazione, questa
nota – pubblicata
anche nella loro news letter – che alle immagini della
nostra
attualità associa "periodi ben più cupi" per la
(…)
Maria Bacchi


L’aria è resa fosca dalle parole che si intrecciano nel
corso delle
trasmissioni televisive, sulle pagine dei giornali:
guerra, stupri,
emergenza, espulsioni, ronde.

Nel malessere diffuso vien da fare associazioni, forse un po’
azzardate ma
istruttive, con periodi ben più cupi che hanno
insanguinato terre a noi
molto vicine come la ex Jugoslavia, dove
guerre moderne e già dimenticate
hanno devastato meno di
vent’anni fa una società evoluta attraversata da una
grave
crisi politica, economica e istituzionale

Il Piano Ram

1991: Slovenia e Croazia proclamano la propria secessione dalla
Repubblica
federale Jugoslava, la Bosnia sembra non dover essere
toccata dalla tragedia
(che esploderà invece in quella repubblica
un anno dopo). In agosto l’ultimo
presidente del Consiglio
federale, Ante Markovic, di fronte alle sanguinose
devastazioni
della Croazia, rende noto il cosiddetto Piano Ram: vi viene
descritta
nei dettagli l’organizzazione della futura guerra serba in
Bosnia
Erzegovina; si prevedono le fasi della pulizia etnica che
precederà la
spartizione del territorio; in base a un’articolata
analisi antropologica e
geopolitica si valuta l’opportunità
tattica della violenza sessuale ai danni
delle donne per
disgregare il tessuto multiculturale delle comunità
bosniache.

Fu proprio in questo modo che iniziò, inattesa e incomprensibile
ai
cittadini, la guerra in molti villaggi di quella regione, con
terribili,
apparentemente inspiegabili, episodi di violenza sul
corpo delle donne. Una
violenza che destava paura, smarrimento,
colpevolizzazione nelle donne
stesse (quando non ne morivano) e
nei ‘loro’ uomini che non erano stati in
grado di difenderle.
E poi rivalsa, e nuova violenza maschile, spesso contro
le donne
dell’Altro.

Il corpo femminile diventa così, letteralmente, territorio di
contesa. Ma
non è pura barbarie, è devastazione premeditata e
‘scientificamente’
fondata. Lo stupro, in Bosnia come in
Ruanda, in Somalia, in Algeria e in
ogni guerra moderna, non è
‘conseguenza’ della guerra ma arma che affianca
tutte le
operazioni di pulizia etnica.

Negli anni Novanta uomini armati violentavano il corpo delle
donne
dell’Altro per farne terreno di conquista, luogo di
disseminazione e
inseminazione etnica. Mentre i mass media
sbattevano vittimisticamente gli
stupri etnici in prima pagina
ogni giorno, i centri antiviolenza di città
come Belgrado e
Zagabria si riempivano di donne che chiedevano ad altre
donne
aiuto contro l’esplosione senza precedenti della violenza
domestica.

I movimenti antinazionalisti e pacifisti, quelli che lottavano
perché le
città e i paesi non si frantumassero in base alle
appartenenze etniche,
furono animati soprattutto dalle donne del
movimento femminista, dai giovani
che si rifiutavano di
imbracciare le armi, dai movimenti di gay e lesbiche,
dalle radio
libere, dai giornalisti e dai giuristi democratici.

Quando, a guerra finita, venne il momento della ricostruzione
partì da loro
– in Serbia, in Bosnia, in Croazia, in Slovenia,
in Kosovo – quel minimo di
società civile democratica che mise
in crisi i despoti nazionalisti e iniziò
a riparare le ferite
cercando di riportare verità e giustizia. Si poté
ricominciare a
vivere perché le vittime della violenza e della
discriminazione
più feroci si fecero presidio per il ripristino della
democrazia.

Un fosco 2009

L’aria è fosca e pesante nell’Italia del 2009. Un’aria
infetta che
respiriamo anche noi, nella tranquilla provincia
padana. Una brutta
sensazione, qualcosa che evoca paura e
arbitrio, arriva dalle notizie sulla
retata contro una settantina
di uomini e donne sudamericani, in prevalenza
di nazionalità
brasiliana, operata dalle forze di polizia della nostra città
nella
notte fra domenica e lunedì (La polizia sgomina la gang delle
patenti
false, "Gazzetta", 24 febbraio 2009; Tremila
euro per un set di documenti
falsi, "Gazzetta" 25
febbraio 2009, […]).

Il racconto del quotidiano è abbastanza rassicurante. Non
altrettanto le
telefonate che ci sono giunte da amici e amiche che
con alcune di queste
persone erano in contatto in quanto badanti,
addette alla pulizia delle
scale, colf: molte telefonate a
raccontarci irruzioni notturne; a dirci di
gente che non aveva mai
avuto un passaporto falso, anche se magari non era
ancora in
regola con i documenti, trascinata via, interrogata e
spedita
immediatamente in un centro di identificazione ed
espulsione in attesa
dell’espatrio.

Colpisce la relativa novità del metodo: la retata ‘etnica’,
massiccia,
operata in piena notte, l’espulsione immediata
soprattutto di chi, magari
perché in possesso di documenti veri,
era subito identificabile; e poi, per
ora, l’invisibilità dei
mercanti di identità fasulle (quanti italiani, tra
loro?).

E il senso di angoscia aumenta pensando ai ragazzini afghani
inghiottiti
dalle nebbie padane di cui abbiamo parlato nelle
nostre precedenti
newsletter. Sappiamo per certo che non sono più
nella nostra città; che non
sono state offerte loro le
opportunità e le garanzie che la legge prevedeva
per tutelarli,
che le versioni delle diverse forze preposte all’ordine
e
all’applicazione delle leggi contrastano tra loro. E questo ci
preoccupa,
anche perché si trattava di minorenni non accompagnati
e il nostro
territorio ha mostrato di essere impreparato a far
fronte a questo tipo di

problemi.

Guerra

Forse è vera la pesante affermazione del sindaco leghista di
Chiari,
senatore Alessandro Mazzatorta, durante una recente
puntata de L’Infedele:
contro i clandestini il governo sta
conducendo una vera e propria “guerra”.
Così come è in
guerra, con il favore di un popolo che torna ad essere
incline al
linciaggio, contro gli stupratori rumeni, tunisini,
marocchini,
albanesi. Molto meno contro i branchi di maschi
nazionali che danno fuoco
agli immigrati, violentano le amiche o
le donne straniere, e ancor meno
contro i mariti e i conviventi
che stuprano e picchiano le ‘loro’ donne.

E, come in ogni guerra, la stampa enfatizza le emozioni: piovono
notizie di
stupri, drammaticamente veri o caricaturalmente
presunti. A Suzzara una
giovane donna deve “cercare di
divincolarsi dai pesanti sguardi” di tre
marocchini un po’
alticci (Tentano di molestare una ragazza, "Gazzetta",
22
febbraio 2009). La notizia non esiste, ma il titolo è a
quattro colonne, ben
visibile nella sua inconsistenza.

E in prima pagina, a sei colonne, a caratteri cubitali: Tenta lo
stupro in
centro, preso ("Gazzetta", 24 febbraio 2009) e
Lo studente violentatore non
era solo ("Gazzetta", 25
febbraio, […]). E qui la molestia c’è stata,
eccome, da parte
di un ventenne (diciottenne nel secondo articolo) –
studente,
regolare, magrebino – che ha assalito una donna in pieno
giorno
urlando come un ossesso nel centro di Guidizzolo. Ma non
c’è stato stupro e
forse in quelle circostanze nemmeno voleva
esserci: lei è scappata, è corsa
dai carabinieri e lui è stato
arrestato mentre vagava per il paese con un
amico ancor più
giovane di lui.

Rabbia? Smarrimento? Disperata nostalgia di un luogo capace di
dare identità
e accoglienza? Bisogno di rivalsa su una società
sempre più ostile? Con una
prontezza sconcertante la Lega dà
vita proprio a Guidizzolo a due immediate
iniziative di risposta:
la creazione di una nuova sezione e il gazebo per la
raccolta di
firme a favore della castrazione chimica e contro
l’immigrazione
clandestina. Autoproclamandosi “simbolo della
guerra alla violenza”.

Stranieri inferociti si avventano sulle donne negli spazi pubblici
e
italiani ebbri, spesso giovani e in branco, ubriacano e
violentano, in
rituali dal gusto mortifero, le ‘proprie’
compagne, magari filmandole. Ma
certo con meno clamore. Sui
pilastri della statale che porta a Brescia,
all’altezza di
Montichiari, giganteggiano due scritte: “albanesi puttane”;
“rumene
puttane”: deliri di maschi rabbiosi. Maschi italiani,
probabilmente,
forse quelli che in quell’area della Padania si
offrirebbero per organizzare
ronde.

Tutto questo mentre la crisi economica incalza, togliendo
prospettive e
sicurezza, e l’opposizione democratica è debole,
divisa e confusa. Di fronte
a ogni collasso di un sistema
democratico, di fronte a qualunque logica di
guerra, il corpo
femminile viene investito di simboli che ne fanno luogo di
contesa
e di controllo. Sparisce la cittadina, con la sua soggettività
e
l’inviolabilità dei suoi diritti, e compare la preda: quanto
siamo coscienti
delle trame di senso che legano quanto accade
intorno a noi?

ARTICOLO 3 – osservatorio sulle discriminazioni

Posted in Antisessismo.


Torino. Sangue oltre il muro

Un tiepido sabato di marzo quello del 14. Ma non al CIE di corso
Brunelleschi, non per tre prigionieri che non vogliono rassegnarsi alla
deportazione. Il sabato è il giorno dei tunisini, il giorno in cui di
solito arrivano i poliziotti per scortarli all’aeroporto.
Tre di loro lo sanno e sono pronti a resistere: due si tagliano le mani e
poi anche il corpo, un terzo ingoia qualcosa. La Croce Rossa, che gestisce
il CIE, vorrebbe portarli via ma loro tengono duro: il sangue è
dappertutto. C’è gente disposta a farsi male, anche tanto male, pur di non
essere riportata a forza in un paese dal quale è fuggita pagando metro
dopo metro il viaggio verso la speranza di un’altra vita. Un segno forte
dei tempi che viviamo. Tempi terribili.
Le ferite sul corpo di quei tre uomini sono inferte nel profondo della
coscienza di ciascuno di noi, incapaci di reagire adeguatamente, di dar
forza reale alla nostra solidarietà, che arriva sempre, inevitabilmente,
in ritardo.
Il CIE resta nel caos sino alle 16, quando un’ambulanza porta via i
feriti. Nessuno dei tre tunisini parte quel giorno: hanno pagato con il
sangue questa piccola vittoria.
Gli antirazzisti arrivano al CIE qualche ora dopo. Lanciano palline oltre
il muro. Dentro un numero di telefono: chiamano in tanti dalle gabbie per
senza documenti. Il muro resta lì a testimoniare la vergogna di questo
nostro tempo. Per qualche ora, grazie a quel telefono, un grido di libertà
riesce ad oltrepassarlo. Poco, troppo poco.

Federazione Anarchica Torinese – FAI
Corso Palermo 46
La sede è aperta ogni giovedì dopo le 21
fai_to@inrete.it

Posted in Antirazzismo.


SABATO 21 CONTESTAZIONE DI TREMONTI A PISA

CONCENTRAMENTO CORTEO ALLE ORE 9:00 IN P.ZA S.ANTONIO

IL MINISTRO TREMONTI SARA’ PRESENTE PER L’INIZIATIVA "MANIFUTURA" ORGANIZZATA DA UN’ASSOCIAZIONE FONDATA DA BERSANI, PARLERANNO DI CRISI E DI INDUSTRIA, GLI STUDENTI MEDI ED UNIVERSITARI ED ALCUNE ORGANIZZAZIONI POLITICHE E SINDACALI SI SONO DATI APPUNTAMENTO PER "ACCOGLIERE" IL MINISTRO.

PER PARTECIPARE DA LIVORNO IL COORDINAMENTO STUDENTESCO LIVORNESE HA DATO APPUNTAMENTO PER LE 9:00 IN STAZIONE PER PRENDERE IL TRENO DELLE 9:11.

 

Posted in Scuola/Università.


LA SICUREZZA DEI PADRONI UCCIDE

da a-infos

 

Il modo migliore per tenere le persone sotto controllo è impaurirle.
Con la crisi economica che ci affama tutti indistintamente, il potere
politico gioca la carta dell’emergenza-sicurezza per distrarre
l’opinione pubblica dalle vere emergenze quotidiane: disoccupazione,
difficoltà ad arrivare a fine mese, precarietà, incertezza del futuro.
Per scaricare le frustrazioni collettive vengono individuati i
bersagli più facili: gli immigrati e, più in generale, i poveri
diventano il capro espiatorio per tutto ciò che va male.
Persino l’infamia degli stupri è stata strumentalizzata per creare il
decreto-sicurezza, un provvedimento con cui, di fatto, si restringe
paurosamente la libertà di espressione e si criminalizza qualunque
comportamento giudicato non compatibile con l’ordine costituito.
Con la scusa della “sicurezza” il governo ha addirittura legalizzato
le ronde. Ovvero, gruppi di esaltati (fascisti e razzisti assortiti)
pronti a perseguitare immigrati, prostitute e barboni con la scusa
della giustizia-fai-da-te.
Anche il mondo del lavoro viene colpito dalla repressione governativa
con gli attacchi al diritto di sciopero. Alla faccia della retorica
sui morti sul lavoro e sulla mancanza di tutele.
Nel frattempo, i politicanti continuano a vivere nei loro privilegi e
i padroni continuano a speculare sulla pelle dei lavoratori e della
povera gente.
Dietro la cortina di fumo della sicurezza si nasconde una realtà
durissima: il paese è devastato e la sua classe politica alimenta
questo disagio, fomenta le guerre fra poveri e il disordine
dell’ingiustizia sociale.
La crisi non è un incidente di percorso ma il risultato più naturale
del capitalismo, un sistema economico assassino e ingiusto che
dimostra ogni giorno di più la sua ferocia.
Lo stato e tutte le articolazioni del potere hanno un solo obiettivo:
difendere gli interessi dei ricchi e perpetuare il loro dominio sulla
società.
Non tutto è perduto se apriamo gli occhi e ci svegliamo dal torpore.
I veri nemici non sono gli immigrati, ma quelli che ci umiliano ogni
giorno con contratti da fame, con pensioni vergognose, con lo
sfruttamento mascherato da flessibilità.
I veri nemici non sono i poveri o i senza casa, ma quelli che fanno
affari miliardari con la speculazione finanziaria alla faccia dei
lavoratori e in barba all’economia reale ridotta al collasso.
I veri nemici non sono quelli che manifestano per la libertà di tutti,
ma quelli che scatenano la paura per poi reprimere e perseguitare in
nome della loro libertà di comandare meglio.

In questi tempi in cui le menzogne sono pane quotidiano, dire la
verità è un atto rivoluzionario.

RILANCIAMO LE LOTTE PER LA LIBERTÀ E L’UGUAGLIANZA !

Coordinamento Anarchico Palermitano

http://coordanarchicopa.blogspot.com

A – I n f o s     Notiziario Fatto Dagli Anarchici
Per, gli, sugli anarchici
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Economia politica dello stupro

(da Umanità Nova n.9 dell’8 marzo 2009)


Di fronte agli stupri di queste ultime settimane accompagnati dal
vergognoso rito delle strumentalizzazioni in chiave "anti-immigrati" e
"sicurezza" (e con il solito contorno di decreti legge urgenti e
istituzione di ronde fasciste), mi chiedo se siamo condannate alla
ripetizione, una ripetizione oramai logorante e che sembra smentire
quel repetita iuvant che tante volte in questi anni mi sono ripetuta
(ci siamo ripetute).
Mi chiedo (con molta rabbia e nessuna rassegnazione): quante volte
ancora sarà necessario denunciare quella che definisco economia
politica dello stupro? Perché, purtroppo, lo sappiamo: la storia
non è nuova.
Ne parlava già Angela Davis più di vent’anni fa in Sex,
Race and Class, quando denunciava l’uso del "mito dello stupratore
nero" nell’America razzista dei linciaggi e della supremazia bianca. Ma
forse potrebbe tornarci utile cominciare a ricostruire, anche solo per
frammenti, la storia della versione italica del mito.
Il 30 ottobre 2007; a Roma, una donna viene brutalmente aggredita,
picchiata e stuprata. La donna, Giovanna Reggiani, morirà, senza
riprendere conoscenza, qualche giorno dopo, mentre lo stupratore,
Romulus Mailat, sarà in seguito condannato a 29 anni di carcere.
Basta dare un’occhiata ai dati Istat 2007 (che, con variazioni minime,
sono validi a tutt’oggi), per avere conferma che questo episodio,
seppur terribile, non rappresenta un’eccezione: in Italia, patria
dell’amor cortese e del delitto d’onore, milioni di donne sono vittime
di gravi violenze fisiche e psicologiche fino all’omicidio e circa 200
al giorno sono gli stupri (o tentati stupri) che si consumano
nell’assordante silenzio e indifferenza dei media mainstream e dei
poteri pubblici e politici.
Eppure intorno a questa vicenda si scatena immediatamente un’imponente
campagna mediatica e politica che dura molte settimane, al punto che il
nome di Giovanna Reggiani (insieme forse a quello di Hina Salem)
diviene uno dei pochi nomi di donne vittime di violenza sessuale
entrati nella memoria collettiva. Non credo sia superfluo chiedersi
perché.
La risposta è brutale: a differenza di centinaia di altri
episodi che non hanno meritato neanche un trafiletto, questo ha come
"protagonisti" un uomo e una donna dalla "pelle giusta", per dirla con
il titolo di un libro di Paola Tabet. Giovanna Reggiani è la
vittima perfetta (italiana, moglie e lavoratrice esemplare, tra l’altro
attiva nel volontariato cattolico) così come Romulus Mailat
è lo stupratore perfetto: è nel "nostro" paese
illegalmente, vive in una baracca sepolto dall’immondizia, dedito al
furto, è un cittadino rumeno di etnia rom, o meglio (o forse,
strumentalmente, soprattutto) un "romeno" come viene prontamente
ribattezzato dalla maggior parte della stampa (che svela profonda
ignoranza: perché se molti rom hanno la cittadinanza rumena, ve
ne sono anche di macedoni, kosovari e serbi, ma la maggioranza dei rom
è costituita da italiani, proprio come le vittime dell’assalto
compiuto dalla cosiddetta Banda della Uno Bianca al campo nomadi di via
Gobetti, a Bologna).
E’ quanto serve (e basta) a riattivare ancora una volta (e in grande
stile) "l’equazione sciagurata tra violentatore e immigrato", equazione
già denunciata l’anno precedente a Bologna dalle donne migranti
durante una manifestazione contro la violenza sulle donne. Un fatto di
cronaca, simile a centinaia di altri altrimenti passati sotto silenzio,
viene preso a pretesto per scatenare una campagna politica
(ignobilmente sostenuta dalla grande maggioranza degli organi di
stampa) contro "lo straniero stupratore".
Il guadagno che si ricava dall’operazione è doppio. Da una parte
si fomenta, agitando uno dei fantasmi più tenaci di un certo
immaginario in specie maschile, il razzismo mai sopito degli italiani
brava gente (in un clima di isteria collettiva c’è anche chi
assalta con bombe molotov dei campi rom in diverse città
italiane) e un allarme sociale che permette di varare decreti d’urgenza
contro i/le "clandestin*". Dall’altra (e concordemente), amplificando
ad arte la percezione del rischio stupro da parte di sconosciuti
(stranieri) si trasforma la violenza sulle donne in un problema di
"ordine pubblico", in una questione di sicurezza e di controllo del
territorio.
E questo nonostante i dati mostrino che solo il 10% delle violenze
sulle donne è commesso da stranieri e solo il 6% da estranei
(ancora dati Istat 2007), mentre la maggior parte avviene tra quelle
che vengono (impropriamente) definite "pareti domestiche" ad opera di
uomini perfettamente conosciuti dalle vittime. Questi sono per la
maggior parte italiani, in primis mariti e amanti (in specie se "ex") e
parentame vario, ma anche datori di lavoro, insegnati, medici, preti e
tutori dell’ordine (in questi casi quasi esclusivamente italiani).
Nella grande manifestazione contro la violenza maschile sulle donne
tenuta a Roma a qualche mese dalla morte di Giovanna Reggiani, avevamo
ribadito in maniera forte e chiara la nostra volontà di non
essere strumentalizzate per fomentare il cosiddetto scontro di
civiltà e giustificare la deriva securitaria in atto e pratiche
sempre più autoritarie e lesive della libertà di tutti e
tutte e in particolare proprio di quei soggetti che si vorrebbero
"tutelare", cioè noi "donne" (e tra queste in particolare le
migranti). Sappiamo che la violenza contro le donne non ha confini
geografici, né di cultura o religione, ma è l’espressione
di un violento rapporto di potere (che è sociale, politico ed
economico) esercitato dagli uomini (non come categoria "naturale", ma
"sociale": "bianchi", eterosessuali, borghesi, cattolici …) sulle
donne. È questo rapporto che va denunciato, combattuto e
distrutto. Ma il suo smantellamento non sarà possibile senza
affrontare la prova, difficile e urgente, di nuove forme di
articolazione delle lotte antisessiste e antirazziste.

Vincenza Perilli

 

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Cariche sugli studenti davanti a La Sapienza

 

Venerdì
a Pisa di fronte al palazzo de La Sapienza polizia e carabinieri in assetto antisommossa hanno caricato un presidio di studenti e precari che stavano protestando contro la presenza di Pera all’Università. Pera ha presentato il suo libro "perché dobbiamo dirci cristiani" ad un’iniziativa promossa da gruppi cattolici e della destr fascista pisana. La polizia ha caricato poco dopo l’inizio della protesta, quando i manifestanti si sono spostati di fronte all’ingresso principale del palazzo. Senza che ci fosse il minimo segno di tensione, all’improvviso e a freddo la digos ha ordinato di "spingere un po’ ".

informazioni ai seguenti link:

Cariche sugli studenti in Piazza Dante.

http://www.senzasoste.it/content/view/6650/68

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da UN rubrica BelLavoro

( da Umanità Nova del 1 marzo 2009 n.8:  http://isole.ecn.org/uenne/archivio/archivio2009/un08/art5726.html )

A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese

Irlanda: continua l’occupazione alla Waterford Crystals

E’ giunta alla terza settimana l’occupazione da parte dei lavoratori
della Waterford Crystals, a rischio di chiusura causa dissesto
finanziario: questi assicurano, a rotazione, una presenza continua
nell’azienda di 60 di loro. Dall’inizio dell’occupazione i lavoratori
hanno dato vita ad una manifestazione nel capoluogo della Contea,
Waterford, con una partecipazione di oltre 6.000 persone e hanno
manifestato nella capitale Dublino, dinnanzi agli uffici della Deloitte
& Touche, società incaricata dalla proprietà di
condurre l’amministrazione controllata della Waterford Crystals; mentre
il gruppo "Save Waterford Crystal" su Facebook ha in pochi giorni
raggiunto i 4.600 membri da ogni parte del mondo.
Nello stesso giorno sono sfilate a Dublino ben 3 manifestazioni: quella
dei lavoratori di Waterford, quella dei conducenti della Bus Eireann
(la società di trasporto su strada dell’Eire) e quella degli
studenti (20.000 partecipanti). Gli uni per protestare contro il taglio
dei posti di lavoro, gli altri contro l’aumento  delle rette
scolastiche.

Sciopero alla Dhl contro la riduzione dei diritti e degli occupanti

Nella giornata del 12 febbraio un centinaio di lavoratori della
Dhl  di Corteolona (Pavia) hanno bloccato per 4 ore i cancelli
dello stabilimento, dall’alba fino alle 9,30. I tir  sono stati
bloccati sulla strada, la provinciale per Villanterio,  creando
problemi di circolazione stradale.
Non è la prima volta che iniziative di lotta esplodono nello
stabilimento. Due anni fa il motivo scatenante è stata la morte
di un albanese di 27 anni, caduto da un "muletto" che lo aveva
sollevato a diversi metri di altezza. Dopo questa vicenda ci sono
sempre stati fermenti nel capannone di logistica. Adesso il motivo
principale dello sciopero improvviso è stato il passaggio di
appalto dalla cooperativa Team Logistica alla cooperativa Elaia. Come
è risaputo le gare di appalto sono determinate dalla riduzione
di costi, ma a farne le spese sono solo i lavoratori.
Il rappresentante dello Slai Cobas, il sindacato di base presente
nell’azienda, denuncia: "Al momento della stipula dei contratti
è stato fatto firmare un contratto peggiorativo, con diminuzione
del salario e declassazione dal quinto al sesto livello". Con il trucco
di aver perso alcuni dei contratti firmati non tutti i lavoratori sono
stati riassunti come prevede la normativa. Inoltre si rivendicano le
spettanze (liquidazione, ecc.) dalla gestione precedente (la
cooperativa Team Logistica).
La situazione si è normalizzata solo quando i dirigenti
dell’azienda Dhl si sono impegnati a convocare le cooperative coinvolte
e le rappresentanze dei lavoratori per arrivare ad un accordo.

Portovesme: protesta contro la chiusura degli impianti alla Eurallumina

Durante la recente campagna elettorale in Sardegna era intervenuto
addirittura Berlusconi per tentare di convincere la proprietà
russa della Eurallumina di Portovesme (Cagliari) a non interrompere la
produzione, causando la messa in cassa integrazione di ben 450 addetti
su un totale di 700. Fatto sta che le elezioni sono oramai alle spalle
e che – a quanto pare – le parole di Silvio non sono state accolte con
il dovuto rispetto che si deve ad un amico intimo dell’oligarca Putin.
L’unico risultato certo è che dal 28 febbraio la Eurallumina
cesserà la produzione, colpendo i salari non solo dei 450
dipendenti. Alla Eurallumina infatti è direttamente collegato
l’indotto del quale fanno parte le imprese di appalto, la Alcoa, che si
rifornisce di allumina proprio dalla società in via di chiusura
e di altre aziende, ivi compresa la locale centrale dell’ Enel, per un
totale di circa ulteriori 3.000 posti di lavoro.
Oltretutto, ad un incontro che si doveva tenere a Roma tra i sindacati,
la proprietà e il ministro Scajola, sia il ministro che la
Eurallumina hanno pensato bene di non presentarsi.
Per protesta 5 dipendenti si sono arrampicati su di un silos a 50 metri
di altezza, dove si sono poi incatenati. Nel frattempo  gli altri
operai, sia dell’Eurallumina che delle imprese di appalto hanno
iniziato il presidio degli ingressi delle fabbriche e delle strade di
accesso, mentre alcuni si sono incatenati in solidarietà con i
colleghi sul silos.
 

All’ospedale di Legnano nasce lo sciopero del futuro?

Licenziate a settembre dall’ospedale di Legnano (Milano), che aveva
deciso di affidare i servizi telefonici ad un call center siciliano, le
11 dipendenti che avevano perso il posto di lavoro, dopo sei anni di
impieghi a termine, avevano inscenato uno strip di protesta "Cosa
abbiamo ancora da perdere? Ci lasciano in mutande, ci toglieremo anche
quelle" e si erano messe all’asta su YouTube.
Passano i mesi ma il loro caso non è ancora risolto
perché "Dal Consiglio Regionale al Consiglio Provinciale solo
promesse e sempre la stessa risposta: non dipendeva da loro. L’Ospedale
attribuiva il licenziamento alla legge Brunetta, mentre il Ministro
Brunetta diceva che era ascrivibile ai vertici aziendali. Il Sindaco di
Legnano se ne è lavato le mani ed il Prefetto, vista
l’indifferenza generale, non sapeva cosa fare".
Il 18 febbraio scorso, con il sostegno della rappresentanza sindacale
RdB-CUB, hanno partecipato al presidio davanti a Palazzo Madama insieme
a circa 200 fra delegati della Ricerca, della Sanità, degli Enti
Locali e Lsu, lavoratori che, dopo tanti anni di precariato nella P.A,
con l’approvazione del Ddl A.S. 1167 vedono ora definitivamente
bloccati i processi di stabilizzazione già avviati.
Per l’occasione le 11 dipendenti hanno partecipato bendate portando
riproduzioni del quadro di De Chirico Canto d’Amore, dando vita a
quello che hanno definito il primo "Sciopero del futuro". Sempre
bendate, le lavoratrici hanno poi raggiunto il Ministero della Funzione
Pubblica, dove hanno ripreso il presidio che intendono mantenere fino a
che non otterranno l’incontro richiesto con il ministro Brunetta.

Presidio contro la chiusura della Terex-Comedil di Cusano Milanino

Dal 16 dicembre scorso, gli operai della Terex-Comedil, azienda
produttrice di gru da oltre 80 anni – situata nella cintura industriale
di Milano – presidiano i cancelli giorno e notte contro la decisione
della proprietà italo-statunitense di cessare la produzione e
licenziare il personale, motivandola tutto questo con il solito
ritornello: "l’affitto è oramai troppo alto e siamo in piena
crisi economica".
Da quel giorno infatti i lavoratori – reduci dall’avere appreso la
notizia –  hanno iniziato il presidio, che nel frattempo si
è dotato di una tenda, alcune sedie con un tavolo e, dato il
rigore invernale, anche di una stufa elettrica.
Come in tanti, troppi, casi analoghi, la storia si ripete tragicamente:
il bilancio 2007 in attivo, quello del 2008 ancora in attivo ma in
calo, un accordo con i sindacati a ottobre 2008 che concede alla
azienda di mettere in cassa integrazione 27 operai con l’impegno
però di riprendere l’attività, finché, il 15
dicembre, la improvvisa notifica della chiusura e l’avvio della
procedura di mobilità, senza nemmeno "graziare" i dipendenti con
la cassa integrazione.
Corre il sospetto che si voglia trasferire la produzione in Friuli,
terra di origine della costola Italiana della proprietà, magari
approfittando di aiuti economici che la Lombardia non  concede.
Nel frattempo però i lavoratori hanno vinto una causa contro
l’azienda per condotta anti sindacale, guadagnandosi così altri
75 giorni di stipendio, mentre incombe oramai la data del 1 marzo 2009,
giorno in cui la proprietà esige che l’azienda sia totalmente
smantellata.
Vedremo se la resistenza dei lavoratori Terex-Comedil, come quella dei
lavoratori INNSE, riuscirà a smuovere la solidarietà dei
lavoratori nell’area milanese.

Per contattare questa rubrica
Bel-lavoro@federazioneanarchica.org

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